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Sentenza

Una donna si sottopone a due interventi di chirurgia estetica nel 2005 e nel 200...
Una donna si sottopone a due interventi di chirurgia estetica nel 2005 e nel 2006.- Insoddisfatta conviene in giudizio il medico che aveva eseguito entrambi gli interventi. Il professionista nel corso del processo si difende producendo, nel proprio fascicolo, delle foto che ritraevano l’attrice a seno nudo. Immagini, pero', la cui pubblicazione era stata autorizzata dall’interessata a soli fini scientifici.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 luglio - 11 settembre 2014, n. 19172
Presidente Berruti – Relatore Spirito

Svolgimento del processo

La vicenda processuale in esame ha il seguente antefatto.
La G. nel (…) si sottopose ad intervento di mastoplastica additiva eseguito dal dr. C. . La stessa, nel (…), si sottopose, ad opera dello stesso medico, ad intervento di addominoplastica, poi agì contro il C. per risarcimento del danno da responsabilità medica con riferimento al secondo intervento. In giudizio il C. , attraverso il suo difensore avv. A. , produsse fotografie a seno nudo della G. riguardanti il primo intervento e delle quali la G. aveva autorizzato la pubblicazione ai soli fini scientifici. Il giudice ritenne irrilevanti queste foto e ne ordinò lo stralcio. Per quella produzione processuale la G. chiamò, allora, in giudizio in unico grado risarcitorio il C. ed il suo avvocato A. . Il giudice li condannò in solido al pagamento di una somma di danaro in favore della G. , ritenendo trattarsi di pubblicazione non autorizzata.
Propongono distinti ricorsi per cassazione il dr. C. (tre motivi) e l'avv. A. (cinque motivi). La G. risponde con distinti controricorsi avverso ciascuno dei ricorsi e deposita memorie per l'udienza.

Motivi della decisione

Il ricorso del dr. C. .
Il primo motivo, invocando la disposizione dell'art. 8, comma 2, lett. E) del D.lgs. n. 196 del 2003, sostiene che la produzione in atti processuali delle fotografie in questione non può essere considerata una pubblicazione, siccome avvenuta nel ristretto ambito processuale, rispetto al quale il diritto costituzionale di agire e difendersi in giudizio derogherebbe alla tutela della riservatezza dei dati personali.
Il secondo motivo (violazione ed erronea interpretazione di norma di legge) sostiene che la produzione in atti delle immagini fotografiche avvenne allo scopo di illustrare quanto riportato nella cartella clinica, al fine di consentire al magistrato una visione completa di tutti gli elementi idonei alla conoscenza reale delle circostanze di causa.
I motivi, che possono essere congiuntamente trattati, sono inammissibili.
La disposizione normativa invocata dal ricorrente stabilisce che i diritti dell'interessato di cui al precedente art. 7 (di ottenere l'indicazione dell'origine e delle finalità dei dati, di ottenere l'aggiornamento o la cancellazione degli stessi, di opporsi in tutto o in parte al relativo trattamento, ecc.) non possono essere esercitati se il trattamento dei dati è effettuato, tra l'atro, "ai sensi dell'articolo 24, comma 1, lettera f), limitatamente al periodo durante il quale potrebbe derivarne un pregiudizio effettivo e concreto... per l'esercizio del diritto in sede giudiziaria". A sua volta, la richiamata disposizione dell'art. 24, comma 1, lettera f), autorizza il trattamento dei dati personali senza consenso dell'interessato nell'ipotesi in cui, tra l'altro, esso sia "... necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento...".
L'art. 26 (Garanzie per i dati sensibili) stabilisce al comma 4 che i dati sensibili possono essere oggetto di trattamento quando, tra l'altro, esso "è necessario... per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento".
L'applicazione del combinato disposto legislativo presuppone, dunque, l'accertamento di merito concernente la necessità del trattamento, ai suddetti fini difensivi, in sede giudiziaria e la circostanza che esso avvenga esclusivamente per tali finalità e per il periodo necessario. Accertamento in concreto svolto dal Tribunale, il quale spiega, in proposito, che la divulgazione in sede processuale dell'immagine della G. (relativa al precedente intervento di mastoplastica) è avvenuta "in un contesto ove... era del tutto inutile e non finalizzata alla strategia difensiva del medico, citato in giudizio per un'asserita responsabilità professionale per il diverso intervento di addominoplastica.."; aggiungendo, altresì, a conferma dell'asserto, che il giudice della causa risarcitoria aveva disposto lo stralcio dell'immagine, ritenendola non pertinente alla fattispecie in contestazione.
Si tratta di un accertamento che, nella specie, il giudice ha svolto e motivato in maniera congrue e logica, sì da sottrarsi alla censura in sede di legittimità.
Il terzo motivo (illogicità di motivazione e violazione della norma di legge) sostiene che il giudice avrebbe reso la sentenza di condanna senza che fosse stata provata l'esistenza di danni risarcibili. In particolare, il danno sarebbe stato valutato e liquidato senza contemperare, in maniera equilibrata, la gravità del fatto illecito e l'intensità e la durata degli effetti del danno ingiusto. Il motivo è infondato.
L'art. 15 del citato decreto stabilisce, al primo comma, che "chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile", aggiungendo, poi, al secondo comma, che "il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell'art. 11". L'art. 11 disciplina, a sua volta, la modalità del trattamento ed i requisiti dei dati.
Nella specie, il giudice ha proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale, esercitando il proprio potere equitativo, con riferimento ad una serie di fattori (cfr. il paragrafo tra la penultima e l'ultima pagina della sentenza) che sottraggono il punto della sentenza alla censura di legittimità.
Il ricorso dell'avv. A. .
Il primo motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 1, lett. F) del D.lgs. 196/03 e dell'art. 26, comma 4, lett. C) dello stesso decreto e sostiene che con il deposito delle fotografie in questione il C. esercitava il diritto di difesa per la tutela dei propri diritti ed interessi.
Il secondo motivo (violazione delle disposizioni di cui al precedente motivo e vizio della motivazione) lamenta che il giudice abbia confuso i concetti di utilità della prova e di liceità della produzione stessa e non abbia tenuto conto che questa era finalizzata a dimostrare che l'analisi sulla capacità cicatrizzatrice della paziente era stata effettuata correttamente e che, se si fosse seguita un'adeguata terapia postoperatoria, il soggetto avrebbe potuto portare a termine una cicatrizzazione favorevole.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili per le ragioni già espresse in relazione ai primi due motivi del ricorso del C. , dovendosi anche in questo caso rilevare che il ricorrente chiede alla Corte di legittimità una serie di accertamenti di fatto rientranti nel potere discrezionale del giudice di merito.
Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione delle norme di cui ai precedenti motivi, nonché vizio della motivazione) sostiene che nella specie non s'è trattato di diffusione di dati (di cui all'art. 4 lett. M), bensì di diffusione (di cui all'art. 4 lett. L), che la visione delle fotografie era limitata a soggetti tenuti al segreto d'ufficio, che il consenso era stato prestato a fini scientifici e di documentazione.
Il motivo è infondato.
È pur vero che quella in questione deve essere definita, ai fini normativi, come una comunicazione, e non come una diffusione, siccome rivolta a "dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato" (cfr. art. 4 lett. L). Tuttavia, ai sensi dell'art. 4, lett. A), si intende per trattamento qualunque operazione concernente, tra l'altro, "... la comunicazione, la diffusione..." dei dati. Trattamento che, ai sensi dell'art. 23, è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato, validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto e se sono state rese all'interessato le informazioni di cui all'art. 13.
Nella specie, è indiscusso che il consenso era stato fornito dall'interessata per fin i scientifici e, dunque, del tutto estranei al trattamento poi effettivamente realizzato.
Il quarto motivo (vizio della motivazione) è inammissibile, siccome introduce questioni di fatto concernenti la circostanza che già l'interessata aveva rivelato i propri dati sensibili attraverso il deposito della cartella clinica relativa alla mastoplastica e che la stessa non era, peraltro riconoscibile nella fotografia depositata.
Il quinto motivo (violazione di legge e vizio della motivazione) che concerne la liquidazione del danno non patrimoniale, deve essere respinto per le stesse ragioni già espresse in relazione al terzo motivo del C. . In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti, con condanna dei ricorrenti a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida, a carico di ciascuno di essi, in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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