Carcerazione preventiva e licenziamento
Cass. Sez. Lav. 10 marzo 2021, n. 6714
Licenziamento individuale – Carcerazione preventiva – Assenza di interesse a ricevere le ulteriori prestazioni – Esigenze oggettive dell'impresa – Rilevanza
In ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva, la persistenza o meno di un interesse rilevante del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni deve essere parametrata alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell'ultima parte dell'art. 3, L. 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell'impresa. Tale valutazione deve essere fatta ex ante, e non già ex post, tenendo conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del dipendente, del periodo di assenza già maturato, della ragionevole prevedibilità che l'impossibilità si protragga, della possibilità di affidare le mansioni temporaneamente ad altri lavoratori senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza.
Licenziamento individuale – Carcerazione preventiva – Impossibilità sopravvenuta della prestazione - Legittimità - Obbligo di repêchage – Non sussiste
In caso di licenziamento per impossibilità sopravvenuta ex art. 1464 cod. civ. per stato di detenzione del lavoratore è esclusa l'operatività dell'obbligo di repêchage in quanto – a differenza di quanto accade nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – vi è un fatto oggettivo, estraneo alla volontà del datore di lavoro e non riconducibile alle sue scelte imprenditoriali, che incide sull'organizzazione aziendale comportandone, di per sé, una modificazione connessa all'incapacità totale di fruire di ogni prestazione lavorativa di quel determinato dipendente, con conseguente impossibilità di ipotizzare ogni ricollocamento alternativo e/o parziale.
La Corte d'Appello di Roma, confermando le decisioni rese all'esito dei precedenti gradi di giudizio, confermava la legittimità del licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione intimato ad un lavoratore a seguito dell'applicazione nei suoi confronti di una misura restrittiva della libertà personale. In sintesi, la Corte rilevava che il licenziamento fosse stato determinato dalla mancata prestazione di attività lavorativa per oltre un anno e trovasse il suo fondamento giuridico negli artt. 1463 e 1464 cod. civ., fattispecie non strettamente equiparabili alla risoluzione del contratto per giustificato motivo oggettivo. Inoltre, la Corte chiariva che, ai fini del giudizio di intollerabilità dell'assenza, andava considerato che la stessa si era protratta per oltre un anno (incidendo quindi sull'organizzazione dell'attività di impresa e determinandone una grave disfunzione) e aveva reso necessario apportare modifiche all'assetto aziendale che non consentivano un proficuo inserimento del lavoratore.
Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia, eccependo innanzitutto la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 delle Preleggi, in relazione agli artt. 1463 e 1464 cod. civ.
La Corte di cassazione ritiene il primo motivo infondato, chiarendo come la Corte d'Appello avesse correttamente richiamato gli artt. 1463 e 1464 cod. civ. per sottolineare come il caso in oggetto ricadesse nell'ambito dell'istituto giuridico della "impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione", inquadrando poi la vicenda nell'istituto del recesso ex art. 1464 cod. civ., determinato dalla mancanza di un interesse del datore di lavoro all'adempimento parziale della prestazione da parte del lavoratore. Richiamando il proprio consolidato orientamento, la Corte specifica che – in ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva – la persistenza di un interesse rilevante a ricevere le ulteriori prestazioni deve essere parametrata alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell'ultima parte dell'art. 3, L. 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell'impresa. Tale valutazione deve essere svolta ex ante, tenendo conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del dipendente, del periodo di assenza già maturato prima del recesso, della ragionevole prevedibilità di una prosecuzione dell'assenza medesima, della possibilità di affidare le mansioni ad altri dipendenti in forza senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza oggettivamente rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza (in tal senso, Cass. 19135/2016; Cass. 12721/2009).
Con il secondo motivo di ricorso, il lavoratore ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero fondato la propria decisione escludendo l'obbligo di repêchage.
La Corte considera anche questo motivo infondato, ritenendo condivisibile l'esclusione dell'operatività dell'obbligo di repêchage in quanto nell'ipotesi di recesso per impossibilità sopravvenuta, ex art. 1464 cod. civ., per stato di detenzione del lavoratore – a differenza di quanto accade nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo – vi è un fatto oggettivo, estraneo alla volontà del datore di lavoro e non riconducibile alle sue scelte imprenditoriali, che incide sull'organizzazione aziendale e ne comporta una modificazione dovuta all'impossibilità di fruire di ogni prestazione lavorativa da parte del dipendente detenuto, con conseguente impossibilità di ipotizzare un ricollocamento alternativo, anche parziale. In altri termini, l'istituto del repêchage non è applicabile giacché esso richiede in ogni caso una fungibilità e una concreta idoneità lavorativa del dipendente.
20-04-2021 20:11
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