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Sentenza

La compensazione delle spese nel processo civile....
La compensazione delle spese nel processo civile.
Compensazione delle spese per giusti motivi | Introduzione dell'obbligo di motivazione | Compensazione per gravi ed eccezionali ragioni | Compensazione delle spese nelle sole ipotesi indicate dall'art. 92, comma 2, c.p.c. | L'Intervento della Corte costituzionale e la giurisprudenza successiva | Riferimenti |

La possibilità di compensare le spese processuali tra le parti costituisce la più significativa eccezione, nel nostro ordinamento, al principio c.d. di soccombenza sancito dall'art. 91 c.p.c., in forza del quale la parte soccombente è condannata a rifondere le spese di lite all'altra parte, in quanto la compensazione delle spese nell'ipotesi di soccombenza c.d. reciproca, prevista dallo stesso capoverso dell'art. 92 c.p.c., non è altro che un'ovvia specificazione del più generale principio di soccombenza.

La dottrina ha diversamente individuato il fondamento del potere del giudice di compensare le spese processuali tra le parti per giusti motivi.

Secondo l'orientamento tradizionale, in particolare, l'istituto si riconnette al principio di causalità, la cui applicazione comporta che debba essere condannata alle spese la parte che, attraverso il proprio comportamento antigiuridico, cioè posto in essere in violazione di norme di diritto sostanziale ovvero per la realizzazione esclusiva di un proprio interesse senza che ciò fosse immediatamente determinato da una controversia attuale ha provocato la necessità del processo (Chiovenda 138 ss.; Grasso 1006).

In accordo con un'altra impostazione, invece, la compensazione delle spese per giusti motivi sarebbe legata ad una responsabilità di natura esclusivamente processuale della parte, ovvero, più precisamente, ad una condotta processuale o pre-processuale tale da a concretare un vero e proprio abuso del processo (Cordopatri 900 ss.).


Compensazione delle spese per giusti motivi

L'art. 92, secondo comma, c.p.c. nella formulazione originaria prevedeva che il giudice poteva compensare le spese processuali nell'ipotesi di soccombenza reciproca o laddove ricorressero giusti motivi.

In tale assetto normativo, la questione più controversa era quella avente ad oggetto la necessità da parte del giudice di motivare la relativa pronuncia se fondata su giusti motivi (e non anche nell'ipotesi di soccombenza reciproca, che costituisce una «declinazione» dello stesso generale principio victus victori).

Secondo la dottrina dominante, nonostante il silenzio del legislatore sul punto, la decisione di compensazione delle spese per giusti motivi doveva essere comunque specificamente motivata al fine di evitare che la discrezionalità della quale gode il giudice in materia si trasformi in un inammissibile arbitrio. Si era inoltre opportunamente sottolineato, a riguardo, che l'obbligo di motivazione della pronuncia che compensa le spese di lite poteva in ogni caso essere desunto da una disposizione di carattere generale, e senz'altro vincolante per i giudici di merito, come l'art. 111, sesto comma, Cost., secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (Gualandi 158; Minoli 457).          

La giurisprudenza aveva tuttavia costantemente ribadito che il giudice non è tenuto a motivare la scelta di compensare le spese di lite, sull'assunto della natura discrezionale del relativo potere e della possibilità di enucleare le ragioni della compensazione dalla motivazione della pronuncia (Cass. civ., 28 novembre 2003, n. 18236; Cass. civ., 14 giugno 1999, n. 5909; Cass. civ., 8 ottobre 1997, n. 9762; Cass. civ., 16 novembre 1994, n. 9690).


Introduzione dell'obbligo di motivazione

Il legislatore è intervenuto, una prima volta, sul problema della motivazione della pronuncia giudiziale di compensazione delle spese di lite per la sussistenza di giusti motivi mediante l'art. 2, n. 1, lett. a, della l. 263/2005, che ha modificato il testo del comma 2 dell'art. 92 c.p.c. imponendo al giudice di esplicitare in motivazione i giusti motivi posti a fondamento della compensazione delle spese (Giordano 47 ss.).

Tale innovazione - come precisato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione - ha trovato applicazione esclusivamente per i giudizi iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della l. 263/2005, ossia il  1 marzo 2006 (Cass. civ., sez. un.,  30 luglio  2008 n. 20598, in Foro it., 2008, I, 2778, con osservazione di Barone), sebbene la stessa S.C. abbia affermato che in tema di compensazione delle spese di lite, anche anteriormente all'entrata in vigore della l. 263/2005, che ha imposto al giudice l'obbligo di esplicitare i motivi della compensazione delle spese, la deroga ai principi in tema di soccombenza nella liquidazione delle spese deve risultare giustificata da motivi che, pur se non necessariamente esplicitati, si possano intuitivamente desumere dalla motivazione e dalla natura della controversia, non potendosi rimettere la decisione al mero arbitrio del giudice (v., tra le altre, Cass. civ., 31 marzo 2010, n. 7853).

In ordine alla portata dell'obbligo di motivazione imposto dall'art. 92, comma 2, c.p.c., la Corte di legittimità ha  evidenziato che deve ritenersi che in caso d'integrale vittoria di una parte, la compensazione delle spese di lite per «giusti motivi» debba trovare nella motivazione della decisione una giustificazione quanto meno desumibile dall'intero contesto del provvedimento anche se non dall'esplicita menzione di argomentazioni ad hoc, dovendo, in mancanza, il potere del giudice ritenersi esercitato in aperta violazione dell'art. 24 Cost.  Cass. civ., 26 settembre 2007 n. 20017).

In altre parole, integra gli estremi della violazione dell'art. 92, comma 2, c.p.c., denunciabile e sindacabile anche in sede di legittimità, la decisione di compensazione delle spese del giudizio giustificata da generici «motivi di opportunità e di equità» quando le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge per esercitare il potere di compensazione delle spese non emergono né da una motivazione esplicitamente specifica né, quanto meno, da quella complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede (Cass. 23 luglio 2007, n. 16205).

In sede di merito si è evidenziato che i «giusti motivi» che, ex art. 92 c.p.c. vigente prima della modifica apportata dalla l. 69/2009, possono giustificare la compensazione delle spese di lite, sono integrati sia dalla presenza di un orientamento giurisprudenziale non ancora consolidato sulle situazioni giuridiche oggetto di causa, sia dal comportamento di una parte che, in corso di causa, non aderisce, senza giustificato motivo, all'offerta di controparte di abbandonare la causa con corresponsione di un adeguato contributo spese legali (Trib. Piacenza, 1 luglio 2010, n. 481, in dejure.giuffre.it).

Sotto un distinto profilo, sempre in sede di merito, si è ritenuto che deve essere accolto l'appello contro la sentenza del Giudice di Pace che, accogliendo l'opposizione a sanzione amministrativa, abbia disposto senza motivazione la compensazione delle spese di lite e ciò, secondo tale orientamento, purché la sentenza di primo grado sia stata emessa dopo l'entrata in vigore di tale disposizione che costituendo norma di diritto sostanziale, va immediatamente applicata dal giudice anche ai procedimenti in corso (Trib. Roma, sez. XII, 18 febbraio 2008 n. 3253, in Il merito, 2008, n. 7/8, 28).


Compensazione per gravi ed eccezionali ragioni

La l. 69/2009 è nuovamente intervenuta sul testo dell'art. 92, comma 2, c.p.c., questa volta non al fine di rendere più effettivo un controllo sulla congruità della motivazione della compensazione delle spese di lite, bensì sostituendo la pregressa clausola generale che ancorava il relativo potere alla sussistenza di «giusti motivi» riconducendo lo stesso alla ricorrenza di «gravi ed eccezionali ragioni».

In dottrina, si è osservato che l'intento della novella in questione è stato quello di ridurre gli ambiti di discrezionalità del giudice confinando il potere di compensare le spese in ambiti ristretti ed eccezionalie non meramente opportuni, come avveniva nell'assetto precedente (Sassani 2009).

Inoltre il concorrente requisito della «gravità» necessario per la compensazione delle spese di lite in presenza di eccezionali ragioni comporta che sia a tal fine richiesta una ragione effettivamente ed oggettivamente rilevante, che vada oltre una mera percezione di giustizia sociale idonea a deviare il corso della decisione sulle spese dalla regola aurea della soccombenza.

Il monito rivolto ai giudici di merito ad una maggiore prudenza nell'utilizzare il proprio potere di compensazione delle spese processuali era evidente. Peraltro, come è stato presto osservato, trattandosi di una nuova clausola generale, «posto che tradizionalmente la giurisprudenza considera giusti motivi ai fini della compensazione delle spese del processo il dubbio sull'esito della controversia, l'obbiettiva difficoltà delle questioni giuridiche esaminate, l'assenza di consolidati orientamenti giurisprudenziali su una determinata questione, non si comprende come nella prassi si potrà ritenere che tali non siano comunque gravi ed eccezionali ragioni idonee a giustificare una compensazione delle spese di lite» (Scarselli 262 ss.).


Compensazione delle spese nelle sole ipotesi indicate dall'art. 92, comma 2, c.p.c.

Con la riforma realizzata dal d.l. 132/2014, conv. in l. 162 del 2014, il legislatore è intervenuto nuovamente sull'art. 92, comma 2, c.p.c. individuando in modo specifico le ipotesi nelle quali il giudice può compensare le spese di lite, ossia nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

Tale novella normativa si è conformata agli auspici già espressi da autorevole dottrina in ordine all'opportunità di limitare il potere del giudice di compensare le spese del giudizio al ricorrere di fattispecie specificamente individuate, nell'intento di scoraggiare la proposizione di azioni giudiziarie manifestamente infondate o difese pretestuose con la certezza di una condanna alle spese processuali nell'ipotesi di soccombenza (G. Finocchiaro XXII).

Tuttavia la formulazione della norma aveva suscitato non secondarie problematiche sul piano interpretativo.

In primo luogo ci si era chiesti quando una questione può ritenersi  assolutamente «nuova» ai fini della compensazione delle spese di lite.

Secondo alcuni una questione può essere considerata nuova per giustificare la compensazione delle spese giudiziali soltanto quando, al momento dell'introduzione del giudizio, non sia stata ancora oggetto di precedenti decisioni edite, i.e. di concreta applicazione in sede giurisdizionale (Santangeli, Modifiche al regime della compensazione delle spese, cit., 148 ss.).

Inoltre, l'assoluta novità della questione ricorre quando la disposizione normativa, sebbene già oggetto di pronunce giurisprudenziali, non sia mai stata applicata alla fattispecie concreta esaminata (cfr. Santangeli 150, il quale adduce l'efficace esempio della verifica in ordine all'applicabilità della disciplina già prevista per un determinato contratto ad un modello negoziale atipico di nuova creazione).

Pertanto, la novità potrà riguardare sia la questione giuridica astratta, nell'ipotesi di assenza di precedenti  con riferimento ad una nuova norma sia la questione di fatto, ossia l'applicazione del principio ad una diversa fattispecie concreta (cfr. Valerini, 44).

La possibilità per il Giudice di compensare le spese di lite tra le parti, sempreché non ricorra una situazione di soccombenza reciproca, era in secondo luogo correlata ad un mutamento di giurisprudenza su una questione dirimente per la decisione. La disposizione dovrebbe ragionevolmente intendersi nel senso di consentire la compensazione delle spese processuali qualora, rispetto al momento di introduzione del giudizio, sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza che abbia condotto ad una decisione difforme rispetto a quella che poteva prevedersi in accordo con l'orientamento precedente (Santangeli 146 ss.).

Tuttavia individuare in concreto quando ricorra tale situazione può essere complicato perché se vi sono ipotesi, come quella di un improvviso revirement rispetto ad una consolidata giurisprudenza di legittimità, nelle quali senz'altro il mutamento di giurisprudenza cui fa riferimento la disposizione in esame ricorre, altri casi sono problematici.

Occorre in particolare interrogarsi se ricorra un mutamento di giurisprudenza che può giustificare una compensazione delle spese del giudizio anche nelle seguenti situazioni: a) questione che ha avuto soluzioni oscillanti all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità sino all'intervento delle Sezioni Unite risolutivo del contrasto di giurisprudenza; b) questione, non ancora esaminata dalla S.C., rispetto alla quale è modificato l'indirizzo interpretativo della giurisprudenza di merito dominante; c) questione sulla quale vi sono indirizzi interpretativi oscillanti nella giurisprudenza di legittimità e/o di merito.

In ragione dell'utilizzo di un concetto generale come quello di «mutamento di giurisprudenza» in entrambe le ipotesi richiamate potrà disporsi legittimamente la compensazione delle spese processuali, sebbene, specie mediante l'ipotesi sub c), ossia la fattispecie nella quale la questione è oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità con conseguente attuale opinabilità sotto il profilo giuridico della soluzione raggiunta, si riproponga il pericolo di un utilizzo ricorrente di clausole di stile volte a giustificare la compensazione delle spese, non in linea con la ratio dell'intervento normativo.

Dalla giurisprudenza richiamata in ordine ai presupposti per la compensazione delle spese per gravi ed eccezionali ragioni si poteva invero già evincere, prima della riforma in esame, la limitazione del potere del giudice di compensare le spese di lite ad ipotesi simili, come  quella della soluzione oscillante in giurisprudenza della questione esaminata (Cass. civ., 10 febbraio 2014, n. 2883; conf. Trib. Roma, sez. II, 8 gennaio 2015, n. 833, in dejure.giuffre.it), senza che, per converso, la mera oggettiva opinabilità della soluzione accolta potesse invece giustificare siffatto potere (Cass. civ., 9 gennaio 2014, n. 319).

L'art. 92, comma 2, c.p.c. nell'attuale formulazione, precisa che, peraltro, il mutamento della giurisprudenza che consente la compensazione delle spese del giudizio deve essere intervenuto rispetto a questioni dirimenti.

In dottrina si è evidenziato che tale espressione non dovrebbe essere riferita alle sole questioni finali quanto, altresì, a tutti gli aspetti che sotto il profilo sostanziale e processuale per giungere alla decisione (Santangeli 148).

Tale interpretazione potrebbe tuttavia scontrarsi non solo e non tanto con la lettera della disposizione in parte qua laddove qualifica come «dirimenti» tali questioni ma soprattutto con il chiaro intento del legislatore della riforma, che invero ha introdotto tale precisazione in sede di conversione, di limitare ancora di più il potere giudiziale di compensazione delle spese del processo. Per converso, potrebbe ritenersi che proprio mediante il richiamo alle questioni dirimenti si possa «recuperare» una specifica portata in senso più rigoroso rispetto a quanto già desumibile dalla norma nella pregressa formulazione, limitando, quindi, la possibilità di una compensazione delle spese laddove il mutamento di giurisprudenza abbia riguardato la questione principale, sia essa sostanziale o processuale, per la decisione.


L'Intervento della Corte costituzionale e la giurisprudenza successiva

In realtà la problematica di maggiore portata correlata all'art. 92, comma 2, c.p.c. nella formulazione novellata dal d.l. 132/2014, conv. in l. 162/2014, era costituita dalla circostanza che il legislatore aveva eliminato ogni spazio discrezionale del giudice, al di fuori delle due ipotesi indicate, individuate in modo tassativo, per poter disporre, in assenza di soccombenza reciproca, la compensazione delle spese. Era ad esempio esclusa, a riguardo, ogni valutazione sulla condotta processuale delle parti.

La questione di legittimità costituzionale della norma, così come modificata, era stata portata dal Tribunale di Reggio Emilia dinanzi alla Corte costituzionale che, con la fondamentale pronuncia n. 77/2018, ha dichiarato l'art. 92, comma 2, c.p.c. costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non consente all'autorità giudiziaria di compensare le spese di giudizio, parzialmente o per intero, non solo nelle ipotesi di «assoluta novità della questione trattata» o di «mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti» ma anche quando sussistono «altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni», per disparità di trattamento integrante una violazione dell'art. 3 Cost. In sostanza, l'elencazione tassativa contenuta nella norma censurata era lesiva del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, poiché lasciava fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa. La Corte ha precisato che rientrano nella valutazione del giudice anche le ipotesi in cui il lavoratore debba promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi rilevanti e decisivi nella disponibilità del solo datore di lavoro (c.d. contenzioso a controprova): in sostanza, l'autorità giudiziaria può nuovamente verificare se vi sia o meno una situazione di assoluta incertezza su questioni di fatto, eventualmente riconducibili alle «gravi ed eccezionali ragioni» che consentono la compensazione delle spese di lite.

La successiva giurisprudenza di legittimità si è conformata alle indicazioni promananti dalla predetta decisione additiva della Corte costituzionale affermando il principio in virtù del quale ai sensi dell'art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. 132/2014 e dalla sentenza n. 77/2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell'eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall'art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., 18 febbraio 2020, n. 3977, la quale ha annullato una decisione che aveva disposto la compensazione delle spese in ragione della novità e complessità della materia trattata, senza in alcun modo motivare sull'asserito contrasto tra i diversi orientamenti giurisprudenziali in merito; Cass. civ., 18 febbraio 2019, n. 4696).
Avv. Antonino Sugamele

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