Cass. civ., sez. III, sent., 23 giugno 2021, n. 17965 Presidente Frasca – Relatore Iannello
Cass. civ., sez. III, sent., 23 giugno 2021, n. 17965
Presidente Frasca – Relatore Iannello
Fatti di causa
1. Con sentenza in data 26/9/2014 il Tribunale di Verona rigettò la domanda di risarcimento del danno proposta da F. S.p.a. nei confronti di T.L., P.F. e R.C.S. L. S.p.a., rispettivamente coautori ed editrice del libro "(omissis)", il cui contenuto l'attrice riteneva diffamatorio là dove, in alcuni punti dello scritto, veniva evocato il coinvolgimento di F. nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa; rigettò anche le istanze di F. dirette alla cancellazione di espressioni ritenute offensive contenute nella comparsa di costituzione del T.. Il tribunale ritenne infatti: quanto alla illiceità dello scritto, che i fatti indicati dall'attrice come diffamatori erano stati esposti nel libro in modo veritiero e senza travisamenti e che le opinioni espresse dagli autori costituivano legittima espressione del diritto di critica; quanto alla offensività delle espressioni utilizzate nei rispettivi atti difensivi da F. e T., che esse inerivano all'oggetto della controversia ed erano funzionali all'esercizio del diritto di difesa. 2. La Corte d'appello di Venezia ha confermato tale decisione, rigettando il gravame interposto dalla F.. 2.1. Con riferimento al primo motivo - con il quale la F. si era doluta tra l'altro che, con riferimento alle dichiarazioni del pentito di mafia C.S. menzionate nel libro, la ricostruzione operata dal primo giudice fosse viziata da mancata comprensione dei fatti di causa ed aveva, inoltre, evidenziato che pronunce giudiziarie emesse in relazione alle vicende in questione avevano escluso l'attendibilità del C. e la rilevanza delle sue dichiarazioni - la Corte veneta ha osservato che: - è incontroverso che il C. abbia rilasciato, al processo d'appello per la strage di Capaci, le dichiarazioni riferite nel passo oggetto di censura; - tali dichiarazioni, per come riferite nel testo, e per quanto concerne specificamente F., si riferiscono a "versamenti periodici di somme a titolo di contributo" effettuati a Cosa Nostra da persone fisiche "appartenenti al gruppo F." ed a "rapporti con i vertici della F.", dunque ancora con persone fisiche che " R. si era attivato per coltivare personalmente" (senza che il dichiarante fosse in grado di precisare "se e come R. avesse preso il controllo diretto di questo rapporto"); - il riferimento, nel libro, all'esistenza di "puntuali conferme (di detti versamenti) da parte di altri collaboratori" non era stato specificamente contestato; - "al di là dalla attendibilità delle dichiarazioni del pentito, cui nessuna valenza è stata attribuita nel processo nel cui ambito sono state emesse", va escluso che dal passo in esame, "collocato nel suo contesto", "possa evincersi l'attribuzione al soggetto giuridico F. di un qualche coinvolgimento nelle vicende che hanno condotto alla strage di Capaci, e men che meno di condotte astrattamente riconducibili a riciclaggio di denaro"; - "il riferimento alle dichiarazioni di C. (è inserito) in un capitolo, collocato nella parte del libro dedicata ai "Mandanti delle stragi" (di mafia), intitolato "Le divergenze all'interno del pool di Caltanissetta e il bilancio delle indagini", il cui fine è, appunto, di spiegare le ragioni del dissenso formalizzato da T. in ordine alle motivazioni della richiesta di archiviazione dall'imputazione di concorso nei confronti di altri soggetti persone fisiche, attinte dalle indagini sulla strage di (omissis). 2.2. Con riferimento al secondo motivo - con il quale la F., in relazione al passo del libro nel quale si prospetta il coinvolgimento di F. in attività di riciclaggio alla stregua delle emergenze dei processi cc.dd. D. e Ca., aveva lamentato la mancata comprensione della portata diffamatoria dei fatti esposti nello scritto - la Corte d'appello ha osservato, in sintesi, che: - "la narrazione (del libro, n.d.r.) assume un carattere descrittivo di emergenze e vicende processuali storicamente verificatesi, senza che vi si possa ravvisare alcun intento suggestivamente assertivo in ordine al coinvolgimento di F. in attività di riciclaggio, men che meno ipotizzabili con riguardo al processo Ca., nel quale la fonte del flusso finanziario viene chiaramente individuata in un istituto di credito (l'allora Banco Ambrosiano), l'operazione riguardata in un "finanziamento" (dunque in una tipica operazione bancaria) ed il sovvenuto in un soggetto (una "F. Ltd delle (omissis)") diverso e distinto dall'odierna appellante, del quale non si afferma nè si ipotizza il rapporto con F. S.p.a.". - "quanto all'interrogativo formulato nel testo, sul perchè il perito G. sia stato sottoposto da F. a "pressione legale" in relazione alla sua perizia per il processo D. e non per il processo Ca., l'appellante, che pure se ne duole, non ne esplicita in modo chiaro la rilevanza" e, pur collocandola nella prospettiva di parte appellante, si tratterebbe di "circostanza priva di concludenza e significatività intrinseca, e men che meno di valenza diffamatoria". 2.3. Conclusivamente, e con riferimento al terzo motivo con il quale l'appellante aveva dedotto violazione di legge, la Corte ha osservato che "l'esposizione, basata su riscontri ed emergenze processuali obiettivamente riscontrabili, non può ritenersi connotata da illazioni od accostamenti di carattere suggestivo, travalicanti l'esercizio del diritto di critica". 2.4. Con riferimento infine al quarto motivo, con il quale l'appellante aveva iterato la denuncia del carattere offensivo di alcune espressioni contenute nella comparsa di costituzione in primo grado del convenuto T., la corte lagunare ha confermato la valutazione del primo giudice secondo cui quelle espressioni non potevano considerarsi "estranee, oggettivamente e soggettivamente, ai temi controversi in causa, nè prive di nesso funzionale rispetto all'impostazione difensiva della parte che vi ha fatto ricorso". 3. Avverso tale decisione F. S.p.a. propone ricorso per cassazione, articolando quattro motivi, cui resistono Rizzoli L. S.p.a. (già R.C.S. L. S.p.a.) e P.F., depositando controricorso. L'altro intimato non svolge difese nella presente sede. 4. Il Procuratore Generale presso la Corte ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176. Parte resistente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti nè il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale. 2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, "nullità della sentenza per mancanza e/o apparenza di motivazione, nonchè violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4". Lamenta che "in alcuni casi la motivazione è del tutto assente, mentre in altri essa è solo apparente perchè non è affatto aderente a quanto denunciato dall'appellante e ai relativi fatti di causa". La censura è illustrata con distinto riferimento a tre temi di lite. 2.1. Il primo di essi riguarda l'assunto, posto a fondamento della pretesa risarcitoria, secondo cui nel libro era stata falsamente evocata, attraverso le dichiarazioni rese dal pentito C. in taluni procedimenti, la commistione della F. con la mafia. Secondo quanto espone la ricorrente tale assunto faceva in particolare riferimento ad un passo del libro, contenuto a pag. 151, nel quale: - anzitutto si afferma che, secondo quanto rivelato da C. "nel processo sulle stragi di (omissis) e (omissis)" (così in ricorso): "appartenenti al Gruppo F. versavano periodicamente 200 milioni di lire a titolo di contributo a Cosa Nostra"; " R. si era attivato, dagli anni 1990- 91, per coltivare direttamente... i rapporti con i vertici della F. tramite Cr."; " R., nel 1991, aveva riferito (al C.) che B. e... D. erano "interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo" e che lui stesso ( R.) si sarebbe occupato dell'affare, avendo i due personaggi "nelle mani""; - si osserva poi che "le indicazioni sui versamenti da F. a Cosa Nostra hanno trovato puntuali conferme da altri collaboratori... e da alcuni riscontri oggettivi". Ciò premesso, lamenta la ricorrente che quanto al riguardo da essa rappresentato nel primo motivo di appello non è stato preso in considerazione dalla corte di merito che ha posto piuttosto a fondamento della propria decisione il diverso assunto per cui la F. avrebbe denunciato l'evocazione nel libro delle dichiarazioni di C. "con riferimento al coinvolgimento di F. nella strage di (omissis)" nonchè "la falsità e decettività della rappresentazione della fondamentale compatibilità tra le dichiarazioni di C. e quelle rese da Br.Gi.", sempre con riferimento alle stragi. Ne deriva, secondo la ricorrente, l'inconferenza dell'argomento, speso in sentenza, secondo cui, "al di là della attendibilità delle dichiarazioni del pentito, cui nessuna valenza è stata attribuita nel processo nel cui ambito sono state emesse, va escluso, in esito alla lettura del passo in esame, collocato nel suo contesto, che dallo stesso possa evincersi l'attribuzione al soggetto giuridico F. di un qualche coinvolgimento nelle vicende che hanno condotto alla strage di (omissis), e men che meno di condotte astrattamente riconducibili a riciclaggio di denaro". 2.2. Il secondo tema cui è riferito il motivo riguarda l'assunta portata diffamatoria di quanto scritto nel capitolo del libro intitolato "Nel cuore della finanza criminale" e in particolare là dove, alle pagg. 203 - 207: - si evoca quanto emerso nella consulenza elaborata dal Dott. G. nel procedimento palermitano a carico di D.M. in cui è stato analizzato "il nodo delle origini dei soldi delle numerose holding F."; - si propone suggestivamente un parallelo tra i processi cc.dd. D. e Ca. poichè entrambi vertenti su fatti di riciclaggio ed entrambi basati anche sulle risultanze di consulenze redatte dal medesimo Dott. G., definito "un esperto di riciclaggio", facendosi anche leva sulla parziale omonimia tra la ricorrente e una entità che aveva ricevuto fondi dal Banco Ambrosiano nel 1974 denominata dagli autori "la F. delle (omissis)" o "F. off-shore". Espone la ricorrente che, nel secondo motivo d'appello: - delle prime delle suesposte affermazioni contenute in tale parte del libro (consulenza G. sulle origini dei soldi) essa aveva lamentato la falsità poichè: la consulenza G. risaliva al 1999 e riguardava la ricostruzione dei flussi finanziari della F. nel periodo 1978-1985; non aveva affatto accertato condotte di riciclaggio, nè ipotizzato che nella costituzione delle holding F. fosse stato impiegato denaro proveniente da soggetti terzi al gruppo B. o di natura illecita; la stessa era stata vagliata in diversi procedimenti, i cui esiti erano stati tutti convergenti nell'escludere la società dai fatti di riciclaggio; - con riferimento al parallelo, operato nel libro, tra i processi D. e Ca. essa aveva inoltre evidenziato che: entrambi i processi si erano conclusi senza accertare alcuna condotta di riciclaggio; non avevano in comune alcun elemento oggettivo nè soggettivo, se non il fatto, insignificante, che in entrambi era stato incaricato lo stesso perito (Dott. G.); erano stati celebrati dinanzi a corti diverse e in tempi diversi; avevano ad oggetto reati disomogenei, contestati a persone ancora una volta diverse che non avevano alcuna connessione l'una con l'altra. Ciò premesso deduce che tali censure non sono state minimamente valutate dalla Corte di appello e che, rispetto ad esse, la sentenza esibisce una motivazione totalmente carente o solo apparente, non fornendo - quanto in particolare al primo tema (consulenza G. sulla origine dei soldi) - alcuna indicazione delle ragioni per le quali sarebbe da ritenere rispettato, nel libro, il canone della verità. Rimarca che l'esito dell'indagine peritale sulle holding della ricorrente non viene affatto citato nei passi del libro e proprio tale omissione è stata lamentata dalla F. (unitamente alla mancata informazione sull'esito del procedimento); pertanto, il giudizio di veridicità si risolve, secondo la ricorrente, in una affermazione meramente apodittica, oltre che illogica e non attinente ai fatti di causa. 2.3. Il terzo tema cui è riferito il motivo riguarda il rigetto della richiesta di cancellazione ex art. 89 c.p.c., di talune espressioni contenute nella comparsa di costituzione in primo grado del T., nelle quali questi affermava che l'azione spiegata dalla F. si inserirebbe in una più ampia strategia di delegittimazione perpetrata ai propri danni anche per mezzo di organi della stampa ad essa collegati e risponderebbe allo scopo di calunniarlo, perseguitarlo, intimidirlo, nonchè di punirlo per il lavoro svolto in seno ai processi sulle stragi di (omissis) e (omissis). Come detto, l'iterata richiesta è stata rigettata dalla corte di merito sul rilievo che tali espressioni, "come già evidenziato dal primo giudice", non possono ritenersi "estranee, oggettivamente e soggettivamente, ai temi controversi in causa, nè prive di nesso funzionale rispetto all'impostazione difensiva della parte che vi ha fatto ricorso". La ricorrente lamenta il carattere apodittico di tale motivazione, non consentendo essa di comprendere il ragionamento seguito dalla corte distrettuale, nè potendo questo essere desunto neanche dalla mera condivisione della valutazione sul punto del primo giudice. 3. Il motivo, nel suo complesso e con riferimento a ciascuno dei profili considerati, è in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato. 3.1. E' inammissibile, anzitutto, il primo profilo di censura (supra p. 2.1) con il quale la ricorrente lamenta la mancata considerazione, da parte della corte d'appello, di quanto da essa rappresentato nel primo motivo di appello circa la portata diffamatoria dei passi del libro nei quali si faceva riferimento alle dichiarazione del pentito C.. La ricorrente ha omesso invero di puntualizzare il contenuto degli atti processuali (a partire proprio da quello di appello) nei quali tali contestazioni sarebbero state dedotte, evidenziandone la reale portata e pertinenza, oltre che provvedere ad una precisa indicazione degli stessi atti, risultando in tal senso inosservato l'onere imposto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (cfr. Cass. Sez. U. 25/03/2010, n. 7161; Cass., 24/10/2014, n. 22607), al fine di consentire a questa Corte una congruente verifica sulla veridicità dell'asserzione 3.2. In ogni caso, come s'è detto, la censura si appalesa infondata. Occorre rammentare che una nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (error in procedendo denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) può ammettersi solo in quattro casi: - quando la motivazione manchi del tutto finanche "sotto l'aspetto materiale e grafico"; - quando contenga un "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili"; - quando sia "perplessa ed obiettivamente incomprensibile"; - quando, infine, sia puramente apparente. La motivazione può ritenersi solo apparente quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conff. Cass. 15/06/2017, n. 14927; 23/05/2019, n. 13977; 09/09/2019, n. 22507). Va in proposito ricordato che, secondo insegnamento ormai più che consolidato, "la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (Cass., Sez. U. 07/04/2014 n. 8053). Nella specie, alla luce di tali parametri di valutazione, non può dubitarsi che una motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata, con riferimento a tutti i profili in questione. Mette conto in tal senso rimarcare che: - anzitutto, ed in via assorbente, tutte le doglianze attraverso le quali la ricorrente intende dar contenuto al vizio denunciato postulano il raffronto tra la motivazione della sentenza impugnata (peraltro richiamata solo per alcuni passaggi e sovente, così, non colta nella sua effettiva e intera consistenza) ed elementi ad essa esterni, quali essenzialmente i motivi che si afferma essere proposti a fondamento dell'appello; - pur a seguire la ricorrente in tale prospettiva argomentativa (comunque, come detto, già in astratto inidonea a rappresentare il vizio di motivazione apparente) non può non rilevarsi che le doglianze, lungi dall'evidenziare una effettiva lacuna motivazionale tale da rendere incomprensibile la valutazione della corte territoriale, si appuntano piuttosto sull'esito di quella valutazione; - tanto più tale sostanza censoria si rende manifesta ove si consideri che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente con riferimento al primo profilo (v. supra p. 2.1), la corte veneziana, nel rigettare il primo motivo di appello, non ha affatto frainteso il tema su cui asseritamente si focalizzava la doglianza (ovvero la suggestione, traibile dalla evocazione nel libro delle dichiarazioni del pentito C., di una "commistione della F. con la mafia" sul piano finanziario); la motivazione della sentenza (come desumibile dalla sintesi sopra riferita: v. "FATTI DI CAUSA" p. 2.1) copre tutti gli aspetti segnalati e non può essere tacciata di inconferenza, essendo piuttosto il motivo di ricorso a palesarsi aspecifico perchè non confrontantesi con il reale contenuto della motivazione; - analogamente deve dirsi con riferimento agli altri temi cui è riferito il motivo (consulenza G. sulla origine dei soldi e parallelo tra i processi Ca. e D.: v. supra p. 2.2), anche in tal caso dovendosi rilevare che, lungi dal risultare la motivazione sul punto incomprensibile ovvero eccentrica rispetto al motivo di gravame, sono le doglianze svolte in ricorso a non cogliere la effettiva ratio decidendi sul punto spesa in sentenza; in questa invero la portata diffamatoria dei passaggi attenzionati è stata esclusa non perchè quel passaggio del libro, nella lettura prospettata dalla società come lesiva della propria reputazione, sia stata considerata assistita dai requisiti del corretto esercizio del diritto di critica (ciò che renderebbe pertinente, in astratto, la critica in questa sede svolta), ma, ben diversamente, e a monte, perchè ad essere ritenuta erronea e ingiustificata è stata proprio la lettura che di quella parte del libro ne ha dato la società (avendo la corte veneta escluso, come detto, che si possa nel libro "ravvisare alcun intento suggestivamente assertivo in ordine al coinvolgimento di F. in attività di riciclaggio, men che meno ipotizzabili con riguardo al processo Ca."); - del tutto inconsistente si appalesa infine la censura in esame in quanto riferita anche alla (ribadita) liceità delle espressioni contenute nella comparsa di risposta T. additate dall'attrice/appellante come sconvenienti e inoffensive; anche in tal caso, lungi dal potersi ritenere apodittica la motivazione sul punto resa (chiara nell'evidenziare che l'imputazione dell'iniziativa giudiziaria F. ad intento persecutorio e punitivo nei confronti del PM è da ritenersi funzionale alle strategie difensive), è il motivo di ricorso che non spiega per quale ragione tale motivazione non consenta di comprendere il ragionamento seguito dalla corte distrettuale. 4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, "omesso esame circa più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti". 4.1. La prima parte di tale motivo è riferita alla pretesa risarcitoria avanzata con riferimento a quanto scritto a pag. 151 del libro, circa le dichiarazioni del pentito C. (v. supra p. 2.1). Espone la ricorrente che la portata diffamatoria di tali passaggi del libro era stata dedotta sul rilievo che con essi gli autori, non avendo precisato che le predette affermazioni erano state smentite dalle corti che le avevano vagliate, avevano chiaramente rappresentato ai lettori che: la F. era affiliata alla mafia che finanziava annualmente versando 200 milioni di lire; i vertici della F. erano nelle mani della mafia e in contatto con uno dei suoi più efferati esponenti, poichè interessati ad investimenti nella zona vecchia di Palermo; dette dichiarazioni sono state confermate in "moltissimi processi" e da numerosi collaboratori. Il rigetto del motivo d'appello sul punto proposto è ritenuto dalla ricorrente viziato dall'omesso esame del fatto che, all'esito del procedimento penale nel quale quelle dichiarazioni furono raccolte (proc. D., definito dal Tribunale di Palermo con sentenza dell'11/12/2004): a) le stesse furono ritenute inattendibili; b) fu accertato che il pagamento dei 200 milioni di lire era frutto di un'estorsione in danno della società. 4.2. La seconda parte del motivo è poi riferita a quanto scritto alle pagg. 203-207 del libro, circa le ivi prospettate correlazioni tra i processi D. e Ca. ed alla evocazione in quel contesto della perizia G. circa l'"origine dei soldi" della F. (v. supra p. 2.2) Deduce al riguardo, la ricorrente, omesso esame da parte della corte di merito dei seguenti fatti: - la consulenza G. neppure ipotizza che la provvista utilizzata nelle holding F. fosse di provenienza mafiosa o illecita; - tutte le operazioni esaminate dal consulente G. sono state ricostruite nel corso del processo c.d. D., tanto che gli stessi PP.MM. avevano rinunciato all'accusa di riciclaggio; - la sentenza Trib. Palermo 11.12.2004 ha riconosciuto che tutti i capitali utilizzati nelle holding erano di provenienza interna al gruppo B.; - i processi cc.dd. D. e Ca. non hanno accertato alcuna condotta di riciclaggio e non hanno alcun collegamento soggettivo nè oggettivo; - carattere suggestivo: i) dell'evocazione, nel processo Ca., della F. off-shore chiaramente percepibile dai lettori come società estera della F.; ii) dell'individuazione di un ulteriore trait d'union nell'affidamento dell'incarico peritale al Dott. G., "esperto di riciclaggio", il cui lavoro sarebbe stato ritenuto da F. valido in un processo ( Ca.) e non nell'altro ( D.). 5. Il motivo è in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato. Nel nuovo regime, com'è noto, dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve essere indicato dalla parte - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 - insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, cit.; Cass. 22/09/2014, n. 19881). Nella specie, dei "fatti" (o presunti tali) elencati in ricorso (e sopra elencati secondo la stessa sintetica descrizione che ne è fatta nella tabella anteposta in ricorso alla illustrazione del motivo), alcuni non possono considerarsi obliterati nel ragionamento decisorio ma risultano esplicitamente o implicitamente considerati in sentenza (tali la valutazione attribuita, nel processo in cui furono rese, all'attendibilità delle dichiarazioni del pentito C.: dato ritenuto irrilevante dalla Corte di merito, e per ciò stesso, dunque, esaminato; la causale del pagamento di 200 milioni di lire; l'esito della consulenza G., le statuizioni della sentenza di primo grado nel proc. D. circa la provenienza dei capitali nelle holding; il mancato accertamento giudiziale di alcuna condotta di riciclaggio), altri non rappresentano fatti storici, ossia accadimenti fenomenici del mondo reale, ma mere valutazioni (l'inesistenza di alcun collegamento soggettivo o oggettivo tra i processi D. e Ca. non è un fatto ma una opinione, legata del resto anche alle molteplici possibili diverse prospettive di analisi; il carattere suggestivo di taluni elementi o passaggi del libro non è certo un fatto storico ma il nucleo centrale della valutazione di merito richiesta in ordine alla domanda risarcitoria). 6. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 21 Cost., artt. 51 e 595 c.p., artt. 2043 e 2049 c.c.... nonchè art. 10 CEDU, art. 19 Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo". Richiamati i principi giurisprudenziali in tema di diffamazione a mezzo stampa e rimarcata in particolare la necessità di un approccio non atomistico alle espressioni denunciate e di una valutazione che consideri il contesto e il significato complessivo che se ne può trarre, lamenta la ricorrente che la Corte d'appello "ha del tutto ignorato il contesto gravemente screditante in cui è stata evocata la F. e le molteplici allusioni e omissioni che hanno concorso univocamente a rappresentare ai lettori... una commistione della ricorrente società con la mafia e la sua implicazione in fatti di riciclaggio". Richiama in tal senso il sottotitolo del libro in copertina ("Finanzieri collusi, giudici corrotti, imprenditori e politici a libro paga dei boss. L'invisibile anello di congiunzione tra Stato e mafie. Viaggio nella borghesia criminale giudicati da un magistrato sempre in prima linea") e l'introduzione del libro (ove si riconduce all'ambito dei white collar crime "l'imprenditore che accetta di avere rapporti con la mafia, il politico che si vende alle esigenze di Cosa Nostra,... ma anche il magistrato che si fa corrompere" e si evidenzia che "i poteri pubblici sono... a volte connessi con le persone che dovrebbero perseguire" e si rileva come "l'alimento della criminalità dei colletti bianchi è la collusione con pezzi dello Stato, dunque non deve meravigliare che il potere pubblico, nelle sue molte facce (di vigilanza e di controllo, di investigazione e di repressione), la lasci spesso impunita"). Sostiene quindi che, in tale contesto, l'evocazione della società in relazione a quanto asseritamente emerso in vari processi penali (tra i quali quelli sui mandanti e sugli esecutori materiali delle stragi di (omissis) e (omissis), quello per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di D.M. e, infine, quello per l'omicidio del finanziere Ca.) si risolve in una "evidente e illegittima lesione della sua reputazione accentuata dalla circostanza che gli autori da un lato si premurano di accreditare il libro come un inchiesta/indagine basata su "atti giudiziari complessi"... dall'altro, come detto, omettono o riportano in modo incompleto gli esiti dei procedimenti giudiziari che hanno avuto un'efficacia dirompente rispetto alle notizie da loro riportate e che hanno integralmente smentito le tesi esposte e, in ogni caso, escluso che vi siano stati apporti di capitali di provenienza mafiosa nella costituzione della... società", giungendo anche a costruire "ad arte suggestivi collegamenti con procedimenti che nulla hanno a che vedere con la Società o i suoi esponenti". 7. Il motivo è inammissibile. Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13). In altri termini, non è il punto d'arrivo della decisione di fatto che determina l'esistenza del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, ma l'impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell'interpretarle. Nella specie la ricorrente - lungi dall'impostare in tal modo le proprie argomentazioni critiche - allega in realtà un'erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all'esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass. 26/03/2010, n. 7394; 30/12/2015, n. 26110), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso. L'ubi consistam della censura, e del ricorso nel suo complesso, si risolve con ogni evidenza nella assertiva contrapposizione, alla valutazione di fondo espressa in sentenza (secondo cui "l'esposizione (del libro), basata su riscontri ed emergenze processuali obiettivamente riscontrabili, non può ritenersi connotata da illazioni od accostamenti di carattere suggestivo, travalicanti l'esercizio del diritto di critica"), della valutazione opposta secondo cui, invece, quei passaggi hanno carattere suggestivo e diffamatorio e non possono considerarsi scriminate da un corretto esercizio del diritto di critica. Tale valutazione esprime, però, indubbiamente, un giudizio di merito, non sindacabile in cassazione (se non nei ristretti limiti del vizio di omesso esame, nella specie come visto infondatamente dedotto). Varrà in tal senso rammentare che, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione, la valutazione dell'esistenza o meno dell'esimente dell'esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione; pertanto, il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell'avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell'interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonchè al sindacato della congruità e logicità della motivazione, secondo la previsione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, restando estraneo al giudizio di legittimità l'accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (Cass. 28/02/2019 n. 5811; v. anche Cass. 14/03/2018, n. 6133; 27/07/2015, n. 15759; 30/05/2017, n. 13520; 21/05/2014, n. 11268; 10/01/2012, n. 80; 18/10/2005, n. 20138). 8. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione e falsa applicazione dell'art. 89 c.p.c. e art. 598 c.p." in relazione al confermato rigetto della richiesta di cancellazione, dalla comparsa di risposta in primo grado del convenuto T., di espressioni ritenute offensive. Lamenta che la corte d'appello "non ha neppure preso in considerazione quanto dedotto" al riguardo, "nè sembra aver esaminato le frasi di cui è stata chiesta la cancellazione". Afferma che, essendo interesse difensivo del convenuto soltanto quello di contrastare la domanda e, quindi, di sostenere la verità di quanto narrato nel libro, "nessuna pertinenza, nè rispondenza ad esigenze difensive può essere attribuita alla gravissima affermazione secondo cui l'azione spiegata dalla F. risponderebbe sordidamente allo scopo di calunniare, perseguire e punire il convenuto per aver combattuto la mafia e portato alla condanna gli esecutori materiali delle stragi di (omissis) e (omissis)". 9. Anche tale motivo è inammissibile. E' sufficiente al riguardo rilevare che, secondo indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonchè l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell'art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 14364 del 05/06/2018; 27/06/2011, n. 14112; 29/03/2007, n. 7731; 07/07/2004, n. 12479; 08/01/2003, n. 73; 05/11/2002, n. 15503). Varrà peraltro precisare che il giudizio di sconvenienza e offensività deve prescindere dalla veridicità o meno dei fatti denunciati, dovendosi solamente verificare se detti fatti siano strumentali rispetto all'azione proposta. 10. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, in solido, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo tenuto conto della nota spese depositata: per esborsi tuttavia, in via equitativa (v. Cass. Sez. U. n. 31030 del 27/11/2019), nella misura di Euro 200, non essendo documentate nel maggior importo di Euro 500 chiesto dalla parte. Non sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di una somma ex art. 96 c.p.c., comma 3, come richiesto dai controricorrenti: il ricorso, nel suo complesso, non rivela un uso meramente strumentale del potere di impugnazione ascrivibile ad ipotesi di abuso del processo. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processualì per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.790 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.