Coniuge falsifica firma della moglie correntista: per lei nessun risarcimento Corte d'Appello Roma, sez. II civile, sentenza 08.09.2011
Corte d'Appello di Roma
Sezione II Civile
Sentenza 8 settembre 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI ROMA
SECONDA SEZIONE CIVILE
Così composta:
dott. Blotta Emilia - Presidente
dott. Barrasso Giampiero - Consigliere/Rel.
dott. De Santis Anna Maria - Consigliere
riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello iscritta al n. 1573 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2005, rimessa in decisione all'udienza collegiale del 18.5.2011 con termini abbreviati per comparse conclusionali e repliche scaduti in data 27/6/2011, e vertente
TRA
C.R., elett.te dom.to in Roma, Lungotevere (...), presso e nello studio dell'avv. F.L., che lo rappresenta e difende per procura a margine dell'atto di appello
appellante
E
Banca (...) S.p.A. elett.te dom.ta in Roma, via (...) (studio avv. M.B.), presso l'avv. C.F., che la rappresenta e difende per procura in calce all'atto di appello notificato
appellata
E
C.C., elett.te dom.ta in Roma, via (...), presso e nello studio dell'avv. D.C., che la rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore
appellata-appellante incidentale
OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 1623/2004 - contratti bancari.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23-24/2/2005 C.R. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 1623/2004, depositata il 19.1.04 e non notificata, con la quale, in relazione alle varie contrapposte domande delle parti, si era così provveduto: a) era stata rigettata la domanda della C. verso la Banca (...); b) erano state rigettate le domande del C. verso la C.; c) era stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva del C. rispetto alla domanda della A. S.r.l. nella causa RG n. 50584/95; d) era stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva della A. S.r.l. rispetto alla domanda proposta dal C. nella causa RG n. 59617/95; e) era stata dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle domande proposte dalla C. nei confronti della soc. A. Quanto alle spese, erano state compensate quelle tra il C., la A. e la C., mentre quest'ultima era stata condannata al pagamento delle stesse nei riguardi della Banca (...).
Il C. censurava la sentenza di primo grado laddove non era stata ritenuta provata l'esistenza di un rapporto fiduciario con la C. e la titolarità, in capo al C., delle somme versate sul conto 22020 intestato alla C., nonché laddove non era stata condannata la Banca al pagamento delle spese di lite in favore del C.
L'appellante chiedeva pertanto che, in riforma della sentenza impugnata, fosse riconosciuto il diritto del C. a ottenere dalla C. il rendiconto di tutte le operazioni eseguite sul citato c/c e delle somme ricevute dal fallimento A., a titolo di rimborso delle somme costituite in pegno, con condanna delle appellate al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. In data 9.6.2005 si costituiva tempestivamente C.C., la quale chiedeva il rigetto dell'appello del C. in quanto infondato e proponeva appello incidentale per la condanna della Banca al risarcimento dei danni nella misura di Euro 135.665,51 pari a Lire 262.685.054, oltre interessi, rivalutazione e spese del doppio grado di giudizio.
Nel costituirsi la Banca (...) S.p.A. contestava la fondatezza degli avversi appelli e ne chiedeva il rigetto, con conferma della sentenza di primo grado e vittoria di spese. In subordine, in caso di accoglimento dell'appello incidentale, rinnovava la richiesta di manleva nei confronti del C.
Acquisito il fascicolo di primo grado, all'udienza Collegiale del 18.5.2011, precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione, con la concessione dei termini abbreviati per il deposito di comparse conclusionali e repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Innanzitutto giova premettere che, trattandosi di cause scindibili, non ha preso parte al presente giudizio di appello la società A., poi fallita, che è stata parte del giudizio di primo grado.
Ciò posto l'appello del C. è infondato e non merita accoglimento. Innanzi tutto vanno disattese le istanze istruttorie del C., ovvero le richieste di esibizione ex art. 210 c.p.c., risultando esse inammissibili e, comunque, non rilevanti ai fini del decidere.
Invero la richiesta di esibizione risulta in parte nuova e nel resto esplorativa, oltre che volta a supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio gravante sulla parte (v. Cass. 3499/87; 2369/84; 6734/88; 9715/95...). Inoltre è ritenuta inammissibile, per difetto della necessaria specificità, la richiesta di esibizione diretta genericamente alla produzione di "tutta la documentazione" relativa a un certo oggetto, così come formulata dalla parte appellante nelle sue difese (ex multis v. Cass. 9514/99; 6707/91...). Comunque l'ordine di esibizione non appare necessario, posto che lo stesso non sarebbe comunque idoneo a fornire prova dell'esistenza dell'accordo fiduciario tra il C. e la C., anche alla luce di quanto si dirà in seguito.
Tanto premesso si osserva che il C. ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha disatteso le sue domande verso la C., ritenendo non provata l'esistenza del mandato fiduciario tra le parti in relazione alle somme versate presso la Banca (...) (e poi utilizzate dalla C. per il pagamento del pegno costituito a garanzia dei debiti della società A. verso la Banca stessa).
Reputa, tuttavia, la Corte che tale prova non sia ravvisabile negli atti del giudizio, come già ritenuto dal giudice di prime cure.
Invero, ad avviso del Collegio, nessuna rilevanza potrebbe attribuirsi (contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante) al fatto che, in sede di interrogatorio formale, la C. abbia dichiarato di non ricordare il numero di conto corrente. È evidente, infatti, che tale dichiarazione è priva di qualsiasi contenuto confessorio.
Incerta è, poi, la provenienza del denaro versato sul conto. Si osserva, infatti, che non risulta fornita prova alcuna di specifici versamenti effettuati sul conto da parte del C. ovvero di passaggi di denaro tra le parti.
Non può, pertanto, attribuirsi efficacia decisiva (in via meramente presuntiva) al fatto che il solo C. all'epoca aveva un proprio reddito lavorativo. Per contro risulta pacificamente dagli atti del giudizio di separazione acquisiti in questa sede (v. dichiarazioni dello stesso C., nonché di M.M., D.S. e C.F.) che la C., in costanza di matrimonio, aveva ottenuto consistenti somme di denaro da atti di liberalità dei propri familiari, affermazione questa riportata anche nella sentenza del Tribunale e non specificamente censurata dall'appellante.
È pur vero che la C., sentita il 5.9.95 dalla sezione di P.G. dei Carabinieri, aveva dichiarato che parte delle somme erano state versate sul proprio conto dal coniuge in restituzione di un prestito che la C. aveva fatto al C. con il denaro ricavato dalla vendita di un immobile sito in Porto Ercole, appartenente alla sola C.
Al riguardo, tuttavia, la difesa del C. si è limitata genericamente a sostenere che non era stato precisato di quale prestito si fosse trattato (v. atto di appello, pag. 9 sub c), senza considerare peraltro che sarebbe stato comunque onere del C. fornire la prova del fatto costitutivo della propria pretesa.
In ogni caso, come già evidenziato dal Tribunale, anche volendo ammettere che le somme versate sul conto "de quo" fossero state fornite per intero dal C., quest'ultimo avrebbe pur sempre avuto l'onere di dimostrare l'esistenza del c.d. "patto fiduciario" con la C. per la retrocessione delle somme stesse, con conseguente insorgenza dell'obbligo di rendiconto in capo alla mandataria.
Tuttavia tale prova non può ritenersi raggiunta.
Invero l'unico elemento a sostegno dell'assunto dell'appellante è costituito dalla deposizione testimoniale della D., la quale a proposito del capitolo e) - dopo aver affermato "si è vero" - ha riferito di essere stata presente quando O.C., padre di C., disse che sarebbe stato meglio intestare il conto alla figlia; tuttavia la stessa teste non ha saputo precisare se il conto era stato già acceso o meno.
Premesso che la dichiarazione della teste - a parte la generica risposta di stile con l'affermazione "si è vero" - non fornisce più circostanziate indicazioni sull'esistenza di un accordo fiduciario tra le parti, si osserva in ogni caso che le affermazioni della D. sono state smentite dallo stesso C.O. nella sua deposizione testimoniale. Quest'ultimo, infatti, ha negato decisamente la circostanza; inoltre il disposto confronto tra i testi non si è potuto effettuare per le assenze proprio della D., tanto che in seguito le parti vi hanno rinunziato.
Reputa, dunque, la Corte che non possa attribuirsi valore probatorio decisivo alle mere dichiarazioni della D., sulla cui piena attendibilità peraltro è lecito nutrire dubbi.
La domanda del C. non è, pertanto, accoglibile.
È, poi, infondato l'ulteriore motivo di appello del C. relativo alla richiesta di condanna della Banca al pagamento in suo favore delle spese del primo grado.
Invero il Tribunale, avendo rigettato nel merito la pretesa risarcitoria della C. nei confronti della Banca, non ha affatto esaminato la domanda di manleva proposta dalla Banca convenuta nei confronti del C. Ne consegue che in relazione a quest'ultima domanda, difettando la soccombenza della Banca, non può il C. pretendere la condanna della stessa al pagamento delle spese in suo favore.
Parimenti va disatteso l'appello della C. relativamente al rigetto della sua domanda risarcitoria nei confronti della Banca per avere quest'ultima emesso assegni circolari, con addebito sul conto della C., in presenza di firma apocrife della correntista sui moduli di richiesta degli assegni circolari. Al riguardo occorre evidenziare che nell'atto di appello la C. ha censurato la sentenza del Tribunale unicamente con riferimento all'evidente rilevabilità della falsificazione, esclusa invece dal giudice di prime cure. Solo successivamente in comparsa conclusionale la difesa della C. ha sviluppato la questione della negligenza della banca per aver dato seguito a disposizioni ricevute da un soggetto diverso dal correntista (nello specifico dal C., coniuge della C.). L'argomentazione esula, quindi, dalla necessaria specificità del motivo di appello, che era invece diretto a sindacare differenti profili di colpa della Banca.
In ogni caso sul punto, ad avviso della Corte, possono essere condivise le valutazioni del Tribunale, che - nell'escludere la negligenza della banca - ha considerato che il soggetto presentatosi allo sportello era ben noto all'Istituto come il coniuge della correntista, insieme alla quale era stato visto anche al momento dell'apertura del conto (v. teste S.), per cui poteva presumersi che egli agisse in pieno accordo con la moglie.
Quanto alla falsificazione della firma assume l'appellante incidentale che la sentenza sarebbe censurabile laddove non ha rilevato come le firme apposte in calce ai moduli usati per le operazioni risultino "palesemente apocrife", anche in base alla semplice comparazione della firma in calce allo specimen con quelle in calce ai moduli in esame. Questi, dunque, sono i limiti della cognizione del presente giudizio di appello e contraddittoria appare, pertanto, l'argomentazione difensiva della C. che soltanto nella memoria di replica (pag. 8) deduce, tardivamente e irritualmente, una presunta inutilizzabilità della documentazione prodotta dalla banca (tra cui appunto i moduli e lo specimen).
Orbene è nota la giurisprudenza della S.C. in fattispecie similari per cui la diligenza della banca, nel riscontrare la corrispondenza delle firme allo specimen depositato dal correntista, va ravvisata quando ad un esame attento, benché a vista, la difformità delle sottoscrizioni non sia rilevabile con diligenza media, non essendo la banca tenuta a predisporre particolari attrezzature idonee ad evidenziare il falso, né richiedendosi che i suoi dipendenti abbiano una particolare competenza grafologica (cF. Cass. 12761/93; 15066/05; 6524/00; 5933/99...).
Nel caso di specie, come ritenuto dal Tribunale, non si rinviene alcuna difformità evidente dal raffronto tra lo specimen depositato dalla correntista con le firme apposte sui moduli di richiesta degli assegni del 1 e 4 agosto 1994. Quanto alla richiesta del 1.8.1994 la stessa C., in sede di s.i.t. del 5.9.95 alla sezione di P.G. dei Carabinieri (v. verbale in atti), ha riconosciuto che la firma poteva essere riconducibile alla sua.
Deve escludersi di conseguenza, per ammissione della stessa interessata, ogni possibilità, da parte della banca, di riconoscere "ictu oculi" la difformità delle sottoscrizioni. Parimenti - appare corretta l'affermazione del primo giudice per cui - non è possibile rilevare a occhio nudo, senza l'ausilio di un esame tecnico, una differenza evidente anche tra le sottoscrizioni in calce ai moduli del 1 e 4 agosto, tanto da sospettarne la contraffazione, pur presentando esse una qualche lieve difformità grafica. Del resto è risaputo che, di solito, più firme dello stesso soggetto ben difficilmente vengono una uguale all'altra. Si consideri peraltro che la presentazione congiunta dei due moduli, di cui almeno uno con firma che tranquillamente poteva essere riconducibile alla correntista (come da quest'ultima dichiarato), poteva indurre più agevolmente l'Istituto a riconoscere genuinità anche all'altra sottoscrizione. Atteso quanto innanzi merita conferma l'impugnata sentenza. Per la soccombenza gli appellanti vanno condannati in solido al pagamento, nei confronti della Banca appellata, delle spese processuali del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo come da notula. In considerazione dell'esito della controversia, della qualità delle parti e della natura dei loro rapporti personali, si ravvisano giustificati motivi per compensare interamente tra il C. e la C. le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corted'Appello, definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1) rigetta gli appelli proposti da C. Renato e da C.C. (in via incidentale) avverso l'impugnata sentenza del Tribunale di Roma n. 1623/2004;
2) dichiara interamente compensate tra il C. e la C. le spese processuali del presente grado di giudizio;
3) condanna C.R. e C.C. al pagamento in solido, in favore della Banca (...), delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 12.483,00 + IVA, CPA e spese generali (di cui Euro 256,00 per esborsi, Euro 2.677,00 per diritti e Euro 9.550,00 per onorari).
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2011.
Depositata in Cancelleria l'8 settembre 2011.
14-11-2011 00:00
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