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Sentenza

Consiglio Nazionale Forense Sentenza del 02-11-2010, n. 195.Avvocato - Norme deo...
Consiglio Nazionale Forense Sentenza del 02-11-2010, n. 195.Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i magistrati - Espressioni sconvenienti ed offensive
- Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i magistrati - Espressioni sconvenienti ed offensive - Scriminante diritto di critica - Sanzione - Valutazione di adeguatezza - Precedente illecito disciplinare - Rilevanza Consiglio Nazionale Forense Sentenza del 02-11-2010, n. 195
 
Pres. ALPA - Rel. MORLINO - P.M. FEDELI (conf.) - avv. S.D.R.

Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con i magistrati - Espressioni sconvenienti ed offensive - Scriminante diritto di critica - Limiti

Avvocato - Norme deontologiche - Sanzione - Valutazione di adeguatezza - Precedente illecito disciplinare - Rilevanza

La violazione dell'art. 20 c.d., che impone al professionista di mantenere con il giudice un rapporto improntato alla dignità ed al rispetto della persona del giudicante e del suo operato, si configura anche nell'utilizzo di espressioni sconvenienti in quanto dirette consapevolmente ad insinuare nei confronti del magistrato il sospetto di illeicità ovvero la violazione del dovere di imparzialità nell'esercizio delle funzioni.

La tutela del diritto di difesa critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell'applicazione della relativa "scriminante", in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate.

L'antecedente condotta reprensibile comprovata da precedenti provvedimenti disciplinari costituisce elemento sufficiente ai fini della valutazione dell'adeguatezza della sanzione, non essendo a tal fine necessaria la sussistenza di una specifica recidiva. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Novara, 2 dicembre 2008).

Sentenza integrale:


FATTO
In data 04 maggio 2006 il C.O.A. di Monza riceveva, da parte del Presidente del
Tribunale di Busto Arsizio, copia di una lettera a lui inviata a firma dell'Avv. D.R.,
affinché il Consiglio valutasse se le espressioni usate nel contesto dello scritto
integrassero violazione di norme deontologiche. Chiedeva che il Consiglio valutasse
il comportamento del professionista con applicazone delle conseguenti sanzioni
disciplinari
Il C.O.A. di Monza, in data 18.05.2006 inviava copia dell'esposto al professionista
invitandolo a fornire gli opportuni chiarimenti.
Il professionista, in data 09.06.2006, riscontrava la richiesta del C.O.A. segnalando
che non gli pareva che la sua missiva inviata al Presidente del Tribunale avesse un
contenuto tale da poter dare adito “a rilievi di alcun tipo, men che meno disciplinari”;
segnalava ancora di aver ricevuto cortese e sollecita risposta dal Presidete del
Tribunale, che allegava.
In data 28 giugno 2006 il C.O.A. invitava il professionista ad integrare le deduzioni
con la documentazione indicata al fine di una completa valutazione della vicenda. Il
professionista in data 05.07.2006 riscontrava tale ultima richiesta inviando copia della
missiva del Presidente del Tribunale.
A seguito di tanto il C.O.A. convocava dinnanzi a sé il professionista, che comparso
in data 16.10.2006 dichiarava non esservi stati sviluppi ulteriori rispetto a quanto
documentato, e di aver scritto al Presidente per avere chiarimenti in merito alla
sostituzione del giudicante di cui aveva appreso all'udienza di precisazione delle
conclusioni, senza che risultasse agli atti alcun provvedimento relativo a tale
sostituzione. A seguito di tanto, il 27.11.2006, il C.O.A. di Monza deliberava l'apertura
del procedimento disciplinare contestando all'Avv. D.R. i seguenti addebiti:
“A)Per violazione dell'art. 5, comma 2, C.D.F. per avere tenuto nell'ambito del
procedimento pendente al n.r.g 6153/05 avanti il Tribunale di Busto Arsizio, sezione
distaccata di Saronno, e comunque con riferimento a tale procedimento, un
comportamento lesivo della sua reputazione professionale e dell'immagine della
classe forense attraverso comportamenti integranti la violazione delle ulteriori norme
deontologiche di cui al successivo capo B);
B) Per violazione degli art. 20 e 53 C.D.F., per aver usato scientemente espressioni
sconvenienti e gravemente offensive nella propria raccomandata del 31.03.2006
indirizzata al Presidente del Tribunale di Busto Arsizio, avendo altresì violato il
dovere di dignità erispetto nei confronti del Magistrato destinatario della missiva e di
quelli in servizio nel medesimo Tribunale e precisamente:
- pagina 1, rigo 21 e 22: “…considerato, quindi, che solo in un sistema feudale ai
sudditi non è riconosciuto il diritto ad un giudice precostituito per legge…”;
- pagina 2, da rigo 6 a rigo 7: “…considerato che attraverso la predetta sostituzione è
possibile far passare le cause da un giudice con una soluzione non gradita ad un
altro con soluzione gradita;…”;
- pagina 2, da rigo 10 a rigo 13: “…..portato a ritenere attività discrezionale quella
della sostituzione, di per sé incontrollabile e, per tanto, atto politico dietro al quale si
possono nascondere anche interessi estranei alla corretta amministrazione della
giustizia;”;
- pagina 2, da rigo 14 a rigo 19: “…rileato che la Compagnia U.. S.p.A. ha proposto
due opposizioni avanti al Tribunale ordinario di Busto – sez. distaccata di Saronno,
nonostante il precetto sia stato notificato nella sede di Bologna, scegliendo un
giudice al di fuori di ogni normale criterio di competenza territoriale e per ciò passo
fortemente sospettabile di scelta di un Tribunale che si sapeva avrebbe trovato la
toppa per realizzare una sentenza favorevole all'opponente;…”.
Fatto accaduto in Busto Arsizio il 06.04.2006.”
Con il medesimo atto il C.O.A. invitava il professionista a far pervenire sue deduzioni.
Con tale atto il professionista chiariva che la missiva era diretta ad ottenere e fare
chiarezza sulle ragioni della sostituzione, ovvero dell'atto che vi avrebbe dato causa.
Rilevava, ancora, che le frasi non potevano essere estrapolate dal contesto, ma in
esso andavano lette ed interpretate per comprendere che si riaffermava
semplicemente un diritto costituzionale, ovvero un riferimento all'art.174 c.p.c. che
secondo l'interpretazione del Supremo Collegio è divenuto atto politico, nel senso di
discrezionale. Protestava la sua innocenza, dichiarando di essere orgoglioso per
l'istanza rivolta.
In data 09.02.2007, all'avv. D.R. veniva notificato atto di citazione a giudizio per la
seduta del 14 maggio 2007 ore 17:30.
Nella seduta del 14.05.2007, presente l'incolpato e nell'assenza del P.M. benché
avvisato, si celebrava il procedimento disciplinare ed all'esito della camera di
consiglio il C.O.A. di Monza ritenuta la responsabilità dell'Avv. D.R., irrogava allo
stesso la sanzione della censura.
La decisione veniva depositata in data 19 gennaio 2009, ed era notificata all'Avv.
D.R. mediante spedizione in plico raccomandato a/r ricevuto il 14.02.2009, e in data
12.02.2009 al Pubblico Ministero mediante consegna a mani di addetto alla
ricezione.
Avverso tale decisione con atto, ricevuto dal COA in data 02 marzo 2009, proponeva
ricorso il professionista che, dopo aver ricostruito il fatto, eccepiva che nella
decisione non si affermava il contenuto offensivo delle frasi, ma le stesse venivano
definite ingiustificabili e quindi sconvenienti ed irriguardose. Sottolineava, inoltre,
come nella sua missiva non si attribuiva ad alcuno un fatto negativo, né si qualificava
negativamente un comportamento ovvero si attribuiva responsabilità ad alcuno,
cosicché la decisione integrava un eccesso di potere essendo stata comminata la
sanzione su presupposto di fatto inesistente. Con ulteriore motivo si soffermava su
come i concetti di modo e tono siano irrilevanti ai fini disciplinari. Si soffermava,
ancora, sull'ambito dell'esercizio del diritto di difesa che poteva essere esercitato non
solo negli atti così detti tecnici, ma anche nelle richieste di comunicazioni e notizie
effettuate nell'interesse del cliente. Eccepiva l'illegittimità del procedimento per
violazione del termine di ragionevole durata del procedimento. Con l'ultimo motivo
lamentava l'eccessività della sanzione per la cui irrogazione il Consiglio aveva tenuto
conto di un precedente avvertimento da lui subito per aver partecipato ad udienza in
periodo di astensione della categoria ed in presenza di astensione delle controparti.
Chiedeva che, in riforma della decisione impugnata, fosse dichiarata l'insussistenza
di violazione deontologica nei fatti addebitati, in subordine l'irrogazione di sanzione
disciplinare meno grave.
Pervenuto il fascicolo al C.N.F., si provvedeva alla fissazione dell'udienza di
trattazione.
All'odierna udienza, di cui era dato regolare avviso alle parti, le stesse concludevano
come da separato verbale.
Correttamente il C.O.A. di Monza ha ritenuto sussistenti le violazioni contestate.
Infatti, non appare all'odierno giudicante dubitabile il contenuto quanto meno
sconveniente delle espressioni formulate dal professionista nella missiva indirizzata
al Presidente del Tribunale di Busto Arsizio. Al di là del loro specifico contenuto e
della terminologia utilizzata, la violazione dell'art. 20 del codice deontologico, che
impone al professionista di mantenere con il Giudice un rapporto improntato alla
dignità ed al rispetto della persona del giudicante e del suo operato, si configura
anche nell'utilizzo di espressioni sconvenienti in quanto dirette, come nel caso di
specie, consapevolmente ad insinuare nei confronti del magistrato il sospetto di
illeicità ovvero la violazione del dovere di imparzialità nell'esercizio delle funzioni.
Quanto all'esercizio del diritto di difesa non si dubita che lo stesso possa validamente
essere esercitato, in senso ampio, non solo negli atti così detti tecnici, ma anche
nelle richieste di comunicazioni e notizie effettuate nell'interesse del cliente, nei
confronti del quale addirittura si configura un vero e proprio dovere deontologico.
Tuttavia, lo stesso diritto di difesa critica, nel suo esercizio, non può travalicare i limiti
della correttezza e del rispetto della funzione. Non può, pertanto, trovare
applicazione la “scriminante” dal momento che la tutela del diritto di difesa non può
tradursi in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte
processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive
utilizzate.
In relazione alla scelta della sanzione la stessa appare corretta alla luce della
valutazione della capacità, rectius incapacità, dell'incolpato di osservare le regole
deontologiche risultante dalla pregressa attività professionale. Non è, infatti,
necessario ai fini di un tale giudizio la sussistenza di una specifica recidiva, ma
rappresenta elemento sufficiente per un giudizio di adeguatezza della sanzione
un'antecedente condotta reprensibile comprovata da precedenti provvedimenti
disciplinari. Nel caso di specie, la sanzione già precedentemente irrogata
dell'avvertimento, rappresenta elemento idoneo e sufficiente a far ritenere corretta la
sanzione della censura.

P.Q.M.

Il Consiglio Nazionale Forense, riunitosi in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 40 n. 2, 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del
R.D. 22.1.1934, n. 37;

rigetta il ricorso proposto dall'Avvocato D.R. avverso la decisione del COA di Monza
che conferma integralmente.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2010.

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it
Avv. Antonino Sugamele

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