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Sentenza

La ditta che deve svolgere lavori di ristrutturazione di una palazzina non ultim...
La ditta che deve svolgere lavori di ristrutturazione di una palazzina non ultima i lavori nel termine previsto: si puo' chiedere la risoluzione
Lavori di ristrutturazione di una palazzina - La ditta non ultima i lavori nel termine previsto si alla risoluzione del contratto

Corte di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 06.10.2011, n. 20481

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 13 ottobre 2001 la E.s.r.l. evocava, dinanzi al Tribunale di Trento, S.T. e D.C. chiedendone la condanna, in solido, al pagamento del residuo corrispettivo del contratto di appalto concluso per la ristrutturazione del sottotetto della p.m. 5 della p.ed. 2522 in C.C. in Trento, pari a L. 42.401.655, oltre IVA e risarcimento dell'ulteriore danno. A tal fine esponeva di avere realizzato tutte le opere oggetto del suddetto contratto, provvedendo a redigere il computo metrico, da cui risultava che l'importo complessivo del prezzo ammontava a L. 163.078.741, che detratto lo sconto pattuito del 9%, riduceva il corrispettivo a L. 148.401.655; aggiungeva che i committenti avevano corrisposto solo due importi, il primo di L. 30.000.000 a fronte della fattura n. 4 del 26.7.1999 ed il secondo di L. 40.000.000 relativo alla fattura n. 9 del 7.9.1999, nonostante avesse più volte sollecitato il saldo del residuo importo di L. 40.000.000, il T. aveva riconosciuto, con lettera del 29.11.1999, l'importo complessivo dei lavori, determinando una unilaterale riduzione dei costi di L. 23.109.713 per asserito sconto ed ulteriore riduzione di L. 4.500.000 per il mancato rispetto di asseriti accordi; proseguiva assumendo che nel medesimo documento il convenuto si era impegnato a corrispondere la somma di L. 36.000.000, oltre iva, versamento poi avvenuto soltanto in data 12.12.1999, ed il residuo di L. 26.000.000 all'esecuzione di ulteriori lavori da parte della medesima società appaltatrice; concludeva l'attrice che nonostante si fosse resa disponibile ad eseguirli, i convenuti avevano rifiutato la prestazione.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali deducevano che stabilito quale tempo per la esecuzione dei lavori il 15.7/31.8.1999, solo alla fine di settembre 1999 le parti si incontravano per discutere del rallentamento dei tempi di consegna dell'opera e della cattiva esecuzione di talune opere, trovando un accordo con atto sottoscritto il 01.10.1999 dal T. , dall'arch. Pa. , in qualità di direttore dei lavori, da M. , responsabile di cantiere per la ditta E., che individuava nei lavori di controsoffittatura quelli in contestazione, con assegnazione di nuovo termine sino all'8.10.1999 per il completamento degli stessi e previsione di risoluzione automatica in ipotesi di mancato rispetto del termine, per cui in data 29.11.1999 veniva redatto rendiconto conclusivo dei lavori da svolgere con fissazione di una penale in ipotesi di inadempimento (l'atto di transazione prevedeva che il totale delle opere, alcune delle quali da eseguire, ammontava a L. 159.609.713, fissato lo sconto in L. 23.109.713, prevista altresì una riduzione di L. 4.500.000 per mancato rispetto degli accordi per il 1 e 2.10.1999, individuato il residuo da versare a saldo in L. 62.000.000, che avrebbero dovuto essere corrisposto quanto a L. 36.000.000, a vista fattura, quanto a L. 26.000.000 dopo l'ultimazione dei lavori e la consegna della certificazione di esecuzione a norma di legge degli impianti elettrico ed idraulico, pagato il primo importo il 6.12.1999), ma la appaltatrice non provvedeva al completamento delle opere, pertanto con fax del 12.4.2000 i convenuti comunicavano la risoluzione del contratto di appalto per suo inadempimento ed assegnavano ad altra ditta l'incarico di provvedere al completamento dei lavori pendenti, pertanto spiegavano domanda riconvenzionale per sentire dichiarare risolto il contratto per colpa della società attrice, con condanna al risarcimento dei danni da compensarsi con il credito contestato, oltre alla penale per ritardo e disagio da ritardo, il Tribunale adito, espletata istruttoria, con sentenza pronunciata il 27.11.2003, rigettava la domanda attorea e in accoglimento di quella riconvenzionale, dichiarava la risoluzione della transazione del 29.11.1999 per inadempimento dell'appaltatrice e la condannava al pagamento di Euro 10.329,14, oltre alle spese di lite.
In virtù di rituale appello interposto dalla E. s.r.l., con il quale lamentava che la decisione del giudice di prime cure non avesse preso posizione in ordine all'inadempimento degli appellati all'accordo transattivo del 29.11.1999, cui sarebbe dovuto conseguire la reviviscenza delle originarie pattuizioni, non riconoscendo alcunché per il saldo, spropositata la penale riconosciuta, la Corte di Appello di Trento, nella resistenza degli appellati, rigettava integralmente l'appello, con condanna dell'appellante anche alla rifusione delle spese del gravame.
A sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che ai fini della pronuncia di risoluzione il giudice aveva dovuto procedere ad una valutazione complessiva ed unitaria del comportamento di entrambe le parti, dovendo l'importanza dell'inadempimento essere valutata tenendo conto dell'economia generale del contratto e degli interessi sostanziali cui le parti aspiravano con l'esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte, con criterio idoneo a realizzare la coordinazione tra l'elemento oggettivo (la condotta) e l'elemento soggettivo (le finalità concretamente perseguite), nel cui ambito l'inadempimento assumeva rilevanza. Da ciò conseguiva che correttamente il giudice di prime cure aveva attribuito alla sola appaltatrice la responsabilità del grave inadempimento, ritenuta la inattendibilità della testimonianza resa da P.M. , risultando per tabulas che già in data 7.12.1999 la società era entrata nella piena disponibilità della somma di L. 36.000.000, e ciò nonostante non aveva completato le opere nella scadenza ultima del 15.12.1999, trattandosi, peraltro, in parte di lavori da eseguirsi all'esterno ed in parte all'interno, per cui non avevano inciso in forma determinante le dedotte avverse condizioni climatiche.
Aggiungeva, altresì, che anche la contestazione relativa alla erroneità del calcolo delle rispettive posizioni di dare ed avere non coglieva nel segno, in quanto la residua somma di L. 26.000.000 era dovuta per i lavori da ultimare, che poi non erano stati eseguiti, come emergeva dal tenore della transazione del 29.11.1999.
Quanto, infine, alla doglianza relativa alla modestia della riduzione della penale, ex art. 1384 c.c., affermava che era stata disposta sulla base di congrue e condivisibili argomentazioni, conformi al criterio giurisprudenziale secondo il quale occorreva farsi riferimento all'interesse della parte non inadempiente ed alle ripercussioni dell'inadempimento sull'equilibrio delle prestazioni, tenuto conto della effettiva incidenza sulla situazione concreta. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Trento ha proposto ricorso per cassazione la E. s.r.l., che risulta articolato su sei motivi, al quale hanno resistito i coniugi T. - C. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1453 c.c. e ss., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l'inadempimento dei resistenti in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere quanto meno applicabile nella specie il disposto dell'art. 1460 c.c. In particolare, relativamente alla risoluzione contrattuale, il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto del fatto che la consacrazione della transazione in un atto scritto è avvenuta in un momento successivo, per cui nel lasso di tempo intercorso fra la pattuizione e la sua redazione, la appaltatrice ha emesso la fattura ivi indicata, consegnandola al momento della sottoscrizione dell'accordo; rispetto a tale momento l'adempimento dei committenti con la corresponsione di L. 36.000.000 era da ritenere tardivo. Inoltre, alla luce delle considerazioni che precedono, la ricorrente denunzia l'irrazionale tentativo di dimostrare l'inattendibilità della testimonianza del geom. M. , tenuto conto anche dei tempi assegnati per la inderogabile conclusione dei lavori, termine fissato al 15.12.1999.
Prosegue la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata appare viziata anche laddove non ha adeguatamente motivato in merito all'accesso al cantiere eseguito il giorno 4.12.1999, provato che in tale data gli operai della E. si presentarono presso l'immobile per eseguire gli interventi programmati, ma il committente rifiutò di riceverli. Un ulteriore vizio viene dalla società appaltatrice denunziato per la mancata applicazione del disposto di cui all'art. 1460 c.c.: se le parti si erano accordate nel senso che il residuo importo era relativo ad una prima tranche per lavori fatti (per L. 36.000.000) ed una seconda tranche per lavori ancora da eseguire (per L. 26.000.000), era innegabile che il primo importo avrebbe dovuto essere pagato prima della esecuzione dei nuovi interventi, per cui in applicazione del principio generale, la E. aveva il diritto di sospendere la sua prestazione in assenza di analogo adempimento della controparte.
La doglianza non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Ben vero che alla data del 29.11.1999 l'accordo transattivo è stato sottoscritto dalle parti, pur se i suoi contenuti si erano venuti a determinare progressivamente, già negli incontri avvenuti in settembre e in ottobre 1999, per definirne tutti gli aspetti, ma ciò non incide sulla ragionevolezza del lasso di tempo intercorso prima della messa a disposizione della somma dovuta dai committenti, dal momento che nell'accordo novativo non risulta contemplata la contestualità fra la sottoscrizione dell'accordo ed il versamento del rateo. La emissione della fattura, dunque, sarebbe potuta avvenire sia alla conclusione della transazione sia in un momento successivo, senza che ciò comportasse alcuna incidenza sulla correttezza dell'adempimento, per come recepite le rispettive obbligazioni nell'accordo novativo. E, in questa ottica che la corte di merito affronta la questione della attendibilità del teste M. , dal tenore delle cui dichiarazioni parte ricorrente vorrebbe fare discendere la gravità dell'inadempimento della controparte.
La decisione, infatti, così articola l'argomentazione conclusiva: “… anche ad ammettere … il breve ritardo di pochi giorni nel pagamento prectius rispetto al 29.11.1999), esso non si traduce se non in un lieve inadempimento, inidoneo, sia di per sé, sia agli interessi delle parti in giuoco, sia in relazione alla condotta susseguente delle stesse, ad incidere significativamente sulla funzionalità del sinallagma causale del contratto”.
D'altro canto correttamente la corte di merito ha rilevato che trascorsi ben quattro mesi dal pagamento, l'appaltatrice non aveva ancora provveduto al completamento dei favori cui si era impegnata.
Quanto, poi, al ritardo colpevole nell'adempimento dell'appaltatrice, il solo accesso effettuato il giorno 4.12.1999 e le avverse condizioni climatiche dedotte non costituiscono giusta causa per impedire l'esecuzione dei lavori, essendo stata la risoluzione dell'accordo collocata in un tempo successivo, risalente all'aprile 2000, per avere i committenti dimostrato interesse a ricevere l'esecuzione delle opere concordate sino a tale data, a prescindere dalla previsione contrattuale.
Di tutto ciò il giudice del gravame offre ampia e congrua argomentazione nella decisione, sia in fatto sia in diritto.
Per ciò che concerne la doglianza relativa alla mancata corretta applicazione dell'eccezione di inadempimento, censura riprodotta in termini sostanzialmente identici anche nel secondo motivo del ricorso, articolata sotto il profilo della violazione di legge e dell'insufficiente motivazione, va ribadito che la decisione assunta dalla corte di merito ha avuto ad oggetto un inadempimento della appaltatrice temporalmente collocato all'aprile 2000. Dunque l'argomentazione riprodotta nella sentenza impugnata segue un ordito motivazionale diverso rispetto a quanto prospettato nelle censure dalla ricorrente, manifestandosi immune da vizi logici e giuridici.
Dal coordinato disposto degli artt. 1564 e 1677 c.c, il giudice ha dedotto che la risoluzione andava condizionata al duplice requisito della notevole importanza dell'inadempimento e della connotazione dello stesso tale da menomare la fiducia dell'esattezza dei successivi adempimenti. La sentenza risulta essersi in tal modo correttamente adeguata al consolidato principio in ragione del quale, per la legittima proposizione dell'eccezione di inadempimento (exceptio inadempienti contractus) è necessario che il rifiuto di adempimento - oltre a trovare concreta giustificazione nei legami di corrispettività ed interdipendenza tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate - non sia contrario a buona fede, cioè non sia determinato da motivi non corrispondenti alle finalità per le quali esso è concesso dalla legge, come quando l'eccezione è invocata non per stimolare la controparte all'adempimento ma per mascherare la propria inadempienza. Al fine del relativo accertamento assume rilevante importanza la circostanza che la giustificazione del rifiuto sia resa nota alla controparte solo in occasione del giudizio e non in occasione dell'attività posta in essere allo scopo di conseguire l'esecuzione spontanea del contratto (tra le varie, cfr. Cass 7 dicembre 1994 n. 10506). Di tutto ciò da ampia motivazione la decisione impugnata, che argomenta la risoluzione del contratto (confermando sul punto la pronuncia di primo grado) non definendo come essenziale il termine pattuito per la ultimazione dei lavori concordati, “sebbene fosse stata sancita nella scrittura in termini inderogabili la scadenza dell'ultimazione dei lavori al 15 dicembre 1999″, ma sulla base di un inadempimento prolungato, in considerazione del congruo ed ampio termine globale concesso per l'adempimento, protrattosi per volontà delle parti sino all'aprile 2000.
Dunque entrambe le doglianze sono da ritenere totalmente infondate. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l'omessa pronuncia relativamente alla dedotta circostanza del rifiuto opposto dal T. di ricevere la prestazione offerta dall'appaltatrice per la realizzazione delle opere residue, nonostante l'attribuzione della natura di termine essenziale alla data del 15.12.1999 per l'ultimazione dei lavori. Inoltre, prosegue la censura, una volta riconosciuta tale essenzialità, la risoluzione del contratto con lo spirare di detto giorno non avrebbe dovuto comportare la liquidazione della ulteriore penale di L. 500.000 giornaliere, ridotta a L. 15.000.000, per essere applicabile la sola penale “secca”. Prosegue la ricorrente che diversamente qualificando la fattispecie, la sola dichiarazione della parte committente non sarebbe stata sufficiente a determinare la risoluzione del contratto. Con il quarto motivo l'appaltatrice deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in quanto il giudice del gravame, pur in presenza di circostanze quali la non essenzialità del termine per l'ultimazione dei lavori, le trattative intercorse tra le parti per l'esecuzione delle opere, la unilaterale risoluzione dei committenti, senza alcuna diffida ad adempiere, ha ritenuto la E. integralmente inadempiente, senza adeguata motivazione.
I motivi vanno esaminati congiuntamente giacché affrontano la medesima questione della essenzialità o meno del termine fissato nell'accordo transattivo per la ultimazione delle opere, anche ai fini della determinazione del risarcimento del danno, liquidata una penale. Le censure sono infondate.
Ribadito quanto sopra esposto circa la essenzialità del termine pattuito dalle parti nella transazione novativa, come questa Corte ha da tempo affermato (cfr. Cass. 4 marzo 2005 n. 4779), la pattuizione di una clausola penale è compatibile con la previsione di un termine non essenziale, in conseguenza della diversa funzione ed operatività nel rapporto contrattuale; infatti, mentre il termine (di adempimento) riguarda il momento in cui l'obbligazione deve essere adempiuta, in altre parole l'attualità del dovere di adempiere, la clausola penale si configura invece solo come un mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli effetti dell'eventuale inadempimento, e concreta una concordata liquidazione anticipata del danno consequenziale, indipendentemente dalla prova della sua concreta esistenza.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per avere la corte di merito erroneamente respinto la domanda di riforma della sentenza di primo grado in merito alla quantificazione del corrispettivo da versare con la seconda tranche.
Orbene il motivo non indica in quale modo sarebbe stata dedotta una censura in tale senso in sede di appello, per cui si rivela privo del requisito di autosufficienza, necessario, secondo il costante orientamento di questa Corte, per i motivi di ricorso in Cassazione. In altri termini, la ricorrente non precisa, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, di avere sollevato ritualmente nel secondo grado del giudizio l'eccezione qui proposta e che la corte di merito, la quale non ne fa menzione, abbia omesso di decidere sulla stessa, cosicché è ragionevole ritenere che sia stata proposta per la prima volta in questa sede di legittimità (v. Cass. 6 giugno 2006 n. 13259; Cass. 23 dicembre 1998 n. 12843). La corte di merito ha esaminato la domanda di risoluzione per inadempimento, ritenendone, nel merito, la fondatezza (al pari del giudice di prime cure); con questa statuizione, ogni altra censura circa la natura della risoluzione è ormai coperta dal giudicato, per non essere stata oggetto di specifica impugnazione la relativa pronuncia (in tal senso Cass. SS.UU. 26 gennaio 2011 n. 1764).
Sono, inoltre, irrilevanti i rilievi della stessa ricorrente circa la necessità di ammissione di c.t.u. per accertare la comune volontà delle parti nella determinazione degli importi, alla luce di quanto esposto circa la interpretazione del contenuto dell'accordo transattivo. Né il giudice di merito è tenuto ad una specifica motivazione nel disattendere la istanza asseritamente formulata in tale senso dalla ricorrente in comparsa conclusionale. Il motivo va, dunque, disatteso in quanto inammissibile.
Con il sesto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonché la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in merito alla liquidazione della penale per essere stata liquidata una doppia penale a carico della E., prima la c.d. penale secca, e quindi quella giornaliera (di L. 500.000 giornaliere, con riduzione a L. 15.000.000), non adeguatamente motivata.
Parimenti infondata è la censura formulata con il motivo in esame.
Questa Corte ha sempre affermato (cfr. Cass. 18.5.2001 n. 6830; Cass. 23.5.2002 n. 7528; Cass. 18.3.2003 n. 3998) che il giudice del merito, nel ridurre ad equità l'importo della penale, esercita un potere discrezionale, e che la sua decisione al riguardo non è censurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell'art. 1384 del codice civile, sulla vantazione dell'interesse del creditore all'adempimento con riguardo all'effettiva incidenza dello stesso sull'equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale. Da quando riferito in narrativa emerge che nel caso di specie il giudice del merito ha tenuto conto di tale interesse del creditore.
Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro. 1.600,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

 

Depositata in Cancelleria il 06.10.2011
Avv. Antonino Sugamele

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