Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Civilista Trapani

Sentenza

Se le immissioni di fumo dalla canna fumaria del vicino non sono tollerabili la ...
Se le immissioni di fumo dalla canna fumaria del vicino non sono tollerabili la canna fumaria va rimossa.
Corte di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 06.09.2011, n. 18262

Svolgimento del processo

C.M. e S.I., quali comproprietari dell'immobile sito in (…), convenivano in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Amalfi, i coniugi B.M.F. ed A.S., lamentando immissioni di fumo nell'immobile stesso, provenienti dalla canna fumaria dell'appartamento di questi ultimi; chiedevano, quindi, la condanna alla eliminazione delle immissioni in quanto eccedenti il limite della normale tollerabilità.
I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto della domanda assumendo, fra l'altro, che il loro impianto di riscaldamento produceva modestissime esalazioni che non invadevano l'appartamento degli attori.
Con sentenza n.116/2000 il Giudice di Pace accoglieva la domanda, condannando i convenuti alla rimozione della canna fumaria, oltre al pagamento delle spese di lite. Avverso tale sentenza i soccombenti proponevano appello cui resistevano i coniugi C. -S.. Con sentenza 11.1.2005 il Tribunale di Salerno, sez. dist. di Amalfi, rigettava l'appello condannando gli appellanti al pagamento delle spese processuali. I giudici di appello rilevavano: la nocività delle immissione dalla canna fumaria, posta a distanza di m. 3,50 senza alcuna cautela tecnica, come accertato dal C.T.U., era “in re ipsa”; non rilevava, quanto alla distanza della canna fumaria, l'applicabilità del D.P.R. 1931/70 ai comuni con popolazione superiore a 60.000.000, tenuto conto che il Regolamento Edilizio del Comune di Tramonti prevedeva la distanza minima di m. 10; quanto all'eccepito difetto di legittimazione passiva di A.S., doveva ritenersi che l'immobile ove era ubicata la canna fumaria fosse in regime di comunione legale “in assenza di prova legale”.
Proponevano ricorso per cassazione B.M.F. e A.S. sulla base di quattro motivi di ricorso. Resistevano con controricorso il C. e la S..

Motivi della decisione

I ricorrenti deducono:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2719 e 179 c.c., in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c.; ed insufficiente motivazione per mancato esame dell'atto di donazione 9.3.1995, prodotto al fine di provare il difetto di legittimazione passiva di A.S., non rientrando l'appartamento in questione nella comunione legale dei beni tra coniugi; il giudice di appello aveva omesso di esaminare tale atto, limitandosi a rilevare che si trattava di copia fotostatica;
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 844 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 132 n. 4 c.p.c. e vizio di motivazione, posto che dalla C.T.U. espletata, in assenza di altri elementi probatori, non era emerso che le immissioni di fumo superassero il limite di normale tollerabilità; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 844 c.c. in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione, laddove il giudice di merito, nell'applicare detta norma, non aveva tenuto conto del “preuso” dell'impianto di riscaldamento per cui è causa e della condizione prettamente agricola della zona in cui era sito l'immobile, superando dette circostanze facendo riferimento ai “veloci mutamenti della società” in ordine a detta vocazione agricola della zona;
4) violazione di legge per inapplicabilità del D.P.R. 1931/70; difetto di prova sul carattere nocivo della immissioni nonché carenza di motivazione sul punto, posto che la prescrizione del regolamento edilizio sulla distanza della fuoriuscita di fumi,non comportava l'automatica sussistenza della lamentata intollerabilità delle immissioni.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
È sufficiente osservare che l'azione proposta attiene ad illecito extracontrattuale in quanto tendente alla eliminazione delle immissioni nocive lamentate sicché legittimamente è stata proposta nei confronti dei coniugi autori del danno ed utilizzatori del bene di provenienza delle immissioni, non rilevando la prova della comunione legale del bene stesso.
Al riguardo la S.C. ha affermato che legittimati passivi, rispetto all'azione intentata ai sensi dell'art. 844 c.c. sono gli autori delle immissioni, allorché la domanda sia diretta a respingere il fatto di questi ultimi ed a farne cessare l'attività (Cfr. Cass. n. 740/77; n. 2277/66).
La seconda censura è generica ed attiene, comunque, ad una valutazione, sul supermento del limite di normale tollerabilità delle immissioni, riservata al giudice di merito, a fronte di una motivazione sul punto immune da vizi logici ed errori di diritto, come avvenuto nella specie. Il giudice di appello ha dato conto, infatti, sulla base della C.T.U., che la prossimità della canna fumaria all'appartamento degli attori (distante appena tre metri e mezzo) e l'uso della canna fumaria per il riscaldamento domestico e per la cottura dei cibi, comportava il superamento di tale limite, non rilevando che, in occasione dell'esperimento peritale, non fossero state constate immissioni di fumo a causa della mancanza di vento. La terza e la quarta censura sono pure prive di fondamento, posto che il criterio della priorità dell'uso dell'impianto, previsto dall'art. 844 co. 2 c.c., ha carattere sussidiario e facoltativo e che, pertanto, il giudice di merito non è tenuto a farvi ricorso, una volta ritenuto sulla base di altri accertamenti in fatto, che sia stata superata la soglia della normale tollerabilità delle immissioni anche con riferimento alla violazione della distanza minima della canna fumaria rispetto all'immobile degli attori, distanza che il Regolamento edilizio stabiliva in m. 10. Tale violazione risulta correttamente apprezzata dal giudice assieme agli ulteriori accertamenti emersi dall'indagine peritale per ritenere le immissioni nocive e superiori al limite delle normale tollerabilità, considerato che detta distanza minima mira ad evitare, comunque, un danno alla salubrità e sicurezza del fondo del vicino. Alla stregua di quanto osservato il ricorso va rigettato. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 1.500,00 per onorari, oltre Euro 200,00 per spese.
Depositata in Cancelleria il 06.09.2011
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza