Tribunale di Palermo Sez. Terza Civ. - Sent. del 21.09.2011, n. 4067 Strage di Ustica.Tribunale di Palermo la verità sulla strage.
Repubblica Italiana
In Nome Del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI PALERMO
Sezione III Civile
in composizione monocratica
in persona del giudice Paola Proto Pisani
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nelle causa iscritta al n. 10354 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2007
(recante riunita quella n. 12865/2007 RG) vertente tra
1)
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23)
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25)
Tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti D. O., del Foro di Caltanissetta e A. G., del Foro di Palermo
ATTORI nel procedimento n. 10354/07
26)
rappresentato e difeso dagli avv.ti V. F. e F. F. del Foro di Palermo
ATTORE nel procedimento n. 12865/07
CONTRO
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro-tempore,
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, in persona del Ministro
pro-tempore,
MINISTERO DEGLI INTERNI, in persona del Ministro pro-tempore,
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente protempore
Tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo
CONVENUTI
(i primi due nel procedimento n. 10354/07,
tutti tranne il secondo nel procedimento n.
12865/07)
E NEI CONFRONTI DI
26)
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31)
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Tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti A. G., del Foro di Palermo, e D. O., del Foro di Caltanissetta
33)
34)
rappresentate e difese dall'avv. M. P. del Foro di Palermo
35)
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rappresentati e difesi dall'avv. G. I. del Foro di Marsala, ed elettivamente
domiciliati presso lo studio dell'avv. G. L. del Foro di Palermo
TERZI INTERVENUTI
nel procedimento n. 10354/07
39)
40
41)
42)
rappresentate e difese dall'avv. V. F. del Foro di Palermo
TERZI INTERVENUTI
nel procedimento n. 12865/07
Motivi della decisione
Premessa
1. Le domande e le eccezioni oggetto del presente processo. Le questioni relative
all'ammissibilità degli interventi.
Gli attori del procedimento n. 10354/07, tutti familiari delle vittime del disastro di Ustica,
con l'atto introduttivo del presente giudizio chiedono la condanna dei Ministeri della Difesa
e dei Trasporti convenuti, al risarcimento:
a) dei danni, iure ereditario e iure proprio, subiti in conseguenza del disastro aereo del 27
giugno 1980 per la perdita dei loro congiunti;
b) iure proprio, dei danni cagionati - fin dalle ore successive al disastro stesso e quindi
nella successiva fase di svolgimento delle indagini, prima, e durante la celebrazione di
processi penali, poi- dalle condotte tenute da vari soggetti, tutti organicamente
riconducibili ai Ministeri convenuti, “attraverso le quali si è determinato un sistematico
depistaggio ed un intralcio al più proficuo svolgimento delle indagini, mediante sottrazione
di documentazione utile allo scopo, ritardi o omissioni nella trasmissione del materiale che
gli inquirenti chiedevano via via di acquisire, nonché mediante gravissime reticenze,
manifestate financo in sede di interrogatorio o deposizione testimoniale”.
Allegano gli attori che le numerose perizie che sono state svolte in sede penale, finalizzate
ad accertare le cause che hanno portato al disastro aereo di Ustica, concordano
sostanzialmente su di un punto cruciale: l'aereo non è precipitato per alcun naturale,
spontaneo cedimento strutturale, bensì per una causa esterna, verosimilmente l'impatto con un missile.
Sulla base della considerazione che la sera del 27 giugno del 1980, lungo la rotta del DC9
dell'Itavia e nelle ore di effettivo transito di questo velivolo, “era in corso un'operazione
aerea militare, coinvolgente numerosi velivoli in assetto da guerra” (fondata sul contesto
radaristico accertato nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore e poi confermato dalla
sentenza della Corte di Assise di Roma di primo grado) vengono quindi allegate precise
condotte, imputabili alle amministrazioni convenute, che avrebbero concorso al prodursi
del disastro nonché dei numerosi danni ad esso conseguenti.
Più esattamente, “negligenze ed omissioni di doveri di legge - legati alla garanzia di
sicurezza del traffico lungo aerovie civili all'interno dello spazio aereo nazionale - tra cui
spiccano la mancata segnalazione, da parte delle autorità militari a quelle responsabili del
trasporto aereo civile, della presenza di altri velivoli lungo la rotta seguita dal DC9 della
compagnia Itavia; così come la mancata tempestiva comunicazione, da parte delle autorità
preposte al controllo del traffico aereo, al pilota del DC9, della necessità di modificare la
rotta programmata, anche solo mediante una riduzione della quota di crociera fino a
soglia di sicurezza, proprio in considerazione della situazione di pericolo legata alla
presenza anche di altri velivoli lungo la rotta prestabilita . A ciò si aggiunga quanto
consegue dell'esistenza di quel pericolosissimo “Punto Condor” oggetto di continue
intersecazioni di voli militari in assetto operativo e la conseguente, sbalorditiva, assenza di
provvedimenti assunti dalle amministrazioni convenute per porre rimedio a
quell'ineluttabile situazione di precaria sicurezza”.
Allegano inoltre gli attori che le condotte di concreto ostacolo al raggiungimento della
verità circa le cause del disastro aereo sarebbero state oggetto di accertamento in sede
penale e stigmatizzate nell'ordinanza sentenza del Giudice Istruttore, e comunque il loro
accertamento risulterebbe dagli atti del processo penale prodotti in questo giudizio.
Concludono pertanto chiedendo la condanna dei Ministeri convenuti al risarcimento:
del danno non patrimoniale da lesione del bene della vita iure ereditario;
del danno non patrimoniale iure proprio per lesione del rapporto parentale;
del danno patrimoniale derivante dalla perdita del contributo economico che il congiunto
apportava o avrebbe loro apportato;
del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla lesione del loro diritto
all'accertamento della verità.
Tempestivamente costituitisi in giudizio i Ministeri della Difesa e dei Trasporti convenuti chiedono il rigetto delle domande spiegate nei loro confronti. Riguardo alla dedotta responsabilità dei Ministeri convenuti in ordine alla produzione del disastro deducono:
che anni e anni di indagini e di processi (tanto in sede civile che penale) non hanno
consentito di accertare neppure i modi in cui l'evento ebbe a verificarsi, né tanto meno di
identificare gli autori materiali dei fatti che hanno determinato la caduta del velivolo;
che l'impossibilità di accertare, con esclusione di ragionevoli margini di dubbio, le
concrete modalità con cui il disastro ebbe a verificarsi comporta che i profili di
responsabilità riguardanti la caduta del velivolo allegati da parte attrice a carico dei
Ministeri convenuti non possano essere considerate che mere ipotesi, sfornite di qualsiasi
prova (richiamando in proposito quanto osservato dalla sentenza del 23 aprile 2007 con cui la Corte di Appello di Roma in accoglimento dell'Appello delle Amministrazioni, ha
rigettato le domande proposte dalle Aerolinee Itavia);
la “mancanza di concreti elementi di prova circa la conoscenza da parte di organi dello
Stato della presenza di velivoli che potessero risultare anche solo potenzialmente
pericolosi per l'aereo e per le vittime del disastro” e la considerazione che “pur in presenza
di aerei militari stranieri ubicati nelle diverse basi militari NATO o sulle portaerei presenti
nel mediterraneo il lancio di missili e l'abbattimento di un aereo civile costituiscono
evenienze del tutto straordinarie e imprevedibili di certo non correlabili ad eventuali
carenze nel controllo del traffico aereo” (considerazioni anche queste tratte dalla sentenza
del 23 aprile 2007 della Corte di Appello di Roma);
l'impossibilità di configurare (in quadro fattuale comunque del tutto nebuloso) un nesso
causale tra le (non dimostrate) omissioni e l'evento, “in ragione dell'imprevedibilità, della
repentinità e dell'inevitabilità degli ipotizzati accadimenti (salvo che non si voglia per
assurdo immaginare un obbligo per il Ministero della Difesa di tenere costantemente in
volo in tutti i cieli italiani quantità imprecisate ed inverosimili di pattuglie aeree pronte ad
intervenire in qualsiasi caso di emergenza! Ma neppure in tal caso si potrebbero impedire
con certezza eventi come il disastro di Ustica”);
che i Ministeri convenuti all'epoca dei fatti non avevano competenza né sul controllo
degli spazi aerei (in quanto il Ministero dei Trasporti era all'epoca chiamato solo a compiti
di vigilanza consistenti nell'approvazione di regolamenti tecnici e non implicanti attività di
controllo diretto sui velivoli e sullo spazio aereo, compito quest'ultimo demandato ad
apposito ente di assistenza al volo, prima il R.A.I., oggi l'E.N.A.C.) né per il controllo del
caricamento del velivolo (assicurato dal vettore e dai gestori aeroportuali).
In ordine alle ragioni risarcitorie collegate alla perpetrata violazione del diritto
all'accertamento della verità l'Avvocatura dello Stato deduce:
che il nostro ordinamento non configura (tanto meno come coessenziale diritto della
persona) alcun astratto diritto alla verità;
che l' ipotizzata lesione di tale asserito diritto (connessa ai presunti depistaggi) deve
comunque ritenersi definitivamente esclusa alla stregua del giudicato penale di assoluzione,
(che comporta preclusione per le pretese in parola) con cui si è definito il procedimento
penale instaurato a carico degli Ufficiali dell'Aeronautica Militare per i reati di attentato
agli organi costituzionali e alto tradimento, per la totale mancanza di prova dei fatti
contestati;
che gli ipotetici illeciti di dipendenti dell'Aeronautica non sarebbero comunque stati in
alcun modo riferibili alle convenute Amministrazioni (e men che mai al Ministero dei
Trasporti ai cui ruoli neppure appartenevano i dipendenti) perchè del tutto estranei agli
scopi istituzionali perseguiti da qualsiasi amministrazione statale (il servizio presso la qualenon potrebbe ritenersi neppure semplice occasione dell'illecito);
che la mancata identificazione di altri soggetti, diversi da quelli sottoposti al
procedimento penale, come autori degli ipotetici reati precluderebbe in questa sede ogni
valutazione su fatti che non risulterebbero in realtà in alcun modo accertati e/o comprovati;
l'assurdità di una prospettazione secondo cui lo Stato, cui sono riferibili i poteri di polizia
(anche giudiziaria) e quelli connessi all'Amministrazione della Giustizia, dovrebbe in un
modo o nell'altro rispondere di qualsiasi accadimento che avvenga nel suo territorio, se nonaltro per non essere riuscito a identificare e ad assicurare alla giustizia i colpevoli.
I Ministeri convenuti eccepiscono, inoltre, l'intervenuta prescrizione quinquennale delle
avverse pretese, tanto con riguardo a quelle ancorate alla caduta del velivolo, quanto
relativamente a quelle riguardanti la dedotta lesione del diritto alla verità; per completezza
aggiungono che la prescrizione dovrebbe comunque ritenersi maturata anche nel caso in cui si volesse far riferimento (pur in mancanza di accertamento della responsabilità di qualsiasi soggetto ed anzi in mancanza dell'individuazione di qualsiasi soggetto cui l'illecito possa essere anche in astratto addebitabile) ai termini di prescrizione di ipotetici illeciti penali (inammissibilmente configurati “in incertam personam”) di dipendenti dell'Amministrazione.
L'Avvocatura dello Stato, infine, oltre a contestare la configurabilità di qualsivoglia condotta illecita che possa giustificare una responsabilità delle Amministrazioni convenute:
contesta la risarcibilità dei danni fatti valere iure hereditario conseguenti alla morte delle
vittime del disastro richiamando in proposito la costante giurisprudenza che esclude la
possibilità di insorgenza di un siffatto diritto quando la vittima non sopravviva per un
apprezzabile lasso di tempo;
deduce la mancanza di prova dei danni di natura patrimoniale collegati alla scomparsa dei congiunti;
contesta la fondatezza delle pretese per danni di natura non patrimoniale “ancorate a
lettura ingiustificatamente estensiva dei principi giurisprudenziali affermatisi in materia,
con i quali le pretese in realtà contrastano”;
allega che una serie di disposizioni di legge (legge 340/1995, con rinvio alla legge
302/1990; art. 1 comma 272 legge 266/2005; art.1 comma 1270 legge 296/2006, con rinvio alla legge 206/2004, alla legge 302/1990, alla legge 407/1998 e all'art. 82 legge 388/2000) hanno previsto la possibilità di concessione di specifici indennizzi ai familiari/eredi delle vittime del disastro non cumulabili con eventuali risarcimenti (cfr. in particolare artt. 10 e 13 della legge 302/1990), la determinazione del cui concreto ammontare non potrebbe dunque in alcun modo prescindere dal considerare le somme che gli interessati abbiano percepito o abbiano titolo a percepire a titolo di indennizzo; chiede pertanto in via subordinata che il Tribunale, in caso di accoglimento delle avverse pretese, ritenga e dichiari che vanno dedotte dal risarcimento riconosciuto le somme spettanti a ciascuno degli interessati per gli indennizzi previsti dalle citate disposizioni.
Nel giudizio n. 10354/07 sono intervenuti i soggetti indicati in epigrafe, proponendo nei confronti dei Ministeri e della Difesa domande analoghe a quelle proposte dagli attori.
I Ministeri hanno eccepito l'inammissibilità degli interventi perchè si sostanziano in pratica
in autonomi atti di citazione, proposti “dopo la scadenza del termine di costituzione fissato
per il convenuto in dipendenza dell'originario atto introduttivo, quando cioè, in
considerazione delle preclusioni imposte dal codice di procedura civile, si sarebbero potuti
ammettere soltanto interventi adesivi dipendenti, caratterizzati dunque dall'assenza di
domande giudiziali”; riguardo all'intervento spiegato da Guerra Antonio, La Tona
Giuseppa, Guerra Rosario, Guerra Mirella e Guerra M. Santa hanno inoltre eccepito
l'estinzione di un precedente giudizio (n. 12/1981 RG) avente analogo oggetto; riguardo a
tutti gli interventi hanno infine proposto, in ordine alle domande formulate dalle parti
intervenute, le stesse eccezioni, difese e domande svolte con l'originaria comparsa di
risposta.
(…), attore del procedimento n.12865/07, con l'atto introduttivo del giudizio ha chiesto la condanna dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento dei danni morale e biologico per lo sconvolgimento esistenziale a lui derivato dalla perdita dell'intera famiglia, composta da moglie e tre figli, nel disastro aereo di Ustica, deducendo che dalle indagini svolte in sede penale sono emersi elementi probatori che dimostrano l'ascrivibilità dell'incidente a una carenza strutturale dei servizi pubblici di controllo del traffico aereo.I Ministeri convenuti, costituitisi in giudizio hanno sostanzialmente svolto le stesse difese ed eccezioni proposte nel procedimento n 10354/07.
Nel processo n.12865/07 sono intervenuti i soggetti indicati in epigrafe proponendo
domande analoghe a quelle proposte dall'attore, di risarcimento danni per la perdita del
congiunto deceduto nel medesimo disastro aereo.
Il processo n.12865/07 è stato riunito a quello recante numero 10354/07.
Preliminarmente si rileva la non fondatezza dell'eccezione di inammissibilità degli interventi sollevata dall'Avvocatura in quanto ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 105 e 267 c.p.c. l'intervento, anche autonomo, può aver luogo finchè non vengano precisate le conclusioni, salve le preclusioni già maturate nel processo riguardo ai poteri istruttori delle parti.
Parimenti infondata deve ritenersi l'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura
con specifico riferimento all'intervento spiegato da (…), (…), (…), (…), in quanto ai sensi dell'art. 310 c.p.c. l'estinzione del processo non estingue l'azione.
2. Il fatto
Il 27 giugno 1980 alle ore 20.59 ore locale (18.59 ora Zulu) avveniva il disastro aereo del
DC9 I -Tigi della Società ITAVIA, inabissatosi nelle acque del Tirreno tra le isole di Ponza
e di Ustica con 81 persone a bordo. In tale occasione perdevano la vita, tra gli altri, i
congiunti degli odierni attori.
L'aeromobile, identificato con nominativo radio IH870, giunto a Bologna da Palermo alle
ore 17.04 GMT, decollò nuovamente per il capoluogo siciliano alle successive 18.08 –
tempo del meridiano di Greenwich, riportato nel testo anche con la sigla Z o Zulu.
All'epoca essendo in vigore in Italia l'ora legale, tra l'ora Z e quella locale vi erano due ore
di differenza. Il volo si svolse regolarmente, sempre in contatto con l'ente di controllo del
traffico aereo, autorizzato a quote diverse sino al livello di crociera FL290, ovvero 29.000
piedi pari a m.8840, raggiunto ad ore 18.31'56”. Tale livello di volo fu mantenuto sino ad
ore 18.46'31”, orario al quale il pilota lasciò FL290 in discesa per il livello 250 dietro sua
specifica richiesta e regolare autorizzazione sull'appropriata frequenza di settore radio
127.35MHZ.
Ad ore 18.56'00” il pilota riferì al controllore radar di essere sulla posizione Ambra 13
Alpha e questi lo informò che l'aeromobile era leggermente spostato – di quattro miglia –
sulla destra della posizione riportata, autorizzando il collegamento sulla frequenza
128.8MHZ di Roma Controllo, giacchè il servizio di Roma Radar terminava in quella
posizione geografica. Il controllore in servizio su detta frequenza autorizzò il volo IH870 a
collegarsi con Raisi VOR, specificando che nessun ritardo era previsto per l'avvicinamento.
Ad ore 18.58 il pilota riferì – è l'ultima delle comunicazioni da bordo – alla torre di
Palermo, la quale comunicò le condizioni del vento, la pista, il Cavok e la temperatura.
Ad ore 18.59'45”, secondo le registrazioni di Roma Ciampino, l'ultimo segnale secondario
del transponder, corrispondente alle coordinate 39°43'Nord e 12°55'Est, mentre
l'aeromobile era livellato a quota FL250 e stabilizzato sulla rotta assegnata.
Ad ore 19 04'28” il controllore in servizio a Palermo chiamò il volo IH870 autorizzando la
discesa a FL110. Non avendo avuto risposta detto controllore ripetè più volte le sue
chiamate e richiese anche ad altri aerei in volo di chiamare l'I-Tigi, senza però ricevere
alcuna risposta.
Ad ore 19.06'00” iniziarono le azioni per la ricerca e soccorso di aeromobili. L'aeromobile
– si accertò nell'ambito di breve tempo – era precipitato in mare in un punto dell'aerovia
Ambra 13, dopo il punto Alpha, tra l'isola di Ponza e quella di Ustica. Nel disastro non vi
furono superstiti.
Erano a bordo dell'aereo quattro membri dell'equipaggio e settantasette passeggeri.
L'equipaggio era composto da Domenico Gatti, còrso, di anni 44, 1° comandante; E.
F. , romano, di anni 32, 2° pilota; Paolo Morici, romano, di anni 39, assistente di volo
responsabile di 2°; Rosa De Dominicis, romana, di anni 21, assistente di volo allieva. I
passeggeri erano: Andres Luigi, da Pordenone, di anni 33; Baiamonte F. , da
Palermo, di anni 55; Benedetti Cinzia, da Treviso, di anni 25; Bonati Paolo, da Pavia, di
anni 16; Bonfietti Alberto, da Mantova, di anni 37; Bosco Alberto, da Valderice (TP), di
anni 41; Calderone M. Vincenza, da Marineo (PA), di anni 58; Cammarata G. , da S. Cataldo (CL), di anni 19; Campanini Arnaldo, da Milano, di anni 45; Casdia Antonio, da Palermo, di anni 32; Cappellini M. Antonietta, da Rovigo, di anni 57; C. G. , da Palermo, di anni 34; Croce M. G. , da Venezia, di anni 7; D'Alfonso Salvatore, da Gela (CL), di anni 39; D'Alfonso Sebastiano, da Venezia, di anni 4; Davì Michele, da Palermo, di anni 45; De Cicco Calogero, da Ribera (AG), di anni 28; De Lisi Elvira, da Napoli, di anni 37; Di N. F. , da Dolo (VE), di anni 2; D. Antonella, da Mazara del Vallo (TP), di anni 7; D. G. , da Mazara del Vallo (TP), di anni 1; D. V. , da Mazara del Vallo (TP), di anni 10; Filippi Giacomo, da Forlimpopoli (FO), di anni 47; F. Carmela, da Palermo, di anni 17; F. Rosario, da Collegano (PA), di anni 49; Gallo Vito, da Mazara del Vallo (TP), di anni 25; Greco Antonino, da Palermo, di anni 23; Gruber Marta, da Vilandro (BZ), di anni 55; Guarano Andrea, da Val d'Erice (TP), di anni 38; Guardì V. , da Palermo, di anni 26; Gherardi Guelfo, da Bologna, di anni 59; G. Giacomo, da Palermo, di anni 19; Guerra Graziella, da Blufi (PA), di anni 27;Guzzo Rita, da Marsala (TP), di anni 30; La China G. , da Caltanissetta, di anni 58; La Rocca Gaetano, da Palermo, di anni 39; L. Paolo, da Palermo, di anni 71; Liotta M. Rosa, da Palermo, di anni 24; Lupo Francesca, da Castelvetrano (TP), di anni 17; Lupo Giovanna, da Mazara del Vallo (TP), di anni 32; M. G. , da Palermo, di anni 54; Marchese Claudio, da Termini Imerese (PA), di anni 23; M. Daniela, da Mantova, di anni 10; M. Tiziana, da Mantova, di anni 5; Mazzel Rita Giovanna, da Campitello di Fassa (TN), di anni 37; Mazzel Erta Dora Erica, da Bressanone (BZ), di anni 48; Mignani M. Assunta, da Bologna, di anni 30; Molteni Annino, da Bergamo, di anni 59; Norrito Guglielmo, da Campobello di Mazara (TP), di anni 37; Ongari LorE. , da Curtatone (MN), di anni 23; Papi Paola, da Verona, di anni 39; Parisi Alessandra, da Palermo, di anni 5; P. Carlo, da Marsala (TP), di anni 43; P. Francesca, da Marsala (TP), di anni 49; Pelliccioni Anna Paola (Sonia), da Bologna, di anni 44; P. Antonella, da Palermo, di anni 23; P. G. , da Palermo, di anni 13; Prestileo Gaetano, da Palermo, di anni 36; Reina Andrea, da Partitico (PA), di anni 34 Reina Giulia, da Riesi (CL), di anni 51; Ronchini Costanzo, da S.Costanzo (PS), di anni 34; Siracusa M. nna, da Ribera (AG), di anni 61; Speciale M. Elena, da Partinico (PA), di anni 55; Superchi Giuliana, da Palermo, di anni 11; Torres Pierantonio, da Pordenone, di anni 33; Tripiciano Giulia M. Concetta, da Palermo, di anni 45; Ugolini Pier Paolo, da Montescudo (FO), di anni 33; Valentini Daniela, da Dolo (VE), di anni 29; V. G. , da Palermo, di anni 33; Venturi Massimo, da Bologna, di anni 31; Volanti Marco, da Rimini, di anni 36; Volpe M. , da Collesano (PA), di anni 48; Zanetti Alessandro, da Camposampiero (PD), di anni 8; Zanetti Emanuele, da Venezia, di anni 31; Zanetti Nicola, da Camposampiero (PD), di anni 6.
Nell'immediatezza del disastro fu aperto un procedimento penale dalle Procure di Palermo
di Bologna, poi passato per competenza alla Procura di Roma, la cui istruttoria formale è
stata definita con la sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore Rosario Priore depositata il
31.08.1999.
Con la sentenza-ordinanza è stato, tra l'altro:
dichiarato non doversi procedere in ordine al delitto di strage perchè ignoti gli autori del
reato;
disposto il rinvio a giudizio di B. L., F. F., M. C. e T. Z. per i reati di cui agli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., commessi mediante la trasmissione al Governo di false informazioni sul coinvolgimento di altri aerei nel disastro;
disposto non doversi procedere per cause estintive del reato (prescrizione, morte del reo e abrogazione della norma incriminatrice) o con formule di proscioglimento nel merito, in
ordine a una serie di reati di falsa testimonianza, favoreggiamento, distruzione di atti
pubblici, abuso d'ufficio ascritti prevalentemente ad appartenenti all'Aeronautica Militare
per condotte di occultamento della verità in ordine alle cause del disastro.
Il giudizio a carico di B. L., F. F., M. C. e T. Z. per i reati di cui agli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., è stato definito:
in primo grado con la sentenza della Corte di Assise di Roma n. 10 del 30 aprile 2004,
che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di BARTOLUCCI e FERRI per
alcuni dei fatti loro contestati nell'ambito dell'imputazione per il reato di cui all'art. 289 c.p.,
(previa riqualificazione dei medesimi quale violazione del II comma dell'art. 289 c.p.), per
essersi il delitto estinto per intervenuta prescrizione, e ha assolto nel merito tutti gli imputati da tutte le residue imputazioni;
in appello con la sentenza n. 23 del 15 dicembre 2005 della Corte di Assise di Appello di
Roma - con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, BARTOLUCCI e FERRI
sono stati assolti da tutte le imputazioni loro ascritte perchè il fatto non sussiste; tale
sentenza è passata in giudicato in data 2.3.2007 con il deposito della sentenza n. 9174/2007
della Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura Generale
e rigettato il ricorso delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della
Difesa.
3. Le fonti di prova
Nel presente giudizio parte attrice ha prodotto, tra l'altro, la sentenza ordinanza depositata
in data 31.08.1999 (con la quale è stata definita l'istruttoria formale del procedimento
penale relativo al reato di strage a carico di ignoti e ai reati di attentato agli organi
costituzionali, falsa testimonianza, favoreggiamento, soppressione di atti pubblici e abuso
d'ufficio a carico di vari appartenenti all'A.M.) e le sentenze di primo grado e di appello
relative al processo per attentato agli organi costituzionali svoltosi innanzi al Corte di
Assise di Roma.
Attraverso tali sentenze, nonché mediante la diretta produzione di alcune delle prove
assunte in quei giudizi, sono state riversate nel presente giudizio tutte le prove assunte nei
predetti procedimenti penali relativi alla strage di Ustica.
Nella motivazione della presente sentenza si farà ripetutamente riferimento agli elementi di
prova che hanno costituito oggetto di valutazione da parte del Giudice Istruttore, mediante
rinvio alla sua sentenza ordinanza. Appare opportuno avvertire che il rinvio alle parti del
testo di tale sentenza può non essere preciso, in quanto la produzione di tale sentenza (che si compone di circa 5.000 pagine) è avvenuta in formato informatico con la conseguenza che la numerazione delle pagine può variare da computer a computer.
Nel presente processo sono state inoltre assunte le testimonianze degli On.li Cossiga e
Amato, dalle quali però questo giudice non ritiene di trarre alcun elemento utile alla
ricostruzione dei fatti in considerazione: a) della contraddittorietà delle dichiarazioni rese
dall'On. Cossiga nel corso del tempo - avendo egli riferito nel presente processo fatti e
circostanze (di essere stato informato dal direttore del SISMI, ammiraglio Fulvio Martini,
molto tempo dopo il disastro, all'epoca in cui era Presidente della Repubblica, che ad
abbattere il DC9 era stato per errore un aereo dell'Aviazione Marina Francese decollato da
una portaerei al largo del sud della Corsica) mai riferite prima né innanzi al Giudice
Istruttore né nel suo esame testimoniale reso innanzi alla Corte di Assise all'udienza del
26.2.2002; b) della mancanza di un puntuale riscontro di quanto da lui riferito nel presente
processo nella deposizione resa dall'On. Amato (il quale ha escluso di essere mai stato
informato di analoghe circostanze tanto in via ufficiale quanto in via ufficiosa,
contrariamente a quanto sostenuto da Cossiga, secondo cui l'ammiraglio Martini gli avrebbe riferito di avere fornito la stessa informazione ad Amato); c) e del fatto che la fonte ultima dell'informazione – fornita dall'ammiraglio Martini all'on.le Cossiga secondo quanto da quest'ultimo dichiarato nel presente processo – è da ravvisarsi in “informazioni che giravano nell'ambiente dei servizi” - cioè in un elemento di cui non è possibile valutare
l'attendibilità. In ragione del numero e della qualità delle perizie tecniche che si sono svolte nel procedimento penale è stato ritenuto superfluo procedere a ulteriore c.t.u. sulle cause del sinistro; le parti peraltro hanno rinunziato alla relativa richiesta che era stata
tempestivamente formulata.
Le prove assunte nel procedimento penale e confluite nel presente processo mediante le
suddette produzioni documentali costituiscono oggetto della valutazione di questo giudice
secondo i principi pacifici nella giurisprudenza della Suprema Corte per cui l'autonomia tra
giudizio civile e quello penale:
non preclude che la decisione del giudice civile possa fondarsi, anche in via esclusiva,
sulla valutazione di elementi di fatto acquisiti in sede penale, e ricavati dalle sentenze o
dagli atti di quel processo, ritualmente acquisiti in sede civile, poiché le parti di
quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione
giudiziale su di essi (cfr. Cass., n. 5009 del 2.3.2009; Cass., n. 28855 del 5.12.2008; Cass., 22020 del 19.10.2007; Cass., n. 14766 del 26.6.2007; Cass., 11426 del 16.5.2006; Cass., n. 6478 del 25.3.2005; Cass., 18131 del 9.9.2004; Cass., 11483 del 21.6.2004; Cass., n. 4118 dell'1.3.2004);
non preclude al giudice civile di porre a fondamento del suo convincimento il materiale
probatorio acquisito nel procedimento penale per l'accertamento della commissione di un
reato, ritualmente introdotto nel giudizio civile, ancorché non valutato criticamente in
dibattimento per essersi il reato estinto, anche ai fini della ricostruzione dei medesimi fatti
per l'accertamento della responsabilità civile nei confronti dello stesso soggetto indiziato di
reato, né preclude di utilizzare le dichiarazioni testimoniali rese alla polizia giudiziaria in
sede di sommarie informazioni, ai sensi dell'art. 225 c.p.p. del 1930, per fatti anteriori
all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, senza che perciò sia violato il
diritto alla difesa della parte (Cass., sez. III, 10-05-2001, n. 6502);
impone al giudice civile di accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità
aquiliana posta al suo esame, anche se integrante reato, con i mezzi di prova offerti dal rito civile alla sua decisione (tra i quali vi sono addirittura le cosiddette prove legali,
completamente sconosciute all'ordinamento penale) e secondo i diversi standards di
certezza probatoria propri del processo civile, fondato sulla regola della preponderanza
dell'evidenza o del “più probabile che non”, anziché sulla diversa regola della prova,
vigente nel processo penale, “oltre il ragionevole dubbio” (Cass., 5.5.2009, n. 10285; Cass., S.U., 11.1.2008, n. 584).
Nella presente sentenza nell'esame delle prove si deve necessariamente fare ricorso a un
linguaggio di natura tecnica che presuppone, per la sua comprensione, la conoscenza di
elementi relativi al funzionamento di un radar e al sistema di difesa aerea integrato nella
NATO denominato NADGE, nonché alla tipologia di documentazione relativa ai dati radar
tenuta dai Centri Radar della Difesa Aerea e alle articolazioni dell'organizzazione
dell'Aeronautica Militare all'epoca dei fatti. Per la migliore comprensione di tali dati si fa
espresso rinvio alle parti generali della sentenza-ordinanza del Giudice Istruttore e della
sentenza di primo grado della Corte di Assise di Roma (pagg. da 1 a 19) a ciò specificamente dedicate.
PARTE I: LA RESPONSABILITA DELLE AMMINISTRAZIONI CONVENUTE
PER NON AVERE ASSICURATO LA SICUREZZA DEL VOLO
Nella prima parte della presente sentenza viene esaminata la domanda di risarcimento dei
danni proposta dagli attori per le concorse ascritte alle amministrazioni convenute di
concorso alla produzione del disastro aereo.
L'esame di tale domanda impone una presa di posizione da parte di questo giudice in ordine alla causa del disastro, poiché è evidente che la domanda può trovare accoglimento soltanto laddove si ritenga provato che la caduta del DC9 sia ascrivibile all'interferenza di altri velivoli, anziché all'esplosione di una bomba collocata all'interno dell'aereo, poiché soltanto in tal caso è ravvisabile la dedotta condotta di omessa garanzia della sicurezza del volo da parte dei Ministeri convenuti, e il nesso causale tra tale condotta e il disastro.
Al riguardo si rileva che, secondo i principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza n.
10285 del 2009, le conclusioni dei giudici penali circa l'impossibilità di determinare con
certezza quale sia stata la causa del sinistro, non precludono ma anzi impongono al giudice civile di valutare autonomamente le prove raccolte in sede penale secondo i diversi standards di certezza probatoria richiesti nel processo civile, fondato sulla regola del “più probabile che non” anzichè sulla regola dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” vigente nel processo penale.
Circa le tre possibili cause della caduta dell'aereo tecnicamente sostenibili- e cioè la quasi
collisione, l'abbattimento ad opera di un missile, e l'esplosione interna (non prendendosi in
considerazione l'ipotesi del cedimento strutturale in quanto pacificamente esclusa da tutte
le indagini di natura tecnica: cfr. sul punto pag. 3053 e ss. della sentenza-ordinanza del
Giudice Istruttore parte I, Libro I, capo I, titolo 3, sottotitolo II) - il Tribunale ritiene potersi
escludere, nel rispetto degli standards di prova sopra sopra specificati, quella
dell'esplosione interna per le motivazioni che si vanno ad esporre, dopo una breve sintesi
dei principali dati e delle fondamentali tesi emerse dai numerosissimi elaborati di natura
tecnica, d'ufficio e di parte, che si sono svolti nei 19 anni che sono trascorsi tra il verificarsi
del disastro e la chiusura dell'istruttoria formale che ha archiviato le indagini relative al
delitto di strage per essere rimasti ignoti gli autori del reato.
L'esclusione dell'esplosione di un ordigno collocato all'interno del velivolo quale causa del
sinistro, e l'affermazione – in termini di maggiore probabilità- che la causa del disastro sia
da individuare in un evento collegato alla presenza di velivoli militari nelle immediate
vicinanze del DC9 al momento della sua caduta deve ritenersi sufficiente - ai fini del
presente giudizio civile – per l'affermazione della responsabilità dei Ministeri convenuti in
relazione alla caduta dell'aero, senza che si renda necessario un ulteriore livello di analisi
delle cause al fine di discriminare la maggiore probabilità tra quella della quasi collisione e
quella della detonazione di un missile (che richiederebbe un ulteriore approfondimento e
l'espletamento di una ulteriore prova di natura tecnica), poiché entrambi gli scenari ritenuti
più probabili (e, allo stato, parimenti probabili) consentono di configurare il medesimo
contributo causale apportato all'evento caduta dell'aereo dai Ministeri convenuti,
consistente nell'avere consentito (rectius: nel non avere evitato) che il volo civile si venisse
a trovare nello scenario aereo che ha consentito il suo abbattimento, e che si presenta
identico per l'ipotesi della quasi collisione e per quello dell'esplosione del missile.
1. La prova delle cause del disastro.
1.1. Lo standard di certezza probatoria in ordine alla prova della causa del disastro richiesto nel presente processo civile: la regola del “più probabile che non”.
Preliminarmente in merito alla prova della causa del disastro si rileva che le considerazioni
e le conclusioni svolte dalla Corte di Appello di Roma (nella sentenza del 23 aprile 2007
con cui in accoglimento dell'appello delle Amministrazioni, è stata rigettata la domanda di
risarcimento del danni proposta dalle Aerolinee Itavia) in ordine all'impossibilità di
accertare, con esclusione di ragionevoli margini di dubbio, le concrete modalità con cui il
disastro ebbe a verificarsi (richiamate da parte convenuta in comparsa di risposta) non
possono considerarsi dirimenti, in quanto hanno già costituito oggetto di radicale censura da parte della Suprema Corte nella sentenza 10285 del 5.5.2009 (intervenuta nelle more di questo giudizio) con cui è stata cassata con rinvio la predetta sentenza della Corte di Appello di Roma.
Le considerazioni svolte dalla Suprema Corte in tale sentenza – che, sebbene non
costituisca tecnicamente un giudicato (se non altro perchè resa in un giudizio tra parti
diverse) rappresenta un precedente giurisprudenziale imprescindibile, non soltanto per la
sua intrinseca autorevolezza ma anche perchè resa nell'ambito del giudizio risarcitorio
promosso dalla compagnia Itavia in seguito al disastro di Ustica, connotato da un evidente
parallelismo con il presente- contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato in sede di repliche orali all'udienza del 15.10.2010, non possono che essere condivise.
Ed invero, poiché nel nuovo codice di procedura penale non è stata riprodotta la
disposizione di cui all'art. 3, secondo comma, del codice abrogato, e poiché dall'art. 295
c.p.c. (in occasione della sua riformulazione ad opera dell'art. 35 della legge 26 novembre
1990 n. 353) è stato eliminato ogni riferimento alla cosiddetta pregiudiziale penale, si deve
ritenere che il nostro ordinamento non sia più ispirato al principio dell'unità della
giurisdizione e della preV. del giudizio penale su quello civile, e che viceversa sia
stato instaurato dal legislatore il sistema della pressoché completa autonomia e separazionefra i due giudizi, nel senso che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensionedel processo civile previste dall'art. 75, terzo comma, del nuovo codice di procedura penale, da un lato il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità (civile) con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale.
L'autonomia tra giudizio civile e quello penale, come già rilevato, se da un lato impone al
giudice civile di accertare la fattispecie costitutiva della responsabilità aquiliana posta al
suo esame, anche se integrante reato, con i mezzi di prova offerti dal rito civile alla sua
decisione (tra i quali vi sono addirittura le cosiddette prove legali, completamente
sconosciute all'ordinamento penale) e secondo i diversi standards di certezza probatoria
propri del processo civile (fondato sulla regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non”, anziché sulla diversa regola della prova, vigente nel processo penale, “oltre il ragionevole dubbio”), dall'altro lato non preclude che la decisione del giudice civile possa fondarsi, anche in via esclusiva, sulla valutazione di elementi di fatto acquisiti in sede penale, e ricavati dalle sentenze o dagli atti di quel processo, ritualmente acquisiti in sede civile, (poiché le parti di quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolarne la valutazione giudiziale su di essi); ciò comporta la possibilità che, a fronte di una situazione probatoria che non consenta di ritenere raggiunti nel dibattimento penale sufficienti risultati ai fini dell'affermazione della responsabilità penale, il giudice civile possa ritenere sussistente il fatto dannoso e la conseguente responsabilità civile.
L'esplicita affermazione della sussistenza diversi standards di certezza probatoria propri del processo civile e del processo penale nella Giurisprudenza della Suprema Corte, si è avuta dapprima in tema di valutazione della sussistenza del nesso causale, che deve essere condotto secondo il criterio del “più probabile che non”, non essendo necessario,
nell'ambito del giudizio civile, che la prova di un fatto sia raggiunta al livello di quella
rigorosa “certezza al di là di ogni ragionevole dubbio” richiesta invece nell'ambito del
giudizio penale, anche in ragione delle più gravi conseguenze che derivano da tale ultimo
giudizio.
Ed invero le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza dell'11 gennaio 2008 n. 584
(pronunciata in materia di responsabilità del Ministero della Salute per i danni derivanti
dalle infezioni epatiche contratte tramite emotrasfusione di sangue infetto), dopo aver
distinto nell'ambito dell'illecito aquiliano i due momenti del giudizio della causalità
materiale (tra condotta e danno inteso come evento lesivo) e del giudizio della causalità
giuridica (tra condotta e danno inteso come insieme di conseguenze risarcibili), ed aver
ribadito l'applicabilità con riguardo al primo giudizio, anche in materia civile, dei principi
generali che regolano la causalità di fatto “delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla
regolarità causale in assenza di altre norme nell'ordinamento in tema di nesso eziologico
ed integrando essi principi di tipo logico e conformi a massime di esperienza” hanno
affermato:
“ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e il processo civile è la regola
probatoria in quanto nel primo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”
(cfr. Cass., 10 luglio 2002, Franzese) mentre nel secondo vige la regola della
preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non” stante la diversità dei vaL. in
gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l'equiV. di quelli in gioco nel processo
civile tra le due parti contendenti”;
“detto standard di certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato
esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi
(c.d. probabilità quantitativa o pascaliana) che potrebbe anche mancare o essere
inconferente ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli
elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili
in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale
della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla
base dei relativi elementi di conferma”.
Tale regola di giudizio, propria del processo civile, è stata ribadita anche da successive
sentenze della Suprema Corte, tra le quali si ricorda proprio quella pronunciata dalla III
sezione civile il 5/5/2009, n. 10285, (sempre in tema di responsabilità civile, in una
fattispecie relativa al disastro di Ustica), nella quale la Corte, dopo avere analizzato il
fondamento e il significato dell'autonomia tra il processo civile e quello penale (che trova
le sue radici nelle diverse struttura e finalità dei due processi) ne evidenzia i riflessi - tra
l'altro – “sui diversi standards di certezza probatoria, esistenti tra i due processi”, e si
richiama espressamente e letteralmente anche alle sentenze delle Sezioni Unite dell'11
gennaio 2008 e ai principi da queste ultime espressi con stretto riferimento al tema del
nesso causale (e proprio al passo appena riportato e alla regola probatoria “del più probabile
che non”), ampliandone però l'ambito di applicazione a tutto il processo civile, e
specificamente al caso che si pone nel presente processo, in cui vi sia un problema di scelta tra “una pluralità di ipotesi tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto”: “esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorchè vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa
all'interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perchè in vario
grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli
all'una o all'altra ipotesi”; con la conseguenza che è stata riconosciuta affetta da vizio di
motivazione la sentenza della Corte di Appello di Roma in merito alla causa del disastro
aereo (e cioè se dovuto ad esplosione interna per bomba, a cedimento strutturale dell'aereo ovvero ad esplosione esterna dovuta a missile lanciato da altro aereo) nella parte in cui si era riportata acriticamente alle conclusioni dei giudici penali sull'inesistenza di certezza in merito alla causa del sinistro, “senza valutare autonomamente le prove raccolte in sede penale” e “senza adottare i diversi standards di certezza probatoria richiesti in materia civile”.
1.2. Sintesi delle perizie e alle consulenze tecniche di parte rilevanti per la ricostruzione della causa del disastro
Prima di esprimere le valutazioni di questo giudice in ordine all'individuazione della causa
del disastro, appare opportuno esporre sinteticamente le risultanze delle principali indagini
di natura tecnica (relazioni delle commissioni di inchiesta svolte fuori del procedimento
penale e perizie tecniche d'ufficio e consulenze tecniche di parte svolte nell'ambito del
procedimento penale) che attraverso un numero elevatissimo di documenti tecnici (più di
cento relazioni) nel corso di un ventE. hanno progressivamente approfondito quasi tutte le questioni di natura tecnica implicate dal problema dell'individuazione della causa del sinistro.
Tale disanima appare quanto mai utile non soltanto perchè spiega le ragioni per le quali è
stato ritenuto superfluo lo svolgimento di una consulenza tecnica d'ufficio nel presente
processo, ma anche perchè rileva ai fini dell'individuazione di dati fondamentali per la
valutazione della sollevata eccezione di prescrizione (dando atto come l'evoluzione della
conoscenza, particolarmente rapida soltanto e soprattutto negli ultimi tempi dell'istruzione
formale grazie all'acquisizione- in forza anche del contributo prestato dalla Nato a partire
dal 1995- di importanti conoscenze radaristiche, ha determinato nel suo incessante sviluppo il continuo superamento dei risultati) e, inoltre, in considerazione della condivisione da parte di questo giudice delle osservazioni critiche mosse dall'Ufficio del Giudice Istruttore e dai consulenti tecnici di parte civile alle conclusioni della maggioranza dei periti del Collegio Misiti che individua nella bomba la causa del disastro.
Ci si limita in questa sede, per non appesantire inutilmente la motivazione, a riportare le
conclusioni dei principali documenti, rinviando espressamente per ogni utile
approfondimento al testo della sentenza- ordinanza del Giudice Istruttore Rosario Priore
prodotta agli atti del presente giudizio (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III).
1.2.1. Le perizie svolte fino al 1994: in particolare la perizia svolta dal collegio Blasi e l'ipotesi del missile.
Tra le Perizie svolte dall'Autorità Giudiziaria di Palermo (parte I, Libro I, Capo I, Titolo
III, capitolo I, pag. 1356 ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore), titolare
dell'inchiesta fino alla trasmissione degli atti per competenza territoriale a Roma, si
evidenziano le Indagini medico legali (autoptiche, di ispezione esterna, radiografiche
ed otoscopiche) che, senza essere mai state contestate da alcuno, rilevano: a) la mancanza di segni di ustioni e di annegamento sui cadaveri e l'assenza di piccole schegge metalliche infisse superficialmente sui tegumenti; b) l'assenza di ossido di carbonio e di acido cianidrico (cioè di residui di combustione) nel sangue e nei polmoni; c) la presenza di lesioni traumatiche di tipo contusivo e di fratture multiple; tali indagini evidenziano quindi la mancanza di segni di esplosione sui cadaveri e consentono di concludere che l'intervento di una brusca decompressione abbia causato l'abolizione del sensorio e la perdita di conoscenza dei passeggeri i quali sono poi deceduti a causa delle lesioni contusive da precipitazione da grande altezza.
Nella Relazione della Commissione di inchiesta tecnico formale istituita dal Ministero dei trasporti il 28.6.1980 e presieduta da Carlo Luzzatti, depositata 16.3.1982 (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo II pag. 1372 ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) la causa dell'incidente viene individuata nella deflagrazione di un ordigno esplosivo: la Commissione non si ritiene in grado di affermare se l'ordigno sia stato collocato a bordo prima della partenza ovvero sia provenuto dall'esterno dell'aeromobile, in ragione della limitatezza dei dati a sua disposizione, non disponendo del relitto dell'aeromobile – che all'epoca non era ancora stato recuperato - e ritenendo necessarie anche ulteriori analisi di laboratorio per individuare la natura dell'ordigno esplosivo e il suo funzionamento. Vengono escluse le ipotesi del cedimento strutturale spontaneo e della collisione con altro aeromobile.
Nell'ambito di tale inchiesta vengono svolte le prime analisi dei dati radar risultanti dalle
registrazioni relative ai radar civili Selenia e Marconi operativi presso il sito di Ciampino,
effettuate dalla Selenia prima e dall'NTSB (National Transportation Safety Board: Ente per
la Sicurezza dei Trasporti degli Stati Uniti d'America) poi.
Riguardo ai plot -17, -12 e 2b di solo primario rilevati dal radar in sostanziale concomitanza temporale e spaziale con l'incidente la Selenia formula le due ipotesi alternative: a) della presenza di un velivolo che si sposta in direzione ovest -est con velocità 500-600 nodi e che attraversa la traiettoria del velivolo I-TIGI dopo che è avvenuto l'incidente, a una distanza di non meno di tre miglia nautiche; b) dei falsi allarmi.
La NTSB invece giudica poco verosimile l'ipotesi dei falsi echi, in ragione dell'alta
improbabilità di avere tre falsi segnali tra loro correlabili, e ritiene che i tre echi primari
rilevati dal radar individuino un oggetto non identificato che viaggiava ad una velocità
compresa tra 300 e 550 nodi parallelamente al DC9 nei primi due echi (-17 e -12) e che poi si dirigeva verso il DC9 nell'ultimo eco (2B), e che non aveva colliso con il DC9.
Nella Relazione della Direzione laboratori dell'A.M. - IV Divisione Esplosivi e
Propellenti (Torri) del 5.10.1982 (parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo III della
sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) la causa dell'incidente viene individuata nella
detonazione di una massa di esplosivo presente a bordo del velivolo, in ragione della
rilevata presenza su alcuni reperti di tracce di T4, e dell'assenza di tracce TNT.
Alcuni anni dopo però la Perizia chimica Malorni Acampora del 3.2.1987 (disposta dal
G.I. nel corso della perizia Blasi: parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, capitolo IV pag. 1399 e ss. della sentenza ordinanza del Giudice Istruttore) rileva la presenza chiara e inequivocabile sia di T4 che di TNT (nel frammento dello schienale n. 2 rosso), miscela la cui presenza è tipica degli ordigni di guerra.
La Perizia tecnica svolta dal c.d. Collegio BLASI - I RELAZIONE del marzo 1989
(parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo V, pag. 1400 e ss. della sentenza ordinanza del
G.I.) individua la causa dell'incidente nell'esplosione di un missile in prossimità della parte
anteriore dell'aereo.
Si tratta della prima valutazione tecnica che dispone del relitto del velivolo, riportato in
superficie a seguito delle campagne di recupero del maggio – luglio 1987 e dell'aprile -
maggio 1988.
Tale conclusione si fonda, tra l'altro: a) sull'analisi dei dati radar, approfondita anche
tramite una simulazione di volo svolta per verificare se un velivolo del tipo caccia F 104
manovrante fosse visibile da parte dei due radar di Ciampino e con quale frequenza di
detezione, che porta alla conclusione per cui i plots -17, -12 e 2b rilevati dai radar Marconi
e Selenia individuino un aeromobile (la cui sezione radar era paragonabile a quella di un
caccia intercettore) la cui traiettoria in proiezione orizzontale era quasi normale a quella del DC9 I TIGI, che non è venuto in collisione del DC9, e che successivamente all'incidente si è allontanato; b) sull'analisi dei reperti, che rivela (tra l'altro) la presenza nei cuscini di elementi provenienti da rivestimento esterno, la presenza di T4 e TNT su un gancio recuperato nello schienale 2 rosso, l'assenza di tracce di incendio e di tracce visibili di residui di esplosione a bordo, la presenza sulla superficie esterna del portello vano
portabagagli anteriore di fori con senso di penetrazione dall'esterno verso l'interno non
addebitabili all'impatto dell'aereo in mare; c) sull'analisi dei cadaveri da cui si rileva la
mancanza di ustioni, e la mancanza di tracce di CO e HCN nei polmoni e nel sangue; d)
sulla considerazione del raggio limitato dell'esplosione desumibile dalla circostanza che la
maggior parte delle schegge sono state ritrovate su una proporzione piccola dei cuscini e
degli schienali recuperati, elemento questo che mal si concilia con un'esplosione nella
cabina passeggeri; e) sull'esame del CVR (Cockpit Voice Recorder) dal quale viene rilevata l'ultima parola ( “gua” ) pronunciata dall'equipaggio, e in relazione al quale vengono effettuate prove acustiche che dimostrerebbero la presenza di un evento fonico indice di esplosione esterna (sul punto si rileva che poi la perizia fonica IBBA PAOLONI del 30.5.1991 ha escluso che questi impulsi, ricondotti all'esplosione esterna dalla I relazione BLASI, abbiano natura acustica, accertandone la natura elettrica: Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XIX, pag. 1655 e ss. della sentenza-ordinanza del G.I. ).
Seguono a questo punto in ordine temporale la Relazione dello SMA PISANO del
5.5.1989 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo VI), che evidenzia che i radar non
hanno captato nulla di significativo e di anomalo e critica le conclusioni della relazione
Blasi, e la Relazione della Presidenza del Consiglio PRATIS del 17.11.1989 (Parte I,
Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo VII) che ripropone l'ipotesi della bomba affermando
che non può essere scartata l'ipotesi che a provocare l'incidente sia stato un ordigno
esplosivo collocato a bordo dell'aereo, oltre che per considerazioni di natura tecnica, anche
perchè nel giorno e nell'ora dell'incidente i radar di Licola e Marsala non registrarono la
presenza di altri aerei e non erano in corso esercitazioni aeree o navali né delle forze
italiane né di quelle alleate.
Interviene quindi la Relazione degli ausiliari radaristi del collegio Blasi (GIACCARI,
PARDINI E GALATI, dipendenti della Selenia s.p.a.) del 5.2.1990 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo VIII pag. 1487) nella quale, in base a uno studio sul funzionamento dei radar Marconi e Selenia e dei loro estrattori, si esclude che dai dati radar possa desumersi la presenza di altro velivolo e si afferma che le due traiettorie ricavabili dai plots registrati al momento dell'incidente tanto dal radar Marconi quanto dal radar Selenia sono da ricondurre una alla parte principale del relitto e l'altra ai suoi frammenti.
In risposta ai quesiti aggiuntivi posti al Collegio Blasi dal Giudice Istruttore in data
18.09.1989 - volti a accertare il tipo di testata missilistica che aveva cagionato la strage e a chiarire le traiettorie degli aerei – viene depositata la II RELAZIONE BLASI del
26.5.1990 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo IX pag. 1510) che evidenzia lo
spaccamento del collegio peritale, sopravvenuto al deposito della I Relazione.
Ed invero la maggioranza del collegio peritale composta dai periti IMBIMBO, LECCE e
MIGLIACCIO, insiste nella tesi del missile, individuando la possibile testata responsabile
dell'incidente in un missile aria-aria, a medio raggio a guida semiattiva o a guida passiva
ma di tipo avanzato, verosimilmente del tipo “continuous road” (trattandosi di teste che
hanno maggiori possibilità di non lasciare tracce di esplosione, in quanto creano un danno
di tipo strutturale per effetto dell'elevata densità di energia trasferita impulsivamente sulla
superficie del bersaglio), di un tipo non in dotazione all'A.M. italiana all'epoca
dell'incidente; i periti BLASI e CERRA propongono invece l'ipotesi della bomba ed
escludono che dai dati radar sia desumibile la presenza di un altro velivolo.
In tale relazione i periti dopo aver esaminato il lavoro svolto dalla Commissione Pratis e
l'inchiesta SMA Pisano criticano l'ipotesi della bomba, proponendo una serie di specifici
argomenti relativi all'esame dei reperti, ed effettuano un riesame dei dati radar alla luce
dell'approfondimento delle conoscenze relative al funzionamento dei radar del sistema
ATCAS e del sistema NADGE, all'esito del quale IMBIMBO LECCE e MIGLIACCIO– in
contrasto con le conclusioni degli ausiliari Giaccari e altri- ribadiscono la loro conclusione
per cui una delle due traiettorie individuabili sulla base dei plot rilevati al momento
dell'incidente appartiene ad un altro velivolo, mentre BLASI e CERRA aderiscono alle
conclusioni degli ausiliari. Il lavoro dei periti si avvale anche del contributo di ausiliari
esperti in missili (ing. Spoletini) secondo cui l'ispezione diretta del relitto non consente di
ricondurre senza ambiguità la causa del disastro all'effetto prodotto dall'esplosione di una
testa da guerra di un missile aria – aria in quanto sulle parti recuperate dell'aereo non sono visibili tracce di perforazione riconducibili a una testa di guerra né è stata trovata traccia dei suoi frammenti; non si può tuttavia neppure escludere che la zona eventualmente colpita dalle schegge sia proprio quella mancante (zona compresa tra le ali e la cabina di pilotaggio) anche se si ritiene che le teste da guerra preframmentate lascino caratteristiche tracce su vaste zone del bersaglio; vengono presi in specifico esame anche i fori presenti nella porta del bagagliaio anteriore che non vengono ritenuti di utilità per una serie di ragioni, tra le quali la circostanza che presentano caratteristiche diverse da quelle provocate di norma da frammenti provenienti dall'esplosione di una testa di guerra e il fatto che avrebbero dovuto presentare tracce di materiale estraneo provenienti da frammenti del missile.
La Perizia balistica esplosivistica IBISCH e altri del 14.4.1994 (Parte I, Libro I, Capo I,
Titolo III, Capitolo XXX pag. 1700 della sentenza-ordinanza) ritiene poco probabile tanto
l'ipotesi del missile quanto l'ipotesi dell'esplosione di una bomba a bordo.
L'ipotesi del missile è ritenuta poco probabile per l'assenza nei relitti di fratture,
deformazioni o perforazioni sicuramente attribuibili all'azione diretta di una carica
esplosiva; in relazione a tale ipotesi si rileva che le perforazioni del vano portabagagli
anteriore non sono compatibili con l'impatto sul medesimo delle schegge provenienti dalla
testa di guerra di un missile in quanto la velocità di impatto di tali corpi sarebbe stata
sicuramente più elevata; tali perforazioni vengono ritenute compatibili con l'impatto di
componenti del missile estranei alla testa in guerra, ma il loro numero limitato e l'assenza di altre perforazioni nelle zone circostanti dell'aereo inducono a ritenere poco probabile
l'ipotesi; infine sempre riguardo all'ipotesi del missile si evidenzia l'improbabilità che tracce
di esplosivo siano veicolate all'interno dell'aero tramite schegge e tramite i gas di
esplosione.
In ordine all'ipotesi della bomba, pure ritenuta poco probabile per il mancato riscontro
nell'aereo dei danni inequivoci e ben più estesi che avrebbe dovuto provocare, si rileva che l'unica collocazione possibile dell'ordigno è data dalla toilette, trattandosi dell'unica zona
che presenta danneggiamenti in qualche modo attribuibili agli effetti di un'esplosione, ma si evidenzia come tale ipotesi non abbia trovato convincente riscontro nei risultati delle prove numeriche e delle prove pratiche di scoppio.
La Consulenza radaristica PENT VALDACCHINO del 21.5.1992 di parte civile (Parte
I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XXIV pag. 1762 della sentenza-ordinanza) ritiene che
sulla base dei rilevamenti dei radar di Fiumicino si può sostenere con buona probabilità la
presenza di un altro aereo che ha volato con il transponder spento vicino al DC9 per alcune decine di minuti prima dell'incidente, a una distanza di meno di due km per la maggior parte del tempo e così non modificando sensibilmente i dati radar, allontanandosi in modo visibile dal DC9 per due volte: alle 18.40 circa quando il DC9 volava a Nord Est di Roma (tra le ore 18.39 e 18.41 si ha infatti presenza di rilevamenti primari paralleli alla traccia del DC9) e alcuni secondi prima dell'incidente (in corrispondenza dei plot -17 e -12 rilevati dai radar Marconi e Selenia).
Tale consulenza viene criticata dalla consulenza radaristica di parte imputata NERI
GIUBBOLINI del 25.5.1993 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XL e XLI pag.
1810 ss.) nella quale, tra l'altro, si rileva che, anche supponendo che un aereo privo di
transponder abbia volato per circa 20 minuti nell'ombra radar del DC9, rimarrebbe da
spiegare come e quando tale aereo, senza essere osservato, sia entrato nell'ombra e come sia riuscito a uscirvi quando il DC9 è precipitato senza essere stato osservato dai radar civili e militari, e si ritiene che i plot -17 e – 12 siano falsi plot.
La Consulenza tecnica ALGOSTINO VALDACCHINO del 16.7.1993 di parte civile
(Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III, Capitolo XLII pag. 1848) individua una serie di
posizioni di esplosione della testata missilistica per le quali pochissime schegge o
addirittura nessuna riescono a incontrare la fusoliera.
1.2.2. La Perizia Misiti: l'ipotesi della bomba e relativa valutazione critica
La PERIZIA MISITI depositata il 23 luglio 1994 (Parte I, Libro I, Capo I, Titolo III,
Capitolo XLVIII) individua la causa dell'incidente nella detonazione di una carica esplosiva
dentro la toilette, sulla base dell'analisi delle deformazioni e dei segni presentati nei reperti
recuperati appartenenti a questa zona e delle conclusioni formulate in merito ai dati
radaristici secondo le quali “i vari tracciati radar, identificati o meno non rendono ragione
di uno scenario radar particolarmente complesso: non esiste evidenza radar di uno o più
aerei che si immettono nella traccia del DC9 I TIGI al fine di averne copertura radar. E'
possibile asserire che non esiste evidenza di un altro aereo nella fase terminale di volo” .
Tale perizia mise in evidenza un non completo accordo fra gli undici membri del collegio
peritale sulle possibili cause dell'incidente stesso. Infatti, nove di essi ritennero che l'unica
causa possibile dell'incidente fosse da considerarsi l'esplosione di un ordigno all'interno
della toilette del velivolo, mentre due membri del collegio peritale, il prof. Ing. Carlo
Casarosa e il prof. Dott. Manfred Held non concordarono con questa conclusione e, a
chiarimento del loro pensiero aggiunsero alla perizia tecnica una nota, conosciuta come
“nota aggiuntiva”, nella quale pur riconoscendo che l'ipotesi esplosione interna potesse
essere tecnicamente sostenibile, ritennero che essa non potesse essere considerata l'unica possibile a causa di non trascurabili elementi di dubbio che su di essa gravavano e
formularono l'ulteriore ipotesi che l'incidente potesse essere stato causato da una “quasi
collisione” con altro velivolo, evidenziando come l'elemento discriminante tra le due ipotesi
non potesse essere che lo scenario al momento dell'incidente, cioè la presenza o meno di
altri aerei (non esclusa ma neppure affermata sulla base delle indagini radaristiche
effettuate nell'ambito della perizia tecnica) .
In ordine alle indagini radaristiche effettuate nell'ambito della perizia tecnica si rileva,
anche sulla base delle risposte fornite sui quesiti a chiarimento della relazione posti dal
Giudice Istruttore, che i periti concludono che lo scenario radar non determina con certezza l'assenza o la presenza di un altro aereo al momento dell'incidente; riguardo ai dati dei radar
30-09-2011 00:00
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