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Sentenza

Condizione potestativa mista....
Condizione potestativa mista.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 14 dicembre 2012, n.23014 - Pres. Rovelli – est. Scrima

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 1353 e 1355 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato quella apposta al contratto stipulato tra le parti come condizione casuale e non come risolutiva e ha ritenuto che il mancato buon fine del contratto di leasing sia dipeso da un terzo identificato (v. sentenza p. 9) nella società di leasing, mentre, ad avviso della ricorrente, la mancata conclusione del contratto sarebbe dipesa dalla Bombasini, che non si era attivata per consegnare la necessaria documentazione, in quanto, a causa di difficoltà sopraggiunte e di una diversa valutario ne delle sue capacità lavorative e finanziarie, non aveva più interesse alla conclusione del contratto.

2. Con il secondo motivo, dolendosi della falsa applicazione degli artt. E358 e 1359 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente deduce che la controparte avrebbe, per sua scelta, omesso ogni attività per 'poter far giungere il contratto ad esecuzione' e non si e comportata secondo buona fede, sicché ad essa sarebbe imputabile la mancata conclusione del contratto di leasing e, quindi, il mancato avveramento della condizione, e non già al terzo, come invece ritenuto dalla Corte di merito.

3. Con il terzo motivo, lamentando 'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 n. 3 c.p.c.) in ordine all'imputabilità della mancata conclusione del contratto di compravendita', la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, insufficientemente motivando, ha ritenuto che il convincimento del Tribunale fosse basato unicamente sulla raccomandata del 22 luglio 2007, posto che in nessun punto della sentenza di primo grado si fa riferimento alla lettera indicata come 'dirimente'; deduce, quindi, la contraddittorietà della motivazione, sostenendo che le due missive cui la sentenza impugnata fa riferimento avrebbero lo stesso tenore e dimostrerebbero entrambe l'inadempimento della Bombasini, in quanto S.E. sarebbe 'la persona prescelta dall'acquirente' e, se quest'ultima avesse voluto concludere il contratto, avrebbe consegnato la documentazione necessaria.

Sarebbe, quindi, ad avviso della ricorrente, incomprensibile l'argomentazione del Giudice di appello laddove basa la sua decisione sulla seconda lettera senza giustificare e motivare compiutamente il percorso logico-deduttivo seguito.

4. I primi tre motivi di ricorso - i quali, stante la loro intima connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono fondati e vanno, pertanto, accolti.

4.1. Iva Corte di appello ha qualificato la condizione apposta al contratto stipulato tra le parti e di cui si discute in causa quale 'condizione c.d. casuale, ossia dipendente dal caso o dal fatto del terzo (ossia la società di leasing...)' ed ha escluso l'applicabilità nel caso all'esame delle disposizioni di cui agli artt. 1358 e 1359 cod. civ. Così statuendo, la sentenza impugnata non si sottrae alle censure della ricorrente.

4.2. Ed infatti, la condizione in questione va correttamente qualificata come condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte dal caso (o dal terzo) e in parte dalla volontà di uno dei contraenti, inoltre, questa Corte ha più volte affermato che il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1358 cod. civ., che impone alle parti l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione (Cass., sez. un., 19 settembre 2005, n. 18450; Cass. 28 luglio 2004, n. 14198), ed ha precisato che l'omissione di un'attività intanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico; la sussistenza di un siffatto obbligo deve affermarsi anche per il 'segmento' non casuale della condizione mista, in quanto gli obblighi di correttezza e buona fede, che hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa assicura, impongono una sene di 'comportamenti di contenuto atipico', che assumono la consistenza di 'standard” integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (Cass. 28 luglio 2004, n. 14198).

Come già osservato dalle Sezioni Unite con la sentenza sopra richiamata, 'l'art. 1358 c.c. dispone che 'colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte'. La norma s'inserisce nell'ambito applicativo della clausola generale della buona fede, operante nel diritto dei contratti sia in sede di trattative e di formazione del contratto medesimo (art. 1337 c.c.), sia in sede d'interpretazione (art. 1366 c.c.), sia in sede di esecuzione (art. 1375 c.c.). La fonte dell'obbligo giuridico de quo, dunque, si trova appunto nel citato art. 1358, che lo stabilisce al fine di 'conservare integre le ragioni dell'altra parte' e dunque gli attribuisce un chiaro carattere doveroso. Né convince la tesi secondo cui tale obbligo andrebbe escluso per il profilo attuativo dell'elemento potestativo della condizione mista.

Invero, il principio di buona fede (intesa, questa, nel senso sopra chiarito come requisito della condotta) costituisce ad un tempo criterio di valutazione e limite anche del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende (in parte) l'avveramento della condizione. Tale comportamento non può essere considerato privo di ogni carattere doveroso, sia perché - se così fosse - finirebbe per risolversi in una forma di mero arbitrio, contrario al dettato dell'art. 1355 c.c. sia perché aderendo a tale indirizzo si verrebbe ad introdurre nel precetto dell'art. 1358 una restrizione che questo non prevede e che, anzi, condurrebbe ad un sostanziale svuotamento del contenuto della norma, limitandolo all'elemento casuale della condizione mista, cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte (la cui obbligazione è condizionata) ha ridotte possibilità d'incidenza, mentre la posizione giuridica dell'altra parte resterebbe in concreto priva di ogni tutela. Invece è proprio l'elemento potestativo quello in relazione al quale il dovere di comportarsi secondo buona fede ha più ragion d'essere, perché è con riguardo a quell'elemento che la discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte deve essere esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza. Si deve, perciò, affermare che il contratto sottoposto a condizione mista è soggetto alla disciplina dell'art. 1358 c.c. che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione. Il vero che l'omissione di un'attività in tanto può costituire fonte di responsabilità in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, ma tale obbligo, in casi come quello in esame, discende direttamente dalla legge e, segnatamente, dall'art. 1358 c.c. che lo impone come requisito della condotta da tenere durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di un obbligo siffatto va riconosciuta anche per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo di una condizione mista. Pertanto il giudice del merito deve procedere ad un penetrante esame della clausola recante la condizione e del comportamento delle parti, nel contesto del negozio in cui la clausola stessa è contenuta, al fine di verificare, alla stregua degli elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard esigibile di buona fede le iniziative poste in essere al fine di ottenere il finanziamento'. A tale orientamento va data continuità.

Inoltre, va rilevato che questa Corte ha anche condivisibilmente affermato (Cass. 8 marzo 2003, n. 5492) che alla condizione potestativa mista è pure applicabile l'art. 1359 cod. civ., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per fatto imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa.

A tanto deve aggiungersi che secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che pure va condiviso (v. Cass. 18 novembre 2011, n. 24325), l'art. 1359 cod. cod., allorché fa riferimento alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento della condizione, non intende riferirsi soltanto a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi, in concreto, ha dimostrato con una successiva condotta di non avere più interesse al verificarsi della condizione ponendo in essere atti tali da contribuire a fare acquistare al contratto un elemento modificativo dell'iter attuativo della sua efficacia. Nel caso in esame la sentenza impugnata non si è conformata ai richiamati principi, escludendo in radice l'applicabilità alla fattispecie degli artt. 1358 e 1359 cod. civ..

5. Con il quarto morivo, lamentando 'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 n. 3 c.p.c.) in ordine al risarcimento del danno', la ricorrente deduce che, per aver dato esecuzione al contratto su richiesta dell'acquirente, ha subito notevoli danni pari a L. 69.282.836, corrispondenti alla differenza tra entrate e uscite, cui dovrebbero aggiungersi L. 32.650.040 per interessi legali sulla somma versata per l'acquisto del veicolo dall'Iveco nel 1995 sino alla data di vendita del medesimo a terzi (21 marzo 2000), che dovrebbero essere risarciti dalla Bomabasini mentre al riguardo nulla avrebbe osservato la Corte di merito.

5.1. Per effetto dell'accoglimento del primi tre motivi di ricorso resta assorbito l'esame delle ulteriori censure articolate dalla ricorrente con il quarto motivo di ricorso.

6. La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte.

La causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Venezia che si uniformerà ai principi sopra indicati (v. p. 4.2.) e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Avv. Antonino Sugamele

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