Gioco Champion quiz. Apparecchi detenuti senza autorizzazione. Sanzione confermata
Corte di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 30.04.2012, n. 6606
Presidente Oddo - Relatore Falaschi
Svolgimento del processo
Con ordinanza-ingiunzione n. 449, notificata il 24 gennaio 2007, il Direttore dell'Ufficio Regionale dei Piemonte e della Valle d'Aosta dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ingiungeva a I.M. , in proprio e quale titolare dell'esercizio pubblico MA.CA. di M. & C. s.a.s. corrente in (…), il pagamento della somma di Euro. 12.000,00 a titolo di sanzione amministrative per la violazione dell'art. 9, lett. c) T.U.L.P.S., per avere consentito l'uso nel locale pubblico sopra indicato di tre apparecchi privi di nulla osta e non rispondenti alle caratteristiche ed alle prescrizioni indicate nei commi 6 e 7 e nelle disposizioni di legge ed amministrative attuative di detti commi. Disponeva, altresì, la confisca dei tre apparecchi denominati commercialmente “Chiampion Quiz Free Time”, i primi due, “Champion Quiz Montecarlo”, il terzo, oltre al pagamento di Euro 240,00 per spese di trasporto e rottamazione.
Con ricorso depositato in data 21 febbraio 2007 M.I. , nella duplice qualità di cui sopra, proponeva opposizione avverso detta ordinanza-ingiunzione eccependo, preliminarmente, l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 110 T.U.L.P.S. nella sua attuale formulazione per contrasto con gli artt. 3, 24, 41 e 10 Cost., esponendo, altresì, che nel dicembre 2002 tecnici del Ministero delle attività produttive avevano espresso, per ben due volte e per iscritto, parere di liceità della scheda da gioco Champion Quiz, che proponeva un intrattenimento di tipo culturale, in cui il giocatore era chiamato a misurarsi con quiz di cultura generale per potersi aggiudicare un premio consistente in monete d'argento del valore non superiore a 10 volte il costo della partita, lacunosa, di converso, la consulenza del Dott. Me. invocata dall'Amministrazione, mancando del tutto l'elemento soggettivo della violazione. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell'Amministrazione, il Tribunale adito, espletata istruttoria, accoglieva parzialmente l'opposizione, in relazione alla domanda subordinata formulata dall'opponente e riduceva la sanzione pecunaria in Euro 2.000,000 per ogni apparecchio da gioco, per complessivi Euro 6.000,00.
In virtù di rituale appello interposto dal M. , in proprio e quale legale rappresentante della MA.CA., con il quale affermava essere ingiustificata la sanzione sotto il profilo dei requisiti tecnici dell'apparecchio (presenza di un monitor, funzionamento elettronico ed impossibilità di visualizzare i premi), ai sensi dell'art. 110 T.U.L.P.S., in seguito all'entrata in vigore della legge n. 289/2002 e successive modificazioni, nonché quanto all'elemento soggettivo, la Corte di appello di Torino, nella resistenza delle appellate amministrazioni, rigettava il gravame e ritenendo l'insussistenza della questione di conflitto con il diritto Europeo, confermava sia l'illiceità dei giochi praticabili con le macchine sequestrate perché, contravvenendo alle prescrizioni di cui al comma 7 dell'art. 110 lett. a) del R.D. 18.6.1931 n. 773, gli apparecchi sequestrati funzionavano con modalità elettroniche ed erano privi di modalità elettromeccaniche, oltre ad essere dotati di video funzionale alla visualizzazione del gioco, sia l'elemento psicologico, avendo lo stesso appellante confessato pienamente la colpa ammettendo di essersi improvvisato imprenditore con l'impiego di giochi di intrattenimento, senza conoscere alcunché.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione lo stesso M. , in entrambe le qualità di cui sopra, affidato a tre motivi, cui hanno resistito le amministrazioni pubbliche con controricorso dell'Avvocatura Generale dello Stato.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente ad un fatto controverso, e precisamente per avere il giudice del gravame omesso di rilevare l'illegittimità comunitaria della normativa nazionale, sostenendosi la contrarietà della disposizione di diritto interno alla disposizione comunitaria di cui all'art. 8 dir. 34/98/CE, con conseguente disapplicazione dell'art. 110 T.U.L.P.S., come modificato dall'art. 22, comma 3, legge n. 289/2002.
Con il secondo motivo di ricorso viene lamentata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente dell'art. 8 dir. 98/34/CE, in relazione alla non corretta affermazione compiuta dalla corte di merito in relazione all'effetto sanante del Decreto AAMS dell'8.11 2005 tempestivamente notificato alla Commissione Europea. In altri termini, la comunicazione delle norme tecniche del decreto del 2005 non avrebbe potuto sanare l'omessa comunicazione delle norme tecniche di cui alla legge n. 289/2002, facendo la contestazione riferimento al comma 7 dell'art. 110.
Le prime due censure vengono esaminate congiuntamente per la evidente continuità argomentativa delle stesse.
Come si rileva dalla sentenza impugnata, con accertamento di fatto incensurabile nella presente sede, l'illecito amministrativo nel caso di specie contestato all'odierno ricorrente e ritenuto dalla corte di merito sussistente, risulta commesso nella vigenza del decreto direttoriale 8 novembre 2005, emanato in forza dell'art. 22, comma 1, legge n. 289/2002, decreto che si sottrae alla censura di illegittimità per contrasto con disposizione comunitaria (attinente al procedimento di emanazione della legge nazionale), perché regolarmente comunicato - Alcune osservazioni appaiono funzionali a dirimere la questione in esame Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire: - che la direttiva comunitaria n. 98/34 del 22 giugno del 1998, che ha sostituito la precedente direttiva n. 189 del 1983, richiede che ciascuno Stato membro debba preventivamente notificare alla Commissione Europea D.G. Imprese i “progetti di regole tecniche” che intende adottare; - che contestualmente deve essere comunicato anche il testo delle disposizioni legislative e regolamentari di base, qualora la conoscenza del testo normativo sia necessaria per valutare la portata del progetto di “regola tecnica” (cfr. art. 7 ed 8 della direttiva citata); - che lo scopo di tale disposizione è chiaramente quello di consentire alla Commissione di avere informazioni complete sul progetto di “regola tecnica”, per accertare che non sussistano rischi di nuovi ostacoli agli scambi commerciali ovvero che tali rischi possano giustificarsi in base al diritto comunitario; - che la disapplicazione della norma nazionale contenente la “regola tecnica” che si assume non notificata alla Commissione in violazione della più volte citata direttiva non può dipendere dalla mera deduzione di una parte processuale.
Ciò posto va anche immediatamente chiarito che lo Stato Italiano ha comunque ritenuto direttamente vincolante l'obbligo di notifica sancito nella citata direttiva come sta evidentemente a dimostrare il D.M. Economia e Finanze 8 novembre 2005 - avente ad oggetto la specificazione delle caratteristiche tecniche e delle modalità di funzionamento degli apparecchi di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 7, - che nel preambolo recita “Vista la direttiva n. 98/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, come modificata dalla direttiva n. 98/48/CE; Esperita la procedura di informazione prevista dalla citata direttiva”. L'aspetto che occorre immediatamente focalizzare al riguardo è quello già posto in luce dalla decisione Cass. pen. n. 12445 del 2006, e, cioè, che l'obbligo di notifica attiene esclusivamente alle disposizioni che introducono o modificano una “regola tecnica”. Quest'ultima viene definita al punto 11 dell'art. 1 della direttiva 98/34/CE e 98/48/CE come “una specificazione tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza è obbligatoria, de iure o de facto, per la commercializzazione, la prestazione di servizi, lo stabilimento di un fornitore di servizi o l'utilizzo degli stessi in uno stato membro o in una parte importante di esso, nonché, fatte salve quelle di cui all'art. 10, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri che vietano la fabbricazione, l'importazione, la commercializzazione o l'utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l'utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi”. Posto, dunque, che solo i provvedimenti normativi che contengano “regole tecniche” devono formare oggetto di notifica, richiamando le premesse iniziali, occorre verificare ora se vi siano state omissioni in relazione alle modifiche che si sono succedute negli anni in relazione al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110 e se ed in che modo le istituzioni comunitarie siano state interessate della questione.
Occorre al riguardo considerare che, in realtà, la Commissione ha già preso posizione sulla questione.
Pronunciandosi sul reclamo n. P/2004/4484 - Italia (SG (2004) A5952) la Commissione Europea - Direzione Generale Impresa e Industria, con nota del 20 settembre 2005, ha chiarito infatti che, per quanto concerne le modifiche apportate al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, sembrano contenere regolamentazioni tecniche che avrebbero dovuto essere notificate:
1) la L. 23 dicembre 2000, n. 388, arti 37, 38, 39;
2) la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 22;
3) il decreto AAMS/DPS dell'11 marzo 2003 (abrogato e sostituito dal decreto 8 novembre 2005, citato, regolarmente notificato).
Sul rilievo che i testi di seguito indicati non contengono regole tecniche ai sensi dell'art. 1, punto 11 della direttiva 98/34/CE, non vengono invece condivisi dalla Commissione i rilievi sviluppati nel reclamo circa l'asserito obbligo di notifica per:
1) il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326;
2) il decreto AAMS/DPS del 4 dicembre 2003;
3) il decreto AAMS del 20 gennaio 2004.
Orbene, poiché l'epoca di accertamento del fatto contestato è quella di fine 2007 e riguardando la contestazione R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 7, lett. a) e c), appare evidente che la normativa applicabile nella specie è quella del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326 - e dal decreto AAMS/DPS dell'8 novembre 2005; provvedimenti tutti, come detto, immuni da censure per quanto attiene all'obbligo di notifica, di talché i primi due motivi di ricorso non possono trovare accoglimento.
Con il terzo ed ultimo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul secondo motivo di appello, riguardante la violazione anche del canone contenuto nell'art. 110 comma 7 bis del T.U.L.P.S., oltre ad ulteriore ed autonoma illegittimità comunitaria della predetta disposizione normativa per violazione del c.d. effetto utile del diritto comunitario. Invero la sentenza di primo grado aveva sostanzialmente accolto l'opposizione quanto alla contestazione relativa alla violazione del comma 7 bis dell'art. 110 T.U.L.P.S., con l'affermazione che l'addebito non trovava la sanzione nel comma 9 e la pronuncia della corte distrettuale, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, sul punto ha riconosciuto che “nel caso di specie gli apparecchi funzionano con modalità elettroniche e sono privi di modalità elettromeccaniche; sono dotati di video funzionale alla visualizzazione del gioco”, per cui era pacifico che gli apparecchi non comportassero elementi di azzardo. Tuttavia questa corte ha già avuto occasione di affermare in materia il principio - condiviso dal collegio - secondo cui in materia di sanzioni amministrative relative all'uso di apparecchi e congegni per il gioco, la previsione dell'art. 110, comma 7 bis del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, secondo cui tali apparecchi e congegni non possono riprodurre il gioco del poker, è da ritenere una norma di chiusura, posta per finalità di ordine pubblico e priva della natura di regola tecnica, poiché non riguarda le caratteristiche strutturali, meccaniche o di funzionamento della macchina, bensì solo le modalità di svolgimento del gioco con essa praticabile (v. Cass. 21 ottobre 2010 n. 21637). Con la conseguenza che non ricorrendo ipotesi di norma tecnica, il legislatore nazionale non è tenuto alla previa comunicazione alla Commissione Europea prevista dall'art. 8 della dir. 34/98/CE.
Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Depositata in Cancelleria il 30.04.2012
05-05-2012 00:00
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