Un Giudice dichiara di astenersi perchè il convenuto è una banca con la quale trattiene rapporti di conto corrente. E' ricorribile il provvedimento di rigetto del capo ufficio?
ORDINANZA N. 240
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 51 e seguenti del codice di procedura civile promossi dal Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Acireale, con due ordinanze del 7 novembre 2011 e con ordinanze del 28 gennaio 2012 e del 28 dicembre 2011, rispettivamente iscritte ai numeri 69, 70, 71 e 72 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2012.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, nel corso di due giudizi civili nei quali risulta convenuto un medesimo istituto di credito, il Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Acireale, in composizione monocratica, con altrettante ordinanze di contenuto identico, emesse il 7 novembre 2011 [iscritte ai numeri 69 e 70 del r.o. del 2012], ha sollevato – in riferimento agli articoli 24, 111 e 113 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli articoli 51 e seguenti del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono che il giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere ad Organo sovraordinato avverso il provvedimento del Capo dell'ufficio»;
che – premesso di avere proposto al Presidente del Tribunale di Catania, in entrambi i giudizi: a) dichiarazione di astensione (ex art. 51, numero 3, cod. proc. civ.), motivata dalla esistenza di rapporti di credito e di debito con l'istituto di credito convenuto in relazione ad un conto corrente nonché a rapporti di investimento finanziario; b) nonché istanza di astensione, fondata su “gravi ragioni di convenienza” (ai sensi dell'art. 51, ultimo comma, cod. proc. civ.), essendo i figli del rimettente soci azionisti dell'istituto e quindi portatori di interessi coincidenti con quelli della banca parte in causa – il giudice a quo rileva che il Presidente del Tribunale ha rigettato, sia la dichiarazione di astensione obbligatoria, sia 1'istanza di astensione facoltativa;
che, analizzata la diversità di ratio, presupposti e regolamentazione dei due tipi di astensione, il rimettente osserva che la situazione relativa ai propri contratti di conto corrente e di investimenti finanziari rientra tra i casi di astensione obbligatoria, rispetto ai quali il codice di rito (art. 51 cod. proc. civ. ed art. 78 disp. att. cod. proc. civ.) non prevede alcuna autorizzazione da parte del Presidente del Tribunale, ma solo una presa d'atto con la conseguente designazione del nuovo giudice; e che, al contrario, nella specie, il Presidente ha rigettato la dichiarazione di astensione obbligatoria sulla base di una pretesa inoffensività dei detti rapporti fra giudice e banca in ragione della “normalità” dei detti rapporti, rientranti nei servizi resi dalla banca “nei confronti di una indeterminata clientela”;
che, a contestazione di tale provvedimento, il rimettente sostiene (con richiamo anche alla giurisprudenza disciplinare del Consiglio superiore della magistratura) la tesi contraria, secondo la quale il giudice costituisce un cliente “particolare”, che esercita importanti e delicate funzioni, e che potrebbe esercitare pressioni sulla banca, o riceverle nei casi in cui sia debitore della banca medesima, con conseguente lesione del valore dell'imparzialità (o del valore della immagine di imparzialità), anche se non ci fosse alcuna pressione né alcun conseguimento dell'obiettivo della pressione, «essendo sufficiente a pregiudicare (agli occhi delle parti in causa e dei cittadini in generale) l'immagine di imparzialità del Giudice la semplice possibilità (prospettazione) dell'esercizio di una pressione da parte della banca sul giudice o da parte del giudice sulla banca»;
che, poi, quanto alla ulteriore istanza di astensione facoltativa (proposta ex art. 51, ultimo comma, cod. proc. civ.) per essere i figli del rimettente azionisti e quindi soci dell'istituto di credito parte del giudizio principale, il giudice a quo (ribadendone la fondatezza) rileva che essa è stata rigettata senza motivazione;
che, ciò premesso, il rimettente ritiene che la mancata tutela dell'interesse del magistrato, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal capo dell'ufficio giudiziario, comporti la violazione degli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, evocati rispettivamente con riferimento ai princípi in base ai quali «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi», «ogni processo si svolge […] davanti ad un giudice terzo ed imparziale» e la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione «non può essere esclusa o limitata […] per determinate categorie di atti»;
che infatti – ribadito che la materia della astensione del giudice non mira soltanto ad assicurare la effettiva imparzialità del giudice, ma anche a garantire che il giudice appaia imparziale (così coinvolgendo non solo l'interesse dell'amministrazione giudiziaria e l'interesse delle parti, ma anche quello del giudice alla propria immagine di imparzialità e al proprio onore) – il rimettente osserva che, allorquando il capo dell'ufficio giudiziario non accolga una legittima dichiarazione di astensione obbligatoria o facoltativa, si avverte (tanto più in presenza di una evoluzione della società italiana secondo modelli più sensibili verso le esigenze dei cittadini, non sentite dal legislatore che approvò il codice di rito) la necessità di uno strumento giuridico che offra al giudice la possibilità di tutelare detto suo interesse; la mancanza del quale determina la lesione degli evocati parametri che consentono o (meglio) impongono l'ampliamento della tutela del valore dell'imparzialità, non solo ex post, ma anche ex ante, esigendo che sia offerta alle parti ed ai cittadini l'immagine stessa di un giudice imparziale;
che, nel corso di altro giudizio civile, in cui è convenuto lo stesso istituto di credito e sono state ugualmente rigettate le istanze di astensione obbligatoria e/o facoltativa proposte al Presidente del Tribunale dal medesimo giudice monocratico del Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, questo, con ordinanza sostanzialmente identica alle precedenti emessa il 28 gennaio 2012 [iscritta al n. 71 del r.o. del 2012], ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24, 111 e 113 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli articoli 51 e seguenti del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono che il giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere ad Organo dell'Amministrazione giudiziaria, sovraordinato, avverso il provvedimento del Capo dell'ufficio»;
che, infine, in altro giudizio civile, ritenuto che «esistono i presupposti per porsi la stessa questione di legittimità costituzionale» sollevata nel giudizio incidentale n. 70 del 2012 (che allega all'atto), il medesimo giudice monocratico del Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, con ordinanza emessa il 28 dicembre 2011 [iscritta n. 72 del r.o. del 2012], ha sospeso il giudizio in attesa che sulla questione si pronunzi la Corte costituzionale;
che, in tutti i giudizi, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che – con identiche argomentazioni – ha concluso per la inammissibilità ovvero per la infondatezza delle sollevate questioni;
che, sotto il primo profilo, la difesa erariale contesta la mancata motivazione della rilevanza della questione, avendo il rimettente omesso (oltre che di valutare in fatto la fondatezza delle domande) di descrivere quali effetti avrebbe, nel giudizio a quo, la richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale; e deduce che la proposizione dell'istanza di astensione dà luogo a un procedimento del tutto distinto dal giudizio in relazione al quale l'istanza stessa è stata formulata, di cui va esclusa la natura giurisdizionale (giacché il conseguente provvedimento del capo dell'ufficio riveste un carattere meramente ordinatorio, espressivo della facoltà di distribuzione del lavoro e, più in generale, della potestà direttiva);
che, nel merito, l'Avvocatura osserva che gli evocati princípi costituzionali non sono conferenti con la richiesta tutela della “immagine” della imparzialità del giudice (attraverso la richiesta previsione della impugnazione del rigetto dell'istanza di astensione) in quanto essi fanno riferimento alla garanzia costituzionale del principio del contraddittorio e alla parità delle “parti” in causa, mentre in nessun modo il giudice della controversia può essere considerato “parte” nel procedimento;
che, inoltre, la difesa dello Stato eccepisce, da un lato, che il rimettente ha mancato di rilevare che, al verificarsi di una delle fattispecie previste dall'art. 51, comma 1, cod. proc. civ., l'ordinamento già stabilisce il rimedio adottabile qualora il giudice non si astenga, perché concede alle parti il potere di proporre istanza di ricusazione (che ove non tempestivamente avanzata, per consolidata giurisprudenza di legittimità, non incide né sulla regolare costituzione dell'organo decidente, né sulla validità della decisione); e, dall'altro lato, che nessuna conseguenza per il giudizio in corso deriva a seguito del rigetto della istanza di astensione.
Considerato che con le ordinanze n. 69, n. 70 e n. 71 del 2012, il Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Acireale, in composizione monocratica, censura gli artt. 51 e seguenti del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono che il giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere ad Organo [“dell'Amministrazione giudiziaria”: solo ordinanza n. 71 del 2012] sovraordinato avverso il provvedimento del Capo dell'ufficio»;
che, secondo il giudice a quo, le norme censurate si porrebbero in contrasto con gli articoli 3 [citato solo nell'ordinanza n. 71 del 2012], 24, 111 e 113 della Costituzione (evocati rispettivamente con riferimento ai princípi in base ai quali: a) «tutti i cittadini […] sono eguali davanti alla legge», «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi», b) «ogni processo si svolge […] davanti ad un giudice terzo ed imparziale», c) la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione «non può essere esclusa o limitata […] per determinate categorie di atti»), poiché – in una materia che non mira soltanto ad assicurare la effettiva imparzialità del giudice, ma anche a garantire che il giudice appaia imparziale (così coinvolgendo, oltre l'interesse dell'amministrazione giudiziaria e delle parti, anche quello del giudice alla propria immagine di imparzialità e al proprio onore) – la mancata tutela dell'interesse del magistrato, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal capo dell'ufficio giudiziario, determina la lesione degli evocati parametri che consentono o (meglio) impongono l'ampliamento della tutela del valore dell'imparzialità, non solo ex post, ma anche ex ante, esigendo che sia offerta alle parti ed ai cittadini l'immagine stessa di un giudice imparziale;
che con l'ordinanza n. 72 del 2012, il medesimo giudice – ritenuto che «esistono i presupposti per porsi la stessa questione di legittimità costituzionale» sollevata nel giudizio incidentale iscritto al n. 70 del 2012 – ha sospeso il giudizio in attesa della pronuncia di questa Corte sulla sollevata questione;
che, poiché le quattro ordinanze riguardano la medesima questione di legittimità costituzionale, i giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente decisi;
che, preliminarmente, va rilevato che l'ordinanza n. 72 del 2012 non ha rimesso espressamente alla Corte la questione prospettata, ma ha solo rilevato che essa già pende a seguito di altra ordinanza di rimessione emessa in altro procedimento promosso avanti allo stesso ufficio, e ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della sua definizione;
che – considerato che, in assenza di qualsiasi manifestazione della volontà del giudicante di rimettere gli atti davanti a questa Corte per la soluzione di un giudizio di costituzionalità – il provvedimento è inidoneo a promuovere il giudizio incidentale (ordinanze n. 9 del 1991, n. 28 del 1994, n. 264 del 1995 e n. 216 del 2001), onde l'ordinanza risulta irricevibile e gli atti devono essere rinviati al giudice a quo;
che, relativamente alle altre ordinanze di rimessione [numeri 69, 70 e 71 del 2012], va innanzitutto rilevato (come eccepito in termini di inammissibilità dall'Avvocatura generale dello Stato) che, a prescindere dalla completa carenza di descrizione delle fattispecie concrete sottoposte all'esame del rimettente nei giudizi a quibus, esse non contengono (se non per l'apodittica affermazione del fatto che il singolo giudizio «non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale» proposta) alcuna argomentazione che consenta alla Corte di verificarne la effettiva rilevanza;
che – quand'anche si assumesse (sulla base della prospettazione, peraltro anch'essa non meglio motivata sul punto) che il singolo processo principale non sia stato utilizzato quale mera occasione per proporre il vaglio di costituzionalità, riguardante propriamente la impugnabilità del provvedimento amministrativo del capo dell'ufficio di diniego della dichiarazione e/o dell'istanza di astensione asseritamente illegittimo – va infatti sottolineato che, se è vero che «il magistrato, prima di procedere alla cognizione della causa, ha certamente il potere-dovere di verificare la regolare costituzione dell'organo giudicante, anche in rapporto alla legittimità costituzionale delle norme che la disciplinano», tuttavia al magistrato ciò è «consentito unicamente al fine di accertare l'inesistenza di vizi relativi alla propria costituzione, tali da determinare nullità insanabile e rilevabile d'ufficio […]; ossia, trattandosi di giudice singolo, di vizi concernenti la sua nomina e le altre condizioni di capacità stabilite dalle leggi d'ordinamento giudiziario» (sentenza n. 71 del 1975; ordinanza n. 177 del 2011);
che viceversa il rimettente ha completamente omesso qualunque considerazione in ordine alle eventuali ricadute dei denunciati vizi attinenti (la costituzione o) la designazione del giudice sul versante della validità del singolo processo a quo nonché della eventuale incidenza della mancata astensione sulla concreta definizione della specifica res iudicanda ivi dedotta (ordinanza n. 177 del 2011);
che, inoltre, il rimettente invoca una pronuncia additiva che, da un lato, necessiterebbe da parte di questa Corte della individuazione (certamente non “a rime obbligate”) di quale sia l'autorità “sovraordinata” al capo dell'ufficio, cui attribuire il compito di valutare la eventuale illegittimità del diniego alla astensione; e che, dall'altro lato, presupporrebbe in pari tempo un intervento manipolativo di sistema, che – attraverso la richiesta di introdurre la possibilità di impugnazione da parte del giudicante del diniego opposto alla dichiarazione ovvero alla richiesta di astensione – verrebbe a snaturare il meccanismo amministrativo di carattere meramente ordinatorio (sentenza n. 123 del 1999) disciplinato dalle norme censurate, per trasformarlo in un procedimento del quale dovrebbero essere altresì configurati fasi e gradi;
che, pertanto – in un ámbito, quale quello della disciplina del processo e della conformazione degli istituti processuali, caratterizzato dalla ampia discrezionalità spettante al legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute (sentenza n. 17 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012 e n. 141 del 2011) – la questione risulta, anche sotto questo aspetto, inammissibile, in quanto diretta a chiedere a questa Corte un intervento non costituzionalmente obbligato, oltre che largamente creativo, come tale riservato al legislatore (sentenza n. 36 del 2012; ordinanze n. 36 e n. 7 del 2012), al quale è tradizionalmente attribuito l'apprestamento di misure idonee a salvaguardare il valore costituzionale della imparzialità del giudice, ove non ritenga che esso sia sufficientemente assicurato dagli istituti dell'astensione e della ricusazione (sentenza n. 287 del 2007);
che, infine, ulteriore profilo di inammissibilità va ravvisato nel fatto che il rimettente – premesso di avere «proposto al Presidente del Tribunale di Catania contemporaneamente dichiarazione di astensione obbligatoria ed istanza di astensione facoltativa» – osserva che il primo comma dell'art. 51 cod. proc. civ. «prevede che in caso di astensione obbligatoria il giudice faccia una “dichiarazione di astensione” per la cui accettazione non è prevista la autorizzazione da parte del Capo dell'Ufficio», al quale non residua che l'obbligo di designare altro giudice per la trattazione della causa;
che – a fronte della adesione del rimettente a siffatta opzione ermeneutica – il petitum invocato si pone in intrinseca contraddizione (sentenza n. 261 del 2011 e ordinanza n. 126 del 2012) rispetto alla premessa interpretativa fatta propria dal medesimo, giacché l'affermata assenza di poteri valutativi e decisori del capo dell'ufficio in merito alla dichiarazione di astensione obbligatoria avrebbe semmai comportato la necessità di individuare, in termini di ricadute processuali, la concreta incidenza nel giudizio a quo del diniego opposto dal Presidente del Tribunale, oltre che le eventuali conseguenze della condotta dello stesso sotto il profilo ordinamentale;
che, inoltre, la rilevata contraddittorietà della motivazione fa anche trasparire il dubbio che il rimettente cerchi di utilizzare in modo improprio e distorto la proposizione dell'incidente di costituzionalità, non già per pervenire alla soluzione di un problema pregiudiziale rispetto alla definizione del thema decidendum del singolo giudizio a quo, quanto piuttosto al fine di tentare di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo (ordinanze n. 126 e n. 26 del 2012) finalizzato alla regolamentazione dei propri rapporti con il capo dell'ufficio;
che di conseguenza la questione di legittimità costituzionale, sollevata con le ordinanze n. 69, n. 70 e n. 71 del 2012, è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina il rinvio al Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Acireale, degli atti del giudizio cui si riferisce l'ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al n. 72 del r.o. del 2012;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 51 e seguenti del codice di procedura civile, sollevata dal Tribunale ordinario di Catania, sezione distaccata di Acireale – in riferimento agli articoli 24, 111 e 113 della Costituzione – con le ordinanze indicate in epigrafe, iscritte ai numeri 69 e 70 del r.o. del 2012, nonché – in riferimento agli articoli 3, 24, 111 e 113 della Costituzione – con l'ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al n. 71 del r.o. del 2012.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2012.
27-10-2012 11:17
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