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Sentenza

Vendita azienda fallita. Diritto di prelazione dell'affittuario....
Vendita azienda fallita. Diritto di prelazione dell'affittuario.
Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. Sente. del 01.03.2012, n. 3225
Presidente Plenteda - Relatore Cultrera

Svolgimento del processo

La società I. s.r.l., affittuaria giusta contratto stipulato con gli organi fallimentari il 25 maggio 1997, di un ramo d'azienda della società I. s.p.a ammessa dal Tribunale di Bari alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, ricevuta a mezzo raccomandata, inviatale il 21.6.2006 dagli organi della procedura per comunicare il recesso dal contratto, la notizia dell'aggiudicazione del medesimo complesso industriale seguita alla vendita per pubblici incanti in favore della società L. s.r.l. ed al prezzo di Euro 2.923.071,00, con raccomandata 23.6.2006 ha manifestato agli organi della procedura la volontà d'esercitare il diritto di prelazione riconosciutale nella veste indicata dall'art. 3 comma 4 della legge n. 223/91. Nonostante il parere favorevole sia del commissario giudiziale che del comitato dei creditori, il giudice delegato, rilevando che la possibilità di recesso prevista nel contratto era incompatibile con la prelazione, ha rigettato l'istanza con decreto 21.7.2006, contro cui la società I. ha proposto reclamo ai sensi dell'art. 26 legge fall, al Tribunale fallimentare rappresentando l'illegittimità di quel provvedimento. Nel contraddittorio con la società aggiudicataria, che ha dedotto l'inapplicabilità al caso di specie della noma invocata dalla reclamante, sia per difetto dei suoi requisiti soggettivi dimensionali, sia perché la vendita aveva avuto ad oggetto un immobile e non l'intero complesso industriale affittato, sia perché, caducato il rapporto in forza del recesso dal contratto comunicato dagli organi della procedura, non poteva essere esercitata la prelazione, il Tribunale, con decreto n. 11044 depositato il 18 ottobre 2008, ha accolto il reclamo ed ha per l'effetto aggiudicato alla I. il complesso controverso al prezzo definitivo d'aggiudicazione.
Avverso questo provvedimento ricorre per cassazione la società aggiudicataria L. s.r.l. in base a otto motivi resistiti dalla società I. con controricorso.

Motivi della decisione

I primi quattro motivi del ricorso, che coinvolgono medesima questione rappresentata in distinti profili, deducono:
1- violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 legge n. 223/1991. Il diritto in questione, secondo la ricorrente, deve essere interpretato all'interno di norme giuslavoristiche ed in coerenza con i principi informatori della legge, sì che la prelazione, che è eccezionale, postula l'assoggettabilità dell'impresa sottoposta a procedura concorsuale alla disciplina della CIGS, dunque l'esistenza del requisito dimensionale. Il quesito di diritto chiede se, a mente del quadro normativo in rubrica, il diritto di prelazione spetti all'affittuario di azienda sottoposta a procedura concorsuale che possegga i requisiti dimensionale per essere ammessa alla CIGS; 2.- violazione e falsa applicazione dell'art. 104 bis legge Cefali, e degli artt. 1 e 3 legge n. 223/1991. Si sostiene anzitutto l'inapplicabilità ratione temporis del richiamato art. 104 bis legge fall., indi la sua inapplicabilità siccome si riferisce alla prelazione convenzionale. Il quesito di diritto chiede se l'art. 104 bis legge fall., introdotto dal d.lgs n. 5/2006 si applichi al caso in cui il diritto di prelazione sia stato esercitato in data precedente alla data di entrata in vigore del citato decreto, e comunque se abbia fatto venir meno il requisito dimensionale previsto dagli artt. 1 e 3 commi 1 e 4 legge n. 223/1991; 3.- violazione e falsa applicazione degli artt. 3 commi 1 e 4. Si censura l'impugnato decreto laddove assume la non necessità del mantenimento in servizio dei dipendenti dell'impresa sottoposta alla procedura concorsuale ai fini del legittimo esercizio della prelazione. La I. , all'atto della stipula del contratto d'affitto d'azienda, secondo quanto si rappresenta nel motivo, intese rilevare il bene produttivo, comprensivo di immobili, impianti e macchinari, e non anche il personale dipendente, in deroga, espressamente prevista, al disposto dell'art. 2112 c.c.. Il quesito di diritto chiede se, ai sensi delle norme richiamate, il diritto di prelazione spetti all'affittuario dell'azienda sottoposta a procedura concorsuale a condizione che l'affitto eviti l'erogazione della CIGS, garantendo la continuità del rapporto di lavoro; 4.- violazione e falsa applicazione dell'art. 3 comma 2 n. 1 legge n. 223/1991. Il motivo ribadisce la precedente censura, sull'assunto che nel caso in discussione né venne concesso il trattamento in favore dei dipendenti, né vi erano fondate prospettive di ripresa dell'attività e del mantenimento del livello occupazionale, tant'è che il contratto d'affitto escluse la continuità dei rapporti lavorativi in atto. Il quesito di diritto chiede se la norma in rubrica postuli il necessario requisito del mantenimento in servizio dei dipendenti dell'impresa sottoposta al concordato.
La resistente ha dedotto l'infondatezza di ciascuna delle censure evidenziando che: 1.- il Tribunale ha correttamente individuato il fine perseguito per mezzo della norma, dandone adeguata motivazione; 2.- il richiamo all'art. 104 bis legge fall., rappresenta mero argomento esplicativo e non autonoma ratio decidendi; 3.- la tesi richiamata dalla ricorrente è smentita dagli stessi precedenti citati, malamente utilizzati; 4.- trattasi di mera ripetizione delle precedenti censure.
Il primo motivo di ricorso appare fondato.
Sostiene il Tribunale di Bari col decreto impugnato, discostandosi dal consolidato orientamento che rivisita criticamente, che la finalità incentivante e in qualche i misura premiale sottostante il diritto di prelazione attribuito all'affittuario dell'azienda o di un ramo della stessa azienda dall'art. 3 della legge n. 223/1991 si correla alla situazione ex se considerata, senza ulteriori condizioni, essendo strumentale al fine di mantenere in esercizio l'azienda nell'interesse dell'economia e della massa. Pur aderendo alla tesi che prevede il diritto di prelazione in favore dell'affittuario dell'azienda senza il ricorso di ulteriori condizioni, il giudice fallimentare rileva nondimeno, in concreto, che il requisito dimensionale esisteva in quanto i lavoratori della società, licenziati nel maggio 1997, erano stati reintegrati nel posto di lavoro per effetto del provvedimento reso dal Tribunale in data 10.12.1999 ai sensi dell'art. 28 legge n. 300/1978, confermato con sentenza provvisoriamente esecutiva pronunciata in data 8.7.2004, contro cui è stato proposto gravame ancora pendente, i cui effetti operano ex tunc. Per l'effetto, la facoltà di recesso prevista in contratto in caso di vendita dell'azienda non avrebbe potuto privare l'affittuario del diritto di prelazione, il cui esercizio era altresì contrario a buona fede e nella specie era intervenuto quando il diritto si era già attualizzato.
Il consolidato orientamento giurisprudenziale, che la decisione impugnata dichiara di ripudiare, ha interpretato la disposizione normativa contenuta nell'art. 3 comma 4 della legge n. 223/91, che prevede “l'imprenditore che a titolo d'affitto abbia assunto la gestione, anche parziale, di aziende ed imprese assoggettate alle procedure di cui al comma 1, può esercitare il diritto di prelazione nell'acquisto delle medesime. Una volta esaurite le procedure previste dalle norme vigenti per la definitiva determinazione del prezzo di vendita, l'autorità che ad essa procede provvede a comunicare entro dieci giorni il prezzo così stabilito all'imprenditore cui sia riconosciuto il diritto di prelazione”, leggendola nel contesto normativo in cui è inserita, dettato in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamento di occupazione. In coerenza con le esigenze che ne sottendono la ratio in questa specifica chiave, ha posto l'accento sull'esigenza, cui mira il complessivo impianto normativo, di “fornire all'impresa sottoposta a procedura concorsuale una disciplina organica che, lontana da logiche di emergenza, consenta l'accesso alle provvidenze in materia d'integrazione salariale sia in funzione, nel caso considerato di crisi irreversibile dell'impresa, di sostegno non già all'impresa stessa, come nei casi ordinari, ma del reddito dei lavoratori in attesa di reimpiego, sia come strumento d'incentivo alla ripresa dell'attività produttiva, stimolata proprio dalla prelazione concessa a chi, prendendo in affitto l'azienda in crisi, ne salvaguardi il mantenimento in vita, evitandone lo smembramento conseguente alla liquidazione”. Il diritto di prelazione previsto dal comma 4 è pertanto correlato, in logica congruenza,con la previsione del comma 2 che stabilisce che, se entro il termine di scadenza di cui al comma 1, vale a dire 12 mesi, emergono fondate prospettive di continuazione dell'attività d'impresa o di ripresa dell'attività produttiva attraverso la cessione anche parziale ed a qualunque titolo dell'azienda, il trattamento può essere prorogato per sei mesi. Il corollario attribuisce dunque la prelazione all'impresa affittuaria dell'azienda solo se abbia occupato almeno il numero minimo di 15 dipendenti per beneficiare della cassa integrazione, strutturando quel diritto quale “speciale incentivo di carattere sociale”, che opera solo se l'affittuario, garantendo la continuazione dell'attività lavorativa dei dipendenti dell'impresa fallita, eviti l'erogazione da parte dello Stato di provvidenze di carattere sociale a favore dei lavoratori medesimi, ed è invece escluso se, per difetto dei necessari presupposti di legge, all'impresa fallita non può essere applicato il trattamento di intervento straordinario previsto nella citata legge n. 223 del 1991. Alla luce di tale principio, univoco nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 5643/2000, 9694/2006, 4852/98) al quale, in piena condivisione, s'intende dare continuità in questa sede senza necessità di rivisitazione, la soluzione prospettata in tesi dal Tribunale fallimentare di Bari risulta errata, restando indiscusso che l'istituto controverso si applica solo se l'impresa sottoposta alla procedura concorsuale, alla data del contratto del contratto d'affitto dell'azienda, sia in possesso del requisito, previsto dal comma 1 della norma considerata, necessario per usufruire dell'intervento straordinario di integrazione salariale, condizione questa nella specie insussistente. L'accoglimento della censura, che richiama fondatamente il citato enunciato, assorbe l'esame dei restanti riferiti motivi, ed in particolare del motivo con cui si adduce che il subentro dell'affittuaria nei rapporti con i dipendenti venne espressamente escluso nel contratto d'affitto d'azienda. Trattasi infatti di circostanza del tutto marginale alla luce dell'incontrovertibile presenza, secondo quanto si afferma nel decreto impugnato, di forza lavoro di sole otto unità alle dipendenze della società INES alla data in cui detta società ebbe accesso alla procedura di concordato, che precludeva a quella data, così come a quella successiva della stipula del contratto di affitto, quello al beneficio della CIGS. Parimenti superata è la questione agitata in relazione all'applicabilità della prelazione “convenzionale” prevista dal disposto dell'art. 104 bis legge fall., che argomentata, peraltro, a fine meramente esplicativo, neppure rappresenta autonoma ratio decidendi.
Le ulteriori censure, esposte nei motivi 5, 6 e 7 investono in plurimi profili, il passaggio logico del decreto impugnato che, pur dando atto dell'effettiva esistenza alla data indicata di soli otto lavoratori in forza presso la società Ines, nondimeno, assume la sussistenza del requisito dimensionale alla data del contratto d'affitto, essendo stati i dipendenti licenziati reintegrati in sevizio con sentenza del giudice del lavoro dell'8 luglio 2004. In particolare: il 5 motivo deduce violazione dell'art. 28 legge n. 300/1970 e degli artt. 282 e 431 c.p.c. atteso che la decisione del giudice del lavoro, pronunciata in relazione ad ipotesi di condotta antisindacale, non potrebbe avere effetto nei confronti dei terzi, tantomeno potrebbe essere opposta retroattivamente all'INPS ai fini dell'erogazione ai lavoratori della CIGS. Il conclusivo quesito di diritto chiede se la sentenza emessa ai sensi dell'art. 28 legge n. 300/1970 possa avere effetti nei confronti del terzi; il 6 motivo denuncia violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e, rilevando che la decisione del giudice del lavoro è stata sottoposta a gravame non ancora definito, si conclude con quesito di diritto che chiede se una sentenza non ancora passata in giudicato possa avere effetto nei confronti dei terzi; il 7 motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 28 della legge n. 300/1970, e, sull'assunto che l'accoglimento del ricorso proposto in relazione a condotta antisindacale ivi previsto, determina il ripristino del rapporto di lavoro ex nunc, chiede con quesito di diritto se il decreto emesso a mente dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, anche ove preveda la riammissione in servizio dei dipendenti, abbia tale effetto immediato e non retroattivo.
La resistente deduce l'infondatezza dei motivi.
La questione rappresentata risulta priva di rilevanza nell'economia della tematica controversa atteso che, ai fini dell'applicazione della prelazione di cui si discute, occorre aver riguardo allo stato di fatto sussistente effettivamente alla data della stipula del contratto d'affitto d'azienda, rispetto al quale la reintegra disposta dall'autorità giudiziaria rappresenta fatto sopravvenuto, in quanto tale ininfluente. La decisione impugnata, prendendo in considerazione il preteso effetto retroattivo della pronuncia, neppure definitiva, che ha accolto il ricorso che ebbe a denunciare la condotta antisindacale della società INES, pone pertanto un parametro di riferimento del tutto artificioso, inutilizzabile al fine della verifica del necessario nesso di consequenzialità fra prelazione e mantenimento del preesistente livello occupazionale, individuato, a livello normativo, nel solo fatto che l'impresa che affittò l'azienda, in quel considerato momento, versasse nella condizioni per usufruire delle provvidenze di legge. E la circostanza è pacificamente insussistente nella specie, dal momento che, secondo quanto accertato dai giudici del merito, già alla data del 9.2.1998, di ammissione della società Ines alla procedura di concordato preventivo, le maestranze, sospesa l'attività produttiva sin dal mese di maggio del 1997, erano state licenziate con conseguente attivazione della mobilità.
Resta assorbito l'8 motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 comma 4 legge n. 223/1991 e 212 e 2555 c.c., sull'assunto che la vendita de qua ha avuto ad oggetto non già l'azienda ma solo l'immobile, impianti ed arredi, ne abbia realizzato la disgregazione, si che non poteva operare la discussa prelazione e si conclude con quesito di diritto, formulato in coerenza con l'articolata denuncia.
Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere accolto ed il decreto impugnato deve essere cassato con pronuncia nel merito, in presenza di esauriente istruttoria, di rigetto del reclamo proposto dalla società I. , con compensazione delle spese dell'intero giudizio, giustificata alla luce dell'articolazione e complessità della vicenda esaminata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito rigetta la domanda di prelazione proposta dalla società I. . Compensa per l'intero le spese dell'intero giudizio.

Depositata in Cancelleria il 01.03.2012
Avv. Antonino Sugamele

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