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Sentenza

Certificato di deposito al portatore: il solo possesso non basta a legittimare l...
Certificato di deposito al portatore: il solo possesso non basta a legittimare la pretesa del credito.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 marzo – 20 giugno 2013, n. 15524
Presidente Piccialli – Relatore Bianchini

Svolgimento del processo

1 - L.R.L. citò, con atto notificato il 30 settembre 1998, innanzi al Tribunale di Catania, la nipote L.R.F.A. esponendo: che assieme al marito C.G. , essa attrice aveva costituito un certificato di deposito al portatore presso la Banca Nazionale del lavoro, dell'importo di lire 43 milioni; che, successivamente al decesso del coniuge, avvenuto nel 1995, stante le proprie precarie condizioni di salute, aveva dato incarico alla suddetta nipote si riscuotere gli interessi semestrali dal predetto titolo rappresentativo per poi consegnarli ad essa esponente, unica avente diritto; che tale incarico sarebbe stato eseguito sino all'agosto del 1997, allorché la convenuta aveva sostituito il certificato al portatore con uno nominativo a se stessa intestato; che a fronte della proprie rimostranze, la nipote aveva affermato di esser titolare delle somme portate dal certificato, in quanto donatele dal defunto zio; che a seguito di ciò aveva denunziato la congiunta per i reati di truffa ed appropriazione indebita.
2 — Subentrato il figlio dell'attrice, M. , nella posizione delle predetta, deceduta nel corso del giudizio, e costituitasi L.R.F.A. sostenendo la tesi della donazione da parte dello zio, l'adito Tribunale, con sentenza n. 2120/2003, dichiarò che l'importo del certificato nominativo era di esclusiva pertinenza di L.R.M. , quale erede della madre, atteso che dall'istruttoria della causa sarebbe emerso che l'originario titolo al portatore era stato costituito con denaro del C. , pervenendo poi nella disponibilità esclusiva della vedova; ritenne inoltre che non fosse stata fornita alcuna prova della donazione delle somme dallo zio alla nipote né tanto meno della materiale consegna del titolo dal primo alla seconda, di tal che, osservò sempre il Tribunale, la stessa convenuta, rispondendo a capitolo di interpello, aveva affermato che l'anziano zio avrebbe manifestato la volontà di destinare, in futuro, ad essa convenuta, le somme portate dal titolo rappresentativo.
3 — Nel porre in esecuzione la sentenza Michele La Torre era venne a conoscenza che, nel 1999, la convenuta aveva denunziato lo smarrimento del titolo, ottenendone il rimborso; da tale circostanza era scaturita nuova denunzia per truffa e falso ideologico di L.R.F.A. , la quale era stata condannata, per questo reato, in primo grado.
4 — La predetta impugnò la sentenza n. 2120/2003, contrastata da L.R.M. ; la Corte di Appello di Catania accolse la impugnazione dichiarando la pertinenza del certificato di deposito all'appellante sostenendo: che siccome il libretto di risparmio al portatore — al quale evidentemente assimilava il certificato di deposito- doveva essere in tutto equiparato ad un titolo di credito nominativo e quindi, dotato degli stessi requisiti di astrattezza e autonomia, il possessore dello stesso ben poteva chiederne la trasformazione per il tramite dell'intestazione nominativa; che sarebbe stato quindi onere del "tradens" di fornire la prova del rapporto causale a giustificazione della traditio, per titolo diverso, tale da non legittimare parte appellante alla riscossione; che, in punto di fatto, sarebbe stato pacifico che la defunta zia avrebbe affidato alla nipote il certificato di deposito per riscuotere gli interessi, nell'ambito di un rapporto fiduciario e che le testimonianze valorizzate in primo grado sarebbero state suscettibili di diversa valutazione.
5 — Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso L.R.M. , facendo valere tre motivi; ha risposto L.R.F.A. con controricorso.

Motivi della decisione

1 — Con il primo motivo si denunzia la presenza di vizi di motivazione — nella loro triplice manifestazione portata dall'art. 360, 1 comma n.5 c.p.c. — nel percorso logico seguito dalla Corte distrettuale laddove riconobbe una pretesa donazione da parte del C. delle somme portate dal certificato di deposito, mentre la circostanza sarebbe stata negata dalla stessa appellante in sede di interpello, allorquando aveva riferito dell'intendimento dello stesso C. a destinarle in futuro le somme portate nel certificato stesso e non già di donargliele all'attualità, così da togliere credibilità a quella testimonianze di parte allora convenuta che avevano invece confermato la donazione.
1.a — Con ulteriore articolazione del medesimo motivo — espressa solo in sede argomentativa- si fa valere la violazione dell'art. 782 cod. civ. avendo rinvenuto, la Corte distrettuale, che potesse sussistere un atto di donazione anche in assenza di atto pubblico.
1.b - Il motivo, da un lato è sfornito di un quesito à sensi dell'art. 366 bis c.p.c. nella parte interessata dalla sostanziale violazione ex art. 782 c.p.c.; dall'altro è infondato in quanto la ratio decidendi posta a base della decisione era basata sull'astrattezza processuale che caratterizza il titolo di credito - al quale la Corte catanese equiparò il certificato di deposito- ed alla mancata soddisfazione dell'onere probatorio dell'esistenza di una causa accipiendi che non legittimasse la nipote dell'originaria titolare a disporre del titolo: dunque non — in positivo- sull'affermazione dell'esistenza di una donazione da parte del defunto C. o della coniuge superstite.
2 - Con il secondo motivo, connesso logicamente al primo, il vizio di motivazione come sopra esposto viene messo in relazione alla mancata prova della effettiva e legittima disponibilità del certificato di deposito da parte della contro ricorrente, dal momento che la stessa non avrebbe provato né che il C. le avesse affidato il titolo né che lo stesso fosse stato gestito per causa diversa dal rapporto di mandato intrattenuto con la zia per la riscossione periodica degli interessi.
3 - Con il terzo motivo il vizio di motivazione viene rapportato alla ritenuta mancata dimostrazione che il titolo fosse stato sottratto dalla nipote, non valutando le vicende che avevano portato la stessa alla trasformazione del titolo in nominativo né la tesi sostenuta dalla allora convenuta nel costituirsi in giudizio — lamentandosi in quella sede di aver dovuto restituire il titolo trasformato in nominativo alla zia - e neppure la circostanza che il procedimento penale si era concluso con la condanna della nipote.
4 — I due motivi appaiono fondati in quanto la pretermissione, nello svolgimento argomentativo della sentenza, della descrizione e dell'analisi delle vicende che avrebbero portato la nipote a gestire in autonomia il titolo, minava la tenuta logica della motivazione che, nell'applicare i principi della inversione dell'onere della prova della titolarità del diritto incorporato nel titolo, aveva dato per accertata quella che costituiva invece la premessa minore del ragionamento, vale a dire la volontaria traditio del titolo rappresentativo da parte del titolare che, solo se positivamente verificata (superando quindi le emergenze di fatto ricavabili dai giudizi penali e la contraddittorietà tra la tesi originariamente sostenuta dalla contro ricorrente in merito alla donazione da parte del C. delle somme portate dal certificato e quella successivamente portata avanti nel corso del processo), avrebbe consentito di far beneficiare, chi aveva la materiale disponibilità dello stesso, della presunzione di titolarità delle somme o dei valori da esso rappresentati.
5 - Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso e respinge il primo; cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti; rinvia alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Avv. Antonino Sugamele

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