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Sentenza

Contratti agrari. Colonia parziaria e fondo rustico....
Contratti agrari. Colonia parziaria e fondo rustico.
Cassazione civile  sez. III   
Data:
    18/04/2013 ( ud. 13/03/2013 , dep.18/04/2013 ) 
Numero:
    9459

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE TERZA CIVILE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. FINOCCHIARO Mario                             -  Presidente   -
    Dott. PETTI       Giovanni Battista                 -  Consigliere  -
    Dott. UCCELLA     Fulvio                            -  Consigliere  -
    Dott. VIVALDI     Roberta                           -  Consigliere  -
    Dott. FRASCA      Raffaele                     -  rel. Consigliere  -
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 3405-2007 proposto da: 
    SOVRANO  MILITARE  ORDINE DI MALTA in persona  del  Gran  Cancelliere 
                         MA.JE.PI.MA.LO.CH., elettivamente domiciliato 
    in ROMA, VIA DE' PREFETTI 26, presso lo studio dell'avvocato ORESTANO 
    ANDREA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
                       M.S.W. in proprio e quale procuratore dei  Sigg. 
               M.L. e             M.G., domiciliato ex lege in  ROMA, 
    presso  la  CANCELLERIA  DELLA CORTE DI CASSAZIONE,  rappresentato  e 
    difeso dall'avvocato SPADA GIACOMO giusta delega in atti; 
                                                     - controricorrente - 
    avverso  la  sentenza n. 318/2006 della CORTE D'APPELLO  di  CATANIA, 
    SEZIONE AGRARIA, depositata il 14/06/2006, R.G.N. 1688/2000; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    13/03/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA; 
    udito l'Avvocato ANDREA ORESTANO; 
    udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    p. 1. Il Sovrano Militare Ordine di Malta ha proposto ricorso per cassazione contro M.S.W., in proprio e nella qualità di procuratore di M.L. e M.G., avverso la sentenza del 14 aprile 2006, con la quale la Sezione Specializzata Agraria presso la Corte d'Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza resa in primo grado dalla Sezione Specializzata Agraria presso il Tribunale di Siracusa ed in parziale accoglimento dell'appello principale dell'intimato nella qualità, ha condannato esso ricorrente al pagamento della somma di Euro 232.697,81 ed ha rigettato l'appello incidentale dello stesso ricorrente.

    p. 2. Il giudizio era stato introdotto dal qui ricorrente con ricorso del novembre 1989 contro i germani A., S., L. e M.G., per ottenere - in ragione del mancato esercizio della facoltà di conversione ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 34, lett. a), - la declaratoria della cessazione alla data del 10 novembre 1989 e comunque della risoluzione per inadempimento del rapporto di colonia parziaria corrente con i convenuti, relativamente ad un fondo rustico agrumetato sito nel territorio di Noto, con consequenziale condanna al rilascio ed al risarcimento dei danni nella misura di L. 200.000.000 od in quella diversa risultate da consulenza tecnica.

    p.2.1. I germani convenuti si erano costituiti tramite il loro procuratore M.S.W., chiedendo il rigetto dell'avversa domanda e svolgendo domande riconvenzionali per ottenere: il pagamento della indennità dovuta per la trasformazione e l'impianto ad agrumeto di otto ettari del fondo (almeno nel tenore originario della domanda) per l'importo di L. 200.000.000 o per quello diverso accertando; il rimborso di quanto speso per il ripristino dei caseggiati rurali, per la sostituzione delle condutture dell'acqua potabile, per la rete fognaria e il fosso perdente, per la realizzazione dei servizi igienici e per la messa in servizio di una trivella per l'importo di L. 20.000.000; il rimborso della somma di L. 12.387.409 per la riparazione della rete fognaria a seguito di autorizzazione data da un'ordinanza cautelare emessa dal Tribunale il 2 agosto 1989; il risarcimento del danno per L. 600.000.000 o per la diversa somma maggiore o minore risultante in corso di causa, in ragione della deficitaria produzione del fondo causata dalla insufficienza di approvvigionamento dell'acqua e dalla mancata ristrutturazione della rete di irrigazione.

    p.2.2. Il giudizio veniva interrotto all'udienza del 20 novembre 1991 per il decesso dei resistenti S. ed M.A. e, quindi, riassunto lo stesso giorno dal ricorrente nei confronti degli eredi dei medesimi.

    p.2.3. Con sentenza del novembre 2000 la Sezione Specializzata Agraria dichiarava cessato al 10 novembre 1989 il rapporto di colonia, convalidava un sequestro giudiziario che l'attore aveva ottenuto in corso di causa riguardo al fondo, dichiarava improcedibile la domanda di risoluzione per inadempimento proposta dal medesimo e rigettava le domande riconvenzionali delle parti resistenti, compensando le spese processuali.

    p.3. L'appello principale riguardava soltanto il rigetto della domanda riconvenzionale, mentre quello incidentale del qui ricorrente soltanto la statuizione sulle spese.

    p.4. Al ricorso del Sovrano Militare Ordine di Malta ha resistito con controricorso l'intimato, in proprio e nella qualità di procuratore di L. e M.G..

    p.5. Il ricorrente ha depositato memoria.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    p.1. Preliminarmente dev'essere dichiarata inammissibile l'eccezione di acquiescenza tacita del ricorrente alla sentenza impugnata, formulata dal resistente in chiusura del controricorso, sotto il profilo che il ricorrente avrebbe pagato quanto da essa previsto senza fare alcuna riserva di impugnazione.

    Invero, nessuna indicazione specifica a sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 6 del pagamento e delle sue modalità è stata fornita nel controricorso e, dunque, la Corte non è messa in grado conoscere il fatto integratore dell'eccezione perchè non si è in alcun modo individuato l'atto o gli atti dai quali si dovrebbe desumere e nemmeno s'è detto se esso o essi siano stati prodotti in questa sede e dove.

    p.1.1. In ogni caso, la replica svolta nella memoria dal ricorrente, nel senso che il pagamento venne eseguito dopo un preannunzio di esecuzione e di precetto, sarebbe stata pienamente idonea ad evidenziare l'infondatezza dell'eccezione (sulla questione, ex multis, perfettamente in termini con lo svolgimento della vicenda siccome evidenziato nella memoria dal ricorrente, nel rispetto dell'art. 366 c.p.c., n. 6, e con corredo di produzioni legittime ai sensi dell'art. 372 c.p.c., si veda Cass. n. 1551 del 2006, secondo cui "L'acquiescenza del soccombente, che costituisce ostacolo alla proposizione dell'impugnazione ex art. 329 cod. proc civ., ove non risulti da un'accettazione espressa della pronuncia giudiziale o da una formale rinuncia a sottoporla a gravame, può desumersi soltanto da atti o fatti univoci, del tutto incompatibili con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione nell'ipotesi prevista. Ne consegue che non da luogo ad acquiescenza l'adempimento da parte del soccombente, effettuato a seguito di una richiesta di pagamento proveniente dal legale della parte vincitrice, sia pur redatta in termini amichevoli per ragioni di colleganza professionale, dopo una sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva, in quanto tale comunicazione è l'annunzio che la parte vincitrice intende ottenere immediatamente il pagamento, procedendo in sede esecutiva mediante precetto in mancanza di un pagamento spontaneo, e pertanto il pagamento eseguito è volto ad evitare l'esecuzione forzata").

    p.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 38 della legge n. 203 del 3 maggio 1982 (art. 360,1 co., n. 3 c.p.c.)".

    Vi si censura la sentenza impugnata là dove ha riconosciuto ai M. - in riforma della sentenza di primo grado che ne aveva negato ai coloni la debenza, perchè essi non avevano attivato la procedura ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 16 nè risultava dagli atti che le opere fossero state autorizzate preventivamente dal concedente - il diritto al rimborso della somma di L. 24.897.564, pari ad Euro 12.858,52 per la riparazione dei fabbricati rurali e della somma di L. 19.000.000, pari ad Euro 9.812,68 per la sistemazione delle canalette di irrigazione.

    Si sostiene che, ove la Corte fosse pervenuta a tale conclusione considerando - peraltro implicitamente, atteso che essa non viene presa in esame dalla motivazione - la norma dell'art. 16 citato inapplicabile alla specie, sarebbe incorsa in una sua violazione, atteso che essa trova applicazione a tutti i lavori e le opere realizzate dall'affittuario e, in forza del rinvio operato dalla L. n. 203 del 1982, art. 38, dal colono, ivi comprese quelle che consistono in interventi di competenza del concedente.

    D'altro canto, le opere avrebbero potuto considerarsi legittime, in mancanza della procedura ai sensi dell'art. 16, soltanto se consentite dal concedente.

    p.2.1. Il motivo, che prospetta due censura, l'una di violazione dell'art. 16 citato sotto il profilo della mancata attivazione della relativa procedura, l'altra di mancanza del consenso, è inammissibile per varie ragioni.

    p.2.1.1. Lo è innanzitutto perchè non censura la ratio decidendi enunciata sul punto dalla sentenza impugnata nella pagina diciassette.

    In tale pagina la sentenza impugnata enuncia, nel motivare la fondatezza dell'appello sul punto, quanto segue: "invero, risulta dagli atti che i coloni hanno provveduto ad una serie di riparazioni che spettavano al proprietario, tra cui la sistemazione delle canalette di irrigazione per come disposto dallo stesso Tribunale di Siracusa con apposita ordinanza. Al riguardo devesi rilevare che nel corso dell'annata agraria 1988-89 i coloni, di fronte alla inerzia del concedente, si rivolsero alla sezione specializzata agraria del Tribunale, chiedendo che si accertasse la carenza di acqua e l'insufficienza e l'inadeguatezza del sistema di irrigazione che determinavano una sottoproduzione dell'agrumeto; e che all'esito di apposita c.t.u. la sezione agraria del Tribunale ordinò, con provvedimento del 2.8.1989, all'Ordine di Malta di eseguire alcuni interventi per sistemare in via provvisoria le canalette di irrigazione e sopperire alle riscontrate carenze idriche (non avendo il proprietario dato esecuzione al provvedimento gli interventi furono poi eseguiti dai coloni)".

    Ora, la riportata motivazione è chiara quanto all'affermazione della debenza delle spese per la sistemazione delle canalette di irrigazione, là dove fa discendere la legittimazione all'esecuzione delle relative opere dal provvedimento del 2 agosto 1989 con cui al ricorrente era stato ordinato di provvedere, cosa che non essendo stata fatta, aveva determinato l'esecuzione degli interventi ordinati dal giudice da parte dei coloni.

    p.2.1.2. Di tale motivazione il motivo si disinteressa totalmente, astenendosi dal criticarla, sia in relazione alla dedotta violazione dell'art. 16, sia in relazione alla dedotta mancanza di consenso. Non ci si preoccupa, cioè, di spiegare come e perchè tali violazioni sarebbero configurabili in presenza di quanto ritenuto dalla ricordata motivazione.

    Il motivo è, pertanto, quanto a tale censura, inammissibile alla stregua del principio di diritto secondo cui "Il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 4" (Cass. n. 359 del 2005, ex multis).

    p.2.1.3. La riportata motivazione è meno chiara riguardo alle altre opere: riguardo ad esse dice, con una certa anodinia, che si trattava di opere (come, del resto, erano quelle di riparazione delle canalette) spettanti al proprietario, così mostrando di reputare tale ragione sufficiente a giustificare la debenza del rimborso richiesto. Successivamente, però, dopo avere fatto riferimento al provvedimento giudiziale sopra indicato, motiva la spettanza di un diritto al rimborso anche per la relativa spese con un "pertanto", che senza dubbio implica che per dette spese si assuma come motivazione quella sopra enunciata.

    Ora, tale motivazione non viene - come s'è detto - criticata dal motivo, che di essa si sarebbe dovuto far carico e, quindi, svolgere critica all'affermazione della debenza del rimborso perchè le opere erano a carico del proprietario.

    Peraltro, se una tale critica si scorgesse nell'asserto che l'art. 16 si estenderebbe anche alle riparazioni straordinarie a carico del proprietario, si dovrebbe rilevare che tale assunto è privo di fondamento: è stato, infatti, statuito, con principio applicabile anche ad un rapporto come quello di cui è causa, che "In tema di affitto a coltivatore diretto, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1621 e 1577 cod. civ. (dettato con specifico riguardo al contratto di locazione, ma senz'altro applicabile anche a quello di affitto, di fondi rustici in particolare), in pendenza del rapporto il locatore è tenuto ad eseguire a sue spese le riparazioni straordinarie, mentre il conduttore è tenuto a dare avviso al locatore se la cosa necessita di riparazioni a carico di quest'ultimo, potendo eseguire direttamente le riparazioni urgenti, salvo il rimborso, purchè ne dia contemporaneamente avviso al locatore (In applicazione del suindicato principio la S.C. ha rigettato il ricorso affermando che correttamente i giudici di merito avevano - implicitamente - rigettato la domanda di rimborso delle spese sostenute per ricostituire gli oggettivi requisiti produttivi del fondo agricolo detenuto in affitto, pregiudicati dalle alluvioni verificatesi negli anni 1991 e 1993, in difetto di deduzione e prova, da parte del conduttore, che si trattava di riparazioni urgenti "ex" art. 1577 c.c., comma 2, e di contestuale avviso ai concedenti)" (Cass. n. 11194 del 2005).

    Dunque, è priva di pregio la prospettazione che l'art. 16 si estenda che alle riparazioni straordinarie a carico del concedente, essendo esse disciplinate da altra normativa.

    Il principio di diritto che viene in rilevo è il seguente: "Deve escludesi che la disciplina della L. n. 203 del 1982, art. 16 possa trovare applicazione all'ipotesi in cui l'affittuario o titolare di un diritto di godimento consimile, come il colono parziario in ipotesi di mancata conversione, esegua riparazioni straordinarie che sarebbero spettate al concedente, trovando la fattispecie disciplina nell'art. 1577 c.c., richiamato dall'art. 1621 c.c.".

    E', poi, appena il caso di precisare che il motivo avrebbe dovuto allora denunciare la mancanza del consenso evocando espressamente la norma dell'art. 1621 e quella dell'art. 1577 c.c., mentre fa riferimento, come seconda censura, alla mancanza del consenso senza indicare le norme violate, il che integrerebbe inammissibilità ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n. 4.

    Il motivo è, conclusivamente dichiarato inammissibile e l'inammissibilità rende inutile esaminare la difesa svolta sul motivo dalle parti resistenti e la replica svolta dal ricorrente nella memoria.

    p.3. Il secondo motivo deduce "omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)".

    Vi si propone in realtà non una quaestio facti, ma la stessa quaestio iuris prospettata nel motivo precedente sotto il profilo che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sia sull'eventuale sussistenza del consenso preventivo della concedente all'effettuazione del lavori, sia sotto il profilo dell'attivazione della procedura ai sensi della L. n. 20323 del 1982, art. 16.

    p.3.1. Il motivo è inammissibile perchè la sua illustrazione non enuncia alcunchè di riconducibile al paradigma del n. 5, art. 360 e, dunque, ponendo una quaestio iuris si sarebbe dovuto concludere con un quesito di diritto.

    Se si superasse tale rilievo e lo si considerasse idoneo motivo alla stregua del detto n. 5, emergerebbe ulteriore inammissibilità perchè il motivo non si conclude con, nè contiene il momento di sintesi espressivo della cd. "chiara indicazione", richiesto dalla giurisprudenza della Corte ai fini del rispetto dell'art. 366-bis c.p.c. (si vedano già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e Cass. sez. un. n. 20603 del 2007).

    p.4. Il quarto motivo si duole "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)".

    Il motivo è nuovamente inammissibile perchè non si conclude con, nè contiene il momento di sintesi richiesto dalla ricordata giurisprudenza.

    p.4.1. Se ne fosse possibile l'esame e si procedesse alla sua lettura, si dovrebbe, del resto constatare che nuovamente vi si svolgono considerazioni che evidenziano due distinte censure non già - salvo per un profilo - sulla ricostruzione del fatto oggetto della lite, bensì riguardo a pretesi errori di diritto della Corte territoriale.

    Infatti, con una prima censura, che viene esposta nei primi quattro paragrafi dell'illustrazione (punti 1.4.) si lamenta che la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno dei principi sull'onere della prova (anche se la relativa regola non viene mai nominata) perchè avrebbe affermato il diritto al rimborso a favore dei resistenti senza che l'esecuzione dei relativi lavori risultasse dagli atti (come invece affermato) ed in particolare dalla documentazione prodotta. Si passano, poi, in rassegna una serie di risultanze del giudizio di merito, fra cui due documenti prodotti dai M. che si dicono da loro provenienti e che si assume non avrebbero potuto svolgere funzione probatoria, nonchè il contenuto della comparsa di costituzione e il contenuto di atti del procedimento cautelare concernente i lavori di sistemazione della canalette e parimenti si asserisce che le emergenze di tali atti, in quanto da esse emergeva che i lavori non erano ancora stati eseguiti, non avrebbero potuto svolgere efficacia probatoria.

    Con una seconda censura, esposta nel paragrafo 5. Ci si duole che l'assolvimento dell'onere della prova da parte dei coloni non potrebbe essere derivato dalla circostanza, enunciata nella motivazione dalla sentenza impugnata, che "gli importi chiesti dai M. e documentati in atti non sono stati contestati", atteso che tale affermazione concerne il quantum e non l'an e considerato argomentazione che viene svolta evocando giurisprudenza di questa Corte che comunque la mancata specifica contestazione specifica non potrebbe assurgere a prova.

    p.4.1.1. Tanto la prima censura quanto al profilo sulla provenienza dei due documenti dai M., quanto la seconda, evocano non errori logici nella ricostruzione o nell'apprezzamento della quaestio facti, bensì errori nell'applicazione delle regole sulla valutazione in iure delle prove: tali sono sia il principio per cui le scritture prò se non svolgono efficacia probatoria, sia l'argomento svolto in ordine al significato della non contestazione degli importi e al principio di non contestazione.

    Ne deriva che il motivo avrebbe dovuto essere dedotto con l'indicazione delle norme di diritto probatorio pertinenti a dette censure e, quindi, ai sensi del n. 4, art. 360 c.p.c., con la conseguenza che alle censure avrebbe dovuto fare riscontro un corrispondente quesito di diritto. Donde la violazione dell'art. 366- bis c.p.c..

    Quanto al profilo della prima censura concernente il fatto che dagli atti del procedimento cautelare emergeva che i lavori non erano stati eseguiti al momento del loro compimento, si osserva che il motivo sul punto, ma anche in generale (cioè per i profili in iure indicati sopra), risulterebbe inammissibile, in quanto, perchè si potesse muovere critica alla sentenza impugnata sul punto sarebbe stato necessario evidenziare che l'esecuzione effettiva dei lavori fosse stata oggetto di contestazione da parte del qui ricorrente nel giudizio di primo grado, nel quale, come emerge dalla narrativa della sentenza impugnata, il primo giudice aveva rigettato la domanda in questione, ritenendo che non fosse stato osservato l'art. 16 già citato e che non vi fosse stato previo consenso del ricorrente, e non invece esaminando e risolvendo positivamente la questione dell'esecuzione dei lavori in quanto prospettata.

    La mancanza di indicazione della esistenza di una simile contestazione e della sua eventuale reiterazione in appello (art. 346 c.p.c.) evidenzia allora che con il motivo si pone anche una questione che non risultava devoluta al giudice d'appello o la cui devoluzione non risulta dimostrata.

    Da qui un'ulteriore causa di inammissibilità del motivo nella sua interezza.

    p.5. Con il quarto motivo si denuncia "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., artt. 112, 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)".

    In una prima parte si deduce come violazione dell'art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. il fatto che la domanda per i rimborsi sarebbe stata accolta senza che i coloni avessero dimostrato l'esecuzione dei lavori.

    Questa censura, che realizza quello che si è detto corrispondere alla sostanza della censura svolta nel motivo precedente, cioè l'indicazione delle norme del procedimento relative all'onere della prova ed alla valutazione delle prove, è espressamente prospettata "secondo quanto dedotto nel precedente motivo" e, pertanto, impinge in inammissibilità per le stesse ragioni indicate in chiusura dell'esame del motivo precedente, sotto il profilo della mancata dimostrazione che vi era stata contestazione su quella esecuzione e che la relativa questione era stata tenuta viva in appello.

    p.5.1. In una seconda parte viene argomentata la censura di violazione dell'art. 112 c.p.c. sotto il profilo che la condanna per i due rimborsi richiesti sarebbe stata fatta per una misura maggiore di quella indicata nella comparsa di risposta di primo grado, cioè rispettivamente per l'equivalente in euro di L. 24.897.564 e di L. 12.387.409 anzichè per gli importi di L. 20.000.000 e L. 19.000.000.

    Al riguardo si richiamano e si riproducono i passi della comparsa di risposta de qua in cui erano state formulate le richieste.

    Tuttavia, non si fa alcun altro riferimento all'atteggiarsi delle due domande di rimborso nel prosieguo del processo di primo grado e, particolarmente, in sede di precisazione delle conclusioni e di discussione. L'unica ulteriore precisazione che si fa è relativa al contenuto dell'atto di appello, del quale si dice che in esso la somma di L. 19.000.000 sarebbe stata indicata "ma senza alcuna motivazione e sostegno probatorio, così che tale nuova e diversa quantificazione della pretesa deve ritenersi del tutto irrilevante".

    p.5.1.1. La censura così esposta risulta inaccoglibile, in quanto, essendosi verificata nella prospettazione del ricorrente l'ultrapetizione in sede di decisione in appello, sarebbe stato necessario dimostrare, attraverso precise deduzioni, in che termini era avvenuta la devoluzione al giudice d'appello e, prima ancora, in che termini quantitativi le due domande di rimborso erano state oggetto di devoluzione alla decisione del giudice di primo grado.

    Infatti, soltanto ove il tenore quantitativo delle due domande all'atto della decisione in primo grado, nell'atto di appello e all'atto della decisione di appello fosse rimasto quello della comparsa di costituzione di primo grado risulterebbe idoneamente e pertinentemente prospettata la censura di violazione dell'art. 112 c.p.c., perchè, ove, una variazione quantitativa delle due domande di rimborso vi fosse stata in uno di quei momenti, il vizio della sentenza impugnata avrebbe, in ipotesi, potuto configurarsi qualora detta variazione quantitativa si fosse potuta considerare come domanda nuova. Ma, in tal caso, il motivo di ricorso avrebbe dovuto essere diverso, cioè dedurre vizio di novità della domanda.

    Il motivo è, pertanto, rigettato.

    p.6. Con il quinto motivo si denuncia "violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 112 c.p.c. e, per quanto di ragione, dell'art. 345 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)".

    Con questo motivo si denuncia in primis una pretesa violazione dell'art. 112 c.p.c. riguardo all'accoglimento da parte della Corte territoriale della domanda dei coloni riguardo ai miglioramenti per tutta l'estensione del terreno, cioè sia per i dodici ettari concessi in godimento originariamente sia per gli otto concessi successivamente, ancorchè nella comparsa di costituzione l'indennità per i miglioramenti fosse stata richiesta solo per la trasformazione e l'impianto di un agrumeto riguardo ai detti otto ettari. In secondo luogo, sul presupposto che nell'atto di appello vi sia stata l'estensione della pretesa anche ai dodici ettari originali, si deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare la novità della domanda e, quindi, si fa valere la violazione dell'art. 437 c.p.c., comma 2, in relazione all'art. 345 c.p.c..

    p.6.1. Il motivo è privo di fondamento quanto alla violazione dell'art. 112 c.p.c., perchè la stesa prospettazione del ricorrente, là dove, dopo aver fatto riferimento al tenore della domanda di cui trattasi nella comparsa di costituzione recane la relativa riconvenzionale, sostiene che l'estensione si sarebbe verificata nell'atto di appello: è evidente che, se tale estensione vi fosse stata, la Corte territoriale non potrebbe essere incorsa in ultrapetizione, ma solo nel vizio di mancata rilevazione della novità della domanda quanto all'estensione.

    6.2. Quanto, poi, a quest'ultima censura, il motivo non si presenta fondato, perchè, non diversamente da quanto accaduto per il motivo precedente, si omette di fornire qualsivoglia precisazione sul se la domanda per come formulata nella comparsa di costituzione riprodotta (nel senso della condanna "al pagamento ... della indennità dovuta per la trasformazione ed impianto ad agrumeto di otto ettari del fondo per importo che si indica in L. 200.000.000, o maggiore o minor somma da accertare giudizialmente") fosse stata mantenuta tale in sede di conclusioni in funzione della decisione del primo giudice: è palese che, se l'ipotizzata estensione si fosse verificata in quella sede o addirittura in un momento antecedente, si sarebbe dovuto dedurre non la violazione da parte del giudice d'appello delle norme dell'art. 437 c.p.c., comma 2 e art. 345 c.p.c. sotto il profilo del divieto di domanda nuova in appello, bensì la violazione dell'art. 420 c.p.c., comma 1, nella supposizione che essa fosse rilevabile d'ufficio in appello. Sarebbe stato allora necessaria la precisa individuazione della persistenza fino alla decisione di primo grado del tenore originario della domanda.

    Va, d'altro canto rilevato che la mancanza di tale precisazione appare tanto più rilevante, specie agli effetti dell'art. 366 c.p.c., n. 6, se si considera che nessun riferimento alla prospettazione, in sede di costituzione in appello, della pretesa proposizione di una domanda nuova.

    p.7. Con un sesto motivo si denuncia "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)".

    Il motivo si articola in sette paragrafi e dalla pagina ventitre alla pagina ventinove, ma non si conclude con nè contiene il momento di sintesi espressivo della cd. "chiara indicazione", richiesto per il rispetto dell'art. 366-bis c.p.c..

    Ne consegue che il motivo è inammissibile.

    8. Con il settimo motivo si denuncia "violazione e/o falsa applicazione, sotto altri profili, dell'art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)".

    Il motivo è espressamente proposto come dipendente da quello precedente, atteso che l'esordio della sua breve illustrazione è il seguente. "La Corte di merito, in ragione di quanto dedotto nel precedente motivo, ha dunque affermato il diritto dei coloni, etc...".

    Essendo stato dichiarato inammissibile il motivo precedente, esso risulta automaticamente infondato.

    p.9. L'ottavo motivo deduce "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)".

    Il motivo nuovamente non si conclude con nè contiene il momento di sintesi espressivo della cd. "chiara indicazione", richiesto per il rispetto dell'art. 366-bis c.p.c..

    Ne consegue la sua inammissibilità.

    p.9.1. Ove, peraltro, si procedesse alla lettura della sua illustrazione, si dovrebbe constatare che in essa si lamenta che la Corte territoriale, nell'accogliere la domanda dei coloni relativa al risarcimento del danno "per la sottoproduzione del fondo nel periodo 1984-1989 dovuta a stress idrico", lo avrebbe fatto sulla base di due relazioni di consulenza espletatesi con sopralluoghi di alcuni anni successivi a quel periodo. In sostanze si censura la sentenza impugnata per avere fatto leva su relazioni di consulenza che non sarebbero state idonee a dimostrare la carenza idrica nel detto periodo.

    Orbene, lamentandosi un'erronea valutazione di emergenze delle due consulenze, sarebbe stato necessario, per evitare che la lamentela si connoti come una contestazione delle emergenze istruttorie del tutto nuova rispetto a quella svolta nel giudizio di appello che si desse dimostrazione di averla svolta esso. Ciò, tenuto conto che la sentenza impugnata, nel riferire alla fine della pagina ventiquattro ed all'inizio della venticinque la prospettazione assunta dal ricorrente appellato riguardo al terzo motivo di appello dei coloni che concerneva il rigetto della domanda non fa alcun riferimento ad una contestazione del genere di quella ora prospettata, che, dunque, appare in tal modo porre inammissibilmente una questione del tutto nuova.

    p.10. Il nono motivo fa valere "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1372 e 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c).

    Il motivo prospetta una questione nuova, perchè si contesta la posizione assunta dal M.S.W. dopo la riassunzione del giudizio per il decesso di M.A. e S., che, come si legge in sentenza ed anche nello stesso ricorso fu di costituzione in giudizio in proprio, quale erede del defunto M.A., e quale procuratore di M.L. e G..

    La valutazione del motivo avrebbe, peraltro, dovuto esigere la considerazione della problematica nascente dal rilievo che esso fa sull'inefficacia della cessione del contratto di colonia, che, peraltro, non si sarebbe potuta verificare, in quanto il contratto venne a cessare il 10 novembre 1989, nel mentre la scrittura di cessione, pur recando data anteriore, ha data certa solo successiva.

    Viceversa, poichè la scrittura prevedeva che in caso di disaccordo sulla cessione ad M.A. delle posizioni degli altri coloni, fosse a lui attribuita "procura irrevocabile ...

    demandandogli tutti i poteri ed i diritti ad esso spettanti", si potrebbe ritenere che il significato di tale procura comportasse una cessione dei diritti di crediti originanti dal rapporto ed anche di quelli oggetto delle domande riconvenzionali, per cui il successivo decesso di M.A. avrebbe comportato il trasferimento a M.S.W. dei crediti già ceduti dal germano M.S. al fratello A..

    Ma, ripetesi, tali problematiche, in disparte il problema del se la Corte territoriale avrebbe dovuto porsele d'ufficio, avrebbero richiesto lo svolgimento di opportuna attività di contestazione nel giudizio di merito.

    p.11. Il ricorso è conclusivamente rigettato.

    Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate, atteso che taluni dei motivi di ricorso proposti (segnatamente il primo, il quarto, il quinto e il nono) trovavano una qualche giustificazione, quanto alla scelta ed al rischio di esercitate il diritto di impugnazione, in oggettive ambiguità della motivazione della sentenza impugnata.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 marzo 2013.

    Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2013
Avv. Antonino Sugamele

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