E' la legge nazionale dello straniero che regola lo status di figlio.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 26 febbraio - 18 giugno 2013, n. 15234
Presidente Di Palma – Relatore De Chiara
Premesso
che nella relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. si legge quanto segue:
“1. — I sigg. S.A. e S.J.B. , di nazionalità ..., ricorsero al Tribunale di Parma avverso il diniego opposto il 4 maggio 2010, dall'Ambasciata d'Italia ad ..., al rilascio del visto d'ingresso per ricongiungimento familiare del loro figlio S.W.P. .
Il Tribunale respinse il ricorso e la Corte d'appello di Bologna ha respinto il conseguente reclamo dei soccombenti.
La Corte distrettuale ha confermato la valutazione dell'Ambasciata di insufficiente dimostrazione del rapporto di filiazione, osservando che il suo provvedimento "rende ragione non solo delle circostanze di fatto prese in considerazione, ma riferisce di peculiarità dell'ordinamento del Paese d'origine il quale consente l'iscrizione senza termine", il che "crea i presupposti per abusi verso i quali l'ordinamento italiano non dispone, per evidenti ragioni di sovranità, di diretti strumenti di cautela". Ha poi aggiunto che il rifiuto dei reclamanti di sottoporsi alla prova del DNA, certamente legittimo e perciò tale da non consentire inferenze negative, lasciava tuttavia aperto il dubbio sul rapporto di filiazione, che giustificava il rigetto dell'istanza di ricongiungimento.
I sigg. S. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura, cui ha resistito con controricorso il Ministero degli Esteri.
2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, che ne denuncia il difetto di autosufficienza. Il ricorso, invero, contiene invece riferimenti sia alla vicenda sostanziale e processuale, sia alla decisione impugnata sufficienti a consentire l'adeguata comprensione delle censure articolate.
3. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione di norme di diritto. Premesso che i richiedenti avevano prodotto il certificato di nascita e copia del passaporto del figlio, si lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto che l'atto di nascita (richiamato dal certificato) sia privo di qualsiasi valore probatorio non già per contrasto del suo contenuto con le regole che presiedono alla sua formazione secondo la legislazione ganese, bensì per insufficienza di quella legislazione a garantire la veridicità dell'atto.
3.1. — Il motivo è fondato.
Lo stato di figlio, a norma dell'art. 33 L. 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del diritto internazionale privato, è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita, legge cui è demandato di regolare presupposi ed effetti del relativo accertamento. Ciò comporta che tale stato dipende dai provvedimenti accertativi e dalle statuizioni giurisdizionali dello stato estero di nascita, con divieto al giudice italiano di sovrapporre a quegli accertamenti fonti di informazione estranee o nazionali, anche se non implica che la certificazione straniera sia assistita dalla fede privilegiata di cui all'art. 2700 c.c. (Cass. 367/2003,15580/2006).
Né viola il limite generale dell'ordine pubblico, rilevante in sede di applicazione in Italia di leggi straniere (art. 16 L. n. 218 del 1995, cit), la mancata previsione, nell'ordinamento ganese, di un termine per denunciare la nascita del figlio. L'ordinamento italiano, infatti, prevede anche la dichiarazione di nascita tardiva (art. 31 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, sull'ordinamento dello stato civile).
La Corte d'appello di Bologna non si è attenuta a tali principi di diritto, avendo basato il proprio convincimento - come esattamente rilevano i ricorrenti — essenzialmente sulla diffidenza verso il sistema ganese di attribuzione dello status di figlio, e non su dati circostanziali specifici idonei a superare la valenza probatoria della documentazione prodotta, evocati solo ad colorandum mediante un generico rinvio al provvedimento dell'Ambasciata.
3. - Nell'accoglimento del primo motivo restano assorbiti il secondo e il terzo, con i quali si sollevano rispettivamente le questioni dell'omessa considerazione della disponibilità manifestata dai reclamanti a sottoporsi alla prova del DNA (secondo motivo) e della violazione del principio di prevalenza delle ragioni della parte più debole (terzo motivo)”.
Considerato
che detta relazione è stata ritualmente comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti costituite, i quali non hanno presentato conclusioni o memorie;
che il Collegio condivide quanto osservato nella relazione sopra trascritta;
che il ricorso va pertanto accolto e il decreto impugnato va conseguentemente cassato con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione.
19-06-2013 21:58
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