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Sentenza

Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnata...
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 novembre 2012 – 10 maggio 2013, n. 11218
Presidente Luccioli – Relatore San Giorgio

Svolgimento del processo

1.- Con decreto del 23 novembre 2007, la Corte d'appello di Venezia, in parziale modifica delle condizioni della separazione personale dei coniugi R..M. e P..R. previste nella sentenza del Tribunale di Venezia dell'8 ottobre 2001, ed in parziale riforma del decreto di quel Tribunale in data 1 febbraio 2007, revocò l'assegnazione alla R. della casa coniugale, sita in ..., e dispose l'affidamento condiviso della minore M.E. ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso l'abitazione della madre. Rilevò il giudice di secondo grado che la documentazione prodotta e le allegazioni difensive della resistente dimostravano che la stessa viveva stabilmente con la figlia a (omissis) - ove quest'ultima frequentava la scuola - utilizzando come domicilio principale l'abitazione dei suoi genitori in tale Comune, e non nella ex casa coniugale di ..., che le era stata assegnata con la sentenza di separazione personale dal coniuge. Nonostante la R. avesse dichiarato di risiedere in (omissis) nel periodo novembre-marzo, a causa della insufficienza dell'impianto di riscaldamento della casa di ..., la Corte di merito ritenne inverosimile che la donna, quale affidataria della minore, vivesse, al di fuori del predetto periodo, a Venezia, rimanendo accanto alla figlia solo da novembre a marzo e non per l'intera durata dell'anno scolastico. Né la R. aveva dedotto la sua differente sistemazione abitativa rispetto alla figlia. Doveva, dunque, ritenersi che la R. utilizzasse la casa veneziana con la figlia prevalentemente durante l'estate, salvo che nei periodi in cui si trasferiva per le vacanze in altre località, e, dunque, saltuariamente.
La Corte territoriale non ravvisò poi le condizioni, una volta revocata l'assegnazione della casa coniugale alla R. , per un contestuale aumento del contributo alla stessa dovuto dal M. per il mantenimento della figlia, tenuto conto che la R. disponeva in (omissis) di altro immobile di diversi vani, recentemente acquistato. Quanto alla richiesta di affidamento condiviso della figlia, essa, benché formulata nel corso del giudizio di primo grado, fu ritenuta ammissibile, costituendo questione ispirata al superiore interesse della minore ed avendo avuto modo la resistente di controdedurre sulla stessa. Nel merito, la richiesta fu giudicata fondata, in quanto soluzione da adottare con preferenza, pur confermandosi, nella specie, la collocazione prevalente presso l'abitazione della madre.
2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre R.P. sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria.
Resiste con controricorso illustrato da memoria R..M. .

Motivi della decisione

1.- Deve, preliminarmente, esaminarsi la eccezione, formulata nel controricorso, di inammissibilità del ricorso per la ritenuta non impugnabilità ex art. 111 Cost. del decreto pronunciato dalla Corte d'appello in sede di reclamo ai sensi degli artt. 710 e 739 cod.proc.civ..
2. - La eccezione è priva di fondamento.
Come già chiarito da questa Corte, il decreto pronunciato dalla Corte d'appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del Tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione personale concernenti l'affidamento dei figli ed il rapporto con essi, ovvero la revisione delle condizioni inerenti ai rapporti patrimoniali fra i coniugi ed al mantenimento della prole, ha carattere decisorio e definitivo, ed è pertanto ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (v. Cass., sentt. n. 23673 e n. 18627 del 2006).
3. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell'art. 155 quater cod.civ.. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la utilizzazione, pur prolungata e prevalente durante un determinato periodo dell'anno, della casa familiare sia assimilabile alla cessazione dell'uso della stessa quale stabile abitazione, laddove il requisito della stabilità non sarebbe incompatibile con una utilizzazione costante in periodi determinati.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'abrogato art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nel caso di specie ratione temporis: “Se la norma dell'art. 155-quater c.c. che sancisce la perdita del diritto all'assegnazione della casa familiare qualora il coniuge assegnatario non vi abiti o cessi di abitarvi stabilmente possa applicarsi anche nell'ipotesi in cui l'assegnatario abiti stabilmente l'immobile solo per un periodo dell'anno, nella fattispecie da giugno a settembre compresi, ripetuto ogni anno”.
4. - La doglianza è priva di pregio.
4.1. - Accertato in fatto che la R. utilizza l'abitazione familiare di ..., a lei assegnata, solo saltuariamente, e prevalentemente durante l'estate, con esclusione dei periodi in cui si trasferisce altrove in vacanza con la figlia, la Corte di merito ha revocato l'assegnazione della stessa alla donna, ai sensi dell'art. 155-quater, primo comma, terzo periodo, cod.civ., introdotto dalla Legge 8 febbraio 2006, n. 54, secondo cui “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare....”.
Al riguardo, deve rilevarsi che, essendo ormai legislativamente stabilito che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli (art. 155-quater cod.civ., primo comma, primo periodo), tale disposizione risponde all'esigenza, prevalente su qualsiasi altra, di conservare ai figli di coniugi separati l'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (cfr., ex plurimis e tra le ultime, Cass., sent. n. 14348 del 2012).
4.2. - Va, pure, richiamata sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 308 del 2008, la quale, nel dichiarare non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 155-quater, primo comma, cod.civ., anche in combinato disposto con l'art. 4 della legge n. 54/2006 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., nella parte in cui prevede la revoca automatica dell'assegnazione della casa familiare nel caso in cui l'assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio, ha affermato, in via generale, che dal contesto normativo e giurisprudenziale emerge che non solo l'assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della stessa, è stata sempre subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all'interesse della prole. Da tale principio il giudice delle leggi ha dedotto, con riferimento specifico alla fattispecie, che l'art. 155-quater, primo comma, cod. civ., ove interpretato, sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell'assegnatario della casa sono circostanze idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione dell'assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole, per il quale l'istituto è sorto: ed ha concluso nel senso che la coerenza della disciplina e la sua costituzionalità possono essere recuperate ove la normativa sia interpretata nel senso che l'assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore. E dunque, l'art. 155-quater, primo comma, cod.civ., anche nella parte in cui dispone che il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, deve essere interpretato, in conformità con i predetti principi, nel senso che, sebbene tali casi di revoca dell'assegnazione della casa familiare siano collegati ad eventi che fanno presumere il venir meno della esigenza abitativa, tuttavia la prova di tali eventi - che onera chi agisce per la revoca - deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l'assegnatario ed attestare in modo univoco che gli eventi medesimi sono connotati dal carattere della "stabilità", cioè dell'irreversibilità, ed inoltre nel senso che il giudice investito della domanda di revoca deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole affidata o convivente con l'assegnatario (v. Cass., sent. n. 14348 del 2012, cit.).
4.3. - Nella specie, emerge dal percorso logico seguito dalla Corte di merito che essa si è sostanzialmente conformata a tali principi, avendo ritenuto che, nella specie, il carattere del tutto saltuario della utilizzazione da parte della R. e della figlia della casa di XXXXXXX esclude che questa possa ancora rappresentare l'habitat domestico della minore, il centro dei suoi affetti ed interessi, ormai spostato in (OMISSIS), ove la stessa risiede e frequenta la scuola.
4.4. Deriva, da quanto esposto, la inconferenza del riferimento operato nella memoria della ricorrente alla sentenza di questa Corte n. 14348 del 2012, ripetutamente ricordata, la quale, nell'enunciare i principi qui appena richiamati, ne ha fatto applicazione in una direzione opposta a quella seguita dalla Corte lagunare in una fattispecie solo apparentemente simile a quella all'odierno esame, ma in realtà caratterizzata dalla ben diversa situazione dell'allontanamento infrasettimanale dalla casa familiare, determinato da ragioni professionali, della assegnataria della stessa e della figlia minore, che per cinque giorni lavorativi dimoravano presso l'abitazione dei genitori della donna, rientrando, però, presso la casa familiare in tutti i fine settimana e nei giorni festivi, oltre che per la stagione estiva.
5. - Con la seconda censura, sollevata in via subordinata, si lamenta ancora la violazione dell'art. 155-quater cod.civ., sotto il profilo del mancato adeguamento dell'assegno di mantenimento per la figlia minore, richiesto, in via subordinata, dalla signora R. in misura corrispondente alla diminuzione patrimoniale e al miglioramento di quella del coniuge onerato derivanti dalla revoca dell'assegnazione della casa familiare. Il decreto impugnato non considererebbe il principio posto dalla disposizione invocata, secondo cui il giudice tiene conto dell'assegnazione nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Se nell'ipotesi di revoca dell'assegnazione della casa coniugale ed a parità di tutte le altre condizioni stabilite dalla sentenza di separazione il giudice sia tenuto, su precisa istanza di parte in tal senso, a riequilibrare le posizioni economiche dei coniugi disponendo un aumento dell'assegno per il coniuge già assegnatario in misura corrispondente al valore economico della perduta assegnazione”.
6. - La doglianza non merita accoglimento.
La Corte di merito si è fatta carico del problema del nuovo assetto dei rapporti economici tra la R. ed il M. conseguente alla revoca dell'assegnazione alla prima della casa familiare - peraltro non attribuita neanche al coniuge, essendo rimasti entrambi, come chiarito dalla stessa Corte, “nella facoltà di disporre liberamente dell'immobile in forza dei diritti reali o personali che vantino su di esso” -, e lo ha motivatamente risolto nel senso della insussistenza delle condizioni per imporre al M. un aumento del contributo da lui dovuto per il mantenimento della figlia, alla stregua della circostanza che la R. dispone di altro immobile in (OMISSIS), del quale non ha allegato la inabitabilità.
7. - Con la terza censura si deduce la violazione degli artt. 737 e segg. cod.proc.civ. e 155-ter cod.civ. La domanda di affidamento condiviso della figlia minore era stata svolta dal M. solo alla prima udienza innanzi al Tribunale anziché essere contenuta nel ricorso introduttivo, e successivamente riproposta con il reclamo alla Corte d'appello. Pertanto essa era, secondo la ricorrente, inammissibile.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Se nel procedimento per la modificazione delle condizioni di separazione ai sensi dell'art. 710 c.p.c. e nel procedimento camerale in genere (artt. 131 e ss. c.p.c.) sia ammissibile la proposizione di domande nuove nel corso del giudizio, quando la controparte abbia tempestivamente eccepito la loro tardività e dichiarato di non accettare il contraddittorio sulle stesse”.
8. - Anche tale censura è destituita di fondamento.
8.1. - Questa Corte sottolinea da tempo che la materia dell'affidamento dei figli minori, come quella del loro mantenimento, in cui vengono in rilievo finalità di natura pubblicistica relative alla tutela ed alla cura degli stessi, non è governata dal principio della domanda, essendo attribuiti al giudice poteri di ufficio (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 17043 del 2007, n. 4205 del 2006).
Tale principio ha tratto nuova linfa dalla legge n. 54 del 2006, la cui ragione ispiratrice risiede appunto nella funzionalizzazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei minori alla tutela dell'interesse morale e materiale di questi ultimi, con esclusivo riferimento al quale il giudice li adotta.
Ai sensi dell'art. 155-bis cod.civ. introdotto dall'art. 1 della legge n. 54 del 2006, ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo del minore, così come, a norma dell'art. 155-ter, i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo. Ancora, a norma dell'art. 710 cod.proc.civ., le parti possono sempre chiedere la modificazione dei provvedimenti riguardanti la prole conseguenti alla separazione. E l'art. 709-ter cod.proc.civ., introdotto dall'art. 2 della legge n. 54 del 2006, attribuisce al giudice ex officio il potere di modificare i provvedimenti in vigore in materia di esercizio della potestà genitoriale e di modalità di affidamento.
8.2. - In definitiva, non è affetta da inammissibilità per tardività la domanda di affidamento condiviso che, non contenuta nel ricorso introduttivo del procedimento ex art. 710 cod.proc.civ. per la modifica delle condizioni della separazione personale dei coniugi, sia stata formulata solo in occasione dell'udienza innanzi al Tribunale.
9. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese, che si liquidano come da dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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