Il parere di congruita dell’Ordine degli Avvocati può essere disatteso dal giudice nella fase di opposizione al decreto ingiuntivo purchè con adeguata motivazione.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 febbraio – 17 aprile 2013, n. 9366
Presidente Oddo – Relatore Scalisi
Svolgimento del processo
L'avv. S..P. con ricorso del 23 gennaio 2003 chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Cagliari Decreto ingiuntivo nei confronti di R.R. . Il professionista deduceva di avere svolto attività di patrocinio davanti al Tar - Sardegna nell'interesse di R. impugnando un provvedimento di diniego di concessione edilizia emesso dal Comune di Oristano ed ottenendone l'annullamento. Il sig. R. , tuttavia, non aveva provveduto al saldo delle sue spettanze richiesto con ripetute raccomandate. Pertanto, agiva in via monitoria per l'ingiunzione a pagare la somma di Euro 23.676,71, oltre le spese del procedimento allegando al ricorso copia di tutti gli atti relativi all'attività svolta davanti ai Giudici amministrativi ed il parere di congruità del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Cagliari.
Avverso tale decreto proponeva opposizione R.R. , deducendo che le somme richieste non erano dovute, avendo le parti concordato per l'intero giudizio, ove l'esito fosse stato positivo un compenso forfettario i L. 7.000.000 e di avere effettivamente corrisposto la somma complessiva di L. 8.500.000 comprensiva di oneri di legge somma di cui l'avv. P. aveva dato atto di aver ricevuto a titolo di acconto nel ricorso per ingiunzione.
Eccepiva ancora l'opponente che la parcella presentata dal professionista era stata redatta in modo erroneo perché nella determinazione dei diritti ed onorari si era applicato lo scaglione massimo, mentre il valore economico della causa era assai modesto e poteva al massimo rientrare nello scaglione tra i 50 e i 100 milioni di lire.
L'avv. P. costituitosi contestava il fondamento dell'opposizione escludendo che tra le parti fosse intervenuto un accordo per un pagamento forfettario, in secondo luogo che corretta era l'applicazione dello scaglione per la formulazione della fattura.
Poiché nel giudizio di opposizione non era contestata l'avvenuta prestazione professionale ma soltanto l'entità degli onorari, l'avv. P. chiedeva che il Tribunale, previo mutamento del rito ed in composizione collegiale, procedesse ex art. 30 della legge n. 794 del 1942 alla determinazione dei compensi per l'attività professionale svolta davanti ai giudici amministrativi.
Il Tribunale di Cagliari in composizione collegiale determinava, con ordinanza, i compensi dell'avv. P. nella misura di Euro 2.685,58 oltre accessori e spese generali ed Euro 546,36 per spese non imponibili compensando integralmente le spese del giudizio. Osservava il Tribunale che la sentenza del TAR Sardegna aveva chiuso il procedimento amministrativo in relazione al quale erano state domandate le competenze professionali liquidando la somma di lire 5.000.000 per diritti ed onorari e questa misura era riportata nel preavviso di parcella del 26 giugno 2001 da parte dell'avv. P. .
La cassazione di questa ordinanza è stata chiesta dall'avv. P. con ricorso affidato a tre motivi. R.R. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo del ricorso l'avv. P. lamenta la violazione degli artt. 132, n. 4, 150 e 161 cpc. In relazione all'art. 360. primo comma, n. 4 cpc.
Secondo il ricorrente l'ordinanza del Tribunale di Cagliari è carente di motivazione. In particolare la motivazione dell'ordinanza di cui si dice, sarebbe priva dei caratteri sostanziali e formali della sufficienza, logicità e ordine. La decisione sarebbe carente nella parte motiva del requisito di sufficienza non essendo in alcun modo individuabile l'iter logico giuridico seguito dal Tribunale per fondare la sua decisione, considerato che il semplice, generico e superficiale richiamo alla congruità della determinazione dei compensi da parte del Tar non integra gli estremi di una motivazione concisa, succinta ed implicita. La motivazione sarebbe carente del requisito della logicità perché la parte motiva si pone in assoluta incoerenza con il dispositivo tanto da renderla contraddittoria e incomprensibile considerato che si afferma che gli onorari liquidati dal Tar in lire 5.000.000 sono congrui, mentre nel dispositivo si dispone che all'avv. P. debba essere liquidato il compenso per l'attività svolta in favore del Tossi nel procedimento in questione per un totale Euro 2685,58 (.........) tenuto conto della somma di lire 8.500.000 già versati. La motivazione sarebbe carente di ordine, atteso che non si capisce cosa volesse dire il collegio dato che non si capirebbe se i compensi congrui erano quelli statuiti dal Tar, ovvero, se a fronte di quanto ricevuto l'avv. P. abbia ancora a pretendere Euro 2.685,58.
Pertanto, conclude il ricorrente dica la Suprema Corte se nell'ordinanza emessa ai sensi della legge n. 794 del 1942, avente valore di sentenza, con ad oggetto la statuizione e determinazione dei compensi del professionista debbano essere indicate le ragioni di congruità e i motivi in fatto ed in diritto che giustificano tale quantificazione e se tale omissione renda nullo il provvedimento.
1.1. - Il motivo è infondato.
Intanto, va evidenziato, anche in questa sede, che il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, secondo comma, Cost., contro provvedimenti che abbiano natura sostanziale di sentenza, come l'ordinanza di liquidazione di spese, onorari e diritti, in favore di avvocati nei confronti dei clienti, prevista dall'art. 29 della legge n. 794 del 1942, è ammesso solo per violazione di legge e, quindi, con esso può farsi valere il vizio di motivazione solo ove esso si risolva in violazione di legge, e cioè in caso di radicale mancanza (o di mera apparenza) della motivazione.
Ora, nel caso in esame, non ricorre né un'ipotesi di una mancanza di motivazione, né quella di una motivazione apparente. A ben vedere l'ordinanza, premesso che il P. aveva ammesso di avere già ricevuto la somma di L. 8.500.000 e che egli stesso aveva fatto riferimento nel preavviso di parcella alla determinazione dei diritti ed onorari fatta dal Tar, ha sostanzialmente liquidato il compenso in lire 8.500.000 più lire 5.000.000, e liquidato in lire 5.000.000 più lire 200.000 per spese successive alla sentenza del Tar (Euro 2.685,00) l'importo residuo spettante al professionista per l'opera prestata. Pertanto non è ravvisabile nell'ordinanza una mancanza materiale o ideologica, della motivazione suscettibile della denuncia del vizio di cui all'art. 132, n. 4 né degli artt. 156 e 161 richiamati a sostegno della questione sollevata di nullità del provevdimento.
2 - Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 91, primo comma, cpc. E dell'art. 92, secondo comma, cpc, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3. Nel provvedimento impugnato il Collegio, secondo il ricorrente, non avrebbe spiegato quali fossero i giusti motivi che giustificavano la compensazione delle spese giudiziali. Epperò, se il Tribunale ha accolto la domanda dell'avv. P. non si capisce perché a ciò non ha fatto seguito l'applicazione rigorosa della soccombenza a carico del R. come previsto dal 1 comma dell'art. 91 cpc.
Dica la Suprema Corte, conclude il ricorrente, se costituisce violazione di legge dell'art. 92, secondo comma, cpc. La decisione secondo la quale il giudice del merito con apposita clausoletta di stile “sussistono giusti motivi” dichiara la compensazione integrale delle spese del procedimento, pur riconoscendo in parte fondata la domanda originariamente proposta e senza la quale la pretesa di pagamento non sarebbe stata riconosciuta.
2.1. - Il motivo è infondato.
A bene vedere il provvedimento è anteriore alle modifiche apportate dalla legge 28 dicembre 2005 n. 263, che ha reso rigorosa la motivazione sulla compensazione, e si applica quindi la giurisprudenza anteriore che escludeva l'obbligo di specificare i motivi.
3. - Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione ex art. 360, primo comma, n. 5 cpc.
Secondo il ricorrente il Tribunale di Cagliari non avrebbe neppure specificato quali fossero e a quanto ammontassero sia i diritti di procuratore che gli onorari di avvocato da non riconoscere perché non dovuti o perché da liquidare in misura inferiore al minimo o né tale specificazione è desumibile dalla sentenza del TAR alla quale il Collegio si richiama pedissequamente. In secondo luogo, il Tribunale nel determinare i compensi di cui si dice ha fatto riferimento ad uno scaglione di valore più basso rispetto a quello individuato nel parte di congruità dall'Ordine professionale, epperò ha omesso di indicare le ragioni che lo hanno portato a disattendere, non solo il precedente provvedimento ingiuntivo, ma pure il parere di congruità espresso dal Consiglio dell'Ordine. Insomma, la motivazione del Collegio non dice: a) perché congrua la liquidazione del Tar; b) quale sia stato l'iter per ritenere congruo quel compenso; c) non dice neppure perché è da disattendere la quantificazione proposta dall'avv. P. e dal parere di congruità espressa dal consiglio dell'Ordine degli Avvocati d) non fa alcun cenno all'impegno professionale profuso dal difensore. Sarebbe contraddittoria e illogica perché non spiega per quale ragione sia stato emesso un decreto ingiuntivo che ha ritenuto come prova valida al fine dell'emissione del provvedimento monitorio il parere di congruità dell'Ordine degli avvocati e successivamente, lo disattende o meglio non ne tiene conto in alcun modo.
3.1. - Anche questo motivo non ha ragion d'essere.
Quanto al vizio di motivazione, atteso che il provvedimento è anteriore all'entrata in vigore del dlg n. 40 del 2006 (2 marzo 2006) che, sostituendo l'art. 360 cpc, ha consentito il sindacata per vizio di motivazione, anche, relativamente, ai provvedimenti contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge, non sono esaminabili, quindi, le questioni inerenti all'individuazione dello scaglione di valore e la difformità della valutazione dell'opera prestata da quella sorretta dal parere di congruità.
Tuttavia, il ricorrente pone a fondamento del proprio ragionamento un dato, che lo scaglione di valore cui apparterrebbe il giudizio svoltosi davanti al Tar Sardegna, fosse compreso tra 200 e 500 milioni di lire, senza riportare, né indicare i documenti dai quali risulterebbe il valore dello scaglione che pretenderebbe sia riconosciuto e cui di sicuro apparterebbe il giudizio svoltosi davanti al Tar Sardegna, considerato per altro che né il Tar Sardegna aveva attribuito tale valore al giudizio di cui si dice, né tale valore era stato indicato nel preavviso di parcella, documento questo, redatto dallo stesso avv. P. .
D'altra parte, il parere del Consiglio dell'Ordine, in materia di liquidazione degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato, è vincolante per il giudice in sede di emissione di decreto ingiuntivo, ma non nella eventuale fase di opposizione, nella quale il giudice può motivatamente disattendere tale parere.
Piuttosto, andava censurata per violazione di legge l'omessa specificazione delle somme liquidate per diritti ed onorari, mentre, il motivo è privo di autosufficienza laddove lamenta l'omessa specificazione dei diritti e onorari esclusi senza riportare il contenuto della particella posta a fondamento.
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cpc, condannato al pagamento delle spese del giudizio i cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.
20-04-2013 17:17
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