La notifica del ricorso per fallimento effettuata, per posta, è corretta se viene notificata al maggiordomo presso il domicilio del socio accomandatario, legale rappresentante della società.-
Corte di Appello di Napoli, sez. Feriale, sentenza 7 - 27 agosto 2013, n. 107
Presidente/Relatore Venuta
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 20.6.13 la MARKET di C.R. S.a.s., in persona del legale rappresentante C.R., nonché C.R. in proprio hanno proposto reclamo ex art. 18 L.F., come modifiCato dal d. lgs. n. 169/07, avverso la sentenza n. 7/13 del 14.5.13 con la quale il Tribunale di Ariano Irpino aveva dichiarato il fallimento della società e del socio accomandatario su istanza della Ce.Di.Sigma Campania S.p.A., che vantava nei confronti della società un credito insoddisfatto di € 42.408,82.
l reclamanti assumendo che il ricorso introduttivo della procedura non era stato loro regolarmente notificato, che il credito della società istante si riferiva a forniture -rese alla MARKET DISTRIBUZIONI S.r.l., poi trasformata in MARKET di C. R. S.a.s.- che erano garantite in solido dalle signore Z. e V.S., e che non risultava che la Ce.Di. Sigma avesse fatto alcuna richiesta di pagamento ai fideiussori, hanno chiesto revocarsi il fallimento “per carenza dei presupposti di fatto e di diritto, con tutti i conseguenti effetti di legge, per non avere convocato legittimamente la società e per essa il socio accomandatario all'udienza prefallimentare del 19.4.13 e per avere poi notificato la sentenza dichiarativa di fallimento in mani di soggetto privo di legittimazione", con vittoria di spese da porsi a carico della curatela e del creditore istante.
Fissata l'udienza e instauratosi il contraddittorio, si costituiva tempestivamente la Ce. Di. Sigma Campania S.p.A., la quale contestava la fondatezza del reclamo chiedendone il rigetto.
All'udienza del 7 agosto 2013, si costituiva anche il fallimento, che pure contestava la fondatezza del reclamo chiedendone il rigetto.
Alla stessa udienza, sulle conclusioni sopra trascritte, la Corte si è quindi riservata la decisione della causa.
Motivi della decisione
Con il primo e fondamentale motivo i reclamanti deducono che il ricorso di fallimento non era stato loro regolarmente notificato, perchè il piego era stato consegnato a persona che era totalmente priva di collegamento con il destinatario dell'atto.
La deduzione è infondata.
La notifica del ricorso per fallimento e stata effettuata, per il tramite del servizio postale, al domicilio del socio accomandatario, legale rappresentante della società, C. R. (la sede della società, cancellata dal registro delle imprese, risultava già chiusa). La notifica è stata dunque effettuata, a norma dell'art. 145 c.p.c, alla persona fisica che rappresenta la società presso la sua residenza.
Dalla relata dell'ufficiale postale emerge che, la notifica è stata effettuata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. per irreperibilità delle persone indicate nell'art. 139. L'avviso di ricevimento della raccomandata inviata ai sensi dell'articolo citato risulta firmata da tale E.M., “al servizio del destinatario e addetto alla ricezione”.
Lo stesso M. ha poi provveduto a ritirare il piego presso la casa comunale (avvalendosi evidentemente di delega rilasciata dalla C.) e quindi si è "costituito" nella procedura al fine di far rilevare l'irritualità della notifica perché, a suo dire, la C. era all'estero e esso M. non era abilitato alla ricezione degli atti.
Ma, come affermato dal Tribunale, la notifica deve ritenersi del tutto rituale.
Deve anzitutto considerarsi che In tema di notificazioni ad una persona giuridica, e alla stregua dell'art. 145, primo comma, c.p.c., nel testo dettato la consegna dell'atto presso la sede della società, ovvero, quando in esso ne siano specificati residenza, domicilio e dimora abituale, con le modalità prescritte dagli artt. 138, 139 e 141 cod. proc.civ., dovendo altresì ritenersi possibile, in assenza di un espresso divieto di legge, la notifica all'amministratore tramite il servizio postale ai sensi dell'Art. 149 c.p.c." (cfr. Cass. n. 22597/12, relativa proprio alla notifica di un ricorso di fallimento con il decreto di fissazione dell'udienza prefallimentare).
Tanto premesso, deve quindi ritenersi che ritualmente l'ufficiale postale, in assenza di persone idonee a ricevere l'atto, ha curato il deposito del piego presso la casa comunale e ha inoltrato la raccomandata ai sensi dell'art. 140 c.p.c.; tale raccomandata risulta regolarmente recapitata perché ricevuta dal M., che si è qualificato addetto alla casa; lo stesso M. ha poi ritirato l'atto presso la Casa comunale.
La notifica si è quindi perfezionata. Né è possibile contestarne la validità con la semplice asserzione (fatta prima dal M., con la memoria difensiva depositata in Tribunale, e ora dalla C.) secondo cui in realtà il M. non aveva nessuna relazione con la destinataria dell'atto e, perciò, illegittimamente aveva ritirato l'atto.
Deve considerarsi, infatti, che, secondo consolidata giurisprudenza, nel caso in cui la notifica sia effettuata mediante consegna a persona che si trova nella casa del destinatario e dichiari di essere addetta alla casa o, comunque, incaricata dal destinatario di ricevere gli atti a lui diretti, una volta che la speciale relazione intersoggettiva -in base alla quale la legge presume che l'atto, consegnato a mani di persona diversa dal destinatario, venga portato a conoscenza di costui- sia stata attestata in una dichiarazione resa all'ufficiale giudiziario e, poi, trasposta nella relazione da questi redatta, e una volta che il notificante abbia depositato in causa tale relazione di notificazione, null'altro il notificante medesimo deve far dimostrare l'esistenza dei presupposti di fatto che rendono la notificazione legittima, in quanto niente consente di presumere che non risponda al vero la dichiarazione raccolta dall'ufficiale giudiziario. Pertanto, la contestazione della controparte, destinataria dell'ano, in ordine alla veridicità dell'indicata dichiarazione, integra una vera e propria eccezione, per sorreggere la quale, secondo i principi generali sull'onere della prova, è la stessa parte che la ha sollevata a doverne provare il fondamento.
l reclamanti dovevano quindi dare la prova che il M. non aveva nessuna relazione con la destinataria dell'atto. In mancanza la notifica deve essere ritenuta pienamente valida.
Quanto alla sussistenza dei requisiti di fallibilità deve considerarsi che, a norma dell'art. 1 L.F., nella formulazione attualmente in vigore applicabile al caso di specie, Non sono soggetti alle disposizioni sul fai/imenio e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
Nessuna prova hanno però dato i reclamanti della mancato superamento dei requisiti dimensionali sopra indicati e deve considerarsi che, secondo consolidata giurisprudenza, l'art. 1. secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nel testo modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di "prossimità della prova", pone a carico del debitore l'onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti (cfr. Cass. n. 13086/10).
Nella fattispecie i reclamanti non contestano neppure specificamente la sussistenza dei requisiti dimensionali sopra riportati, limitandosi a dedurre genericamente "la carenza di presupposti di fatto e diritto" richiesti dalla legge per la dichiarazione di fallimento, e, comunque, nessuna prova hanno dato (nulla producendo a tale fine) del fatto che la società era esente dal fallimento per mancato superamento congiunto dei parametri fissati dalla norma.
Del tutto priva di fondamento infine la deduzione secondo cui, essendo i crediti di cui al ricorso assistiti da garanzia fideiussoria, il creditore per poter chiedere il fallimento avrebbe dovuto prima escutere negativamente i fideiussori, posto che nessuna disposizione impone al creditore siffatto oneroso obbligo.
In conclusione, considerato che il credito vantato dalla società istante supera abbondantemente il limite fissato dall'art. 15 della legge fallimentare e che neanche in questa sede la debitrice ha mostrato di volere e potere assolvere la propria obbligazione, la sentenza dichiarativa di fallimento non può che essere confermata.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in considerazione del valore della causa e delle questioni trattate, facendo applicazione del D.M. 20 luglio 2012 n. 140 (S.U. n. 17406/12).
P.Q.M.
la Corte, definitivamente pronunciando sul reclamo proposto ai sensi dell'art. 18 delle legge fallimentare da MARKET di C. R. S.a.s., nonché da C.R. in proprio avverso la sentenza n. 712013 del 14.5.13 del Tribunale di Ariano Irpino nei confronti di Ce. Di. Sigma Campania S.p.A., nonché del Fallimento di MARKET di C.R. S.a.s. e di C.R. in proprio, quale socio accomandatario, cosi provvede:
1) rigetta il reclamo;
2) condanna i reclamanti al pagamento delle spese di lite in favore dei reclamati, spese che liquida, quanto alla Ce.Di. Sigma Campania S.p.A., in complessivi euro 2.000,00 per compensi professionali e, quanto al Fallimento, in complessivi euro 2.000,00 per compensi professionali.
03-10-2013 13:13
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