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Sentenza

La reiterazione di un comportamento favorevole del datore di lavoro verso i dipe...
La reiterazione di un comportamento favorevole del datore di lavoro verso i dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, che agisce sul piano dei singoli rapporti individuali come un contratto collettivo aziendale.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 maggio - 2 settembre 2013, n. 20085
Presidente Miani Canevari – Relatore Berrino

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9/7 - 5/8/09 la Corte d'appello di Potenza, nel pronunziarsi sull'impugnazione proposta da S. G., C. S. ed A. F. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Matera che aveva respinto la loro domanda diretta alla condanna della M. s.r.l. alla restituzione delle somme per scatti di anzianità dalla medesima indebitamente recuperate dopo il loro iniziale riconoscimento, ha dichiarato estinto il giudizio nei confronti dell'A. per intervenuta rinunzia, mentre ha accolto il gravame in favore degli altri due dipendenti, condannando, di conseguenza, la società appellata al pagamento degli importi di cui era risultata debitrice. La Corte ha spiegato che per prassi aziendale, accertata all'esito dell'istruttoria, tali emolumenti erano entrati a far parte della retribuzione in ragione della loro stabilità e continuità, con conseguente illegittimità del loro recupero da parte della datrice di lavoro.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la M. s.r.l. che affida l'impugnazione a due motivi di censura.
Resistono con controricorso S. G. e S. C.. La ricorrente deposita, altresì, memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo, dedotto per omessa ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 1340, 1374 e 2077 cod. civ., la ricorrente società contesta il ricorso, da parte dei giudici d'appello, al criterio dell'uso aziendale per la giustificazione del mantenimento degli scatti biennali di anzianità. Al riguardo la ricorrente evidenzia che si era limitata esclusivamente a riconoscere al personale lo stesso trattamento economico praticato dalla precedente datrice di lavoro "A.G." s.r.l, aggiungendo il computo degli scatti maturati in corso di rapporto e finendo, in tal modo, per attribuire ai dipendenti un numero di scatti superiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di settore, senza che tutto ciò autorizzasse ad intravvedere nella fattispecie una ipotesi di prassi aziendale come erroneamente intesa dalla Corte di merito.
Col secondo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del "CCNL Grafici Industria", la ricorrente evidenzia che i giudici d'appello hanno omesso di considerare che la norma collettiva in questione pone un limite massimo nel riconoscimento degli scatti di anzianità, stabilendo che l'aumento in cifra fissa deve essere contenuto fino ad un massimo di cinque bienni. Il ricorso è infondato.
Invero, nel motivare il proprio convincimento sull'esistenza di una preassi aziendale favorevole ai dipendenti, la Corte di merito ha spiegato, con argomentazioni congrue che sfuggono ai rilievi di legittimità, che i lavoratori avevano fatto chiaro riferimento sia agli scatti di anzianità maturati con la precedente datrice di lavoro, come risultanti dalle buste paga, che a quelli ininterrottamente corrisposti per ben sette anni, in base al loro calcolo effettuato al momento del passaggio dalla società A.G. s.r.l. alla M. s.r.l.; inoltre, era significativa pure la circostanza per la quale proprio nel periodo del passaggio alle dipendenze della nuova datrice di lavoro si era fatto riferimento alla locuzione "scatti congelati" contenuta nelle precedenti buste paga; infine, da tutte le buste paga prodotte si ricavava che il calcolo era stato eseguito mantenendo l'importo maturato a titolo di scatti di anzianità e prevedendosi cambi di scatto biennali, per cui era da ritenere che tali emolumenti erano entrati a far parte della retribuzione in ragione della loro stabilità e continuità, con conseguente illegittimità del loro recupero da parte della datrice di lavoro.
Tanto premesso, occorre aggiungere che il ricorso, da parte dei giudici d'appello, al criterio dell'uso aziendale più favorevole al lavoratore è conforme all'indirizzo interpretativo espresso al riguardo da questa Corte.
Infatti, con sentenza della Sezione Lavoro di questa Corte n. 8342 dell'8/4/2010, si è statuito che "la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in melius" del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l'uso o di escluderlo - né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti - con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati - né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica "in peius" del trattamento in tal modo attribuito." (conf. a Cass. Sez. Un. n. 26107 del 13/12/2007 e a Cass. Sez. lav. n. 17481 del 28/7/2009) Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo con loro attribuzione all'avv. V. S. dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge, con attribuzione all'avv. S..
Avv. Antonino Sugamele

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