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Sentenza

Necessaria l’insinuazione al passivo se sopraggiunge il fallimento, altrimenti l...
Necessaria l’insinuazione al passivo se sopraggiunge il fallimento, altrimenti la sentenza verso il fallito è inopponibile ai creditori
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 giugno - 30 agosto 2013, n. 19975
Presidente Petti – Relatore De Stefano

Svolgimento del processo

1. A seguito di un grave incendio che colpì diversi capannoni in (omissis) , furono intentate, tra loro in vario modo intrecciandosi, distinte azioni giudiziarie dinanzi al tribunale di Larino:

- una prima, da parte della proprietaria del capannone da cui si era originato l'incendio, la FASMAT di Massari Savino, nei confronti della sua assicuratrice dei rischi da incendio, la Milano ass.ni: nella quale la convenuta si costituì, adducendo l'inoperatività della polizza per l'addotto carattere doloso del fatto e lamentando la reticenza di controparte in ordine all'avvenuta concessione in locazione di parte dell'immobile;

- una seconda, da parte del proprietario di un immobile vicino, T.S. , nei confronti della proprietaria del capannone da cui si era originato l'incendio, cioè la detta FASMAT: la quale, costituendosi, negò qualsiasi sua responsabilità e comunque chiese ed ottenne di chiamare in garanzia la sua assicuratrice Milano ass.ni;

- una terza, da parte del proprietario di altro immobile vicino, D.M.E. quale titolare della ditta Di Geronimo, nei confronti sia della FASMAT, proprietaria del capannone da cui si era originato l'incendio, sia della locataria di una sua parte, la MI.PA. srl, sia delle loro rispettive assicuratrici contro i rischi da incendio, cioè la Milano Ass.ni e La Fondiaria ass.ni: nel quale queste ultime negarono l'ammissibilità di un'azione diretta del danneggiato nei loro confronti e delle prime due ognuna addossò all'altra l'esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro;

- una quarta, da parte della FASMAT, nei confronti della MI.PA. srl e della sua assicuratrice per i rischi da incendio, nel frattempo divenuta La Fondiaria spa: nella quale quest'ultima negò l'ammissibilità di una domanda diretta della danneggiata nei suoi confronti e l'altra attribuì all'attrice ogni responsabilità nell'evento.

Disposta in più riprese la riunione delle quattro cause, esse, istruite a mezzo di prove per interpello e testimoni, espletata consulenza tecnica di ufficio ed acquisita documentazione, furono decise dal tribunale con sentenza 1.6.04, con la quale, in estrema sintesi dei quindici capi del relativo dispositivo, furono sostanzialmente accolte le domande di risarcimento dei singoli danneggiati (FASMAT, T. , D.G. ), ma non in danno delle assicuratrici di altrui responsabilità, mentre queste furono condannate ora al risarcimento del danno in favore del proprio assicurato (Milano in favore di FASMAT), ora alla rivalsa di quanto gli assicurati avrebbero dovuto in proprio corrispondere ai danneggiati (Milano e Fondiaria in favore, rispettivamente, di FASMAT e MI.PA., queste ultime condannate, entrambe, al risarcimento dei danni patiti dal T. e dal D.M. e, la seconda, a quelli della prima).

Avverso tale sentenza interposero separati appelli la Fondiaria SAI spa, la Milano Ass.ni e T.S. ; resistettero M.S. - quale titolare della ditta FASMAT - ed il D.M. , ma pure, non costituitasi la MI.PA. srl, la curatela del fallimento di quest'ultima;

dispiegarono appelli incidentali la Milano spa, il D.M. ed il T. .

La corte di appello di Campobasso, riunite le impugnazioni, per quel che qui ancora rileva: escluse essere mai stata proposta valida domanda di garanzia da parte dell'assicurata MI.PA. srl nei confronti della sua assicuratrice Fondiaria ass.ni e pertanto annullò le condanne pronunciate ai danni di quest'ultima in favore della prima; ritenne validamente instaurato sia il rapporto processuale con la curatela del fallimento della MI.PA. srl che quello con quest'ultima in proprio, nonostante l'evento interruttivo non fosse mai stato dichiarato nel corso del giudizio di primo grado; ritenne preclusa da giudicato interno - anche in rapporto al tempo di formulazione della relativa difesa da parte della curatela - l'improponibilità delle domande proposte contro la MI.PA., ormai fallita.

Avverso tale sentenza, pubblicata il 19.9.06 con il n. 252, ricorre oggi la Curatela del fallimento MI.PA. srl, affidandosi a due motivi; resistono, con separati controricorsi, T.S. e M.S. , quale titolare della FASMAT, il quale dispiega altresì ricorso incidentale, articolato su tre motivi.

Motivi della decisione

2. In via preliminare, i due ricorsi, siccome proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ..
Sempre in via preliminare, non rileva l'omessa notifica del ricorso introduttivo anche al procuratore, costituito i in secondo grado, della Fondiaria SAI spa: infatti, ritiene fermamente il Collegio di ribadire che il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti del l'uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'art. 101 cod. proc. civ., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti: sicché è superfluo ordinare la rinnovazione della notifica del ricorso ad un litisconsorte necessario, quando il ricorso si palesi manifestamente inammissibile (cfr., per il caso di inammissibilità del ricorso, Cass. Sez. Un., ord. 22 marzo 2010, n. 6826; fra le tante ad essa seguite: Cass. 18 gennaio 2012, n. 690; Cass. 25 gennaio 2012, n. 1032; Cass., ord. 8 novembre 2012, n. 19317).
Ciò posto, va premesso pure che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di cui all'art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69) l'art. 366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079). Pertanto:
2.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità, da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perché, in contrario, difetterebbero di decisività (sulla necessità della pertinenza del quesito, per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
2.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure - se non soprattutto - le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680);
2.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione, nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di norme di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla imprescindibile condizione che ciascuna sia accompagnata dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte: Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre 2011, n. 27649).
3. Tutto ciò posto, può procedersi ad esaminare partitamente i singoli motivi di impugnazione.
3.1. La ricorrente principale Curatela del fallimento della MI.PA. srl articola due motivi:
- un primo, di "violazione o comunque falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell'art. 330 c.p.c. e degli artt. 299 e 300 c.p.c.", che conclude col seguente quesito: dica la Ecc.ma Corte di Cassazione se in ipotesi di fallimento della parte nel corso del giudizio di 1 grado senza che il fallimento stesso sia stato dichiarato dal procuratore costituito e quindi senza che vi sia stata interruzione e successiva riassunzione del giudizio, la notifica dell'appello al curatore del fallimento sia da ritenersi inesistente e comunque nulla o invalida dovendo l'appello essere notificato al procuratore costituito, circostanza che avrebbe comunque consentito l'emissione di una sentenza non inutiliter data ma assolutamente efficace nei confronti del fallito tornato in bonis;
un secondo, di "violazione o comunque falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell'art. 329 c.p.c. anche in relazione all'art. 52 R.D. 16/3/1942 n. 267 (L.Fall.)", che conclude col seguente quesito: Dica la Ecc.ma Corte adita se l'accertamento di un credito in sede ordinaria anziché in sede fallimentare debba ritenersi improcedibile ai sensi degli artt. 52 e 92 e segg. della Legge Fallimentare e se la relativa questione possa essere sollevata e rilevata anche d'ufficio dal giudice di appello, quando il primo grado si è svolto solo nei confronti della parte poi dichiarata fallita ed il fallimento è stato chiamato in giudizio solo con l'atto di appello, senza che peraltro in precedenza vi sia stata alcuna declaratoria del fallimento stesso e alcun atto interruttivo.
3.2. Dal canto loro, il controricorrente M.S. , titolare della FASMAT, dopo avere aderito (pag. 11 del controricorso, sesto rigo dalla fine) alla richiesta di annullamento della sentenza della corte territoriale, dispiega tre motivi di ricorso incidentale:
un primo (di "violazione o, comunque, falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell'art. 88 c.p.c. e dell'art. 1917 cod. civ."), che conclude col seguente quesito: accerti e dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se nell'ipotesi in cui una Compagnia di Assicurazione ponga in essere, d'intesa o meno col proprio assicurato, un comportamento processuale che si dimostri in danno della parte che ne potrebbe essere beneficiata, si può o si deve configurare una responsabilità solidale o una garanzia impropria;
un secondo (di "violazione o, comunque, falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell'art. 106 c.p.c. e dell'art. 1917, 4 comma cod. civ. in considerazione di quanto previsto dall'art. 1932, 2 comma cod. civ. - erronea motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio"), che conclude col solo seguente quesito: accerti e dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se nell'ipotesi in cui una Compagnia di Assicurazione, già chiamata in manleva per una delle parti in causa, dopo avere accettato il contraddittorio nei confronti di tutti i controinteressati dell'unico processo, possa essere considerata in manleva nei confronti degli altri e, comunque, tenuta a rivalere il proprio assicurato dei danni subiti dai terzi;
un terzo (di "erronea motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e violazione o, comunque, falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 115 c.p.c"), che conclude coi seguenti quesiti: 1) accerti e dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se vi è difetto o errore di motivazione nell'ipotesi in cui si ritiene che una Compagnia di Assicurazione - già chiamata in manleva dal proprio assicurato per una delle parti in causa, dopo aver accettato il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri soggetti interessati dell'unico processo - non può dolersi della quantificazione dei danni pretesi da uno dei terzi quando la sentenza preannuncia che l'Assicurazione nulla deve rivale[re] al proprio assicurato; 2) accerti e dica l'Ecc.ma Corte di Cassazione se nella sentenza impugnata vi è violazione dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 115 c.p.c. allorquando si riconosce e si quantifica il danno lamentato dalla ditta Di Geronimo Giovanni di D.M.E. senza che questi abbia dato sul punto prova alcuna.
3.3. A sua volta, il controricorrente T.S. : contesta la fondatezza del primo motivo di ricorso principale, ritenendo valida ed efficace la notifica dell'atto di impugnazione alla curatela di una parte il cui fallimento non sia stato dichiarato fino a quel momento; contesta il secondo motivo, ritenendo inadempiuto onere di controparte il dispiegamento di impugnazione specifica quanto alla improcedibilità delle domande da sopravvenuto fallimento.
4. Vanno esaminati dapprima i motivi addotti a sostegno del ricorso principale.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta l'irritualità del dispiegamento dell'atto di impugnazione nei suoi propri confronti, nonostante la parte processuale in primo grado, cioè la MI.PA. srl, avesse perso la sua capacità per l'intervenuta declaratoria di fallimento.
Orbene, non attiene alla capacità processuale, ma al diverso e successivo profilo della proseguibilità o procedibilità della domanda dispiegata contro il fallito, la circostanza che la pretesa, in origine rivolta nei confronti dell'imprenditore ancora in bonis, sia oggetto di un gravame della condanna di quest'ultimo notificato alla Curatela.
4.1.1. Va premesso che la giurisprudenza di questa Suprema Corte è ormai consolidata (a partire da Cass. Sez. Un. 28 luglio 2005, n. 15783) nel senso che qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell'art. 190 cod. proc. civ.), e tale evento non venga dichiarato né notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell'art. 300 cod. proc. civ., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati.
Tale conclusione è raggiunta alla stregua dell'art. 328 cod. proc. civ., dal quale si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell'impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l'evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato. Limitatamente, peraltro, ai processi pendenti alla data del 30 aprile 1995 - rispetto ai quali non opera la possibilità di sanatoria dell'eventuale errore incolpevole nell'individuazione del soggetto nei cui confronti il potere di impugnazione deve essere esercitato, offerta dal nuovo testo dell'art. 164 cod. proc. civ., come sostituito dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, nella parte in cui consente la rinnovazione, con efficacia ex nunc, della citazione (e dell'impugnazione) in relazione alle nullità riferibili ai nn. 1 e 2 dell'art. 163 cod. proc. civ. - il dovere di indirizzare l'impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell'evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto che propone l'impugnazione, essendo tale interpretazione l'unica compatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Nello stesso senso, anche al di fuori della specifica ipotesi del raggiungimento della maggiore età della controparte già minorenne, opera la morte della parte (Cass. 29 agosto 2011, n. 17692), oppure la cancellazione della società dal registro delle imprese (Cass. Sez. Un. 12 marzo 2013, n. 6060; Cass. 22 marzo 2013, n. 7277).
4.1.2. Deve ritenersi in tal modo composta l'antinomia tra le differenti e precedenti opzioni ricostruttive:
- una prima, secondo la quale è inammissibile l'appello, avverso la sentenza resa anche nei confronti di un imprenditore nelle more colpito da fallimento non ritualmente dichiarato, proposto con atto notificato alla curatela del fallimento (Cass. 27 aprile 1999, n. 4195);
- un'altra, secondo la quale tale notifica è solo nulla e quindi sanabile (Cass. 18 gennaio 2002, n. 518);
- un'altra ancora, a mente della quale unico legittimo destinatario della vocatio in ius in ordine alla impugnazione è proprio il curatore, ai sensi dell'art. 43 legge fall. (Cass. 17 febbraio 1998, n. 1696; Cass. 27 marzo 2003, n. 4547): il quale, anzi, non può - proprio per questo - dolersi della notificazione dell'atto di impugnazione nei suoi confronti o dedurre, per ciò solo, l'irritualità della medesima.
4.1.3. Sulla base di tale principio generale, correttamente l'appello avverso una sentenza recante statuizioni di condanna nei confronti di un imprenditore fallito nelle more - ma senza che vi sia stata in primo grado rituale dichiarazione dell'evento interruttivo - è notificata al suo curatore, siccome unico soggetto legittimato, in quel momento, a stare in giudizio in ordine all'oggetto di detta condanna.
4.1.4. Pertanto, è infondato il primo motivo di ricorso principale, essendo stata l'impugnazione proposta appunto contro la curatela della parte fallita in primo grado, ma con evento non dichiarato in quella sede.
4.2. Quanto al secondo motivo di ricorso principale, va ricordato come il principio di irrilevanza degli eventi interruttivi verificatisi dopo la chiusura dell'udienza di discussione o comunque non dichiarati, attiene alla sola possibilità dell'interruzione del processo, non anche al distinto profilo dell'opponibilità al fallimento della decisione che venga comunque pronunciata nei confronti del debitore, perché l'inopponibilità deriva dalla perdita di legittimazione processuale di questo, che si verifica in modo del tutto automatico, ai sensi dell'art. 43 legge fall., per effetto della dichiarazione di fallimento.
4.2.1. Al riguardo, è radicalmente ed irrimediabilmente inopponibile alla massa fallimentare qualunque condanna pronunziata nei confronti di chi sia stato, nelle more tra domanda e sentenza e senza dichiarazione del relativo evento interruttivo, dichiarato fallito (Cass. 10 dicembre 2010, n. 24963); infatti, in difetto di tale dichiarazione o notificazione il processo prosegue tra le parti originarie e l'eventuale sentenza pronunciata nei confronti del fallito non è nulla, né inutiliter data, bensì soltanto inopponibile alla massa dei creditori, rispetto ai quali il giudizio in tal modo proseguito costituisce res intex alios acta (Cass. 20 giugno 2000, n. 8363; Cass. 22 giugno 2001, n. 8530; Cass. 6 luglio 2001, n. 9164; Cass. 4 aprile 2013, n. 8238); e restano salve la proseguibilità della stessa, ma solo nei confronti del fallito, ovvero l'opponibilità della pronuncia in danno di quest'ultimo, ove risulti in modo inequivocabile che la sua controparte abbia inteso proseguirla per azionarla nei confronti di lui, ove tornato in bonis (tra le molte, v. Cass. 28 giugno 2006, n. 14981).
Infatti, nel sistema delineato dagli artt. 52 e 95 legge fall., qualsiasi ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare deve essere dedotta, nel rispetto della regola del concorso, con le forme dell'insinuazione al passivo: qualora pertanto, a seguito della dichiarazione di fallimento, la parte che aveva agito in giudizio nei confronti del debitore coltivi la propria azione nei confronti del curatore, subentrato all'originaria parte ai sensi dell'art. 43 legge fall., la domanda dev'essere dichiarata improcedibile, in quanto inidonea a condurre ad una pronuncia di merito opponibile alla massa, a meno che il creditore non dichiari espressamente di voler utilizzare tale titolo, dopo la chiusura del fallimento, per agire esecutivamente nei confronti del debitore ritornato in bonis (giurisprudenza fermissima; da ultimo: Cass. 22 dicembre 2005, n. 28481; Cass. 5 agosto 2011, n. 17035; Cass. 26 giugno 2012, n. 10640).
4.2.2. Tale improcedibilità, poi, non soggiace ad alcun limite preclusivo, se non - a tutto concedere e per mera ipotesi - il giudicato interno, correttamente inteso.
Infatti, le questioni concernenti l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento, anche se impropriamente formulate in termini di competenza, sono, in realtà (e prima ancora), questioni attinenti al rito. Pertanto, proposta una domanda volta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta, invece, al regime del concorso, il giudice (erroneamente) adito è tenuto a dichiarare (non la propria incompetenza ma) l'improcedibilità o l'improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, trovandosi in presenza di una vicenda litis ingressus impediens, concettualmente distinta da un'eccezione d'incompetenza. Pertanto, la relativa questione, non solo non soggiace alla preclusione prevista dall'art. 38 primo comma cod. proc. civ. (nella sua formulazione in vigore dopo il 30 aprile 1995) per le eccezioni di incompetenza, ma può essere dedotta o rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 23 aprile 2003, n. 6475; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5063; sulla prima parte, v. pure Cass. 12 maggio 2011, n. 10485).
4.2.3. E di giudicato interno non può parlarsi in alcun modo nella fattispecie, perché non vi è stata nessuna pronuncia, nemmeno implicita, sulla proseguibilità delle domande contro la MI.PA. srl anche nei confronti della curatela (o sulla conseguente opponibilità delle condanne della prima anche alla massa fallimentare): nella sentenza oggetto di appello la relativa questione non era stata affrontata o presupposta, nemmeno per implicito, né avrebbe potuto esserlo, visto che l'evento non era stato dedotto - neppure irritualmente, a quanto consta - nel corso del giudizio di primo grado ed era restato del tutto ignoto al decidente. Mentre non vi è alcun onere di deduzione dell'evento stesso entro termini perentori o comunque prestabiliti, attesa la ricostruzione della stessa sua dichiarazione nei termini di cui sub 4.2.2, quale sollecitazione del riscontro ufficioso del rito indefettibilmente applicabile.
4.2.4. Pertanto, erra la corte territoriale quando esclude la ritualità ("proponibilità") dell'eccezione di improponibilità (o, recte, improcedibilità, visto che le domande erano state ritualmente dispiegate al momento dell'instaurazione del giudizio) da sopravvenuto fallimento non dichiarato in primo grado; e tanto in applicazione del seguente principio di diritto: la non proseguibilità di una domanda in origine dispiegata nei confronti di un soggetto poi fallito, il cui fallimento non sia stato dichiarato nel corso del giudizio di primo grado, integra, siccome vicenda ingressus litis impediens, questione legittimamente proponibile dalla curatela in sede di appello e senza alcuna preclusione, non potendo formarsi giudicato, nemmeno implicito, su di un fatto o di una questione che non sono stati in alcun modo affrontati, né presupposti, né presi comunque in considerazione, dalla sentenza appellata.
5. Quanto ai motivi di ricorso incidentale, in applicazione dei principi ricordati sopra al paragrafo 2:
5.1. è inammissibile il primo motivo, perché assistito da quesito di diritto assolutamente generico ed astratto, privo non solo di qualsiasi riferimento al caso concreto, ma articolato sulla prospettazione di una violata regula iuris dal tenore talmente indistinto e vago da risultare evanescente e del tutto insuscettibile di descrivere una fattispecie astratta; e tanto a prescindere dall'insuperabile rilievo dell'impossibilità di configurare la legittimazione passiva in una domanda mai formulata da colui che vi era legittimato (correttamente essendo stata esclusa l'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratrice per i danni, al di fuori del campo della responsabilità civile autoveicoli), solo in dipendenza delle modalità tecniche di difesa in cause connesse e riunite, ognuna delle quali mantiene pur sempre la sua piena autonomia ed invidivualità: e come se fosse possibile anche solo ipotizzare il dispiegamento di una domanda giudiziale per facta concludentia;
5.2. è inammissibile la doglianza di vizio motivazionale formulata, in uno ad altra, nel secondo motivo, perché non assistita da alcun autonomo momento di riepilogo o sintesi, tanto meno dai rigorosi requisiti di cui al paragrafo 2.2;
5.3. è inammissibile la doglianza di violazione di norme di diritto, formulata anch'essa col secondo motivo, per l'eccessiva genericità della formulazione della regula iuris che si assume violata, restando insanabilmente vaghi i riferimenti alla manleva, all'accettazione del contraddittorio, ai controinteressati, o ad un obbligo di rivalsa; ed anche in tal caso a prescindere dalla lapalissiana impossibilità di configurare la legittimazione passiva di manleva o rivalsa in una domanda mai formulata da colui che vi era legittimato;
5.4. è inammissibile la duplice doglianza di vizio motivazionale di cui al terzo motivo: in primo luogo, perché i momenti di sintesi o riepilogo, così formulati, sono con tutta evidenza privi dei rigorosi requisiti di cui al precedente paragrafo 2.2; in secondo luogo, perché la doglianza di cui al primo profilo pare involgere, più che altro, una questione di interesse ad impugnare, che non è -con tutta ed immediata evidenza - questione di fatto, mentre quella di cui al secondo profilo chiede, con diretto ed inammissibile interpello, a questa Corte di verificare la completezza o meno del materiale probatorio sulla specifica domanda di una delle parti (il D.M. ), senza oltretutto riportare in ricorso compiutamente i passaggi degli atti di merito in cui la tesi dell'incompletezza od insussistenza della prova del danno di quella era stata, da esso ricorrente (e non dalla litisconsorte Milano, la previsione del rigetto delle domande nei cui confronti bene ha eliso l'interesse all'accertamento della relativa doglianza, formulata soltanto dall'assicuratrice).
6. In definitiva, è infondato il primo motivo di ricorso principale e sono inammissibili tutti i motivi di quello incidentale; è fondato, invece, il secondo motivo di ricorso principale, tanto che, sul punto e limitatamente a tale accolta censura, la gravata sentenza va cassata.
In merito all'eccezione di improponibilità di ogni domanda nei confronti della Curatela MI.PA. srl, ritiene tuttavia il Collegio possibile pronunciare nel merito, non apparendo necessari altri accertamenti di fatto. Infatti, l'eccezione stessa è fondata, per quanto argomentato al punto 4.2, non risultando essere mai stata dispiegata alcuna domanda nei confronti dell'imprenditrice fallita per il caso che essa torni in bonis: e va dichiarata allora l'improcedibilità (essendo il fallimento sopravvenuto alla rituale instaurazione della domanda dell'imprenditrice quando era ancora in bonis) di qualsiasi domanda dispiegata nel corso del giudizio nei confronti della Curatela della MI.PA. srl.
La soccombenza reciproca, benché parziale, nonché la considerazione della complessiva condotta delle parti, per come ha la Curatela addotto in giudizio l'evento interruttivo ed argomentato sulle sue conseguenze sul processo in corso, integra, ad avviso del Collegio, un giusto motivo di integrale compensazione delle spese del secondo grado e del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e, del ricorso principale, rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo; cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, dichiara improcedibile qualsiasi domanda dispiegata nel corso del giudizio nei confronti della Curatela della MI.PA. srl; dichiara compensate tra tutte le parti le spese del secondo grado e quelle del giudizio di legittimità.
Avv. Antonino Sugamele

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