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Sentenza

Subisce un procedimento penale per abuso di ufficio e chiede agli eredi di colui...
Subisce un procedimento penale per abuso di ufficio e chiede agli eredi di colui che aveva segnalato alla Procura gestioni sospette di tentativi di conciliazione, la condanna al risarcimento dei danni per le sommarie informazioni testimoniali che quegli aveva reso alla P.G. presso la Procura della Repubblica ritenendole offensive del suo prestigio ed immagine.
Cassazione civile  sez. III  14/11/2013 numero:     25619
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE TERZA CIVILE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BERRUTI    Giuseppe Maria                   -  Presidente   -  
    Dott. MASSERA    Maurizio                         -  Consigliere  -  
    Dott. CHIARINI   Maria Margherita            -  rel. Consigliere  -  
    Dott. DE STEFANO Franco                           -  Consigliere  -  
    Dott. SCRIMA     Antonietta                       -  Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 24435/2007 proposto da: 
               I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UFENTE  12, 
    presso  lo  studio dell'avvocato BRESMES FRANCESCO,  rappresentato  e 
    difeso dall'avvocato COMMODO STEFANO giusta delega in atti; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
               B.M.L., GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A.; 
                                                             - intimati - 
    sul ricorso 28219/2007 proposto da: 
                B.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA  ATTILIO 
    REGOLO 12/D, presso lo studio dell'avvocato ZACCHIA RICCARDO, che  la 
    rappresenta  e difende unitamente all'avvocato MINGIONE MARCO  giusta 
    delega in atti; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
               I.A., ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A.; 
                                                             - intimati - 
    avverso  la  sentenza  n. 374/2007 della CORTE D'APPELLO  di  TORINO, 
    depositata il 07/03/2007 R.G.N. 1713/05; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    29/05/2013 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI; 
    udito l'Avvocato RICCARDO ZACCHIA; 
    udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    CARESTIA  Antonietta,  che ha concluso per  il  rigetto  del  ricorso 
    principale,  inammissibilità del ricorso incidentale,  assorbito  il 
    ricorso incidentale condizionato. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con citazione del 22 novembre 2002 I.A. ha convenuto dinanzi al Tribunale di Torino B.M.L., Bo.Ma.

    L., Pa. e Ma., in qualità di eredi di Bo.Gi.

    -rispettivamente moglie e figlie di costui - chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per le sommarie informazioni testimoniali che quegli aveva reso alla P.G. presso la Procura della Repubblica di Genova in data 25 maggio 1997, offensive del suo prestigio ed immagine.

    Le figlie contestavano la loro legittimazione passiva avendo rinunciato all'eredità e la vedova contestava la domanda; comunque chiamavano in causa la Compagnia di Assicurazioni Generali in quanto le dichiarazioni erano state rese dal defunto in qualità di dipendente della stessa, che perciò ne era civilmente responsabile.

    Si costituiva in giudizio la società Compagnia Assicurazioni generali chiedendo il rigetto della domanda ed in subordine la condanna delle convenute a rimborsarle quanto eventualmente fosse stata condannata a pagare.

    Dichiarata l'estinzione del giudizio tra le Bo. e la s.p.a.

    Assicurazioni generali per rinuncia dell'attore alla domanda nei confronti delle stesse, acquisiti gli atti dalla Procura, il Tribunale ha rigettato la domanda.

    Con sentenza del 7 marzo 2007 la Corte di appello di Torino ha rigettato il gravame sulle seguenti considerazioni: 1) le indagini per il reato di cui all'art. 323 c.p., a carico dello I. erano state avviate per numerose dichiarazioni di terzi, si che è irrilevante l'apertura di due fascicoli, di cui uno dopo le dichiarazioni del Bo., perchè già da tempo prima numerose fonti avevano descritto la anomala situazione delle cause di risarcimento danni presso il Tribunale di Genova, e le relative dichiarazioni erano idonee ad avviare il procedimento penale, ed infatti l'iscrizione dello I. nel registro degli indagati per il suddetto reato era anteriore alle dichiarazioni del Bo. e quindi era da escludere la responsabilità di costui; 2) questi aveva riferito soltanto che lo I. era solito esperire il tentativo di conciliazione nelle cause in cui erano parti le Compagnie di assicurazione e non emerge da tale affermazione che questo metodo fosse preordinato ad imporre le valutazioni di suoi amici, mentre le dichiarazioni del medesimo Bo. secondo le quali le cause che erano difese da determinati avvocati avevano un esito scontato, nel senso che o le compagnie accettavano le loro valutazioni o perdevano la causa, rispecchiavano identiche dichiarazioni correnti nell'ambiente giudiziario genovese e quindi il Bo. si è limitato a riferire sue soggettive interpretazioni per le cause che trattava come ufficio sinistri, che in sè non possono essere diffamatorie e calunniose, e che egli era obbligato a riferire ai magistrati che indagavano, spettando poi all'autorità procedente la relativa valutazione; infatti il P.M. aveva poi chiesto l'archiviazione del procedimento a carico dello I. non avendo rinvenuto fatti oltre valutazioni personali dei testi, nei cui confronti perciò non ha aperto un procedimento per calunnia; 3) dunque il Bo., che non era intervistato da un giornalista, ma sentito da un magistrato, e che perciò aveva il dovere di esporre le sue valutazioni personali presentandole in quanto tali e perciò non aveva commesso nè calunnia nè diffamazione; 4) altrettanto opinioni ed interpretazioni erano le affermazioni del medesimo sulle modalità di assegnazione delle cause e sulle manovre dello I. per ottenerne l'assegnazione, e rispecchiavano l'opinione della compagnia di assicurazione di cui era dipendente il Bo., ed infatti i legali di essa avevano chiesto l'assegnazione delle cause alla sezione tabellarmente competente si che, anche se il Bo. aveva riferito che lo I. si era fatto attribuire delle cause di suo interesse in cui poi appariva nel collegio giudicante, sussiste la sfumatura dubbiosa del tenore delle sue dichiarazioni, avendo egli precisato "mi risulta", "ho saputo per vie traverse", e comunque anche queste rispondevano alle voci correnti nell'ambiente e quindi tutt'al più vi era stata un'erronea interpretazione delle stesse; 4) quanto al fatto illecito per lesione della reputazione personale invocato dallo I., era comunque da escludere, essendo il teste obbligato a riferire agli organi deputati ad accertare i reati anche i suoi dubbi e sospetti peraltro su circostanze già conosciute dagli stessi per altre fonti; pertanto, sia esaminando le dichiarazioni singolarmente, sia complessivamente, nessuna responsabilità era ascrivibile al Bo..

    Ricorre per cassazione I.A. cui resiste B.M. L. che ha interposto altresì ricorso incidentale condizionato.

    Quest' ultima ha depositato memoria.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1.- Con il primo motivo il ricorrente principale deduce: "Il capo della sentenza di appello relativa ai criteri interpretativi dei fatti comunicativi. Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2043 e/o 2059 c.c., e/o artt. 368 e/o 595 c.p., con riferimento ai detti criteri interpretativi dei fatti comunicativi" e conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di cassazione, enunciando specifico principio di diritto in tal senso, che, quando il giudizio civile (o penale) richiede l'interpretazione di plurimi fatti comunicativi onde discernerne la dedotta illiceità, il giudice deve sia esaminare singolarmente le varie dichiarazioni dedotte in giudizio, sia valutarne la portata comunicativa complessiva conseguente tanto al loro accorpamento quanto all'accostamento ad altre notizie fornite, ed ancora al contesto in cui le stesse vennero rese, giudicando quindi se la portata finale della comunicazione considerata in tale maniera integrata, complessiva o contestuale, fosse vera o meno".

    La censura è inammissibile.

    Infatti il quesito - requisito - forma del motivo a pena di inammissibilità - deve esser formulato in modo da far comprendere, dal suo stesso contenuto - non potendo esser integrato dall'esame del motivo, diversamente disapplicandosi l'art. 366 bis c.p.c., ratione temporis vigente - la violazione commessa dal giudice nella fattispecie, che pertanto va richiamata nel quesito nella sua essenzialità, e perciò il quesito non è idoneo se si risolve nell'enunciazione in astratto delle regole vigenti in materia di diffamazione, senza enucleare, in esso, la violazione della regula iuris rispetto ai fatti rilevanti, qualificati dalla Corte di merito meri sospetti ed interpretazioni, valutandoli, come emerge dalla narrativa, sia atomisticamente, sia nel loro contesto complessivo, e ritenendoli obbligatoriamente da riferire, in quanto tali, all'autorità giudiziaria dal Bo. chiamato a deporre.

    2.- Con il secondo motivo censura: "Il capo della sentenza di appello che ha escluso l'illiceità dell'affermazione resa dal Bo.

    secondo la quale la metodologia, del tentativo di conciliazione era adottata dal I. anche nei confronti di altre compagnie assicurative". "Violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2043 e/o 2059 c.c., e/o artt. 368 e/o 595 c.p." e conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte enunciando specifico principio di diritto in tal senso, che, quando il giudizio civile (o penale) richiede l'interpretazione di plurimi fatti comunicativi onde discernerne la dedotta illiceità, il giudice deve esaminare sia singolarmente le varie dichiarazioni dedotte in giudizio, sia valutarne la portata comunicativa complessiva conseguente tanto al loro accorpamento quanto all'accostamento ad altre notizie fornite, ed ancora al contesto in cui le stesse vennero rese, giudicando quindi se la portata finale della comunicazione considerata in tale maniera integrata, complessiva e contestuale, fosse vera o meno. Accerti quindi la Corte di Cassazione che la sentenza qui gravata ha violato e/o falsamente applicato i principi di diritto in tema di danno ingiusto alla reputazione e all'onore (artt. 2043 e/o 2059 c.c., artt. 368 e/o 595 c.p.) ed in ispecie il diritto vivente formato da questa Corte in tema di criteri interpretativi dei fatti comunicativi, esaminando singolarmente le varie dichiarazioni rese dal Bo., omettendo quindi di individuare e valutare la portata comunicativa complessiva conseguente tanto al loro accorpamento quanto all'accostamento ad altre notizie fornite, ed ancora al contesto in cui le stesse vennero rese, giudicando quindi se la portata finale della comunicazione considerata in tale maniera integrata, complessiva e contestuale, fosse vera o meno".

    Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni esposte nell'esame del motivo che precede.

    3.- Con il terzo motivo lamenta: "Vizio di insufficienza e/o contraddittorietà ex art. 360 c.p.c., n. 5, della motivazione del capo della sentenza impugnata relativo alla ritenuta natura non diffamatoria della seguente dichiarazione: "Mi capitava di trattare pratiche che avevano un canale preferenziale nel giudizio civile presiedute dal giudice I. e per le quali erano scontati gli esiti o quanto meno ci si sarebbe aspettati, per i dubbi sollevati in comparsa una trasmissione degli atti al giudice penale. Tale procedura era sistematicamente praticata quando erano attori determinati avvocati, quali V., Bi., L., A., F. e la Dott. P. o P.. Con questi legali o si accettavano le condizioni che loro imponevano chiedendo la liquidazione totale da loro stimata oppure in caso di rifiuto andavano a sentenza, con l'esito scontato. Questa prassi si era talmente consolidata che la presunzione dei predetti era portata fino all'ostentazione dell'esito favorevole della causa", e conclude: "la lacunosità e insufficienza della motivazione qui in disamina non ha tenuto alcun conto che nella dichiarazione in oggetto non si è fatto, da parte del Bo., riferimento esclusivamente al presunto comportamento di alcuni avvocati, bensì anche a fatti ben più corposi e gravi, appena sopracitati, in correlativa taccia al Dott. I. di esser magistrato corrotto e comunque infedele rispetto al primario dovere di imparziale applicazione della legge".

    3.1- Con il quarto motivo deduce: "Il giudizio secondo il quale le interpretazioni del Bo. non sono fatti e le opinioni non possono essere di per sè diffamatorie o calunniose. Vizio di insufficienza e/o contraddittorietà ex art. 360 c.p.c., n. 5, della motivazione", in relazione alle dichiarazioni innanzi richiamate.

    3.2- Con il quinto motivo lamenta: "Il giudizio secondo il quale "le interpretazioni del Bo. non sono fatti e le opinioni, le valutazioni, i convincimenti ed i sospetti non possono essere di per sè diffamatori o calunniosi". "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e/o 2059 c.c., e/o artt. 595 e/o 368 c.p." e conclude con il seguente quesito: "Dica la Corte, enunciando specifico principio di diritto in tal senso, che anche le espressioni dubitative, come quelle insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, possono essere idonee ad offendere i primari diritti della personalità quale l'onore, la reputazione, ed il prestigio personale e professionale del soggetto passivo, quando, per il modo con cui sono poste all'attenzione dei destinatari della comunicazione, fanno sorgere in costoro un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l'effettiva rispondenza a verità dei fatti oggetto delle suddette espressioni".

    I motivi, congiunti, sono infondati.

    I giudici di appello hanno infatti, con motivazione logica e coerente, escluso la diffamazione e comunque il fatto illecito del Bo. poichè costui, teste de auditu o de relato, nel rievocare i fatti oggetto di narrazione, li aveva esposti nella personale rappresentazione, soggetta ad errore di percezione o di interpretazione o ad equivoco dovuto all'uso errato del mezzo espressivo, considerata dal P.M., che perciò aveva chiesto l'archiviazione nei confronti dello I., senza per questo ritenere il testimone incorso nel reato di diffamazione o calunnia di percezione, non avendo garantito la veridicità delle notizie narrate.

    4- Con il sesto motivo impugna: "Il capo della sentenza relativo alle presunte manovre dello I. per ottenere le assegnazioni delle cause patrocinate dai legali nominati. Vizio di insufficienza della motivazione ex art. 360 c.p.c.". Il motivo va respinto per le considerazioni che precedono.

    5.- Con il settimo motivo impugna: "La questione della fidefacienza ex art. 2700 c.c., del verbale di sommarie informazioni testimoniali e quindi della piena corrispondenza di quanto trascritto in detto verbale rispetto a quanto ; effettivamente dichiarato dal Dott. G. Bo. agli ufficiali di P.G. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2700 c.c. e degli artt. 357, 351, 3733135 c.p.p.", e conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte, enunciando specifico principio di diritto in tal senso, che il verbale di sommarie informazioni testimoniali, rese agli organi procedenti della P.G. deve esser considerato atto pubblico per gli effetti di cui all'art. 2700 c.c., e che pertanto il giudice della causa nella quale sia stato prodotto tale atto o nella quale si dibatta le conseguenze giuridiche del contenuto dello stesso, deve considerare come pienamente provata la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè le dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, salvo che sia altrimenti impugnato di falso".

    La censura è infondata.

    Infatti i giudici di merito, fermo il principio secondo il quale le sommarie informazioni testimoniali possono esser assunte anche senza il rigoroso rispetto delle modalità, non prescritte a pena di nullità (Cass. Pen. 1792 del 2010), hanno valutato le dichiarazioni nel contesto in cui sono state rese, che non è quello dibattimentale.

    6.- Con l'ottavo motivo censura "Il principio di diritto esposto in sentenza secondo il quale, posto che le affermazioni fatte dal Bo. nella deposizione avanti agli ufficiali di P.G. per cui è causa concreterebbero mere interpretazioni, opinioni, e/o sospetti e/o convincimenti del detto Bo., delle stesse non si potrebbe predicare la veridicità ovvero la falsità. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e/o 2059 c.c., artt. 595 e/o 368 c.p.", e conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte, enunciando specifico principio di diritto in tal senso, che anche delle dichiarazioni che si risolvano in mere interpretazioni, convincimenti, opinioni e/o sospetti del dichiarante, ben si deve giudicare se siano vere o false, posto che anche le espressioni dubitative, come quelle insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, possono essere idonee ad offendere i primari diritti della personalità quale l'onore, la reputazione, ed il prestigio personale e professionale del soggetto passivo, quando, per il modo con cui sono poste all'attenzione dei destinatari della comunicazione, fanno sorgere in costoro un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l'effettiva rispondenza a verità dei fatti oggetto delle suddette espressioni".

    Il motivo è infondato per le ragioni espresse nell'esame del quinto motivo.

    7.- Con il nono motivo lamenta "l'assunto in diritto prospettato dalla Corte di appello secondo il quale il rendere testimonianza essendo oggetto di un obbligo penalmente sanzionato non potrebbe mai di per sè comportare responsabilità del teste. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51 c.p. in relazione agli artt. 2043 e/o 2059 c.c., art. 371 bis c.p., e/o art. 595 c.p., e/o art. 368 c.p.", e conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte, enunciando specifico principio di diritto, in tal senso, che la sola, legittima condizione alla quale può operare l'esimente dell'adempimento del dovere di rendere testimonianza è che le dichiarazioni rese dal teste siano veritiere, non potendosi eludere quindi, al fine dell'eventuale applicazione di tale esimente, la questione della veridicità di tali dichiarazioni".

    6.1- Con il nono motivo lamenta: "L'assunto in diritto prospettato dalla Corte di appello secondo il quale il rendere testimonianza essendo oggetto di un obbligo penalmente sanzionato non potrebbe mai di per sè comportare responsabilità del teste. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51 c.p., in relazione agli artt. 2043 e/o 2059 c.c., art. 371 bis c.p., e/o art. 595 c.p., e/o art. 368 c.p.", e conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte enunciando specifico principio di diritto, in tal senso, che la sola, legittima condizione alla quale può operare l'esimente dell'adempimento del dovere di rendere testimonianza è che le dichiarazioni rese dal teste siano veritiere, non potendosi eludere quindi, al fine dell'eventuale applicazione di tale esimente, la questione della veridicità di tali dichiarazioni".

    I motivi, congiunti, sono infondati per le ragioni espresse nell'esame del terzo, quarto e quinto motivo.

    7.- Con il decimo motivo censura: "I passaggi motivazionali della sentenza che presuppongono che i fatti evocati dal Bo. debbano in qualche modo ritenersi provati solo perchè oggetto di presunte analoghe dichiarazioni da parte di altri sommari informatori assunti in sede penale. Contraddittorietà ex art. 360 c.p.c., n. 5, di tali motivazioni rispetto ad altre considerazioni pure rassegnate dalla Corte di appello secondo le quali: "E' indubbiamente condivisibile l'assunto per cui la dichiarazione falsa non cessa di essere tale perchè anche altri la rendono" e "l'archiviazione è poi seguita al rilievo che non sono emersi dati ulteriori rispetto alle valutazioni personali dei testi.." ed indica come fatto controverso in relazione al quale la motivazione è viziata "nel poter o meno ritenere provati alcuni dei presunti fatti invocati dal Bo. (fatti che peraltro si sarebbero poi risolti esclusivamente nella circostanza secondo la quale alcuni avvocati avrebbero millantato credito presso il Dott. I.)".

    La censura assolutamente inidonea ai fini del requisito di cui all'art. 366 bis c.p.c., perchè, lungi dal sintetizzare le contraddizioni logico-giuridiche della motivazione della sentenza impugnata, atomizza alcuni passi della stessa, disgiunti da altri - la cui ratio è peraltro conforme al principio di diritto secondo il quale spetta al giudice valutare la testimonianza indiretta in base alle modalità di acquisizione della percepita narrazione e all'esposizione della stessa - è inammissibile.

    Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

    La complessa vicenda induce a compensare le spese del giudizio di cassazione.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

    Così deciso in Roma, il 29 maggio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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