Un minore rimane detenuto ingiustamente 35 giorni in più: il PM è responsabile e la sua omissione integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 12 – 29 marzo 2013, n. 7933
Presidente Preden – Relatore Massera
Svolgimento del processo
1 - Con decisione adottata il 31 maggio 2012 e depositata il 26 settembre 2012, la Sezione Disciplinare del C.S.M. inflisse a G..B. , sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, la sanzione disciplinare dell'ammonimento, avendolo ritenuto responsabile dell'illecito di cui agli artt. 18 del R.D. Lvo 30 maggio 1946, n. 511 (norma ritenuta più favorevole) e 2, comma 1, lett. g) del D. L.vo 23 febbraio 2006, n.109, perché, nell'esercizio delle funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Catania, era venuto meno ai propri doveri, omettendo, nel luglio 2003, di richiedere tempestivamente la liberazione di un minore, sottoposto alla misura custodiate del collocamento in Comunità, nonostante fossero decorsi i termini di carcerazione, così incorrendo in grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile e provocando l'ingiusta protrazione della suddetta misura per ben trentacinque giorni, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere un magistrato e compromettendo il prestigio dell'ordine giudiziario.
2. - La decisione della Sezione Disciplinare affermò: i fatti all'origine dell'incolpazione risultavano pienamente provati e ammessi dallo stesso incolpato; a costui, che aveva la diretta disponibilità del fascicolo, doveva imputarsi l'omesso controllo della scadenza dei termini della misura cautelare; egli avrebbe dovuto adottare le misure organizzative che gli avrebbero consentito di mantenere sotto controllo i termini di scadenza; non costituivano giustificazione né la coincidenza della scadenza del termine con il primo giorno di congedo ordinario dell'incolpato, né la circostanza che egli fosse l'unico magistrato in servizio nella prima decade di agosto 2003, né il rilevante carico di lavoro; la circostanza che poi il minore fosse rimasto volontariamente presso la stessa comunità sino al raggiungimento della maggiore età non cancellava l'ingiusta protrazione della misura per ben trentacinque giorni; il fatto aveva inciso sulla fiducia di cui deve godere il magistrato finendo col compromettere anche il prestigio dell'ordine giudiziario.
3. - Avverso la suddetta sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1 - Il primo motivo adduce violazione artt. 18 R.D.L. 511 del 1946, 32 bis D.Lgs. 109/2006 ai sensi degli artt. 606 lett. B) cod. proc. pen. e 360, n. 3 cod. proc. civ..
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto in re ipsa la lesione del prestigio del magistrato e assume che, trattandosi di elemento esterno e ulteriore rispetto ai requisiti formanti la fattispecie tipica dell'illecito (cioè la negligente violazione di legge), esso deve risultare da un accertamento eseguito ex post sulle conseguenze concrete che ha avuto il fatto, oggettivamente considerato, sull'immagine del singolo magistrato e sul prestigio dell'istituzione. A tale proposito sottolinea che la vicenda non ha avuto nessuna rilevanza mediatica, nessuna conseguenza negativa sul minore, nessuna rilevanza nell'ambito giudiziario.
2 - La censura è formulata sotto l'esclusivo profilo della violazione di norme di diritto e non anche sotto quello del vizio di motivazione.
La circostanza è rilevante ai fini dello scrutinio della sua ammissibilità e fondatezza.
Infatti la Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. Sez. Un. 27 luglio 2007, n. 16625) che, in tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, la vantazione della gravità della violazione disciplinare commessa dall'incolpato - anche in ordine al riflesso del fatto addebitato sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia nell'istituzione - unitamente alla determinazione della sanzione adeguata, rientrano tra gli apprezzamenti di merito attribuiti alla Sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici.
Questo orientamento è stato in seguito costantemente ribadito, come risulta, ad esempio, da Cass. Sez. Un. 8 aprile 2009, n. 8615, la quale ha affermato che la valutazione della gravità dell'illecito, anche in ordine al riflesso del fatto oggetto dell'incolpazione sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia nell'istituzione, e la determinazione della sanzione adeguata rientrano negli apprezzamenti di merito attribuiti alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici.
D'altra parte è orientamento consolidato (confronta Cass. Sez. Un. 28 dicembre 2007, n. 27174) che - premesso che affinché sussista la responsabilità del magistrato, è necessario che i fatti contestati incidano sulla credibilità del magistrato e/o sul prestigio dell'intero ordine giudiziario - stante l'ampia formulazione dell'art. 18 r.d. lgs. 31 maggio 1946, n. 511, nell'accertamento della sussistenza di detto requisito è legittimo il ricorso a modelli deontologici o clausole di carattere generale ai quali la condotta del magistrato deve uniformarsi.
In altri termini, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il requisito in esame ha carattere obiettivo, discende dal comportamento del magistrato e dalla oggettiva difformità dal modello comportamentale deontologicamente corretto e, quindi, può essere riconosciuto anche sulla base di un ragionamento logico e presuntivo.
Questi principi hanno trovato concreta applicazione nella giurisprudenza delle Corte. Così, ad esempio, è stato ritenuto che (Cass. Sez. Un. 6 maggio 2008, n. 11037) l'errore professionale del magistrato, per la sua idoneità a rilevare difetto di consapevolezza dell'essenza della funzione istituzionale, può recare nocumento al prestigio dell'ordine giudiziario ai sensi dell'art. 18 r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511 e che (Cass. Sez. Un. 28 novembre 2007, n. 24681) l'adozione di motivazioni confuse, mancanti di parti essenziali, talvolta riferite a istituti giuridici diversi da quelli in applicazione, nonché attraverso l'utilizzazione di stampati non pertinenti e la mancata indicazione del titolo del reato - lede oggetti va mente il prestigio dell'ordine giudiziario. Nel caso di specie, un provvedimento di custodia cautelare è stato protratto trentacinque giorni dopo la scadenza del termine di legge. La sentenza impugnata ha spiegato (a pag. 6) che la mancata adozione, per negligenza inescusabile, delle necessarie misure organizzative che avrebbero consentito di mantenere sempre sotto controllo i termini di scadenza, ha inciso sulla fiducia di cui il magistrato deve godere, finendo col compromettere anche il prestigio dell'ordine giudiziario, non potendosi neppure ipotizzare che un magistrato non si adoperi per assicurare il rispetto dei termini massimi di custodia cautelare a la loro tempistica.
Pertanto il motivo in esame risulta infondato.
3 - Il secondo motivo, subordinato, denuncia violazione dell'art. 3 bis D.Lgs. 109/2006; contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione.
Il tema trattato è la scarsa rilevanza del fatto addebitato al B. .
4 - La censura, che prospetta argomentazioni analoghe a quelle addotte con il precedente motivo, è infondata.
È orientamento consolidato (confronta, ex multis, Cass. Sez. Un 23 aprile 2012, n. 6327) che, in tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, la previsione di cui all'art. 3 bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, secondo la quale l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, e impone al giudice di procedere ad una valutazione di ufficio, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell'incolpato, purché strettamente attinenti allo stesso.
Tuttavia (Cass. Sez. Un. 5 luglio 2011, n. 14665) l'esimente di cui all'art. 3-bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, presuppone che la fattispecie tipica si sia realizzata ma che, per particolari circostanze, anche non riferibili all'incolpato, il fatto risulti di scarsa rilevanza.
In definitiva (Cass. Sez. Un. 13 dicembre 2010, n. 25091) ai sensi dell'art. 3-bis citato, la condotta disciplinare irrilevante va identificata, una volta accertata la realizzazione della fattispecie tipica, in quella che non compromette l'immagine del magistrato. La sentenza impugnata ha posto in rilievo la negligenza inescusabile del'incolpato, che non ha adottato le facili misure organizzative che avrebbero consentito di tenere sempre sotto controllo i termini di scadenza.
Per quanto attiene al profilo della negligenza, il Collegio intende dare continuità all'orientamento già espresso (Cass. Sez. Un. 12 novembre 2011, n. 507), secondo cui il magistrato ha l'obbligo di diuturnamente vigilare circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini; pertanto, integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile - illecito disciplinare punito dall'art. 2, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 109 del 2006 (nella specie dal più favorevole art. 18 del R.D. Lvo 30 maggio 1946, n. 511), il comportamento del giudice dell'udienza preliminare che abbia scarcerato un indagato con notevole ritardo (nella specie decisa dalla sentenza citata, 51 giorni) rispetto al momento in cui erano decorsi i termini di custodia cautelare, senza che possa assumere rilevanza giustificante che il fatto sia ascrivibile ad una mera dimenticanza di trascrizione della data di scadenza dei termini nello scadenzario personale, o che il giudice sia stato sottoposto, in quello stesso periodo, ad un gravoso carico di lavoro e vi abbia fatto fronte, dimostrando notevole produttività, nonostante la sussistenza di difficoltà familiari e personali. Quanto all'asserita contraddittorietà della motivazione, è appena il caso di evidenziare che tale vizio ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la "ratio decidendi" che sorregge il "decisum" adottato, per cui non è configurabile motivazione contraddittoria allorché dalla lettura della sentenza non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice. Questa situazione non ricorre nella specie.
5 - Pertanto il ricorso è rigettato. Non luogo alla pronuncia in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
07-04-2013 00:46
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