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Sentenza

Carcere di Trapani: licenziato medico negligente. Contestata al sanitario una co...
Carcere di Trapani: licenziato medico negligente. Contestata al sanitario una condotta negligente nella diagnosi e nella cura di un detenuto vittima di ustioni.-
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 dicembre 2013 – 18 febbraio 2014, n. 3827
Presidente Stile – Relatore Bandini

Svolgimento del processo

Il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con provvedimento notificato il 13.3.2002, risolse il rapporto convenzionale in corso con B.G. , medico presso la Casa Circondariale di (…), contestandogli la condotta negligente tenuta nella diagnosi e cura di un detenuto vittima di ustioni accidentali.
Protestando l'insussistenza degli addebiti, il B. convenne in giudizio l'Amministrazione, chiedendo il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti per effetto dell'illegittima risoluzione del rapporto convenzionale.
Radicatosi il contraddittorio, il Giudice adito respinse le domande e la Corte d'Appello di Palermo, con sentenza del 30.4-16.7.2009, rigettò il gravame del sanitario.
La Corte territoriale, a sostegno del decisum e per ciò che ancora qui rileva, dopo analitica disamina delle risultanze istruttorie documentali e testimoniali, ritenne quanto segue:
- era da rilevarsi la superficialità della visita medica effettuata, svoltasi, nella migliore delle ipotesi, per circa due - tre minuti;
- il medico, anziché procedere sia direttamente, sia con l'ausilio dell'infermiere, alla immediata medicazione delle ustioni, per evitare la contaminazione batterica delle lesioni, aveva consegnato al detenuto un tubetto di pomata, che il detenuto stesso provvide a spalmare sulle ustioni, e si era limitato a dare, una volta giunto all'infermeria centrale, disposizioni all'infermiere per la medicazione, così consentendo, con una palese violazione delle regole tecniche, che lo stesso paziente, senza le necessarie precauzioni igieniche e con manovre sicuramente improprie, applicasse l'unguento consegnatogli ed omettendo, non solo di procedere, stante l'urgenza, alla prima medicazione, ma di assicurarsi, in ogni caso, che la terapia prescritta fosse immediatamente ed effettivamente praticata dal personale preposto;
- lo stesso B. , in sede di audizione innanzi al rappresentante dell'Amministrazione, aveva rilevato, tra l'altro, che la non corretta medicazione del detenuto poteva avere influito negativamente sullo sviluppo delle lesioni per diversi motivi, quali la scarsa igiene delle sedi interessate alle ustioni ed eventuali trattamenti delle lesioni, non protette da bendature, da parte del detenuto stesso;
- l'annotazione apposta sul registro del medico di guardia appariva inoltre assai lacunosa, dovendo il medico, ai sensi dell'art. 3 della convenzione, relazionare il collega incaricato del Servizio Sanitario Penitenziario della necessità di ulteriori indagini diagnostiche e sui trattamenti di cui avesse avuto bisogno il detenuto, il che avrebbe comportato di riferire sulla necessità di monitorare costantemente il paziente nelle ore successive, per verificare l'evoluzione delle lesioni;
- la natura della condotta posta in essere dal sanitario, di per sé obiettivamente idonea a pregiudicare seriamente il bene primario della salute, di rilevanza costituzionale e la cui tutela il legislatore ha voluto garantire anche nei confronti del personale ristretto negli Istituti penitenziari, se valutata in relazione ai suoi precedenti specifici, avendogli inviato l'Amministrazione, appena sei mesi prima, una lettera di richiamo addebitante un comportamento superficiale e negligente, integrava quei motivi di particolare gravità, che, ai sensi dell'art. 7 della convenzione, giustificavano la risoluzione del rapporto.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, B.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.
Il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione (art. 360, comma 1, n. 5, cpc), deducendo l'insussistenza, alla luce sia dell'accadimento dei fatti storici che delle prove raccolte, dei gravi motivi richiesti per rescindere la convenzione, tanto che non era dato comprendere il filo logico giuridico che aveva condotto alla decisione impugnata, considerato anche che la condotta di esso ricorrente non aveva in alcun modo pregiudicato la salute del detenuto.
1.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).
Nel caso all'esame la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo, nei termini diffusamente esposti nello storico di lite, un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un'opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito, che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14212/2010; 14911/2010).
In definitiva, quindi, le doglianze del ricorrente si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal Giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità.
2. Pertanto il motivo svolto e, con esso, il ricorso che sul medesimo si fonda, va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre le spese prenotate a debito.
Avv. Antonino Sugamele

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