Due architetti contro il Comune di Otranto. Avevano ricevuto incarico di progettare una scuola alberghiera, ma il finanziamento non era mai stato concesso. Il Tribunale di Lecce da ragione ai due professionisti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE DI LECCE
EX SEZIONE DISTACCATA DI MAGLIE
in persona della dr.ssa Viviana Mele, quale giudice monocratico, ha emesso la
seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 50000902 del R.G.A.C.C. dell'anno
2007, trattenuta in decisione nell'udienza del 29 gennaio 2014 e vertente
TRA
ARCH. F.R. (C.F. omissis) E ARCH. M.F. (C.F. FRSMSM58B14D862M)
rappresentati e difesi dall'avv. Silvio Bonea e dall'avv. Alessandro Taurino ed
elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Lecce, Via Nazario Sauro n.
16, come da mandato a margine dell'atto di citazione
ATTORI
E
COMUNE DI OTRANTO, in persona del Sindato P.T.
rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Finocchito ed elettivamente domiciliato
presso il suo studio in Otranto (LE), Via Guglielmo da Otranto n. 5, come da
mandato a margine della comparsa depositata in data 29 gennaio 2014
CONVENUTO
Oggetto: arricchimento senza giusta causa
Conclusioni delle parti: come da verbale di udienza del 29 gennaio 2014
MOTIVI DELLA DECISIONE
Gli arch. F.R. e M.F. hanno esposto che con del. n. 90 del 15.2.1989 la G.M. del
Comune di Otranto ha conferito loro l'incarico per la progettazione e la direzione
lavori per la costruzione di una scuola alberghiera in Otranto.
Gli attori hanno poi dedotto che il progetto da essi redatto è stato approvato dalla
G.M. con del. n. 100 del 7.3.1989.
I professionisti hanno quindi rappresentato che il loro progetto è stato inviato dal
convenuto al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ex l. n. 160/98 e,
successivamente, al CIPE (nell'ambito del P.O.P. 94-99) ed alla Commissione per
il Grande Giubileo del 2000, per la richiesta dei relativi finanziamenti.
Gli attori hanno anche esposto di non aver ricevuto il pagamento del compenso
per l'opera svolta e di essere rimasti soccombenti in un giudizio azionato contro
l'ente, a causa dell'accertata inesistenza di un valido rapporto con la PA.
Dopo aver esposto quanto sopra, gli arch. R. eF. hanno chiesto la condanna della
controparte ai sensi dell'art. 2041 c.c., invocando l'esistenza dei relativi
presupposti di legge.
Con propria comparsa si è costituito in giudizio il Comune di Otranto, eccependo
la prescrizione della pretesa e contestando carenze nella progettazione realizzata
dalla controparte, considerata inutilizzabile.
Parte convenuta ha anche dedotto che, negli accordi delle parti, il diritto al
compenso sarebbe sorto solo in caso di conseguimento del finanziamento sperato
e che, essendo mancato il finanziamento, i professionisti nulla possono
pretendere.
Dopo aver contestato anche il quantum richiesto, il Comune ha chiesto il rigetto
dell'avversa domanda.
La causa è stata istruita con produzione documentale e prova orale.
***
In via preliminare deve darsi atto della rinuncia all'eccezione di prescrizione
presentata – tardivamente – dal Comune di Otranto; su di essa, dunque, non ci
si pronuncia.
Sempre in via preliminare, va verificato se al caso di specie possa applicarsi il d.l.
n. 66/1989, invocato da parte convenuta al fine di escludere una propria
responsabilità.
Sul punto va evidenziato in primo luogo che l'eccezione, pur essendo stata posta
dalla convenuta solo nella seconda comparsa conclusionale, è comunque
ammissibile.
Ciò in quanto il riconoscimento della residualità dell'azione di indebito
arricchimento rappresenta il primo accertamento che il giudice è tenuto a
compiere, anche d'ufficio, al fine di poter accogliere la domanda proposta ai sensi
dell'art. 2041 c.c..
Non è dunque necessario che la parte eccepisca l'esistenza di un'azione causale,
essendo compito del giudice quello di accertare – a prescindere da qualsiasi
eccezione – se l'azione ex art. 2041 c.c. sia stata validamente proposta.
Il solo problema che potrebbe porsi è quello del rispetto del contraddittorio e della
necessità od opportunità di consentire alle parti di discutere sul punto.
Nel caso in esame, tuttavia, non sussiste un obbligo del giudice di sollecitare la
discussione delle parti sulla questione, in quanto al presente giudizio non si
applica la nuova formulazione dell'art. 101 c.p.c..
Non ricorrono nemmeno ragioni di opportunità al fine di sollecitare il dibattito
sulla questione, in quanto nella memoria di replica la parte contro interessata ha
già abbondantemente dedotto sulla questione, in risposta alle argomentazioni
fornite dalla controparte.
Superato il vaglio di ammissibilità, l'argomentazione ex art. 23 d.l. n. 66/1989 è
destinata comunque a cadere per ragioni di diritto intertemporale.
E' certo infatti che la norma sia entrata in vigore il 2 marzo 1989.
La giurisprudenza, più volte chiamata a pronunciarsi sull'eventuale applicazione
retroattiva della disposizione, ha sempre concluso in senso negativo ed ha
precisato che la norma, in quanto innovativa, è destinata a disciplinare solo i
rapporti che sono sorti nel momento successivo alla sua entrata in vigore.
Tra le tante, si ricordano le seguenti pronunce: “Non potendosi, in difetto di
espressa previsione normativa, affermare la retroattività del d.l. n. 66 del 1989
(convertito in legge n. 144 del 1989 e riprodotto senza sostanziali modifiche
dall'art. 35, d.lgs. n. 77 del 1995), deve ritenersi l'esperibilità dell'azione di
indebito arricchimento nei confronti della P.A. per tutte le prestazioni e i servizi
resi alla stessa anteriormente all'entrata in vigore di tale normativa, non
difettando il requisito della sussidiarietà per il fatto che il privato può agire
direttamente contro chi - amministratore o funzionario - abbia invalidamente
commissionato le opere o i servizi, atteso che la responsabilità diretta di
funzionari e dipendenti pubblici è posta dall'art. 28 Cost. su di un piano
alternativo e paritetico” (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 10636 del 26/06/2012);
“Non potendosi, in difetto di espressa previsione normativa, affermare la
retroattività del d.l. n. 66 del 1989 (convertito in legge n. 144 del 1989 e
riprodotto senza sostanziali modifiche dall'art. 35 d.lgs. n. 77 del 1995), deve
ritenersi l'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A.
per tutte le prestazioni e i servizi resi alla stessa anteriormente all'entrata in
vigore di tale normativa, non difettando il requisito della sussidiarietà per il fatto
che il privato può agire direttamente contro chi - amministratore o funzionario -
abbia invalidamente commissionato le opere o i servizi, atteso che la
responsabilità diretta di funzionari e dipendenti pubblici è posta dall'art. 28 Cost.
su di un piano alternativo e paritetico” (Cass. civ.,
sez. 1, Sentenza n. 10884 del 11/05/2007).
Il caso di specie presenta talune peculiarità, poiché il rapporto tra la PA ed i
professionisti ha avuto inizio in data 15.2.1989 (all. 1 attori) ed il progetto è stato
realizzato nel febbraio 1989, ma il progetto stesso è stato impiegato per la
richiesta di finanziamento il 7.3.1989 (all. 3 attori). L'impiego concreto del
progetto e, dunque, il compimento dell'atto in cui si sostanzia l'utilità per la PA si
è verificato nel periodo successivo all'entrata in vigore della norma.
Potrebbe allora ritenersi che la norma sopra richiamata sia applicabile al caso in
esame, in quanto – in assenza di un valido rapporto contrattuale – il
provvedimento del 15.2.1989 è inidoneo, in sé, a far sorgere un'obbligazione in
capo alla PA.
Un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, tuttavia, esclude
che una simile tesi possa considerarsi valida.
Si ricorda infatti che la consulta è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale dell'art. 23 citato ed ha precisato quanto segue (C. Cost. n.
295/97):
“L'art. 23 del decreto-legge n. 66 del 1989 prevede, al comma 3, che, per
province, comuni e comunità montane, "qualsiasi spesa é consentita
esclusivamente se sussistono la deliberazione autorizzativa nelle forme previste
dalla legge e dichiarata o divenuta esecutiva, nonchè l'impegno contabile
registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul
competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati",
precisando, altresí, che "per i lavori di somma urgenza l'ordinazione fatta a terzi
deve essere regolarizzata entro trenta giorni e comunque entro la fine
dell'esercizio, a pena di decadenza". A sua volta, il comma 4 dispone che, in caso
"di violazione dell'obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio
intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il
fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura".
Le menzionate disposizioni danno luogo ad una disciplina, successivamente
riconfermata senza modifiche di fondo dall'art. 35 del decreto legislativo n. 77 del
1995, che comporta l'imputazione alla sfera giuridica diretta e personale
dell'amministratore (o funzionario) degli effetti dell'attività di spesa che non si
svolga nell'osservanza dei criteri contabili relativi alla gestione degli enti locali. E
ciò con lo scopo non irragionevole di sollecitare, da un canto, un più rigoroso
rispetto dei principi di legalità e correttezza da parte di coloro che operano nelle
gestioni locali e di far sì, dall'altro, che la competenza ad esprimere la volontà
degli enti locali resti effettivamente riservata, nel rispetto delle procedure
prescritte, agli organi a ciò deputati, e cioé agli organi cui spetta di programmare
la gestione finanziaria e di inquadrare le varie scelte amministrative nella
prospettiva del piano di spesa contenuto nel bilancio di previsione, e non oltre i
limiti da esso fissati.
… omissis ...
4.- Già con la precedente sentenza n. 446 del 1995 questa Corte ha escluso
l'incostituzionalità della disposizione in esame, allora denunciata in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sotto il duplice profilo del difetto di
ragionevolezza e della disparità di trattamento rispetto alle ipotesi in cui il
soggetto può agire in via diretta nei confronti della pubblica amministrazione,
anche ai sensi dell'art. 2041 del codice civile, nonché sotto l'ulteriore profilo del
diniego di tutela giurisdizionale. In tale occasione questa Corte ha rilevato che il
tratto caratterizzante della disposizione stessa sta nel prevedere un rapporto
contrattuale che sussiste esclusivamente tra il terzo contraente e il funzionario (o
l'amministratore) che ha autorizzato l'effettuazione dei lavori. In sostanza gli atti
di acquisizione di beni e servizi in esame solo apparentemente sono riconducibili
all'ente locale, mentre, in effetti, si verifica una vera e propria scissione del
rapporto di immedesimazione organica tra agente e pubblica amministrazione.
… omissis …
D'altro canto, come già rilevato nella menzionata sentenza n. 446 del 1995, il
terzo contraente, nell'accettare di eseguire lavori di somma urgenza, non può
ignorare che, ove successivamente non intervenga l'autorizzazione da parte
dell'ente, il rapporto contrattuale deve intendersi intercorso direttamente con il
funzionario (o l'amministratore) ed assume, quindi, volontariamente il rischio
conseguente alla definitiva individuazione della parte contraente (e
patrimonialmente responsabile”.
È evidente dunque che la norma in esame non può estendersi al caso di specie, in
quanto nel momento di conferimento dell'incarico né il funzionario né i
professionisti potevano prevedere o “accettare il rischio” di una responsabilità
personale del funzionario.
Le parti hanno infatti agito (sia pure nelle prime battute) sotto un assetto
normativo assolutamente diverso e, dunque, non erano in grado di prevedere
quella che sarebbe stata la futura disciplina normativa (in parte qua
assolutamente innovativa).
Ne deriva che, al fine di garantire un'applicazione costituzionalmente orientata
dell'art. 23 d.l. n. 66/1989, deve escludersi categoricamente che questo possa
applicarsi al rapporto in esame, avviato con un conferimento di incarico compiuto
prima della pubblicazione (e contestuale entrata in vigore) del decreto legge
indicato.
A conforto di ciò, si veda Cass. n. 10884 del 2007 (in parte motiva), ove si precisa
che, nel caso di redazione dei progetti, deve aversi riguardo alla data di
conferimento dell'incarico e di esecuzione della prestazione (avvenute entrambe
nel febbraio 1989).
Superato il problema della residualità, va ora verificato se sussistano i restanti
presupposti di cui all'art. 2041 c.c..
Quanto agli ulteriori requisiti dell'azione di indebito arricchimento, va evidenziato
che non è contestato l'impoverimento degli attori: è infatti provato in forma
documentale che gli stessi abbiano redatto i progetti di cui al conferimento di
incarico del febbraio 1989.
Nulla quaestio, poi, sull'assenza di una causa idonea a giustificare
l'impoverimento degli attori e la locupletazione corrispondente della PA, poiché è
stata dichiarata la nullità del rapporto intercorso tra le parti con pronuncia
coperta dal giudicato.
Rappresentano invece oggetto di contestazione l'arricchimento del Comune di
Otranto (rappresentato dal risparmio di spesa) ed il riconoscimento dell'utilità
della prestazione da parte della PA.
Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che “Ai fini dell'"utile versum" dell'azione
di arricchimento senza causa, proposta, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., nei
confronti della P.A., non rileva l'utilità che l'ente confidava di realizzare, bensì
quella che ha in effetti conseguito e che, quando la prestazione eseguita in suo
favore sia di carattere professionale, quale la redazione del progetto di
un'opera pubblica, può consistere anche nell'avere evitato un esborso o una
diversa diminuzione patrimoniale cui, invece, sarebbe stato necessario far fronte
ove fosse mancata la possibilità di disporre del risultato della prestazione
medesima. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata secondo
cui l'incontroverso utilizzo del valutato ed approvato progetto di
un'opera pubblica viaria, a necessario corredo della richiesta di
finanziamento pubblico, era sufficiente a far concludere per l'utilità della
prestazione resa dal professionista, non essendo nemmeno emerso che la
mancata realizzazione dell'opera fosse correlata ad inidoneità progettuali,
restando irrilevanti le successive determinazioni amministrative di non dare più
corso, per ragioni rimaste ignote, alla già prevista e progettata opera)” (Cass. civ.,
Sez. 1, Sentenza n. 16820 del 05/07/2013).
Anche a seguito della pronuncia n. 22313/2011 richiamata da parte convenuta,
dunque, la Cassazione ha continuato ad identificare un riconoscimento implicito
dell'utilità nell'impiego del progetto ai fini della richiesta di finanziamento.
Nel caso di specie è provato in forma documentale l'impiego del progetto per le
richieste di finanziamento ai vari enti (Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali e, successivamente, Provincia di Lecce).
La deliberazione n. 100 del 7.3.1989 riconosce poi espressamente che “i tecnici
incaricati hanno presentato il progetto richiesto, rispondente alle indicazione e
necessità di questa amministrazione”, con menzione del Visto del C.E.C. e del
Dirigente dell'ufficio tecnico del Comune.
Il Comune ha dunque positivamente valutato e riconosciuto, nel marzo 1989, la
correttezza e l'utilità dell'opera (“rispondente alle necessità di questa
amministrazione”).
Del resto nella risposta del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale,
ricevuta dal Comune il 14.3.1990 (doc. 4 att.), non si individua nessuna carenza
progettuale; il Ministero si limita a chiedere chiarimenti ed integrazioni che
riguardano un ambito diverso, senza nulla contestare sulla correttezza del
progetto.
Solo in data 3.6.1998, a distanza di oltre nove anni dalla redazione del progetto,
sono state denunciate per la prima volta delle carenze progettuali. Carenze,
peraltro, espressamente legate alla legislazione vigente nel 1998.
Difatti il doc. 5 di parte convenuta afferma che il progetto “è risultato non
conforme a tutte le vigenti disposizioni di legge, mancando di” calcoli e della
relazione ex lege n. 10/91.
Non è corretto affermare che la Provincia abbia individuato delle carenze di
rispetto della legge unicamente per la l. n. 10/91, posto che la Provincia ha
premesso che il progetto non era coerente con le vigenti disposizioni di legge per
tutte le contestazioni compiute, contestazioni relative tutte alla mancanza dei
calcoli per i vari impianti.
Il magistrato non può ignorare che nelle more tra la redazione del progetto e
l'invio dello stesso alla Provincia intervenne la cd. Legge Merloni (1994), che
sconvolse il sistema degli appalti pubblici e si sostituì ad una norma del
lontanissimo 1865 (all. f della legge n. 2248/1865; regolamento n. 350 del 1895).
L'art. 16 della Legge Merloni ha introdotto una serie di prescrizioni in materia di
progettazione, prevedendo anche dei calcoli per i singoli impianti ed innovando la
materia in parte qua.
Il progetto redatto dagli attori, dunque, era effettivamente coerente con la
normativa vigente nel momento in cui la PA lo impiegò per le richieste di
finanziamento al Ministero del Lavoro e delle P.S..
La circostanza che poi, a distanza di nove anni ed a seguito di numerose richieste
di finanziamento a enti diversi, la Provincia abbia constatato l'inadeguatezza alla
normativa sopravvenuta, non costituisce valida eccezione di inadempimento degli
attori.
Del resto è emerso in modo incontestato che gli architetti si resero disponibili
all'aggiornamento. La scelta della PA di non proseguire nel rapporto con gli attori
(con la mera integrazione dei progetti) e di scegliere soluzioni diverse (sulle quali
nulla è dato sapere, non essendo noto neppure se la scuola alberghiera fu mai
realizzata e secondo quali modalità) non è sindacabile da questo giudice.
Il doc. 5 di parte convenuta è dunque irrilevante ed inidoneo ad escludere quel
riconoscimento di utilità ormai compiuto con l'impiego del progetto per la
richiesta dei finanziamenti ai diversi enti interessati.
Ed infatti è innegabile che per tutte quelle richieste di finanziamento il Comune di
Otranto abbia impiegato quel progetto, risparmiando ogni esborso in parte qua.
Esclusa l'esistenza di carenze progettuali, resta solo da verificare se vi sia stato
un accordo che abbia condizionato il diritto al compenso al conseguimento del
finanziamento sperato.
Sul punto si rileva, in primo luogo, che nel caso di specie il rapporto tra le parti è
stato dichiarato nullo per difetto della forma necessaria. Non può dunque
invocarsi l'esistenza di un asserito accordo, privo della forma richiesta a pena di
nullità.
In secondo luogo, la prova testimoniale del sig. Miggiano non costituisce elemento
sufficiente a provare l'accordo. Ciò non solo per la ragione sopra ricordata della
forma richiesta ad substantiam, ma anche perché il teste ha riferito di ciò che
avviene “normalmente” nei rapporti tra il Comune ed i professionisti.
E' ben vero che il sig. Miggiano ha riferito che ciò accadde anche nel caso di
specie (peraltro con una frase aggiunta evidentemente a chiarimento, come
dimostra il fatto che sia stata verbalizzata al di fuori dei margini del foglio), ma è
anche vero che manca ogni riferimento all'accordo de quo in delibera e nella
convenzione.
Il teste ha infatti riferito che la condizione era recepita nella delibera e nella
convenzione seguente, mentre nel caso di specie tale condizione manca del tutto.
La stessa estrapolazione compiuta dal convenuto a pag. 13 della comparsa
conclusionale depositata in data 31.3.2014 non contiene alcun riferimento alla
condizione in parola.
L'argomentazione è dunque infondata e va respinta.
Ciò comporta l'irrilevanza delle argomentazioni introdotte dal convenuto ai sensi
della Cass. n. 22313/2011.
Tale pronuncia prevede infatti che “In tema d'indebito arricchimento della P.A., il
professionista che abbia eseguito un progetto per un'opera pubblica condizionata
alla concessione di un finanziamento da parte di un ente terzo, con accettazione
della condizione della rinuncia al compenso in caso di mancato conferimento del
finanziamento, in ipotesi di nullità del contratto, non ha diritto all'indennità, ai
sensi dell'art. 2041 cod. civ., solo perché il suo progetto sia stato allegato alla
richiesta di finanziamento, in quanto, nel vigore della più rigorosa disciplina
normativa introdotta dalla legge n. 64 del 1986 - che ha previsto uno specifico
procedimento che l'Amministrazione richiedente deve seguire per ottenere
l'approvazione dei progetti delle opere che intende realizzare e per conseguire i
necessari finanziamenti - il mero invio del progetto, cui la P.A. non può sottrarsi
senza violare l'art. 1357 cod. civ., non costituisce riconoscimento implicito
dell'utilità della prestazione professionale eseguita”.
Tale pronuncia presuppone dunque un'accettazione della condizione della
rinuncia, accettazione che nel caso di specie manca del tutto.
L'argomentazione di cui sopra è dunque infondata.
La domanda formulata ai sensi dell'art. 2041 c.c. è dunque accolta.
Va ora determinato il quantum da riconoscersi in favore degli attori.
Sul punto si ricorda che le Sez. U, con sentenza n. 1875 del 27/01/2009, hanno
affermato che “In tema di azione d'indebito arricchimento nei confronti della P.A.,
conseguente all'assenza di un valido contratto di appalto d'opera tra la P.A. ed un
professionista, l'indennità prevista dall'art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti
della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù
del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo
di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Pertanto, ai
fini della determinazione dell'indennizzo dovuto al professionista che partecipi, in
assenza di valido contratto, ad una commissione comunale per l'affidamento di
determinati lavori, non possono essere assunte come parametro le tariffe
professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall'ordine competente), alle
quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano effettuate dal professionista
in base un valido contratto d'opera con il cliente, mentre è congruo il riferimento
alle somme previste per i "gettoni di presenza" spettanti ai componenti di
commissione (nella specie ai sensi del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 5)”.
Nello stesso senso si è pronunciata Cass. Civ.,
Sez. 3, Sentenza n. 3905 del 18/02/2010: “In tema di azione
d'indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all'assenza di un
valido contratto d'opera professionale, l'indennità prevista dall'art. 2041 cod. civ.
va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della
prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso
avrebbe percepito se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Pertanto,
ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto al professionista, la parcella,
ancorché vistata dall'ordine professionale, non può essere assunta come
parametro di riferimento, non trattandosi in questo caso di corrispettivo per
prestazioni professionali, ma della individuazione di una somma che va liquidata,
in forza delle risultanze processuali, se ed in quanto si sia verificato un vantaggio
patrimoniale a favore della P.A., con correlativa perdita patrimoniale della
controparte”.
Sulla base si tali criteri, si procede alla determinazione equitativa dell'indennizzo,
rapportandolo alla entità della perdita patrimoniale effettiva subita dai
professionisti (il credito dei quali deve essere ripartito in parti uguali, in
mancanza di criteri idonei a giustificare una diversa ripartizione) e consistente
nelle spese anticipate e nel mancato guadagno relativo al periodo di tempo
dedicato all'opera in questione, escludendo comunque la possibilità di fare
riferimento ai parametri contrattuali, non essendosi nella specie perfezionato
alcun valido contratto con la PA.
Si tiene conto del deposito dei progetti da parte degli interessati, del tempo
impiegato per la redazione degli stessi, delle spese già riconosciute dalla PA a
titolo di anticipo e delle vacazioni indicate nella parcella vistata dall'Ordine
competente.
Si tiene poi conto della circostanza che i progetti contemplano la partecipazione di
un terzo professionista (ing. Calò), estraneo al presente giudizio. Si scomputa
dunque la perdita patrimoniale ricollegabile al terzo, presumendosi l'apporto tra
tutti uguale.
La somma deve essere rivalutata ad oggi, come da insegnamento costante della
Cassazione (ex multis, sez. 3, Sentenza n. 1889 del 28/01/2013): “L'indennizzo
ex art. 2041 cod. civ., in quanto credito di valore, va liquidato alla stregua dei
valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia ed il giudice
deve tenere conto della svalutazionemonetaria sopravvenuta fino alla decisione,
anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico
pregiudizio dell'interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento
dell'indennizzo medesimo. La somma così liquidata produce interessi
compensativi, i quali sono diretti a coprire l'ulteriore pregiudizio subito dal
creditore per il mancato e diverso godimento dei beni e dei servizi impiegati
nell'opera, o per le erogazioni o gli esborsi che ha dovuto effettuare, e decorrono
dalla data della perdita del godimento del bene o degli effettuati esborsi,
coincidente con quella dell'arricchimento.”
L'indennizzo è dunque liquidato, a valore attuale, in € 115.000,00 complessivi (la
domanda è infatti stata proposta dagli attori senza distinzione delle rispettive
quote).
Si aggiungono gli interessi legali dalla data dell'arricchimento.
Si ricorda che, non essendo un compenso da contratto, non sono dovuti gli
accessori di legge (IVA e CP).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Si
tiene conto della complessità delle questioni affrontate, della mole di documenti
prodotti, del contenuto degli scritti difensivi e del valore della causa. Si tiene
conto inoltre della circostanza che il difensore di parte attrice abbia difeso due
soggetti, formulando comunque difese assolutamente identiche per entrambi.
Si applica il decreto Orlando, n. 55/2014.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lecce – ex Sezione distaccata di Maglie, definitivamente
pronunciando nella causa N 50000902/2007 RG, ogni diversa istanza ed
eccezione disattesa:
a. Condanna il Comune di Otranto al pagamento in favore degli attori della
somma di € 115.000,00 ad oggi, oltre interessi in misura legale
dall'arricchimento ingiustificato al saldo effettivo;
b. Condanna parte convenuta alla refusione delle spese di lite in favore di
parte attrice, liquidate in € 17.500,00 per compenso ed € 808,00 per spese,
oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
Maglie, 28.4.2014
Il giudice
dott.ssa Viviana Mele
10-06-2014 21:55
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