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Sentenza

Il lavoratore si rifiuta di eseguire i compiti affidatigli dal suo superiore: le...
Il lavoratore si rifiuta di eseguire i compiti affidatigli dal suo superiore: legittimo il licenziamento, visti i precedenti.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 luglio – 20 ottobre 2014, n. 22152
Presidente Vidiri – Relatore Nobile

Svolgimento del processo

Con ricorso del 3-3-2004 A.P. conveniva in giudizio innanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Bari la SEAP s.p.a. e, previo accertamento dell'infondatezza dei provvedimenti disciplinari inflittigli, chiedeva dichiararsi la nullità e/o l'illegittimità del licenziamento intimatogli dalla SEAP s.p.a. in data 4-4-2002 con conseguente condanna della società resistente alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento in suo favore del risarcimento del danno ex art. 181.n. 300/1970.
La SEAP s.p.a. si costituiva sostenendo la legittimità del licenziamento e chiedendo il rigetto della domanda di controparte.
Con sentenza resa in data 1-12-2008 il giudice adito rigettava la domanda e compensava le spese.
Il P. con ricorso del 23-9-2009 proponeva appello avverso la detta
sentenza chiedendone la riforma con l'accoglimento della domanda.
La SEAP s.p.a. si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d'Appello di Bari, con sentenza pubblicata il 16-6-2011,
rigettava l'appello compensando le spese.
In sintesi, per quanto interessa in questa sede, premesso che il licenziamento era avvenuto per recidiva ai sensi dell'art. 20, comma 6, lett. c) del ccnl di categoria nonché per giusta causa ex art. 2119 c..c., la Corte territoriale affermava che il P. avrebbe dovuto chiedere espressamente la caducazione delle sanzioni disciplinari irrogategli (supportanti il licenziamento), per cui, seppure la rinuncia al collegio arbitrale effettuata attenesse solo al rito e non implicasse una dismissione del potere di impugnativa delle dette sanzioni, non avendo il P. esercitato tale potere di impugnativa, le sanzioni stesse avevano acquisito definitività.
La Corte, inoltre, rilevava che il licenziamento era fondato su una duplice motivazione non solo, quindi, per la citata recidiva bensì anche ai sensi dell'art. 2119 c.c., per cui, anche a prescindere dalla detta recidiva, il licenziamento era legittimo in quanto il lavoratore rifiutando di eseguire i compiti affidatigli dal suo superiore, aveva di fatto posto in essere un comportamento di insubordinazione, inidoneo a consentire la protrazione anche temporanea del rapporto.
Infine la Corte, rigettava altresì il motivo di gravame relativo all'eccezione di intervenuta decadenza dei provvedimenti disciplinari a causa della tardività nella nomina del proprio arbitro da parte della SEAP, in quanto tardiva, perché proposta per la prima volta in appello, ed altresì contraddittoria (con la rinuncia al collegio arbitrale nel contempo sostenuta).
Per la cassazione di tale sentenza il P. ha proposto ricorso con due motivi.
La Aeroporti di Puglia s.p.a. (già SEAP s.p.a.), ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 7, comma 7, della legge n. 300 del 1970 in relazione all'art. 20, comma 2, lettera E del c.c.n.l. e all'art. 2119 c.c., il ricorrente ribadisce che, essendo decaduta la SEAP dalla nomina del proprio arbitro nel procedimento arbitrale relativo ai provvedimenti disciplinari pregressi, questi avevano perso efficacia. D'altra parte la successiva rinuncia al procedimento arbitrale comunicata all'UPLMO non "poteva ridare efficacia ai provvedimenti disciplinari che l'avevano definitivamente persa per l'intervenuta decadenza".
Pertanto, secondo il ricorrente, il licenziamento irrogato sulla base dei detti provvedimenti, in quanto fondato sulla recidiva, risultava invalido e/o inefficace.
Tale motivo non merita accoglimento in quanto si limita a riproporre semplicemente la relativa eccezione (di decadenza dei provvedimenti disciplinari per la tardività della nomina del proprio arbitro da parte della SEAP), senza tener conto dello specifico decisum della sentenza impugnata, sul punto.
Al riguardo, infatti, la Corte di merito ha ritenuto tale eccezione inammissibile perché tardiva, in quanto proposta per la prima volta nel ricorso in appello, ed il ricorrente non censura specificamente tale statuizione.
"Peraltro", nel contempo, la Corte territoriale ha altresì evidenziato la contraddittorietà di tale (tardiva) proposizione, rilevando che "o la rinuncia ai collegi arbitrali giustifica la possibilità di adire ugualmente il Tribunale, come se i primi non fossero mai esistiti, e allora sono ancora efficaci le sospensioni disciplinari, oppure i provvedimenti disciplinari sono decaduti perché la procedura arbitrale ha comunque prodotto i suoi effetti, ma allora il ricorrente non avrebbe potuto adire il Tribunale".
Orbene anche tale statuizione non è stata specificamente censurata dal ricorrente, per cui il motivo non coglie assolutamente nel segno.
Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte di merito ha ritenuto il licenziamento fondato anche ai sensi dell'art. 2119 c.c., senza alcuna motivazione, laddove dal tenore letterale della comunicazione del licenziamento emergeva chiaramente che "in assenza dei provvedimenti disciplinari, il datore di lavoro, per l'insubordinazione all'ing. F. avrebbe irrogato una diversa sanzione e non comminato il licenziamento".
Anche tale motivo, in buona parte connesso con il precedente, non merita accoglimento.
Sul punto la Corte territoriale ha rilevato che il licenziamento "sin dall'indicazione dell'oggetto", è stato irrogato non solo ex art. 20, comma 2, lettera e) del c.c.n.l., bensì anche ex art. 2119 c.c. per giusta causa, ravvisata nella "impossibilità intrinseca di prosecuzione del rapporto per recisione del vincolo fiduciario", chiaramente riconducibile "alla condotta d'insubordinazione del P. rispetto alle direttive impartite dal suo superiore corroborata nella sua efficacia rescindente dal pregresso comportamento recidivante del lavoratore".
Tale motivazione, senz'altro congrua, resiste alla censura del ricorrente, e ciò non solo a seguito del mancato accoglimento del motivo precedente (rivolto contro l'efficacia dei provvedimenti disciplinari pregressi), bensì anche (con riguardo, in specie, alla irrogazione ex art. 2119 c.c.) per la valenza ai fini della valutazione della gravità della insubordinazione e della conseguente sussistenza della giusta causa, del comportamento pregresso del lavoratore, a prescindere anche dalla rilevanza autonoma della recidiva (nella specie ex art. 20, comma 2, lettera e) del c.c.n.l., pure richiamato) (cfr. Cass. 19-12-2006 n. 27104, Cass. 20-10-2009 n. 22162).
Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore della società controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla società controricorrente le spese liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali e accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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