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Sentenza

Mutuo fondiario. Mutuo edilizio. Ipoteca. Differenze sull'obbligo di realizzare ...
Mutuo fondiario. Mutuo edilizio. Ipoteca. Differenze sull'obbligo di realizzare l'attività programmata.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 31 ottobre - 27 dicembre 2013, n. 26622
Presidente Salmè – Relatore Nazzicone

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato nel marzo 1999, la Real Estate s.r.l. ha convenuto innanzi al Tribunale di Livorno il Banco di Napoli (ora Intesa Sanpaolo s.p.a.) e la S.G.A. s.p.a., per sentire accertare la nullità del contratto di mutuo ipotecario stipulato fra le parti il 30 dicembre 1991 per l'importo di L. 3.500.000.000, costituente mutuo edilizio ai sensi della legge 6 giugno 1991, n. 175, ma, di fatto, finalizzato ad estinguere i debiti verso la banca di altre società. Ha chiesto, altresì, dichiararsi come mai posta in essere l'ipoteca iscritta a favore della banca sul complesso immobiliare della mutuataria, con ordine al Conservatore dei Registri immobiliari di cancellare l'ipoteca, oltre alla condanna della mutuante al risarcimento del danno e la restituzione delle somme versate.
Le domande sono state respinte in primo grado dal Tribunale con sentenza del 24 settembre 2002, confermata dalla Corte d'appello di Firenze in data 11 settembre 2006.
La corte territoriale ha qualificato il contratto come avente natura di mutuo fondiario, argomentando sulla base degli accertamenti compiuti, mentre ha escluso trattarsi di mutuo edilizio, il quale ai sensi dell'art. 9 della legge 6 giugno 1991, n. 175, abrogata dall'art. 161 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, ha ad oggetto la concessione di mutui garantiti da ipoteca destinati a fini immobiliari, e concludendo che la società poteva liberamente utilizzare le somme ottenute secondo le proprie necessità, individuate con deliberazione dell'assemblea societaria; ha poi rilevato che, sulla base delle risultanze istruttorie, le somme erano state accreditate sul conto corrente bancario della Real Estate s.r.l. e da questa, mediante il suo amministratore, prelevate per il pagamento dei debiti anche di altre società, aggiungendo come, qualora fossero in parte queste società non collegate alla mutuataria, ciò avrebbe configurato un abuso non della banca che aveva ricevuto gli ordini di bonifico, ma semmai dell'amministratore unico della società.
Della sentenza il ricorso - notificato il 19-20 febbraio 2007 anche a Finlabro s.r.l. ed a D.C.G.              , già soci della ricorrente, nonché ad undici ex dipendenti della società ricorrente, tutti non costituiti in appello e neppure in sede di legittimità, e depositato il 7 marzo 2007 - ha chiesto la cassazione sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo dichiararsi inammissibile ed infondato il ricorso.
La controricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo, denunziando la violazione e la falsa applicazione degli art. 1418, 1453 e 1343 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere qualificato il contratto inter partes come mutuo fondiario e non di scopo, negandone la nullità, laddove il contratto era stato concluso nel solo interesse della banca di ripianare le situazioni debitorie di altre società clienti, prive di rapporto debitorio con la mutuataria. Con il quesito di diritto si chiede se, qualora il contratto di mutuo fondiario sia concluso per attuare uno scopo estraneo all'interesse del mutuatario e risulti che le somme siano state in effetti utilizzate per un interesse esclusivo o prevalente del mutuante, sia integrato un mutuo di scopo nullo per illiceità della causa.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., si censura la contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, per avere la sentenza impugnata negato la qualificazione del contratto come mutuo di scopo, sulla base dell'argomento secondo cui gli ordini di bonifico in favore di società terze erano stati disposti dall'amministratore unico della mutuataria, cui dunque, eventualmente, l'abuso doveva imputarsi.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l'omesso esame, ai sensi dell'ari 360, primo comma, n. 5, c.p.c., delle istanze di ammissione della prova testimoniale, di esibizione degli estratti conto e di consulenza tecnica, proposte dalla Real Estate s.r.l. (già respinte dal tribunale, che aveva ritenuto la causa documentalmente provata e disattese dalla corte d'appello, senza alcuna motivazione, all'udienza di discussione), vertenti su punti decisivi della controversia e con i quali essa aveva inteso dimostrare che la somma era stata chiesta dalla società per ristrutturare l'immobile di sua proprietà, ma poi utilizzata per estinguere posizioni debitorie di altre società a questa non collegate.
2. - La controricorrente ha eccepito l'inammissibilità dei motivi del ricorso, osservando come la Real Estate s.r.l. avrebbe introdotto un tema di indagine nuovo nel giudizio di legittimità, consistente nella stipulazione del mutuo nell'interesse della mutuante medesima.
L'eccezione non ha pregio.
I motivi proposti, in effetti, menzionano - vuoi sotto il profilo della violazione di legge, vuoi sotto quello del vizio motivazionale, il quale avrebbe indotto la corte d'appello ad escludere contraddittoriamente che la collaborazione della legale rappresentante della Real Estate s.r.l. servì alla banca per perseguire il proprio esclusivo interesse, ed a rigettare in modo immotivato la richiesta probatoria a ciò mirante - un aspetto particolare: si sostiene, cioè, accanto alla ribadita nullità del mutuo in quanto a vincolo di scopo legale violato mediante la destinazione finale della somma a società terze ed estranee alla mutuataria, la circostanza che ciò corrispose ad un interesse esclusivo della mutuante; l'estraneità dell'interesse perseguito alla sfera soggettiva della mutuataria comporterebbe comunque, secondo l'assunto, l'illiceità della causa.
Si tratta di una precisazione che non contraddice quanto sinora sostenuto (la nullità del mutuo per il fatto di essere state le somme destinate ad altre società clienti della banca), ma vi aggiunge unicamente la notazione della presenza di un interesse esclusivo della mutuante, nell'economia del negozio, a tale finale destinazione. In tal modo, la ricorrente non ha prospettato una nuova ragione di nullità del contratto inter partes, che resta dedotta in quanto mutuo di scopo (il quale sarebbe stato violato), ma, anzi, quella ragione di nullità ha ribadito, rimarcando come non nell'interesse della mutuataria, ma in quello esclusivo della banca (evidentemente, sin dall'inizio del giudizio già implicitamente dedotto) il contratto fu concluso.
Ne consegue, al riguardo, l'ammissibilità del ricorso.
3. - I tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro intimamente connessi, sono tuttavia infondati, in ragione del consolidato orientamento secondo cui il mutuo fondiario non costituisce un mutuo di scopo, né prestandosi a censura la motivazione della sentenza impugnata, che nel primo senso ha qualificato il contratto in esame.
Mentre il mutuo di scopo, infatti, è connotato dall'obbligo del mutuatario di realizzare l'attività programmata, sicché la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi voluto dalle parti (Cass., sez. III, 24 gennaio 2012, n. 943) e la presenza della clausola di destinazione comporta allora che, qualora non sia poi realizzato il progetto, il contratto è nullo (nullità ora ricondotta alla mancanza di causa negoziale ai sensi dell'art. 1418 c.c., ora all'illiceità della causa stessa per essere stato il contratto voluto e attuato in frode alla legge ex art. 1344 c.c.: profilo che non rileva, però, qui approfondire), invece il credito fondiario - secondo la nozione contemplata nell'art. 38 del citato d.lgs. n. 385 del 1993 – “ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”.
Esso "monetizza" nell'immediato il valore di scambio del bene immobile (cfr. Corte cost., 22 giugno 2004, n. 175), pur senza procedere il mutuatario alla dismissione di esso, e permette, a differenza ad esempio del mutuo ordinario o dell'apertura di credito, una durata medio-lunga, ciò essendo sufficiente ad integrarne la causa concreta.
Va, dunque, ribadito che il mutuo fondiario non costituisce un mutuo di scopo, dal momento che non ne è elemento essenziale il patto di destinazione della somma mutuata a fini di miglioramento dei fondi sui quali è costituita l'ipoteca, che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né l'istituto mutuante deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata (Cass., sez. I, 26 marzo 2012, n. 4792, con riguardo alla disciplina del t.u.b.; sez. III, 20 aprile 2007, n. 9511).
Anche la tesi della simulazione è stata disattesa dalla Corte (sez. I, 6 novembre 2006, n. 23669), affermandosi “l'inconferenza del fenomeno simulatorio ai fini di una esatta ricostruzione delle fattispecie esaminate, dal momento che il successivo finanziamento con la contestuale garanzia ipotecaria risultano effettivamente voluti dalle parti”).
Ne deriva che, nel mutuo fondiario, il finanziamento dietro garanzia ipotecaria ben può essere finalizzato allo scopo soggettivo che le parti si prefiggono, e, se questo è costituito dall'utilizzo della somma per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può predicarsene l'illiceità. E ciò appare del tutto coerente con la situazione fattuale, in cui l'erogazione di denaro si è certamente realizzata, indipendentemente dall'uso che ne sia seguito.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
La corte d'appello ha ritenuto che tra le parti fu stipulato un ordinario contratto di mutuo fondiario - dunque non edilizio o in generale di scopo - ed ha basato tale convincimento sopra una pluralità di elementi, fra cui: il contenuto del verbale di assemblea ordinaria della mutuataria del novembre 1991, avente ad oggetto la concessione di "mutuo fondiario" al fine di estinguere le residue posizioni debitorie concordatarie dell'incorporata Hermalux s.a.s.; la domanda di mutuo fondiario alla banca, in cui si dichiarava come essa fosse appunto volta ad estinguere esposizioni debitorie residuali proprie e di altre società; la proposta di mutuo fondiario e l'autorizzazione del medesimo ai sensi dell'art. 4 della citata legge n. 175 del 1991, menzionato solo al fine della garanzia ipotecaria di primo grado; il contratto di mutuo del 30 dicembre 1991 e le norme da esso richiamate, nonché le clausole del medesimo, le quali fra l'altro prevedevano l'erogazione della somma a condizione che fossero estinte le precedenti ipoteche (ma con possibilità per la banca di stipulare ugualmente l'atto di quietanza finale, trattenendo la somma necessaria alla dismissione delle passività ipotecarie) e la restituzione nel termine decennale; l'iscrizione dell'ipoteca a garanzia della restituzione sul complesso immobiliare ad uso industriale della mutuataria; l'atto di quietanza per erogazione del mutuo in data 24 febbraio 1992.
Ha anche osservato la sentenza d'appello che della pretesa destinazione della somma alla costruzione, riparazione od altro intervento edilizio, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 175 del 1991, non è fatta menzione alcuna nel contratto di mutuo o nell'atto di quietanza, in cui non compare lo specifico scopo cui esso sarebbe stato vincolato; e che, trattandosi di mutuo fondiario, la mutuataria avrebbe potuto destinare la somma secondo le proprie necessità, come deliberato dall'assemblea della società.
La stipula del mutuo per far fronte a debiti preesistenti, della società mutuataria o di terzi, resta, quindi, secondo l'impugnata sentenza, circostanza irrilevante, posto che, se pure il mutuo sia volto al fine di estinguere passività pregresse della mutuataria e per l'interesse, pur dedotto come esclusivo, della mutuante, l'ordinamento non ne sancisce la nullità per difetto di causa o per causa illecita, ai sensi dell'art. 1418 c.c..
Con tale motivazione, compiuta ed esauriente, la sentenza si è conformata agli enunciati principi ed ha dato perfettamente conto della decisione assunta, che si sottrae alle critiche avanzate, sia in ordine alla qualificazione del negozio e sia al conseguente mancato ingresso di un'inammissibile prova testimoniale.
Il ricorso, in definitiva, va respinto.
4. - Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del d.m. 12 luglio 2012, n. 140, applicabile anche alle prestazioni professionali eseguite nel vigore delle previgenti tariffe (Cass., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente REAL ESTATE S.R.L. al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente INTESA SANPAOLO S.P.A., che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori, come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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