Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Civilista Trapani

Sentenza

Rubano una Mercedes custodita in un'autorimessa. Chi deve pagare i danni? Il pro...
Rubano una Mercedes custodita in un'autorimessa. Chi deve pagare i danni? Il proprietario dell'autorimessa o l'assicurazione se il furto avviene con particolare destrezza?
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 dicembre 2013 – 7 febbraio 2014, n. 2825
Presidente Finocchiaro – Relatore Vincenti

Ritenuto in fatto

1. - Il Consorzio CISCAT conveniva in giudizio la società D. & C. s.n.c., titolare dell'autorimessa nella quale si trovava l'autovettura Mecedes Benz di proprietà di essa parte attrice, per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti per il furto di detta auto a causa dell'omessa custodia.
2. - I1 Tribunale di Roma, con sentenza del 27 marzo 2003, in accoglimento della pretesa attorea, condannava la D. s.n.c. al risarcimento dei danni, da liquidarsi nel prosieguo di giudizio, altresì condannando l'Axa Assicurazioni S.p.A., chiamata in causa dalla società convenuta a titolo di garanzia, a rivalere la soccombente di tutte le somme che sarebbero risultate dovute alla parte attrice danneggiata.
2. - Il gravame con cui l'Axa Assicurazioni S.p.A. chiedeva che l'obbligo di garanzia fosse contenuto nei limiti del massimale (euro 413,17) veniva accolto dalla Corte di appello di Roma, che, con sentenza resa pubblica 1'8 novembre 2007, riformava in tal senso la decisione di primo grado.
2.1. - La Corte territoriale osservava, anzitutto, che dall'istruttoria non era emerso quali fossero state le modalità del furto, sebbene questo fosse stato sicuramente perpetrato all'interno dell'autorimessa della società convenuta, dotata di citofoni, cancelli e sbarra di ingresso, nonché sorvegliata, giorno e notte, da custodi, che riconsegnavano le autovetture solo alle persone conosciute. Sicché, il furto era "avvenuto senza che nessuno dei custodi si avvedesse di alcunché e senza che i meccanismi automatici di protezione segnalassero alcuna effrazione".
Il giudice di gravame escludeva, quindi, che la società D. avesse fornito prova che l'evento-furto rientrasse nei limiti del rischio assicurato come circoscritto dall'art. 9 del contratto di polizza, né che "l'elusione dell'attenzione del derubato, o meglio dei custodi del garage", potesse integrare ipotesi di dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 1900, secondo comma, cod. civ.
La Corte territoriale riteneva, invece che, "in considerazione delle misure di sicurezza esistente nell'autorimessa (quali custodi, cancelli, sbarra e segnale acustico)", il furto era da ascrivere a "speciale abilità e destrezza tali da ingannare la buona fede dei custodi", ciò integrando l'ipotesi contrattuale (lettera "C" della sezione speciale Furto), che prevedeva un indennizzo massimo di lire 1.000.000, con franchigia di lire 200.000.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la società D. e C. di Maurizio Di Palma s.n.c., affidando le sorti dell'impugnazione a due motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l'Axa Assicurazioni S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva il Consorzio CISCAT.

Considerato in diritto

1. - Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione sulla "valutazione del fatto (dinamica del furto)".
La Corte territoriale sarebbe incorsa in vizio motivazionale avendo affermato, per un verso, che non vi erano elementi in ordine alle modalità del furto della vettura nell'autorimessa e, per altro verso, che questo, sebbene la sua dinamica fosse ignota, si sarebbe verificato con destrezza, senza neppure indicare, però, quel quid pluris che avrebbe connotato in tal senso l'attività di sottrazione ed impossessamento del bene.
Si chiede, quindi, la cassazione della sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto decisivo del giudizio, "in quanto si è ritenuto trattarsi di furto con destrezza senza che sia stata individuata alcuna prova a sostegno della tesi né sia stata fornita alcuna spiegazione sulla presunta modalità di furto".
1.1. - Il motivo è inammissibile.
Esso non solo non è assistito da quesito "di fatto" (o altrimenti detto "di sintesi") che, alla luce del diritto vivente (tra le altre, Cass., 16 luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20603; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., 18 novembre 2011, n. 24255)), deve essere necessario corredo, ai sensi del capoverso dell'art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis per essere la sentenza impugnata stata pubblicata l'8 novembre 2007), della denuncia di un vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ma anche perché difetta del presupposto interesse all'impugnazione, che va apprezzato in relazione all'utilità concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento del gravame (tra le altre, Cass., 23 maggio 2008, n. 13373).
Invero, la censura - rivolgendosi contro l'inquadramento, operato dalla Corte di appello, della fattispecie materiale (furto con destrezza) in apposita clausola contrattuale che, in siffatta ipotesi, prevede un determinato massimale di indennizzo con franchigia - non considera, né dunque investe di denuncia, l'ulteriore e presupposta statuizione presente nella sentenza impugnata, relativa alla non debenza di indennizzo da parte dell'assicuratore in mancanza di ogni altro rischio garantito dal contratto di assicurazione. Con la conseguenza che, ove, in ipotesi, dovesse essere caducato il capo di sentenza impugnato con il motivo in esame, la parte non ne trarrebbe alcun giovamento e, anzi, ne sarebbe pregiudicata, giacché rimarrebbe esclusivamente a sorreggere la decisione il giudicato formatosi sull'esclusione di ogni indennizzo in suo favore.
2. - Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 2729 cod. civ. in relazione all'art. 1900, secondo comma, cod. civ.
La Corte avrebbe errato nel ritenere inapplicabile alla fattispecie l'art. 1900, secondo comma, cod. civ., mancando di far operare a tal fine la prova presuntiva, posto che "la dimostrazione che vi fu un difetto di custodia da parte dei guardiani è data dal fatto stesso che il furto sia stato commesso senza che nessuno degli addetti alla vigilanza se ne sia accorto: nessuno se ne è accorto perché in quel momento probabilmente la vigilanza non c'era".
Vengono, quindi, formulati i seguenti quesiti: "dica la Corte se nel caso in esame, laddove difetta qualsiasi mezzo di prova, la presunzione semplice - costituita dalla probabilità concreta che il furto sia stato commesso per un difetto di custodia da parte del guardiano di turno - possa costituire un valido strumento probatorio. Dica poi l'Ecc.ma Corte se, nel caso di difetto di custodia per disattenzione del guardiano, sia invocabile l'art. 1900 II comma c.c. che prevede l'obbligo dell'assicuratore per il sinistro cagionato da dolo o colpa grave delle persone del fatto delle quali l'assicurato deve rispondere".
2.1. - Il motivo non può trovare accoglimento.
La doglianza coglie solo in parte la ratio decidendi della sentenza impugnata, posto che in essa si palesa chiaramente come la ritenuta inapplicabilità dell'art. 1990, secondo comma, cod. civ. (a mente del quale l'assicuratore risponde per il sinistro cagionato "da dolo o colpa grave delle persone del fatto delle quali l'assicurato deve rispondere") sia motivata non già per l'assenza tout court di colpa degli addetti alla sorveglianza dell'autorimessa, ma in ragione della esclusione, alla luce dell'accertamento di fatto compiuto, del dolo e della colpa grave degli stessi, non essendosi ritenuto che, in una fattispecie ascrivibile a furto avvenuto con "speciale abilità e destrezza", gli stati soggettivi contemplati dalla citata norma potessero essere integrati dalla "elusione dell'attenzione" dei custodi del garage, soggiungendosi, in ogni caso, che era rimasta "del tutto indimostrata" l'esistenza dei presupposti di operatività dello stesso secondo comma dell'art. 1900 cod. civ.
A fronte di siffatta motivazione, che non collide con le coordinate giuridiche che attengono all'interpretazione della norma anzidetta e delle regole sulla prova presuntiva, la doglianza oppone, alfine, soltanto una diversa ricostruzione del fatto, che impinge però nella sfera di apprezzamento riservato al giudice del merito, senza che, peraltro, vengano dedotti, con il motivo in esame, vizi afferenti al percorso motivazionale in concreto adottato, in base al paradigma di cui al n. 5 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ.
3. - Il ricorso va, dunque, rigettato e la società ricorrente, in quanto soccombente, condannata al pagamento, in favore dell'Axa Assicurazioni S.p.A. controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente Axa Assicurazioni S.p.A., in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 200,00, per esborsi, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza