Sindrome del tunnel carpale. La ricorrente non indica in ricorso gli accertamenti omessi e la Corte rigetta.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre – 23 dicembre 2013, n. 28619
Presidente Vidiri – Relatore Marotta
Svolgimento del processo
La Corte di appello, giudice del lavoro, di L'Aquila, con sentenza n. 670/2009 del 4/12/2009, decidendo sull'appello proposto da G.R. nei confronti dell'I.N.A.I.L., confermava la pronuncia del Tribunale di Teramo che aveva rigettato la domanda della G. diretta ad ottenere il riconoscimento del suo diritto alla rendita per malattia professionale. Riteneva la Corte territoriale che non sussistessero elementi per ricollegare la sindrome del tunnel carpale all'attività di decoratrice di ceramiche svolta dalla G. e ciò sulla base delle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio che aveva ricondotto la malattia a lavori manuali richiedenti una certa forza e movimenti ripetitivi, situazione questa non sussistente nel caso dell'attività della G. , ed aveva evidenziato che l'elemento della bilateralità deponesse per una origine extraprofessionale della malattia (considerato che nel lavoro che svolgeva la G. con la mano sinistra si limitava a tener fermo l'oggetto da decorare).
Per la cassazione di tale sentenza G.R. propone ricorso affidato ad un motivo.
L'I.N.A.I.L resiste con controricorso e deposita anche memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo la ricorrente denuncia: "Carente e contraddittoria motivazione nel disattendere la richiesta diretta al rinnovo della C.T.U. (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)". Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto di basare il proprio giudizio su una consulenza tecnica svolta nel corso del giudizio di primo grado carente nella descrizione delle modalità di lavoro della ricorrente e generica nel riportarsi ai "più recenti studi pubblicati nelle riviste internazionali" e di non disporre il rinnovo di tale consulenza e ciò nonostante in sede di ricorso in appello si fosse fatto specifico riferimento alle approfondite considerazioni svolte da uno specialista in neurochirurgia, il quale, sulla base di precisi studi scientifici, era pervenuto alla conclusione che, per l'insorgenza della patologia da cui la G. era affetta, ciò che rilevava non era la gravosità del lavoro quanto il carattere di flesso-estensione del polso effettuato in maniera ripetitiva e reiterata.
2. Il motivo non è fondato.
Si osserva innanzitutto, quanto alla omissione della rinnovazione di una indagine peritale, che secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza di ufficio, trattandosi di una facoltà che rientra nei poteri istituzionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria espressa pronunzia sul punto, quando risulti dal complesso della motivazione, che lo stesso giudice ha ritenuto esaurienti i risultati conseguiti con gli accertamenti svolti (cfr. ex multis Cass. 5 febbraio 2004 n. 2151; id. 6 maggio 2002 n. 6432; 3 maggio 2006, n. 10187).
È noto che la decisione di fare ricorso alla consulenza tecnica, quale strumento più funzionale ed efficace per l'accertamento dei fatti essenziali del giudizio, di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, non solo costituisce esercizio di un potere non censurabile in sede di legittimità, al pari del suo mancato esercizio (ex plurimis, Cass. civ., 3 aprile 2007, n. 8355; id. 21 luglio 2004, n. 13593), ma non vincola il giudice alla valutazione espressa dal consulente: il giudice, infatti, può andare di contrario avviso, qualora nel suo libero apprezzamento ritenga le conclusioni dell'ausiliare non adeguate.
Tanto precisato ed escluso, dunque, che sussistesse un obbligo della Corte territoriale di disporre, pur a fronte di specifica richiesta della parte, nuova consulenza tecnica d'ufficio, va rilevato che il motivo in realtà sollecita soltanto una nuova lettura delle risultanze istruttorie e, in particolare, della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado e di quella di parte pure ivi prodotta dalla ricorrente, operazione preclusa in sede di legittimità. Infatti, per costante giurisprudenza in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico- formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. 3 febbraio 2012, n. 1652; id. 12 gennaio 2011, n. 569; 8 novembre 2010, n. 22707; 29 aprile 2009, n. 9988; 3 aprile 2008, n. 8654).
Con il ricorso in esame non vengono dedotti vizi logico-formali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, né - ancor meno - se ne indicano le fonti: ci si limita, invece, a svolgere solo osservazioni concernenti il merito di causa e a dedurre, sulla base della mera differente valutazione del consulente di parte e di "recenti ricerche condotte dal National Istitute for Occupational Safety and Helt", che contrariamente a quanto sostenuto dal consulente d'ufficio, non sarebbe la gravosità del lavoro a determinare la malattia della G. , senza tuttavia evidenziare quali sarebbero gli accertamenti strumentali omessi e quali le affermazioni scientificamente errate.
Non vi è, in sostanza, alcuna documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisca un vero e proprio vizio della logica medico-legale tale da rientrare tra quelli deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ..
3. Il ricorso va pertanto respinto.
4. Infine sulle spese non si provvede, in base al testo dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., come sostituito dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42 conv. con mod. con L. n. 326 del 2003, attesa la dichiarazione sulle condizioni reddituali contenuta nell'atto introduttivo del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.
12-01-2014 20:54
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