Sulla premorienza del beneficiario nell'assicurazione sulla vita.-
1. Il tema. — 2. La casistica. — 3. La posizione giuridica del beneficiario. — 4. La natura giuridica della designazione beneficiaria. — 5. La premorienza del beneficiario. — 6. Premorienza del beneficiario ed acquisto iure proprio. — 7. Premorienza del beneficiario ed acquisto iure hereditatis. — 8. Una proposta di soluzione per il caso di premorienza del beneficiario in presenza di altri eredi legittimi. — 9. I possibili esiti negli altri casi esaminati. — 10. Considerazioni conclusive.
1. Il contratto di assicurazione sulla vita si caratterizza sempre più come operazione di risparmio di lungo termine e ciò sia per effetto della crescente diffusione di piani a vita intera sia per elevati orizzonti temporali d'investimento della componente finanziaria. La doverosa attenzione alla dimensione finanziaria finisce per sottrarre interesse anche allo specifico versante della disciplina successoria che caratterizza la devoluzione del patrimonio realizzata con il contratto di assicurazione sulla vita per il caso di morte (1).
L'attenzione del contraente e, di riflesso, i doveri di assistenza e consulenza nella fase di presentazione del contratto si soffermano, per comprensibili motivazioni, sugli aspetti finanziari dell'operazione e, più in generale, sugli obiettivi del piano di risparmio che nel tempo si potranno conseguire (2). Un aspetto apparentemente minore, ma non trascurabile, riguarda un evento contrattuale che nella percezione comune riceve generalmente minima considerazione. Ci si riferisce alla premorienza del beneficiario rispetto al contraente stipulante e, dunque, ad un evento che viene sovente reputato di improbabile verificazione. La varietà delle situazioni che la prassi inizia a riconoscere come di problematica risoluzione, specialmente quando i beneficiari sono più d'uno, suggerisce di prestare nuova considerazione a tale fenomeno.
La sorte del rapporto in caso di premorienza del beneficiario può rivestire un ruolo centrale nella realizzazione degli obiettivi economici di rilevanza successoria — così come accade per gli scopi di liberalità, in vita del contraente, nelle forme che erogano la prestazione in caso di sopravvivenza — che sono sottesi alla stipulazione del contratto assicurativo. Una scelta inconsapevole può determinare effetti imprevisti, che divengono irreversibili quando decede anche il contraente-assicurato. I possibili esiti, come si avrà modo di illustrare in relazione ad ipotesi maggiormente frequenti, possono essere assai differenziati in dipendenza del titolo di attribuzione della somma assicurata e, a seguire, nell'individuazione del criterio di ripartizione fra gli aventi diritto.
2. Le polizze di assicurazione sulla vita prevedono per prassi contrattuale la designazione dei beneficiari, in caso di morte dell'assicurato, al momento della sottoscrizione del contratto, con la possibilità di modificare successivamente la designazione effettuata. Quest'ultima può essere a favore di uno o più soggetti specificamente individuati oppure può risultare genericamente rivolta agli eredi legittimi ovvero agli eredi testamentari. Attraverso il buon funzionamento della clausola che disciplina la designazione beneficiaria il contraente realizza l'obiettivo di previdenza che caratterizza l'operazione assicurativa. Pertanto, le modalità di eserci zio dei diritti contrattuali relativi alla designazione ed all'eventuale successiva revoca o modifica devono essere considerate caratteristiche essenziali dell'operazione economica che il contraente intendere realizzare (3). Allo stesso modo — anzi a maggior ragione — dovrebbero essere considerati rilevanti anche gli effetti giuridici che conseguono alla premorienza del beneficiario.
Per sviluppare l'analisi relativa agli effetti sulla destinazione della prestazione assicurata che derivano dalla premorienza del beneficiario, si sono disegnati quattro possibili scenari, i primi due caratterizzati dalla presenza di eredi legittimi e i rimanenti due dall'esistenza di eredi testamentari. Inoltre, si porrà a confronto la sorte della della somma assicurata — nel caso in cui uno dei beneficiari premuoia al contraente ed assicurato — rispetto alla situazione che invece si determina quando il decesso di uno dei beneficiari segue quello dello stipulante, ma precede la liquidazione da parte della compagnia.
Nel primo caso si ipotizza che la polizza riporti una designazione a favore degli eredi legittimi, che sono B e C. Si prevede che B premuoia al contraente-assicurato e che lasci il coniuge e due figli. Si immagina, evidentemente, che C resti in vita. Il secondo scenario prevede che la polizza riporti una designazione a favore degli eredi legittimi, che sono B e C. Si prevede che B muoia successivamente al contraente-assicurato A — in pendenza del pagamento da parte dell'assicuratore — e che lasci il coniuge e due figli. Si immagina, evidentemente, che C resta in vita. Il terzo scenario prevede che la polizza riporti una designazione a favore degli eredi testamentari, che sono B e C. Si ipotizza che B premuoia rispetto al contraente-assicurato e che lasci il coniuge e due figli. Come nei precedenti, C resta in vita. Nel quarto ed ultimo scenario si immagina che la polizza riporti una designazione da parte del contraente-assicurato a favore degli eredi testamentari, che sono B e C. Si ipotizza che B muoia successivamente al contraente-assicurato A — in pendenza del pagamento da parte dell'assicuratore — e che lasci il coniuge e due figli. Come nei precedenti, C resta in vita.
Nel primo e nel terzo scenario si verifica la premorienza del beneficiario di una polizza di assicurazione sulla vita rispetto al contraente-stipulante (sia nell'ipotesi in cui il beneficiario sia erede legittimo sia in quella in cui sia erede testamentario). Entrambi i casi si caratterizzano per la presenza del coniuge e di due figli del beneficiario oltre che di un altro erede. Nel secondo e nel quarto scenario — che presenta la stessa struttura dei precedenti esempi (beneficiario, quale erede legittimo ovvero quale erede testamentario, presenza del coniuge e dei figli del medesimo oltre ad un altro erede) — si valuta la situazione che si determina quando la morte del beneficiario si verifica successivamente a quella del contraente-assicurato, ma prima della liquidazione della somma assicurata effettuata dalla compagnia. In tutti gli scenari prospettati si impone di verificare a quali soggetti e con quali modalità si trasmette il beneficio alla somma assicurata. A tal fine, nel seguito si prende in considerazione la natura giuridica del contratto di assicurazione per il caso morte e si formulano, anche sulla base di una ricognizione sullo stato della dottrina e della assai scarna giurisprudenza, alcune ipotesi di soluzione delle situazioni più comuni che sono state qui prese in esame.
3. L'assicurazione sulla vita a favore di terzi per il caso morte è un contratto in cui la compagnia, dietro versamento di premi da parte del contraente, si impegna, al momento della morte del contraente-assicurato, a corrispondere al beneficiario della polizza la somma assicurata. L'art. 1920, comma 3º, c.c., stabilisce che per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione. Ciò significa che il diritto alla somma assicurata non transita dal patrimonio del contraente a quello del beneficiario, bensì appartiene sin dal momento della stipula al beneficiario. Ciò a condizione, ovviamente, che il contraente alimenti regolarmente il contratto col pagamento dei premi e, inoltre, che non compia atti di disposizione della polizza e che non revochi la designazione fatta (4). Del resto, al momento della morte del contraente-assicurato, la somma non è un bene dell'asse ereditario del de cuius, bensì proviene dalla compagnia di assicurazione che, corrispondendo il capitale assicurato al beneficiario, adempie alla obbligazione assunta nei confronti dello stipulante.
L'acquisto del diritto proprio, quindi, ha origine nel contratto e non nella successione dello stipulante (5). La morte del contraente-assicurato segna solamente il momento da cui il diritto del beneficiario alla polizza vita diventa esigibile nei confronti dell'assicuratore (6). La polizza sulla vita è pertanto un atto inter vivos con effetti post mortem (7). Il principio vale anche nel caso in cui la designazione avvenga con testamento: tale atto, infatti, nell'ambito dell'assicurazione caso morte, non svolge una funzione attributiva dei beni del contraente nel momento in cui questi morirà, ma si limita ad individuare il beneficiario, il cui diritto deriva dalla polizza, che è (e resta sempre), appunto, un atto inter vivos, il cui vantaggio (i.e. la somma assicurata) non entra mai nella disponibilità patrimoniale del contraente (8). Pertanto, l'assicurazione sulla vita a fa vore di terzi per il caso morte non configura una convenzione successoria (9).
La designazione del terzo non realizza neppure un'attribuzione dell'indennizzo a titolo di legato (10). Infatti, lo scopo dello stipulante è quello di garantire la soddisfazione di un bisogno futuro mediante il pagamento di somme (i.e. i premi) che, di per sé, non sarebbero o potrebbero non essere sufficienti alla soddisfazione di quel bisogno (11). La disciplina codicistica delineata per le assicurazioni sulla vita ha quindi una finalità marcatamente previdenziale, cui l'ordinamento riconosce particolari garanzie (12). Va precisato, comunque, che lo scopo previdenziale non implica necessariamente che il pagamento da parte del contraente a favore del beneficiario sia un atto di liberalità. Può trattarsi, infatti, anche di un atto con cui un debitore, designando beneficiario della polizza vita il suo creditore, garantisce del pagamento del proprio debito anche in caso di morte (13).
Non tutti i contratti stipulati da una compagnia di assicurazione sono sottoposti alla disciplina in esame. Diversamente dai contratti di assicurazione sulla vita, al contratto di capitalizzazione, nel quale come noto fa difetto completamente l'elemento di trasferimento di un rischio attinente alla vita umana, non sono applicabili gli articoli 1920 e 1921 del c.c., il cui ambito oggettivo è dunque riferito ai soli contratti stipulati da una compagnia assicurazione con i quali la prestazione dedotta dipende da un evento attinente alla vita umana (14). Da tale considerazione deriva che nel contratto di capitalizzazione la disciplina della revoca del beneficio da parte degli eredi dello stipulante deve essere desunta da quella del contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.), con il risultato che il terzo acquista il diritto sin dal momento della stipulazione del contratto a suo favore e con il limite che la revoca del beneficio è possibile solo finché non intervenga l'accettazione del terzo (art. 1411, comma 2º, c.c.). Infine, va considerato che a differenza dell'art. 1921, comma 1º, c.c., laddove vieta agli eredi la revoca del beneficio, l'art. 1411, c.c., non contiene alcuna previsione diretta in ordine alla trasmissibilità del potere di revoca o di modifica della stipulazione, aprendo così all'interrogativo circa la trasmissibilità ereditaria del potere di revoca, modifica e riscatto (15).
4. L'art. 1920, comma 2º, c.c., stabilisce che la designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per testamento; essa è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. La designazione è considerata dalla maggior parte della dottrina un atto non recettizio, che non richiede l'adesione da parte dell'assicuratore (16).
Alcuni autori differenziano il caso in cui il contratto sia stato stipulato sin dall'inizio a favore di un terzo dal caso in cui il contratto sia stato stipulato originariamente dal contraente in proprio favore e solo successivamente sia fatta la designazione a favore di un terzo beneficiario. Tale dottrina ritiene che solamente nella prima situazione il terzo acquisti un diritto proprio, mentre nella seconda situazione il diritto sia derivato dal — patrimonio del — contraente-stipulante (17). In quest'ultima ipotesi il beneficiario acquisirà il diritto alla polizza mortis causa, come bene dell'asse ereditario del contraente e tale acquisto sarà pertanto regolato dalla disciplina successoria.
Altri studiosi sostengono invece che la designazione del terzo beneficiario, anche se successiva alla stipulazione fatta originariamente dal contraente a proprio favore, fa sorgere comunque un diritto proprio in capo al terzo, in quanto il contratto di assicurazione sulla vita per il caso di morte implica necessariamente che la prestazione sia volta a persona diversa dal contraente (18).
Le stesse questioni si ritrovano nel caso in cui non risulti alcuna designazione a favore di terzo né al momento della stipula né successivamente (19). Da un lato, vi è chi sostiene che l'assenza di designazione del terzo beneficiario fa sì che il diritto al capitale assicurato entri nel patrimonio del contraente e si trasferisca poi al momento della sua morte agli eredi in base alla disciplina successoria (20). Dall'altro lato, vi è chi afferma che in assenza di una designazione espressa da parte dello stipulante, deve intendersi sussistente una designazione implicita a favore dei suoi eredi, i quali acquisterebbero quindi iure proprio il diritto alla somma assicurata (21). La differenza fra l'impostazione che distingue fra i casi di acquisto iure proprio o iure hereditatis e quella che considera invece l'acquisto solo iure proprio è dovuta ai diversi principi da cui muovono.
Una prima linea interpretativa, nell'ammettere l'acquisto iure proprio in capo al beneficiario solamente a condizione che la designazione sia effettuata al momento della stipula della polizza (a prescindere dal fatto che il beneficiario sia già in quel momento determinato o meno), considera l'assicurazione caso morte come una specie particolare della categoria del contratto a favore di terzo. Da tale premessa consegue che la designazione del terzo è un elemento naturale, ma non necessario, del contratto (22). Pertanto, è discrezione del contraente stabilire se far acquisire una somma ad un terzo iure proprio oppure riservarla per sé stesso (e trasmetterla poi ai suoi eredi per successione).
Un altro orientamento esclude invece che l'assicurazione per caso morte sia un contratto a favore di terzo. Partendo dal presupposto per cui il contratto a favore di terzo non è un tipo negoziale, ma un modo di contrarre, ritiene incongruo applicare la disciplina del contratto a favore di terzo ad un contratto che è ontologicamente destinato a procurare un beneficio ad un soggetto diverso dall'assicurato. La mancanza di designazione espressa deve quindi essere interpretata come designazione implicita degli eredi quali beneficiari dell'assicurazione (23). In base a tale teoria la polizza caso morte non può esser considerata un contratto con struttura bilaterale, che può eventualmente assumere una struttura trilaterale in caso di designazione da parte del contraente del terzo beneficiario al momento dello stipula. L'assicurazione caso morte implica invece sempre un terzo beneficiario (anche implicito). Ne deriva che la loro struttura e la funzionalità sono indifferenti rispetto al momento della designazione, evento che non incide sull'acquisto iure proprio in capo al beneficiario del diritto al capitale assicurato.
Un terzo orientamento afferma che per aversi assicurazione a favore di terzi non è necessario che l'assicurazione contenga già al momento della stipula la clausola a favore di terzi, ma è sufficiente che vi sia la designazione di un terzo beneficiario con una delle modalità indicate dall'art. 1920, comma 3º, c.c. (24). Pertanto, a prescindere dal fatto se la designazione sia effettuata già al momento della stipulazione o successivamente, il terzo acquista in ogni caso iure proprio il diritto sulla somma assicurata (25).
La prima delle tre tesi ora esaminate sembra essere quella che valorizza meglio il libero esercizio dei poteri di autonomia privata. Questi, infatti, potrà decidere a quale titolo fare acquisire al terzo designato il vantaggio sulla polizza: iure proprio, in caso di stipulazione a favore di terzo (a prescindere poi dal fatto che la designazione sia contestuale o successiva rispetto alla stipula), e iure hereditatis, quando non viene stipulata la polizza a favore di un terzo. È pur vero però — e qui la seconda e la terza tesi risultano più aderenti alla realtà — che la polizza è rivolta necessariamente a favore di un terzo, dato che presuppone la morte del contraente-assicurato. Il diritto alla somma assicurata è quindi inesigibile dal contraente (il cui potere è limitato alla revoca della designazione o al riscatto della polizza), così che appare quasi una forzatura affermare che, in assenza di stipula immediata a favore di un terzo (anche se indeterminato), il diritto ad esigere la prestazione entra nel patrimonio del contraente e ne fuoriesce al momento della morte.
5. Il diritto relativo alla polizza sulla vita passa agli eredi del beneficiario, a meno che il contraente abbia revocato il beneficio o abbia disposto diversamente. È ampiamente dibattuto, invece, se gli eredi del beneficiario premorto all'assicurato acquistino il diritto iure hereditatis (26) o iure proprio (27). Allo stesso modo, anche la giurisprudenza è divisa, qualificando talvolta l'acquisto a titolo di successione ereditaria (28) e talaltra come diritto proprio alla somma assicurata (29).
Ai fini dell'indagine, infine, non si può trascurare anche la teoria che sostiene l'intrasmissibilità del diritto proprio alla somma assicurata agli eredi del beneficiario in caso di premorienza di quest'ultimo rispetto all'assicurato (30). Secondo tale prospettazione l'intrasmissibilità sembra conseguente all'argomentazione che esclude la natura di contratto a favore di terzo dell'assicurazione caso morte, da cui discende che a tale polizza non può applicarsi analogicamente l'art. 1412 c.c., il cui secondo comma dispone che la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo, se questi premuore allo stipulante. Soprattutto, va tenuto presente che l'argomento secondo cui l'assicurazione è finalizzata a realizzare un atto di previdenza a favore di un terzo determinato e non anche a favore dei suoi aventi causa. Nei due successivi paragrafi si esamineranno le differenti prospettazioni, per poi fornire alcune proposte di soluzione per i casi considerati ed esporre infine alcune considerazioni di ordine generale nelle conclusioni cui si perviene in questa indagine.
6. Acquistare un diritto iure proprio implica per il suo titolare essere titolare di un diritto autonomo rispetto a quello del contraente-assicurato (che non transita nel patrimonio di quest'ultimo) attraverso un trasferimento del diritto che avviene come atto inter vivos (31). Da tale premessa deriva che la morte del contraente-assicurato non configura la causa del trasferimento del diritto dal contraente al beneficiario, bensì rappresenta solamente il momento da cui la compagnia ha l'obbligo di adempiere la propria obbligazione di pagamento a favore del beneficiario (32).
Perciò, il diritto ai vantaggi della polizza non rientra nell'asse ereditario e non è quindi disciplinato dal diritto delle successioni (33). Il beneficiario non acquista il diritto al pagamento dell'indennità a titolo di quota ereditaria o legato ma solo in virtù dell'obbligo di pagamento assunto dall'assicuratore (34). Ne deriva che la somma assicurata per la polizza sulla vita — essendo la fonte regolatrice del diritto del terzo beneficiario esclusivamente il contratto — è distribuita, salvo diversa disposizione dello stipulante, in parti uguali fra i beneficiari e non segue le regole della successione ereditaria (35). Anche in caso di designazioni generiche, in cui il beneficiario non è determinato ma è solo indicato per relationem, cioè in base a chi ricoprirà ad un certo momento il ruolo cui ha fatto riferimento il contraente (come, ad es., le formule: ai miei eredi, ai miei eredi legittimi, ai miei figli, al coniuge, ecc.), il diritto viene acquistato dal terzo iure proprio (36).
Il momento da considerare in merito alla designazione per relationem suscita però qualche incertezza. La scelta è fra il tempo in cui il contraente effettua la designazione ed il momento in cui il contraente muore. La maggior parte della dottrina afferma che si deve prendere in considerazione il momento in cui avviene la realizzazione del beneficio (i.e. la morte del contraente-assicurato) quando la designazione rimandi alle persone dei figli e dei fratelli (37). Quando invece il contraente ha contratto nel tempo più matrimoni e la designazione è appunto fatta per relationem a favore del coniuge, si deve considerare preferibilmente il soggetto che ricopriva quello stato al momento della designazione (38).
L'indipendenza fra la successione dello stipulante ed il diritto proprio del beneficiario a ricevere la somma dovuta dall'assicurazione implica che il beneficiario, che sia allo stesso tempo anche erede del contraente-assicurato, può rinunciare all'eredità, ma esigere legittimamente il beneficio ovvero, al contrario, rinunciare al beneficio ed accettare l'eredità (39). L'unico aspetto della disciplina ereditaria che riguarda la fattispecie dell'acquisto iure proprio è quello che si riscontra quando i beneficiari sono genericamente indicati negli eredi: in tale caso, al fine di accertare la qualità di erede, si applicherà la disciplina della delazione (testamentaria o legittima) dell'eredità (40). Perciò il beneficiario può liberamente disporre del diritto, naturalmente sotto la condizione che il beneficio non venga revocato (41).
7. Come è noto, l'acquisto in capo al beneficiario di un diritto derivato dal patrimonio del contraente determina l'applicazione dell'intera materia successoria. Pertanto, non dovrebbero essere prese in considerazione solamente le disposizioni relative all'accertamento della qualifica di erede, ma sarebbe altresì necessario che l'erede-beneficiario avesse accettato l'eredità. La somma derivante dalla polizza sarebbe suddivisa in quote fra gli eredi secondo i criteri della successione legittima. In caso di premorienza del beneficiario, si applicherebbero le regole sulla rappresentazione (42). Esse consentono di individuare chi succederà al soggetto che non vuole o non può accettare l'eredità o il legato (in cui rientra anche il terzo beneficiario premorto rispetto all'assicurato). L'art. 468, comma 1º, c.c. stabilisce che la rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli, e nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto. L'art. 469, comma 1º, c.c. prevede che la rappresentazione abbia luogo in infinito. L'individuazione del rappresentato muta a seconda che si tratti di successione legittima ovvero successione testamentaria.
Il nostro ordinamento stabilisce — in assenza di testamento del de cuius — la successione necessaria di determinati soggetti, con quote che si differenziano a seconda del grado da cui costoro erano legati al de cuius e del numero di soggetti appartenenti alla stessa categoria parentale. Qualora vi siano figli o fratelli (o sorelle) del de cuius a dover succedere e costoro non possano o non vogliano accettare l'eredità, l'istituto della rappresentazione stabilisce che i discendenti dei suddetti figli o fratelli (o sorelle) del de cuius subentrino al posto dell'ascendente che non ha potuto o voluto accettare l'eredità. Il soggetto che subentra nella successione ereditaria è il rappresentante, che è appunto un discendente del figlio o del fratello del de cuius, i quali, in base alla successione legittima, avrebbero dovuto ereditare, ma non hanno potuto o voluto accettare l'eredità. Il figlio o il fratello del de cuius che non ha voluto o potuto accettare l'eredità è il rappresentato, cioè il soggetto al cui posto subentra il discendente.
Nella successione legittima lo schema della rappresentazione vede sempre il primo ruolo di rappresentato al figlio o al fratello del de cuius ed il primo ruolo di rappresentante ai discendenti dei medesimi. In caso di impossibilità o rifiuto ad accettare l'eredità anche da parte dei primi rappresentanti, costoro diventano la seconda linea di rappresentati e, sempre in base alle regole della successione legittima, i loro figli o fratelli (ovviamente se presenti) saranno i nuovi rappresentanti. La ripetitività di tale meccanismo è dovuta proprio alla ratio della successione necessaria, che è finalizzata all'individuazione degli eredi del de cuius in assenza di testamento. Nella successione testamentaria è invece dibattuto, in caso di impossibilità o rifiuto da parte dell'erede istituito, in quali termini trovi applicazione la disciplina della rappresentazione.
Per alcuni la rappresentazione può operare solo se l'erede istituito (che è il rappresentato) è uno dei soggetti di cui all'art. 468 c.c.: vale a dire figli o fratelli (sorelle) del de cuius (il problema della rappresentazione si pone ovviamente solo se il de cuius non ha utilizzato lo strumento della sostituzione, con cui si indicano i soggetti chiamati a sostituire gli eredi designati che non hanno voluto o potuto accettare l'eredità) (43). Secondo tale orientamento, in caso di premorienza di un erede testamentario diverso dal figlio o dal fratello del (futuro) de cuius (ad. es. premorienza del nipote istituito erede dallo zio), non vi potrà essere rappresentazione da parte del discendente dell'erede premorto (nell'es. il pronipote, cioè il figlio del nipote). Per altri, invece, la categoria dei rappresentabili (i.e. di chi può assumere il ruolo di rappresentato ed al cui posto possono subentrare figli o fratelli/sorelle) è più ampia e comprende anche i discendenti di figli o fratelli/sorelle (44). In base a tale impostazione, nell'esempio di cui sopra, la premorienza del nipote avrebbe fatto subentrare il pronipote.
Infine, ma non per ultimo, va dato conto delle implicazioni derivanti dalla pronuncia della Corte di Cassazione (45) nella quale ha trovato riconoscimento la prima tesi sui limiti all'acquisto per rappresentazione. Ai fini della presente analisi occorre evidenziare che la giurisprudenza di legittimità ha considerato la rappresentazione come istituto eccezionale nell'ambito della disciplina successoria. Pertanto, deve ritenersi ammesso il subentro dei discendenti solamente se il soggetto, che non può o non vuole accettare l'eredità, è figlio (nella rappresentazione in linea retta) o fratello o sorella del de cuius (nella rappresentazione in linea collaterale).
8. Il primo scenario ha considerato che la polizza contenga una designazione a favore degli eredi legittimi, che si sono individuati in B e C. Si è ipotizzato che B sia premorto al contraente-assicurato e che abbia lasciato quali successori legittimi il coniuge e due figli. Si è immaginato, evidentemente, che C sia restato in vita. In base a quanto illustrato al par. 6, la designazione effettuata a favore degli eredi legittimi B e C fa acquistare in capo a questi ultimi un diritto proprio alla somma assicurata. Nel caso di premorienza, come si è mostrato al par. 5, le varie e parimenti autorevoli opinioni espresse dalla dottrina (e l'esiguo e contraddittorio supporto offerto dalla casistica) non consentono di arrivare ad una soluzione univoca e definitiva. Le ragioni per sostenere l'acquisto in capo agli eredi iure hereditatis ovvero iure proprio si equivalgono (46). Appare quindi necessario prospettare quali sarebbero le differenze a seconda che si applichi l'una o l'altra impostazione.
In caso di acquisto iure proprio, il coniuge ed i figli di B godrebbero (in parti uguali) della titolarità del diritto alla somma assicurata a prescindere dal fatto che accettino o meno l'eredità di B. Come si è visto al par. 6, il diritto proprio alla somma assicurata è del tutto avulso dalle vicende ereditarie, salvo per l'eventuale configurazione di una donazione indiretta — a causa del pagamento dei premi da parte del contraente all'assicuratore — a favore del beneficiario e per l'eventuale lesione della quota legittima degli eredi riservatari.
In caso di acquisto iure hereditatis si applica, invece, la disciplina delle successioni. Dato che nel caso in esame B è premorto all'assicurato, entra in gioco l'istituto della rappresentazione. Come osservato al par. 7, essa consente ai discendenti dei figli o dei fratelli del de cuius di subentrare all'ascendente, che non può o non vuole accettare l'eredità. Quindi, per il caso qui esaminato — che, si ribadisce, presuppone l'assenza di testamento e quindi che la chiamata all'eredità avvenga in base alle norme sulla successione legittima —, se B è erede legittimo in quanto fratello o figlio del contraente-assicurato A (o discendente di un figlio o fratello di A), i due figli di B subentrerebbero nella posizione di B ed avrebbero diritto alla metà della quota del medesimo. Il coniuge di B, invece, sarebbe escluso, in quanto la rappresentazione non lo contempla fra i rappresentanti.
L'unica via praticabile per superare la situazione di incertezza dovuta alla presenza delle due divergenti impostazioni parrebbe essere quella di inserire nella polizza apposite clausole mediante le quali il contraente riesca a disciplinare la situazione successiva alla premorienza del beneficiario. Lo stipulante potrebbe ad esempio stabilire che, in caso di premorienza del beneficiario, i suoi eredi subentrino in parti uguali, determinando quindi la situazione che si verificherebbe quando trova applicazione la teoria che ravvisa un acquisto iure proprio. Oppure, lo stipulante potrebbe decidere che gli eredi subentrino in base alle quote della successione legittima ovvero in base alla — eventuale — volontà testamentaria del beneficiario. In entrambi i casi si determinerebbe la situazione che conseguirebbe ad un acquisto iure hereditatis, con la differenza però che sarebbe ricompreso anche il coniuge del beneficiario, dato che lo stipulante avrebbe espressamente indicato tutti gli eredi del beneficiario.
La prospettata soluzione appare ancor più convincente se si osserva una fattispecie assai simile. Quando si verifichi la morte del beneficiario ed il contraente-assicurato sia ancora in vita, non vi è dubbio che questi abbia la facoltà di revocare il diritto alla polizza ed istituire — negli stessi termini ora illustrati — gli eredi del beneficiario (47). Allo stesso modo e per la medesima ragione appare corretto ritenere che lo stipulante possa decidere la sorte delle somme assicurate — per il caso di premorienza del beneficiario — con una manifestazione di volontà già al momento della designazione del beneficiario medesimo, fermo restando che anche tale designazione potrà in seguito essere liberamente modificata (48). La so luzione contrattuale qui proposta poggia su due criteri: il primo è la facoltà per il contraente di individuare i sostituti del beneficiario in caso di premorienza di quest'ultimo; il secondo è la facoltà per il contraente di ripartire come ritiene le quote in base alle quali distribuire la somma assicurata tra i beneficiari. Entrambe le scelte (v. retro par. 4) sono ammesse dalla disciplina della polizza caso morte a favore di terzo e, pertanto, devono considerarsi del tutto lecite (49).
9. Nel secondo scenario si è immaginato che la polizza contenga una designazione a favore degli eredi legittimi, che si sono identificati in B e C. Si è ipotizzato che B muoia successivamente al contraente-assicurato, ma prima della liquidazione della somma da parte della compagnia, e che lasci il coniuge e due figli. Si è immaginato, evidentemente, che C resti in vita. La morte di A configura il momento in cui il diritto di B di esigere la prestazione diventa esigibile nei confronti della compagnia. La successiva morte di B determina l'acquisto iure hereditatis in capo ai suoi eredi del diritto al pagamento della somma assicurata. Da ciò deriva che le quote saranno suddivise sulla base della disciplina successoria (testamentaria o legittima a seconda del caso) e che gli eredi di B, per beneficiare della somma assicurata, devono accettare l'eredità.
Nel terzo scenario si è ipotizzato che l'assicurazione contenga una designazione a favore degli eredi testamentari, che si sono identificati sempre in B e C. Si è ipotizzato che B premuoia rispetto al contraente-assicurato e che abbia lasciato il coniuge e due figli, mentre C è restato in vita. In un simile contesto la designazione degli eredi testamentari, quali beneficiari della polizza, configura un quadro identico a quella della designazione degli eredi legittimi. Valgono quindi le stesse considerazioni effettuate per il primo scenario (retro par. 8). È necessario però un distinguo: nel momento in cui si prende in considerazione l'orientamento che ritiene che in caso di designazione successiva alla stipula il beneficiario acquisti il diritto alla somma assicurata iure hereditatis e che si applichi la disciplina delle successioni e quindi l'istituto della rappresentazione, bisognerà verificare se B appartenga alla categoria dei soggetti rappresentabili, che, nella successione mortis causa, sono stati individuati dalla recente giurisprudenza di legittimità nei figli o fratelli (o sorelle) del de cuius. Qualora B non rientri in tali categorie, i suoi eredi non potranno sostituirlo. Al contrario, qualora B sia un figlio o fratello del de cuius, gli subentreranno i due figli (non il coniuge, che non appartiene alla categoria dei rappresentanti).
Nella quarta ipotesi si è immaginato che la polizza contenga una designazione da parte del contraente-assicurato a favore degli eredi testamentari, che sono B e C. Si è ipotizzato che B muoia successivamente al contraente-assicurato A (sempre in pendenza del pagamento da parte dell'assicuratore) e che abbia lasciato il coniuge e due figli di B. Si è pure ipotizzato che C resti in vita. Valgono per la quarta ipotesi le stesse considerazioni di cui al secondo scenario. La morte di A configura il momento in cui il diritto di B di esigere la prestazione diventa esigibile nei confronti della compagnia. La successiva morte di B determina l'acquisto iure hereditatis in capo agli eredi di B del diritto al pagamento della polizza. Da ciò deriva che le quote saranno suddivise sulla base della disciplina successoria (testamentaria o legittima a seconda della scelta di B) e che gli eredi di B, per beneficiare della somma assicurata, devono accettare l'eredità.
10. Le situazioni che si vengono a creare in caso di premorienza del beneficiario sono le più varie, ma tutte incidono sullo scopo essenziale dell'operazione di risparmio assicurativo, perché l'identificazione degli aventi diritto e la ripartizione delle somme assicurate possono seguire un disegno differente da quello originariamente voluto dal contraente in ragione della disciplina giuridica che di volta in volta risulta applicabile.
La designazione di un beneficiario da parte del contraente è un atto inter vivos con effetti post mortem, che conferisce al beneficiario un diritto proprio verso la compagnia di assicurazione. In altri termini, la morte del contraente-stipulante non rappresenta la causa che determina l'acquisizione in capo al beneficiario del diritto a ricevere la somma dalla compagnia di assicurazione, ma tale evento segna solamente il momento in cui il diritto del beneficiario — ad ottenere il pagamento della somma dovuta dall'assicurazione — diventa esigibile. Il principio vale a prescindere dalla modalità con cui avviene la designazione e quindi sia al momento della stipula della polizza sia con una dichiarazione scritta ad essa successiva o con testamento.
Il diritto proprio del beneficiario nei confronti della compagnia resta pertanto avulso dalla vicenda successoria. La disciplina successoria si applica solamente per individuare i soggetti chiamati all'eredità nel caso in cui il contraente abbia designato genericamente i suoi eredi. Non si applica invece alla distribuzione delle quote, nel caso in cui siano presenti più beneficiari (che siano anche eredi legittimi del contraente), dato che le quote si presumono essere stabilite in parti uguali, salva diversa disposizione del contraente. Trattandosi di un diritto proprio del beneficiario, quest'ultimo, nel caso in cui sia (anche) erede del contraente, avrà diritto alla somma assicurata indipendentemente dal fatto che accetti o meno l'eredità.
Come si è visto, è discusso se, in caso di premorienza del beneficiario, gli eredi acquistino il diritto alla polizza iure hereditatis o iure proprio. In dottrina le posizioni a favore delle due tesi si equivalgono, sia per autorevolezza che per adesioni. Risulta invece isolata la tesi che esclude la trasmissibilità del diritto alla polizza agli eredi del beneficiario, anche se avvalorata dalla giurisprudenza di merito. La differenza tra acquisto iure proprio ovvero iure hereditatis è notevole, dato che nel primo caso il beneficiario o, in caso di premorienza, i suoi eredi sono titolari di un diritto avulso dalle vicende ereditarie (così il privilegio sarà suddiviso fra i beneficiari — anche se eredi legittimi — in parti uguali — salvo diversa volontà del contraente — e senza che sia necessario per i beneficiari, che siano anche eredi, il dover accettare l'eredità), mentre nel secondo caso si applica interamente la disciplina successoria (e quindi il diritto alla somma assicurata è subordinato all'accettazione dell'eredità, così come si applica l'istituto della rappresentazione in caso di premorienza del beneficiario).
Le situazioni che si sono considerate e le differenti ripartizioni della somma assicurata, in presenza di più eredi del contraente-assicurato, dimostrano la centralità della funzione di devoluzione del patrimonio nella realizzazione degli obiettivi economici di rilevanza successoria che sono sottesi alla stipulazione di una polizza di assicurazione sulla vita. Una designazione incompleta per il caso di premorienza può determinare effetti imprevisti che talvolta possono apparire ingiustificati. Le attribuzioni patrimoniali, che così si vengono a creare, incidono sullo scopo essenziale dell'operazione di risparmio assicurativo, con effetti distributivi che sono probabilmente ignoti al contraente stipulante.
Come l'analisi condotta ha cercato di dimostrare, anche le soluzioni possibili sono eterogenee e largamente dipendono dalla ricostruzione dottrinale che sta alla base della teoria sul contratto di assicurazione. È pertanto plausibile concludere che la disciplina dei casi considerati, se non troverà risposta in un'evoluzione della clausola sulla designazione beneficiaria, sarà sempre più affidata al formante giurisprudenziale, per la contrapposizione di interessi che qualunque soluzione, pur se astrattamente condivisibile, finisce per provocare. A maggior ragione, è opportuno rafforzare i doveri di assistenza nel corso del contratto, anche per limitare l'incertezza giuridica che, in caso di premorienza di uno dei beneficiari, si può altrimenti determinare sulle regole di ripartizione della somma assicurata fra coloro che di volta in volta assumono una posizione giuridicamente rilevante.
Di: Michele Siri
24-08-2014 13:09
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