Tribunale civile di Trapani. La Provincia Regionale di Trapani contro il Ministero Beni e attività culturali.
Cassazione civile sez. III
Data:
22/10/2013 ( ud. 02/10/2013 , dep.22/10/2013 )
Numero:
23932
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MASSERA Maurizio - Presidente -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - Consigliere -
Dott. CARLUCCIO Giuseppa - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8180-2010 proposto da:
MINISTERO BENI ATTIVITA' CULTURALI, in persona del Ministro in carica
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende per legge;
- ricorrenti -
contro
PROVINCIA REGIONALE TRAPANI (OMISSIS), in persona del Presidente in
carica On. Avv. T.G., elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA LUCULLO 3, presso lo studio dell'avvocato NICOLA ADRAGNA,
rappresentata e difesa dall'avvocato BARBIERA ANTONINO giusta procura
speciale come da Delib. commissariale 22 agosto 2013, n. 99;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 1601/2008 della CORTE D'APPELLO di PALERMO,
depositata il 26/01/2009R.G.N. 1479/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
02/10/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;
udito l'Avvocato MASSIMO GIANNUZZI;
udito l'Avvocato ANTONINO BARBIERA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CORASANITI Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Provincia Regionale di Trapani, proprietaria di un complesso immobiliare concesso in locazione al Ministero dell'interno (cui era subentrato il Ministero dei beni culturali) con due contratti (del 1961, per il piano terra e il primo piano, del 1963, per il secondo e terzo piano), inviò disdetta ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 28 e ottenne la convalida dello sfratto per finita locazione con ordinanza n. 40 del 1998.
Con atto del giugno 2001, la Provincia convenne in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni per ritardata restituzione ex art. 1591 cod. civ. Il tribunale determinò il canone dovuto sino alla riconsegna (avvenuta nel luglio del 2002) e, tenuto conto di quanto già corrisposto dal Ministero conduttore, condannò questi al pagamento della differenza. L'impugnazione proposta dal Ministero fu rigettata dalla Corte di appello di Palermo (sentenza del 26 gennaio 2009).
2. Avverso la suddetta sentenza, il Ministero propone ricorso per cassazione con tre motivi.
La Provincia resiste con controricorso, esplicato da memoria, ed eccepisce preliminarmente la tardività del ricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.L'eccezione di tardività del ricorso è priva di fondamento.
L'ultimo giorno utile per la richiesta di notifica del ricorso era il 13 marzo 2010, in ragione del termine lungo, comprensivo del periodo feriale, decorrente dalla pubblicazione della sentenza in data 26 gennaio 2009.
La richiesta di notifica a mezzo posta è stata effettuata il 15 marzo 2010, corrispondente al primo giorno utile (lunedì), successivo al giorno festivo (sabato 13) nel quale il termine era in scadenza.
La richiesta di notifica è tempestiva, ai sensi dell'art. 155, comma 5, aggiunto dalla L. n. 263 del 2005, applicabile, in forza della L. n. 69 del 2009, art. 58 ai procedimenti pendenti alla data del 1 marzo 2006 (come nella specie), per i termini in scadenza (come nella specie) dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009. In tal senso, di recente la Corte ha affermato che la L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 3 - secondo cui l'art. 155 cod. proc. civ., commi 5 e 6 (aggiunti dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. f) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1 marzo 2006 - deve essere interpretato conformemente al precetto di cui all'art. 11 preleggi, comma 1, nel senso che esso dispone solo per l'avvenire, attesa l'assenza di qualsiasi espressione che possa sottintendere una volontà d'interpretazione autentica della norma di cui alla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, con automatico effetto retroattivo. Ne consegue che l'art. 155 c.p.c., comma 5, si applica solo ai termini relativi ai procedimenti pendenti alla data del 1 marzo 2006, in scadenza dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 e non anche ai termini che a tale data risultino scaduti.
(Cass. 5 aprile 2011, n. 7841).
2. Pure priva di pregio è l'eccezione della Provincia con la quale si lamenta la formulazione dei quesiti di diritto a conclusione dei motivi di ricorso, nonostante l'abrogazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ. ad opera della L. n. 69 del 2009.
Infatti, anche a prescindere dalla considerazione che la presenza di un requisito sovrabbondante ma privo di riflesso negativo sui requisiti essenziali non potrebbe fondare l'inammissibilità del ricorso (Cass. 21 settembre 2012 n. 16222), l'abrogazione dei quesiti di diritto è stata disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47 e, ai sensi dell'art. 58, comma 5 della medesima legge, l'abrogazione rileva nelle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della stessa e, quindi, dopo il 4 luglio 2009; mentre, nella specie il provvedimento impugnato è del 26 gennaio 2009.
3. La questione controversa concerne la individuazione del corrispettivo convenuto al momento della scadenza dei contratti di locazione, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, ex art. 1591 cod. civ., dovuto sino alla consegna (pacificamente avvenuta nel luglio 2002). Non è controverso tra le parti che i due contratti (ad uso non abitativo) sono cessati, l'uno in data 30 giugno 1997, l'altro in data 31 luglio 1997, secondo quanto risultante dall'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione (n. 40 del 1998).
3.1.Il Tribunale ha individuato il corrispettivo dovuto nell'importo annuale risultante dalle delibere della giunta provinciale, n. 81 e 82 del 1985, che - applicando il D.L. n. 12 del 1985, convertito nella L. n. 118 del 1985 - avevano stabilito il canone rivalutato considerando quello previsto all'inizio del rapporto; peraltro, si è discostato dalla Delib. 81, che aveva considerato un aumento del canone per il quale non vi era prova scritta e non ha riconosciuto l'aggiornamento automatico Istat, pure previsto nelle delibere.
A tale conclusione è giunto considerando che: - gli originari contratti degli anno sessanta erano stati prorogati e rinnovati per legge e, da ultimo, dalla L. n. 118 del 1985, in forza della quale erano scaduti nel 1991, e si erano rinnovati automaticamente, secondo il regime ordinario per mancata disdetta, sino al giugno/luglio del 1997; - la L. del 1985 aveva fissato la nuova misura del canone sulla base di quello iniziale rivalutato; - che la suddetta legge, nonostante la dichiarazione di incostituzionalità con sentenza n. 108 del 1986, era applicabile alla fattispecie, risultando dal giudicato, costituito dall'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione, che i contratti si erano rinnovati ex lege del 1985, costituendo tale rinnovazione legale il presupposto dell'esistenza del rapporto di locazione sino alla scadenza del contratto accertata con l'ordinanza; - non erano stati rinvenuti ulteriori atti concordati tra le parti.
3.2. La Corte di appello ha respinto l'impugnazione del Ministero incentrata sulla: - violazione dell'effetto delle sentenze di illegittimità costituzionale, di espungere dall'ordinamento le norme incostituzionali, con efficacia erga omnes, con il solo limite dei rapporti esauriti alla data di pubblicazione della sentenza (aprile 1986), mentre il rapporto controverso relativo alla determinazione del canone previsto non sarebbe ancora sorto all'epoca; - violazione dei limiti oggettivi del giudicato, avendo dato rilievo ad un giudicato formatosi sulla durata dei contratti in una controversia volta alla individuazione del corrispettivo convenuto ai fini dell'indennizzo per mancato rilascio.
3.2.1. Due sono le argomentazioni essenziali che la Corte di appello ha posto a fondamento della decisione; entrambe idonee a sorreggere autonomamente la sentenza.
Con la prima ha ritenuto inapplicabile la pronuncia di incostituzionalità per effetto del consolidamento di una situazione giuridicamente rilevante, costituente rapporto esaurito. A tal fine ha dato rilievo alla circostanza che il Ministero non ha mai contestato l'applicazione della L. del 1985 ed ha esercitato il diritto al rinnovo (proroga) sulla base della stessa legge; non ha impugnato gli atti della Provincia che avevano proceduto al rinnovo e alla determinazione del canone sulla base della stessa legge.
Con la seconda ha ritenuto inapplicabile la pronuncia di incostituzionalità sulla base del giudicato costituito dall'ordinanza di convalida. Ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 6406 del 1999), secondo cui l'ordinanza di convalida acquista efficacia di giudicato anche sulla qualificazione del contratto di locazione se la scadenza del medesimo, richiesta e accordata dal giudice, è strettamente correlata alla tipologia del contratto.
4. Il primo motivo censura l'argomentazione della sentenza che ha ritenuto inapplicabile la sentenza della Corte costituzionale di dichiarazione di illegittimità della norma regolativa del rinnovo ex lege e della determinazione ex lege del canone, sulla base del giudicato, costituito dalla ordinanza di convalida dello sfratto per scadenza del contratto che, prima, si era rinnovato ex lege del 1985.
Il ricorrente lamenta la violazione dei limiti oggettivi del giudicato, dati dalla diversa causa petendi e dal diverso petitum tra la controversia decisa con l'ordinanza di convalida e quella attuale sulla determinazione del canone convenuto ai fini dell'art. 1591 cod. civ.; argomenta nel senso della mancanza della sussistenza della condizioni per ritenere, sulla base della giurisprudenza richiamata dalla sentenza impugnata, coperta dal giudicato la qualificazione del rapporto di locazione ai sensi della L. del 1985.
4.1. Il motivo di censura è inammissibile.
L'ordinanza di convalida del cui giudicato di discute, non è riprodotta in ricorso; non è richiamata in allegato allo stesso; non è individuata tra gli atti processuali, che sarebbero stati esaminabili dalla Corte trattandosi di violazione processuale.
Pertanto, risulta violato l'art. 366 c.p.c., n. 6. La Corte non è posta in grado di verificare la decisività della censura ai fini della portata del giudicato formatosi con l'ordinanza di convalida di sfratto, rispetto al contratto di locazione regolato dalla L. del 1985, che aveva preceduto quello scaduto. Senza l'esame dell'ordinanza di convalida, infatti, non è dato argomentare sul se la convalida per finita locazione si colleghi ad un contratto pregresso a quello in scadenza e rinnovato (prorogato) ex lege, rilevante ai fini della determinazione del canone utile ai sensi dell'art. 1591 cod. civ..
5. Il secondo e il terzo motivo - deducendo la violazione dell'art. 136 Cost. e della L. n. 87 del 1953, art. 30 nonchè del R.D. n. 2240 del 1923, artt. 16 e 19 - censurano sotto diversi profili l'argomentazione della Corte di merito che fa leva sul rapporto esaurito.
5.1. I motivi sono inammissibili per difetto di interesse alla pronuncia. Stante la ritenuta inammissibilità del primo motivo di ricorso che censurava una delle due rationes decidendi, con la conseguenza che la ratio del giudicato formatosi con l'ordinanza di convalida è rimasta priva di censure ed idonea a fondare la sentenza impugnata, il ricorrente non ha interesse alla pronuncia sull'altra ratio posta alla base della sentenza, atteso che un ipotetico accoglimento del secondo e terzo motivo non sarebbe idoneo a cassare la sentenza.
Questa Corte di legittimità ha già affermato che Nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, "in toto" o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato". (Cass. 8 agosto 2005, n. 16602).
6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei parametri vigenti di cui al D.M. n. 140 del 2012, a favore della controricorrente.
PQM
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2013
15-01-2014 12:33
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