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Sentenza

Un Magistrato, candidato a Procuratore della Repubblica di Napoli, usa la propri...
Un Magistrato, candidato a Procuratore della Repubblica di Napoli, usa la propria qualità di Procuratore della Repubblica presso altro Tribunale per conseguire un vantaggio ingiusto e per condizionare l'esercizio delle funzioni concernenti il conferimento degli incarichi direttivi che la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore della magistratura.L’incolpato, infatti, sollecitava telefonicamente un colonnello dei Carabinieri a richiedere ad un generale dei Carabinieri di attivarsi presso un noto onorevole affinché questi, a sua volta, si attivasse per influenzare il componente laico del C.S.M. ad esprimere in plenum il proprio voto in favore della nomina dello stesso incolpato a Procuratore della Repubblica di Napoli. Censuraper il Magistrato, tuttavia il Collegio della trattazione era diverso da quello della decisione. Tutto da rifare.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 15 luglio – 22 settembre 2014, n. 19892
Presidente Rovelli – Relatore Petitti

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 149 del 2013, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto il Dott. M.P. , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di N., responsabile dell'incolpazione ascrittagli e gli ha inflitto la sanzione della censura.
Al Dott. M. erano stati contestati gli illeciti disciplinari di cui agli artt. 1 e 3, comma 1, lettere a) e i), del d.lgs. n. 109 del 2006 perché, in violazione dei doveri di correttezza e di riserbo gravanti sui magistrati, usava la propria qualità di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di N., candidato al posto direttivo di Procuratore della Repubblica di Napoli, per conseguire un vantaggio ingiusto e per condizionare l'esercizio delle funzioni concernenti il conferimento degli incarichi direttivi che la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore della magistratura.
In particolare, il Dott. M. , avvalendosi dell'autorità del proprio ruolo, in più occasioni sollecitava telefonicamente il colonnello dei Carabinieri D.D.G. a richiedere al generale dei Carabinieri Mo.Ma. di attivarsi presso l'onorevole G.M. , affinché questi, a sua volta, si attivasse per influenzare il componente laico del C.S.M. prof. Ma.An. ad esprimere in plenum il proprio voto in favore della nomina dello stesso Dott. M. a Procuratore della Repubblica di Napoli. Con tale condotta, gravemente lesiva del prestigio della magistratura e dello stesso organo di autogoverno, il Dott. M. mirava a conseguire l'ingiusto vantaggio di sottrarsi alla valutazione imparziale ed indipendente da parte del C.S.M. circa la scelta del candidato più idoneo, tra quelli concorrenti, a ricoprire l'incarico direttivo messo a concorso, sbilanciando a proprio favore, attraverso le pressioni di natura politica fatte esercitare su uno dei consiglieri, la scelta dell'organo di autogoverno della magistratura e tentando di ottenere, così, l'incarico di Procuratore della Repubblica di Napoli.
1.1. Ai fini di una compiuta valutazione delle questioni dibattute nel corso del procedimento disciplinare e dei motivi di ricorso, giova ricordare che la composizione della Sezione disciplinare per la trattazione del procedimento a carico del Dott. M. , a seguito della dichiarazione di astensione del consigliere N.A. , accolta dal Vice presidente del Consiglio, veniva modificata, risultando prevista la presenza del consigliere F.R. .
1.2. All'udienza del 17 ottobre 2013, dal verbale della quale la sezione risultava composta con la partecipazione del prof. M.A. e del Cons. N.A. , la difesa dell'incolpato sollecitava la revoca del provvedimento di autorizzazione all'astensione del Cons. N. e, in subordine, proponeva dichiarazione di ricusazione nei confronti del Cons. F. , essendosi egli espresso, nel medesimo contesto, sulla medesima questione in relazione alla quale il Cons. N. , avendo espresso una propria o-pinione, aveva ritenuto di astenersi.
Il Presidente della Sezione disciplinare sospendeva, quindi, il procedimento e disponeva la convocazione di un diverso collegio per la decisione sulla istanza di ricusazione, il quale, con ordinanza n. 120 del 2013, la dichiarava inammissibile.
All'esito, veniva ripresa la trattazione del procedimento. Nella medesima udienza del 17 ottobre 2013 veniva assunta la deposizione dell'unico teste ammesso. Il procedimento veniva quindi rinviato all'udienza del 5 novembre 2013, nella quale la Sezione disciplinare risultava composta con la presenza dell'Avvocato P.F. e del Cons. F.R. ; esaurita la discussione, in detta udienza veniva emessa la decisione sopra riferita.
1.3. La Sezione disciplinare rilevava che io svolgimento dei fatti non era nella sostanza controverso, poiché il Dott. M. , nelle sue dichiarazioni in istruttoria, aveva confermato che: a) nel corso di un incontro a Roma, nel dicembre 2011, il generale Mo. , con riferimento alla nomina del nuovo Procuratore della Repubblica di Napoli, gli aveva detto di essere disposto a intervenire in suo favore, dando atto della sua correttezza professionale e della sua imparzialità; b) dopo che la competente commissione del C.S.M. aveva proposto il suo nome, insieme ad altri, ritenendo che vi fossero concrete possibilità di un risultato positivo, aveva inviato al D.D. il 16 aprile 2012 un messaggio del seguente tenore: "Occorre x mercoledì passaggio di MG sul suo rappresentante in CSM Ma. . Si combatte sul singolo voto. Si può fare?"; c) il D.D. aveva risposto a tale messaggio dicendo: "Si gen avvisato gli dico di farlo entro domani attendeva appuntamento?"; d) il giorno successivo, alle ore 7.11.12 il D.D. scriveva al Dott. M. : "Stamane il gen. Farà quanto deve... Agli ordini"; e) alle ore 7.12.56 il Dott. M. rispondeva. "Grazie! Poi mi fa sapere?"; f) alle ore 7.13.19, di nuovo il Dott. M. scriveva al D.D. : La missione è di quelle impossibili: MG mi detesta"; g) alle ore 7.15.28 il D.D. rispondeva: "Le faccio sapere".
La Sezione rilevava poi che la sostanziale ammissione delle circostanze di fatto ora evidenziate faceva venire meno ogni questione in ordine alla uti-lizzabilità delle intercettazioni eseguite in altro processo e dalle quali erano emerse le comunicazioni sopra riportate.
1.3.1. Così ricostruiti i fatti, la Sezione disciplinare, illustrata la portata precettiva dell'art. 3, comma 1, lettere a) ed i), del d.lgs. n. 109 del 2006, che delinea illeciti extrafunzionali, riteneva integrati gli illeciti contestati, sul rilievo che il Dott. M. aveva speso la sua qualità essendosi rivolto al colonnello D.D. e, per suo tramite, al generale Mo. , i quali, per avere collaborato in passato con lui, ne conoscevano la posizione, formulando loro la richiesta di ottenere un aiuto in una vicenda che lo riguardava in quanto magistrato. I destinatari della richiesta, peraltro, nella scelta di attivarsi in suo favore, avevano formulato una valutazione di opportunità, avendo interesse a mantenere una relazione privilegiata con un magistrato che rivestiva un incarico direttivo e, ancor di più, ad operare per favorire l'assegnazione allo stesso di un incarico ancor più importante, considerato che il generale Mo. era in quel momento imputato in un procedimento penale dinnanzi al Tribunale di Caltanissetta, mentre il colonnello D.D. svolgeva un'attività privata nel settore della sicurezza, mantenendo entrambi ancora rapporti importanti con vari settori istituzionali e della politica.
1.3.2. In particolare, la Sezione disciplinare escludeva che tra i due illeciti contestati ricorresse un rapporto di specialità, atteso che, pur se in entrambi la condotta appare la medesima, diverso è il risultato che il soggetto agente si propone di conseguire. Invero, osservava la Sezione disciplinare, le due norme tutelano beni diversi: la previsione dell'art. 3, comma 1, lettera a), il bene dell'indipendenza e imparzialità del magistrato anche in relazione alla condotta extrafunzionale; la previsione di cui all'art. 3, comma 1, lettera i), il libero e corretto funzionamento degli organi intestatari di funzioni attribuite dalla Costituzione.
Nel caso di specie, la richiesta del Dott. M. , di far intervenire un esponente politico di rilievo su di un consigliere del C.S.M. per indurlo a sostenere la sua candidatura all'incarico direttivo, mirava a far sì che il consigliere, nell'adottare la sua scelta di voto, tenesse conto della raccomandazione esterna e non, o non solo, delle norme di legge e di circolare che disciplinano il procedimento da seguire e i requisiti della nomina. In tal modo, l'interessato perseguiva un vantaggio ingiusto, indipendentemente dall'esito finale del procedimento, e ciò anche se il comportamento del consigliere fosse stato formalmente corrispondente alle norme che regolano l'esercizio della funzione. In aggiunta a tale scopo, il Dott. M. mirava a condizionare il procedimento di formazione della volontà del consigliere interessato e, quindi, l'esercizio delle funzioni del C.S.M. previste dall'art. 109 Cost..
Né poteva ritenersi che la finalità di riequilibrare i condizionamenti (politici o di altro genere) che si verificherebbero nei procedimenti di nomina e che si sarebbero manifestati anche per la nomina a Procuratore della Repubblica di Napoli, valesse a rendere legittima una condotta, quale quella dell'incolpato, che aveva, comunque, Io scopo di ottenere un vantaggio ingiusto e di condizionare illegittimamente l'attività consiliare.
1.3.4. In conclusione, la Sezione disciplinare, tenuto conto del percorso professionale di assoluto prestigio dell'incolpato e delle caratteristiche oggetti va mente limitate nel tempo dei comportamenti a lui contestati, riteneva che potesse essere applicata la sanzione minima della censura.
2. Per la cassazione di questa sentenza il M. ha proposto ricorso sia a mezzo difensore, sia in proprio. I ricorsi sono affidati a tre motivi sostanzialmente coincidenti; il ricorso in proprio contiene un quarto motivo.
L'intimato Ministero della giustizia non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di entrambi i ricorsi il ricorrente deduce "inosservanza di norme processuali in materia di composizione dei collegio giudicante e del principio di immutabilità del giudice, nonché difetto di motivazione.
1.1. Sotto un primo profilo, comune ad entrambi i ricorsi, ci si duole del fatto che il presidente della Sezione disciplinare abbia accolto la richiesta di astensione del consigliere Dott. N. , atteso che le ragioni dal medesimo addotte a sostegno della propria dichiarazione di astensione non erano affatto configurabili come indebita manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione, in quanto la manifestazione di opinione era stata formulata dal predetto in sede funzionale, e cioè in sede di procedimento ex art. 2 della legge delle guarentigie relativo alla medesima vicenda, e comunque in astratto e senza alcun riferimento ai fatti poi descritti nel capo di incolpazione. Ci si duole, altresì, del fatto che non vi sia stata alcuna risposta alla richiesta avanzata dalla difesa in sede disciplinare, di revoca del provvedimento presidenziale di autorizzazione all'astensione, per originario difetto dei presupposti della stessa.
1.2. Sotto un secondo profilo, in entrambi i ricorsi si evidenzia la illegittimità delle modalità di gestione della vicenda legata alla richiesta di ricusazione del Dott. F. , designato dal Presidente in sostituzione del Dott. N. . Invero, in disparte il rilievo della erronea attestazione della presenza all'udienza del 17 ottobre 2013 del cons. N. , e pur dandosi per certo che sin dall'inizio della detta udienza fosse presente il cons. F. , il ricorrente rileva che il cons. N. ha concorso a costituire il collegio che ha deliberato sulla istanza di ricusazione del cons. F. nonostante che egli non fosse stato presente alla discussione svoltasi in ordine alla detta istanza in sede disciplinare, così risultando violato il principio della necessaria coincidenza tra il giudice che partecipato all'udienza e alle relative acquisizioni orali e documentali, e quello chiamato a decidere.
1.3. Sotto un ulteriore profilo, sviluppato solo nel ricorso del Dott. M. in proprio, si rileva che la anomalia della composizione del collegio che ha deciso sulla istanza di ricusazione non riguardava soltanto la presenza del cons. N. , ma coinvolgeva anche la posizione del cons. P. , atteso che questi, al pari del cons. N. , non aveva partecipato alla prima fase dei dibattimento, nella quale si era discusso della istanza di ricusazione, e tuttavia aveva composto il collegio che aveva dichiarato inammissibile la istanza di ricusazione; con la particolarità che della presenza dei cons. P. nel prosieguo della udienza del 17 ottobre, alla ripresa dopo la sospensione per la deliberazione sulla ricusazione, non viene fatto alcun cenno nel verbale dell'udienza stessa, dal quale risulta presente il cons. Ma. , mentre nel verbale dell'udienza conclusiva del 5 novembre 2013 il medesimo cons. P. risulta essere componente del collegio della Sezione disciplinare che ha deciso in ordine alla incolpazione; e ciò pur se nella precedente udienza del 17 ottobre 2013, alla quale non risultava aver partecipato il cons. P. se non per la deliberazione concernente la ricusazione, era stata svolta attività istruttoria.
Peraltro, osserva in proposito il ricorrente, quand'anche si volesse ammettere che la sostituzione del cons. M. con il cons. P. rientrasse nei poteri del Presidente della Sezione, tuttavia, dell'esercizio di un simile potere era necessario che venisse dato conto mediante provvedimento motivato, nella specie inesistente.
2. Con il secondo motivo di entrambi i ricorsi, si denuncia inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità in relazione all'art. 521 cod. proc. pen., nonché contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente si duole della mancata correlazione tra accusa contestata e sentenza, rilevando che, mentre gli addebiti disciplinari gli erano stati contestati nella qualità di Procuratore della Repubblica di Nola, la sentenza impugnata ha invece ritenuto sussistente l'uso, anche strumentale, della sola qualità di magistrato. In proposito, il ricorrente rileva che il contestato abuso della propria qualità istituzionale di Procuratore della Repubblica è altra cosa rispetto all'abuso della generica qualità di magistrato, tanto che, se il collegio si fosse attenuto alla specifica condotta contestata, avrebbe dovuto emettere una sentenza di proscioglimento, in quanto dalle indagini ispettive, dalla istruttoria della Procura generale e dalla istruttoria dibattimentale non era risultato alcun elemento riferibile ad un abuso della qualità di Procuratore della Repubblica.
Del tutto contraddittoriamente, poi, ad avviso del ricorrente, la Sezione disciplinare ha, da un lato, affermato che la condotta abusiva di rilevanza disciplinare non riguardava illeciti commessi nell'esercizio delle funzioni, e, dall'altro, ha dato specifico rilievo proprio a tali funzioni, per sostenere l'idoneità della sua condotta a condizionare la scelta del D.D. e del Mo. , che non avrebbero potuto, sulla base di una valutazione di opportunità, sottrarsi alla richiesta di raccomandazione.
3. Con il terzo articolato motivo di entrambi i ricorsi si deduce l'erronea applicazione degli artt. 1 e 3, comma 1, lettere a) ed i), del d.lgs. n. 109 del 2006.
3.1. Sotto un primo profilo, si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il ricorrente avrebbe posto in essere un abuso della qualità di magistrato. AI contrario, dalle risultanze istruttorie, e segnatamente dalle dichiarazioni del D.D. e del Mo. , emergeva la preesistenza di una conoscenza e di un apprezzamento che, maturato nel corso di esperienze professionali comuni (rilevanti indagini sulla criminalità organizzata in Campania), aveva poi dato luogo ad un rapporto amicale e di stima reciproca, sicché del tutto improprio era stato ricondurre la offerta iniziale del Mo. , di interessarsi alla vicenda, e la successiva richiesta dei ricorrente di adoperarsi in tal senso (salvo poi orientarsi diversamente il 17 aprile 2012), ad un abuso della qualità di magistrato e ad una valutazione di opportunità effettuata dai due ex ufficiai dei Carabinieri.
3.2. La sentenza, ad avviso del ricorrente, sarebbe viziata anche nel ritenere che la sollecitazione dell'intervento dell'on. G. sul consigliere Ma. potesse determinare un condizionamento del consigliere Ma. rispetto a funzioni di rilevanza costituzionale, essendo del tutto certo che nessun intervento sull'onorevole G. è stato posto in essere dal generale Mo. e che, quindi, nessun intervento è stato poi effettuato sul consigliere Ma. per "raccomandargli" la posizione del M. . Del resto, la vicenda oggetto di contestazione si era svolta in un ristrettissimo lasso di tempo e si era chiusa ad iniziativa dello stesso Dott. M. , con un messaggio in cui chiaramente indicava la propria volontà di desistere dalla sollecitazione della ipotizzata raccomandazione.
3.3. Il ricorrente contesta poi che egli abbia inteso conseguire un vantaggio ingiusto, rilevando che dai verbali delle sedute consiliari di aprile e maggio 2012 emergeva chiaramente che egli aveva ottenuto il giudizio maggiormente positivo e che inopinatamente la seduta conclusiva era stata differita con una motivazione apparente, dovendosi ritenere che il differimento fosse stato sollecitato da chi probabilmente era già a conoscenza delle intercettazioni di cui si è detto. In sostanza, sostiene il ricorrente, la sua intenzione era solo quella di tentare di riequilibrare la sua posizione, che appariva ingiustamente danneggiata, rispetto a quella dell'altro candidato con un intervento, solo ipotizzato ma mai effettuato, che testimoniasse le sue elevate capacità professionali e organizzative, nonché la sua indipendenza.
3.4. Il ricorrente contesta, altresì, che vi sia stato alcun illecito condizionamento dell'attività consiliare, rilevando che la catena che avrebbe dovuto condurre all'ipotizzata segnalazione ad un componente del Consiglio si era interrotta al primo passaggio per sua decisione, sicché le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata si risolverebbero in mere presunzioni, prive di qualsivoglia plausibilità o certezza.
3.5. Da ultimo, il solo ricorrente in proprio denuncia l'errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel considerare possibile il concorso formale tra le due ipotesi contestate. In proposito, il ricorrente rileva che, se è vero che è possibile utilizzare la qualità di magistrato al fine di conseguire un vantaggio ingiusto per sé o per altri, senza che si condizioni con ciò l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste, è altrettanto vero che, ove questo sia l'obiettivo perseguito, il vantaggio ingiusto cui si mira si risolve proprio nel condizionamento della funzione, sicché l'ipotesi di cui alla lettera i) del comma 1 dell'art. 3 dovrebbe assorbire in sé l'ipotesi di cui alla lettera a) del medesimo comma. La soluzione al quesito non sarebbe poi meramente teorica, atteso che per l'illecito di cui alla lettera a) è prevista la sanzione minima della censura, mentre per quello di cui alla lettera i) non è fissata una sanzione minima, sicché sarebbe applicabile l'ammonimento.
4. Con il quarto motivo, proposto dal solo ricorrente in proprio e in via di estremo subordine, viene denunciata la carenza di motivazione in ordine all'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 3-bis d.lgs. n. 109 del 2006, essendo indubbia la scarsa rilevanza degli illeciti contestati ed essendo altrettanto indubbio che la Sezione disciplinare non ha minimamente preso in considerazione la citata disposizione, pur essendo tenuta a farlo anche d'ufficio.
5. Il Collegio ritiene che sia fondato il primo motivo del ricorso, nella parte in cui viene denunciata la violazione delle norme concernenti la costituzione del giudice. In particolare, risulta fondata la censura di cui al punto 1.3., con la quale si eccepisce la nullità della sentenza impugnata perché emessa da un collegio composto in modo diverso da quello che aveva partecipato alla precedente udienza.
5.1. Come già rilevato, dal verbale dell'udienza svoltasi dinnanzi alla Sezione disciplinare il 17 ottobre 2013, il Collegio risultava composto dal Vice Presidente del Consiglio Avv. V.M.G. , dal Prof. Ma.An. , e dai Dottori N.A. , Vi.To. , v.f. e A.P. .
Dal citato verbale emerge inoltre che, esaurita la problematica connessa alla dichiarazione di ricusazione del Dott. F.R. , la Sezione disciplinare ha iniziato la trattazione del procedimento, con la relazione del consigliere relatore Dott. v. , e ha poi proceduto all'esame dell'unico testimone ammesso, il Generale dei Carabinieri Mo.Ma. ; all'esito, il Presidente ha dichiarato chiusa la fase istruttoria.
La trattazione del procedimento è stata poi aggiornata alla successiva udienza del 5 novembre 2013. Dal verbale di tale udienza risulta che la Sezione disciplinare era composta dal Vice Presidente V.A. , dall'Avvocato P.F. e dai Dottori F.R. , Vi.To. , v.f. e A.P. . All'esito di tale udienza, esaurita la discussione, la Sezione disciplinare ha pronunciato la sentenza qui impugnata.
5.2. Dalla ricognizione delle indicazioni relative alla composizione del Collegio ora riferita, emerge chiaramente la diversità della composizione del Collegio dinnanzi al quale si è svolta la prima udienza, con la discussione delle questioni preliminari, la relazione del consigliere relatore e l'esame dell'unico teste ammesso, e di quello dinnanzi al quale si è svolta la discussione da parte dei Procuratore generale della Corte di cassazione e del difensore dell'incolpato. Del primo collegio, infatti, facevano parte, secondo le risultanze del verbale, l'Avvocato Ma.An. e il Dott. N.A. , mentre nei collegio che ha pronunciato la sentenza facevano parte l'Avvocato P.F. e il Dott. F.R. .
Orbene, nel mentre dal medesimo verbale dell'udienza del 17 ottobre 2013 è dato desumere che la indicazione quale componente del Dott. N. potrebbe essere ricondotto ad un mero errore materiale, altrettanto non può dirsi per quel che concerne la indicazione, tra i componenti di quel collegio, del Prof. Ma.An. .
Invero, la indicazione tra i componenti della Sezione disciplinare nell'udienza del 17 ottobre 2013 del Dott. N.A. potrebbe essere riferita ad un mero errore materiale, atteso che: il Dott. N. ebbe a formulare istanza di astensione dalla trattazione del procedimento; il Vice Presidente accolse la richiesta di astensione, indicando il Dott. F. quale sostituto del Dott. N. ; la prima parte della discussione in detta udienza venne dedicata alla istanza di ricusazione formulata dal Dott. M. nei confronti del Dott. F. ; detta istanza venne dichiarata inammissibile dalla Sezione disciplinare con ordinanza n. 120 del 2013, adottata da un collegio composto dall'Avvocato V. , dall'Avv. P.F. e dai Dottori N. , Vi. , v. e A. .
Per quanto attiene, invece, alla indicazione tra i componenti della Sezione disciplinare all'udienza del 17 ottobre 2013 del Prof. M. , non vi è, né nel verbale della detta udienza, né negli altri atti del procedimento, alcun elemento che induca a ritenere che il medesimo non abbia partecipato alla detta udienza e che sia stato sostituito dall'Avvocato P.F. , il quale ha poi partecipato all'udienza conclusiva del 5 novembre 2013.
D'altra parte, occorre tenere conto che solo “l'indicazione, nell'intestazione della sentenza, di un componente del collegio giudicante diverso da quello che ha preso effettivamente parte alla deliberazione, risultante dal verbale di udienza (e che, nella specie, risultava anche essere l'estensore della sentenza), è emendabile con il rimedio della correzione dell'errore materiale, poiché il verbale fa fede fino a querela di falso” (Cass. pen., sez. II, n. 32991 del 2011). Il che deve escludersi nella specie, posto che è proprio dal verbale delle udienze svoltesi dinnanzi alla Sezione disciplinare che emerge la denunciata diversità dei componenti del Collegio nella prima e nella seconda udienza.
5.3. Deve quindi affermarsi che il procedimento è stato deciso da un Collegio diverso da quello dinnanzi al quale si è svolta la trattazione e l'assunzione della prova testimoniale ammessa.
Ciò comporta la nullità della sentenza impugnata.
Non vi è, infatti, dubbio che alla fase deliberativa delle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura debbano applicarsi le disposizioni del codice di procedura penale, in forza di quanto disposto nel comma 4 dell'art. 18 del d.lgs. n. 109 del 2006, che, sotto la rubrica "Discussione nel procedimento disciplinare", dispone che “si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, eccezione fatta per quelle che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti”. Invero, il principio di immutabilità del giudice costituisce principio generale del dibattimento penale, come disciplinato dal codice di procedura penale; esso trova espressione nell'art. 525 cod. proc. pen. Tale articolo, al comma 1 dispone che “la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento” e al comma 2 stabilisce che “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento (...)”. E trattasi, ai sensi dell'art. 179, comma 2, cod. proc. pen., di nullità insanabile e rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in quanto definita assoluta da una specifica disposizione di legge. Esso è quindi applicabile anche al procedimento che si svolge dinnanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con il connesso regime delle nullità conseguenti alla sua violazione.
E che la situazione descritta dia luogo a nullità della sentenza si desume da quanto affermato di recente dalle sezioni penali di questa Corte: “è affetta da nullità assoluta e rilevabile d'ufficio, per violazione del principio di immutabilità del giudice, a norma degli artt. 525 e 179 cod. proc. pen., la sentenza emessa da giudici diversi da quelli che hanno partecipato al dibattimento, in difetto della rinnovazione di questo e degli atti già compiuti, anche se le parti non ne abbiano formulato esplicita richiesta” (Cass. pen., sez. Ili, n. 12234 del 2014).
Né potrebbe obiettarsi che, nella specie, si tratti solo di una questione di utilizzabilità o inutilizzabilità delle prove acquisite o di un eventuale consenso implicito delle parti alla lettura degli atti precedenti sol perché non è stata esplicitamente richiesta la rinnovazione del dibattimento. Invero, a differenza di tali ipotesi, nella specie si è arrivati alla deliberazione con un collegio composto in modo difforme rispetto a quello che aveva condotto il dibattimento, in evidente violazione dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., il quale, come già ricordato, dispone che “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”.
D'altra parte, è appena il caso di considerare che, a differenza delle ipotesi suddette, nel caso di specie non vi è stata altra dichiarazione, da parte del Presidente del Collegio, che quella di chiusura della fase istruttoria, non anche una dichiarazione che comportasse la lettura degli atti precedentemente acquisiti, rispetto alla quale potesse essere configurabile un'acquiescenza o un consenso tacito dell'incolpato alla utilizzazione di atti assunti dinnanzi ad un collegio composto diversamente.
6. Il motivo di ricorso in esame va quindi accolto, con conseguente assorbimento di tutte le altre censure, sia di quelle procedimentali, concernenti la composizione del collegio della Sezione disciplinare che ha deciso sulla ricusazione, sia di quelle afferenti al merito della incolpazione contestata e all'applicabilità al caso di specie dell'art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006.
La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in diversa composizione.
Avv. Antonino Sugamele

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