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Sentenza

Dichiarazione giudiziale di paternità chiesta dopo la morte del presunto padre....
Dichiarazione giudiziale di paternità chiesta dopo la morte del presunto padre.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 aprile – 9 giugno 2015, n. 11887
Presidente Luccioli – Relatore Acierno

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza impugnata, confermando la pronuncia di primo grado, ha dichiarato che D.J.D. è figlio di D.A.F. , nato a (omissis) e deceduto in (omissis) . Alla domanda si era opposta M.P. , moglie del D.A. , e i figli D.A.M.B. e M. .
A sostegno della decisione assunta la Corte d'Appello ha affermato:
La manifesta infondatezza dell'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 270 cod. civ. nella parte in cui stabilisce l'imprescrittibilità dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità proposta dal figlio anche quando sia stata introdotta dopo la morte del presunto padre(senza prevedere un termine di decadenza come quando l'azione medesima sia proposta dai discendenti del figlio. Le due situazioni, secondo la Corte territoriale, sono incomparabili essendo ontologicamente diverse come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità. In ordine al merito la consulenza tecnica d'ufficio non presenta criticità. Sono state date idonee risposte al profilo della consanguineità tra il presunto padre e la madre; le incongruenze contestate si sono rivelate meri errori materiali privi d'incidenza rispetto alla soluzione finale.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione D.A.B. in proprio e nella qualità di tutore di D.A.M. , interdetto,affidato ai due seguenti motivi:
Nel primo motivo viene censurata la violazione e falsa applicazione dell'art. 23 della l. n. 87 del 1953 per avere la Corte d'Appello disatteso la richiesta di proposizione dell'eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 270 cod. civ. nella parte in cui stabilisce l'imprescrittibilità dell'azione da parte del figlio, quando il presunto genitore sia già morto e l'azione in questione sia mossa esclusivamente da finalità economiche, come nella specie. Al riguardo i ricorrenti sottolineano che il panorama normativo Europeo è di segno diverso e che la soluzione adottata dal nostro legislatore viola il principio di buona fede, frustrando la legittima aspettativa degli eredi del presunto padre, integra un abuso del diritto e prefigura una disciplina normativa irragionevole perché troppo sbilanciata verso il favor veritatis nonché diseguale perché non fondata su un corretto bilanciamento degli interessi e dei diritti in gioco. In particolare non modula la prescrizione in funzione della minore o maggiore età del figlio. Infine viola l'art. 30 Cost., secondo il quale la legge deve dettare le norme per la ricerca della paternità indicandone anche i limiti non essendo sacrificabile integralmente il favor legitimitatis.
In conclusione, secondo i ricorrenti non può affermarsi che l'interesse giuridicamente protetto rimanga sempre lo stesso prima e dopo la morte del presunto padre. Nella prima ipotesi ci sono ragioni di ordine morale ed esistenziale proprie del rapporto di filiazione, nel secondo esclusivamente economiche.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione per avere la Corte d'Appello accertato il rapporto di filiazione sulla scorta di una consulenza d'ufficio che presentava gravi lacune e contraddizioni, senza aver motivato sui rilievi ad essa relativi. In particolare si lamenta che il consulente d'ufficio non si sia soffermato sul profilo della consanguineità tra la madre del D.J. e il presunto padre e sull'incidenza di tale elemento sulla validità dell'esame del DNA, mentre la sentenza impugnata ha superato senza alcuna plausibile motivazione la grave contraddizione cui perviene la consulenza tecnica d'ufficio sotto il profilo della comparazione del DNA, ritenendolo un mero errore materiale.
Il primo motivo è manifestamente infondato. Come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, la condizione personale del figlio e quella dei suoi discendenti sono ontologicamente diverse e non comparabili (Cass. 11934 del 2001). Il diritto del figlio ad uno status filiale corrispondente alla verità biologica costituisce uno dei componenti più rilevanti del diritto all'identità personale che accompagna senza soluzione di continuità la vita individuale e relazionale non soltanto nella minore età ma in tutto il suo svolgersi. L'incertezza sullo stato filiale può determinare una condizione di disagio ed un vulnus allo sviluppo adeguato ed alla formazione della personalità riferibile ad ogni stadio della vita. La sfera all'interno della quale si colloca il diritto al riconoscimento di uno status filiale corrispondente a verità attiene al nucleo dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.; art. 8 CEDU), intesi nella dimensione individuale e relazionale. La costruzione dell'identità personale non si esaurisce in esso ma ne è fortemente incisa, come rivela la sempre maggiore attenzione delle Corti (sent. Corte Cost. n. 278 del 2013 che ha introdotto un temperamento all'assolutezza del diritto all'anonimato materno stabilito nell'art. 28 settimo comma, l. n. 184 del 1983 e Corte Edu Caso Godelli contro Italia; sentenza del 22/9/2012) alle istanze rivolte all'accesso sulle proprie origini e del Parlamento (in Commissione Giustizia della Camera è stato depositato il progetto di legge n. 784 del 2015 volto a temperare il divieto assoluto all'anonimato).
La maggiore attenzione a questa specifica dimensione del diritto all'identità personale può cogliersi anche nella recente riforma della filiazione che ha esteso il regime d'imprescrittibilità al disconoscimento di paternità, proprio in virtù della incompatibilità di qualsiasi limitazione temporale all'esercizio del diritto da parte del figlio.
Del tutto contrastante con il quadro sopra delineato si manifesta pertanto la tesi delle parti ricorrenti volta a ridurre ad una dimensione meramente economico-patrimoniale il contenuto del diritto in questione se esercitato in età adulta e/o dopo la morte del genitore.
Anche la seconda censura deve ritenersi infondata sotto entrambi i profili. La corte territoriale ha puntualmente risposto ai rilievi riprodotti nel ricorso, escludendo che la consanguineità abbia un qualsiasi peso scientifico nell'indagine esperita e qualificando con motivazione adeguata errori materiali i riferimenti identificativi degli esaminati.
In conclusione il ricorso deve essere respinto. La mancata costituzione degli intimati esclude la statuizione sulle spese del procedimento

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. In caso di diffusione omettere le generalità.
Avv. Antonino Sugamele

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