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Sentenza

Due vigili aderiscono ad uno stato di agitazione sindacale. La Commissione di ga...
Due vigili aderiscono ad uno stato di agitazione sindacale. La Commissione di garanzia, adita dal Comune, dichiarato illegittimo lo stato di agitazione. I due dipendeti scioperano (illegittimamente) e perciò vengno sanzionati disciplinarmente. Legittima la sanzione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 aprile – 28 agosto 2015, n. 17288
Presidente Roselli – Relatore Manna

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 6.8.13 la Corte d'appello di Milano rigettava il gravame di M.I. e G. F. contro la pronuncia del Tribunale di Varese che aveva confermato le sanzioni disciplinari loro irrogate dal Comune di Gavirate - alle cui dipendenze gli attori lavoravano come agenti di polizia municipale - per aver partecipato a scioperi indetti in violazione della legge n. 146190.
Per la cassazione della sentenza ricorrono M.I. e G. F. affidandosi a cinque motivi.
Il Comune di Gavirate resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1- Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione deIl'art. 345 c.p.c., nonché vizio di motivazione, nella parte in cui l'impugnata sentenza ha qualificato come domanda nuova l'asserita illegittimità delle sanzioni per inesistenza del potere disciplinare del Comune di Gavirate ex lege n. 146190: si tratta invece - obiettano i ricorrenti - di una semplice eccezione in replica alle difese avversarie.
Tale censura, pur fondata nella parte in cui sostiene che l'inesistenza del potere disciplinare del Comune di Gavirate ex lege n. 146190 dedotta dagli appellanti non integra domanda nuova (trattandosi, in realtà, di mera difesa in punto di diritto, in quanto tale spendibile in ogni stato e grado del processo), è ad ogni modo ininfluente ai fini del decidere, poiché il comma 1 ° dell'art. 4 legge n. 146190 espressamente prevede l'assoggettabilità a sanzioni disciplinari (pur sempre proporzionate alla gravità dell'infrazione, con esclusione delle misure estintive del rapporto o di quelle che ne comportino mutamenti definitivi) dei lavoratori che - come avvenuto nella vicenda in esame - si astengano dal lavoro in violazione delle disposizioni dei commi 1 e 3 dell'art. 2 stessa legge o che, richiesti dell'effettuazione delle prestazioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, non prestino la propria consueta attività.
La locuzione adoperata dal testo normativo ("sanzioni disciplinari") non lascia adito a dubbi circa il permanere della potestà disciplinare in capo al datore di lavoro.
Diversamente - per altro -- non avrebbe senso alcuno la preoccupazione del legislatore di escludere esplicitamente le sanzioni più gravi (vale a dire quelle idonee ad estinguere il rapporto di lavoro o a comportarne mutamenti definitivi), per loro stessa natura non adottabili se non dal datore di lavoro.
In breve, a tale responsabilità disciplinare si affianca - senza sostituirla - quella di natura amministrativa prevista dal successivo art. 9 in ipotesi di inosservanza, da parte dei singoli prestatori di lavoro, delle disposizioni contenute nell'ordinanza di cui al precedente art. 8.
Né tale conclusione può essere inficiata dall'art. 4, comma 4 quater, o dall'art. 13, co. 1 lett. e), stessa legge.
La prima norma ha ad oggetto il procedimento di valutazione del comportamento delle organizzazioni sindacali che abbiano proclamato lo sciopero o vi abbiano aderito, o di quello delle amministrazioni e delle imprese interessate, ovvero delle associazioni od organismi di rappresentanza dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, nei casi di astensione collettiva di cui agli articoli 2 e 2 bis.
Dunque, si tratta d'un procedimento che si svolge sul diverso piano della condotta dei soggetti collettivi o delle imprese o delle amministrazioni, in via prodromica rispetto alle valutazioni di competenza della Commissione di garanzia.
La seconda si riferisce, ancora, ai compiti della Commissione di garanzia e al possibile invito, da parte sua, affinché l'astensione collettiva dal lavoro sia differita ad altra data: anche in tal caso interlocutore della Commissione di garanzia non è il singolo lavoratore che aderisca allo sciopero, ma l'organizzazione sindacale che l'abbia proclamato o che vi abbia aderito.
2- Con il secondo motivo il ricorso si duole di violazione e falsa applicazione degli arti. 7 Stat., 55 commi 2° e 3° e 63 co. 5° d.Igs. n. 165/01, degli artt. 25 co. 10° CCNL comparto regioni - autonomie locali e 115 e 116 c.p.c., nonché di vizio di motivazione, nella parte in cui la gravata pronuncia ha ritenuto irrilevante la mancata affissione del codice disciplinare trattandosi di violazioni del cd. minimo etico e, perciò, autonomamente percepibili dai lavoratori come fatti illeciti.
Il motivo è infondato, sia pur dovendosi correggere nei sensi che seguono la motivazione adottata dalla gravata pronuncia e ciò perché, a differenza di quanto avviene nel settore privato, il CCNL comparto regioni - autonomie locali, che contiene le disposizioni di carattere disciplinare, è assistito da pubblicità legale (pubblicazione sulla G.U.) ai sensi dell'art. 47, co. 8, d.lgs. n. 165/01, pubblicità da ritenersi sostitutiva dell'affissione di cui all'art. 7 Stat. (cfr. Cass. n. 56107 e Cass. n. 25099/06, pronunce relative al rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni scolastiche).
3- Con il terzo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., 25 co. I ° lett. a) CCNL comparto regioni - autonomie locali e 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, nella parte in cui la gravata pronuncia ha omesso di valutare l'elemento soggettivo della condotta addebitata, atteso che i ricorrenti si erano limitati ad aderire ad uno stato di agitazione sindacale proclamato in risposta ad un contegno datoriale illegittimo e ritorsivo del Comune di Gavirate, che, una volta ottenuta ragione dalla Commissione di garanzia dallo stesso adita, non aveva comunicato ai ricorrenti e agli altri dipendenti in sciopero la necessità di svolgere i turni di lavoro straordinario contro i quali era stato proclamato lo stato di agitazione.
Il motivo è infondato perché, in sostanza, inteso ad ottenere una valutazione del merito delle ragioni dello sciopero, che non solo non spetta a questa Corte né ad altra autorità giudiziaria, ma che è irrilevante nel caso in esame, giacché una volta che la Commissione di garanzia abbia dichiarato l'illegittimità dello stato di agitazione per tempi e modi della sua proclamazione ed attuazione, non può il singolo lavoratore opporvisi esercitando una forma di autotutela individuale che l'ordinamento non consente in casi dei genere.
4- Con il quarto motivo il ricorso denuncia omessa motivazione e violazione di norme di legge e di contratto collettivo nella parte in cui la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla domanda di accertamento dell'illegittimità della pretesa dell'amministrazione di far svolgere lavoro straordinario pur in assenza di situazioni lavorative eccezionali.
Il motivo è infondato.
Anche a tale riguardo valgano le considerazioni che precedono circa l'insussistenza del potere dell'autorità giudiziaria di entrare nel merito dei conflitti sindacali per stabilirne torti e ragioni, al di fuori delle diverse ipotesi di condotte, reprimibili ex art. 28 Stat., solo nella misura in cui il datore di lavoro limiti od impedisca l'esercizio di libertà e attività sindacali e del diritto di sciopero: quest'ultimo è un intervento a mera tutela del conflitto, che doverosamente prescinde dalla fondatezza o meno delle rivendicazioni che ne siano all'origine.
5- Con il quinto motivo il ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di norme di legge e di contratto collettivo nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto proporzionate le sanzioni disciplinari irrogate.
Il motivo va disatteso perché volto a sollecitare un apprezzamento in punto di fatto della proporzionalità delle sanzioni, che l'impugnata sentenza ha effettuato -­con motivazione immune da vizi logici o giuridici - con particolare riferimento al danno cagionato e alla reiterazione della condotta oggetto di addebito.
6- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell'ari. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
Avv. Antonino Sugamele

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