I pagamenti ricevuti dal fallito sono inefficaci solo oltre i limiti di quanto necessario al suo mantenimento
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 marzo – 8 aprile 2015, n. 6999
Presidente Ceccherini – Relatore Nazzicone
Svolgimento del processo
Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere accolse la domanda, proposta dal Fallimento di B.F. , di accertamento dell'inefficacia di alcuni pagamenti effettuati dalla convenuta in favore del fallito, ai sensi dell'art. 44 l.f., respingendo la richiesta di condanna al pagamento delle somme stesse.
La Corte d'appello di Napoli del 14 gennaio 2008, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto anche questa domanda, respingendo l'appello incidentale della solvens Grandi Italo e Figli s.r.l..
Ha, in particolare, ritenuto, per quanto ancora rileva, che facendo difetto il decreto del giudice delegato col quale, a norma dell'art. 46, 2 comma, l.f. avrebbero potuto esser fissati i limiti entro cui i guadagni derivanti dall'attività lavorativa del fallito sono esclusi dal novero dei beni assoggettati al pignoramento collettivo, siffatta esclusione non potesse nella specie operare. Ciò in quanto il giudice di merito, investito della causa di inefficacia dei pagamenti ai sensi dell'art. 44 l.f., non può sostituirsi alla competenza funzionale del giudice delegato e stabilire la misura della somma spettante al fallito: dunque, poiché la regola generale è quella dell'acquisizione di tutti i beni e crediti sopravvenuti del fallito alla massa, il pagamento diretto al fallito non libera e il solvens deve nuovamente pagare al curatore. Ha, pertanto, confermato la relativa statuizione del giudice di primo grado.
Avverso questa sentenza è proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi ed illustrato da memoria. Resiste la curatela con controricorso.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione degli art. 42, 44 e 46, 1^ comma, n. 2, e 2^ comma, l.f., perché il decreto del giudice delegato ex art. 46, 2^ comma, l.f. ha natura ricognitiva ed i suoi effetti retroattivi sono limitati all'eventuale differenza tra il versato e il necessario al mantenimento della famiglia, in quanto il diritto del fallito di conservare per sé i proventi della propria attività lavorativa entro i limiti necessari al suo sostentamento sussiste prima ed indipendentemente dal decreto col quale il giudice delegato provveda a determinarne la misura.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce il vizio di motivazione, sotto ogni profilo, con riguardo alla medesima statuizione.
Con il terzo motivo censura la violazione degli art. 31, 42, 44, 46, 1^ comma, n. 2 e 2^ comma, l.f., in quanto era compito del curatore richiedere al giudice delegato il decreto di cui all'art. 46, 2^ comma, l.f., ai fini della proponibilità dell'azione d'inefficacia ex art. 44 l.f.
Con il quarto motivo, censura il vizio di motivazione sotto ogni profilo, con riguardo alle medesime circostanze.
Con il quinto motivo, infine, deduce il vizio di violazione o falsa applicazione degli art. 42, 44 e 4 6, 1^ comma, n. 2, e 2^ comma, l.f., per non avere ritenuto inammissibile l'azione di condanna, ove proposta dal curatore prima del decreto di cui all'art. 46 l.f..
2. - I motivi primo e terzo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono fondati.
È stato superato, invero, il precedente remoto orientamento giurisprudenziale, secondo cui, avendo il fallimento diritto di far propri i crediti del fallito per stipendi arretrati oltre il limite di quantità determinato dai bisogni del fallito e della sua famiglia, l'acquisizione potrebbe essere totale se il fallito non abbia chiesto ed ottenuto dal giudice delegato un provvedimento che determini la misura degli alimenti spettanti gli, onde detti emolumenti rientrano nell'attivo fallimentare a meno che il giudice delegato non ne abbia accertato l'occorrenza al mantenimento del fallito o della famiglia fissando i relativi limiti (Cass. 25 luglio 1986, n. 4758; 1^ novembre 1964, n. 2738).
Questa Corte ha ormai chiarito (Cass. 27 settembre 2007, n. 20325; 31 ottobre 2012, n. 18843; 29 gennaio 2015, n. 1724), con orientamento che sì intende ora ribadire, come il pagamento degli stipendi, pensioni, salari ed altri emolumenti di cui all'art. 46, 1^ comma, n. 2, l.f. - effettuato dal debitore direttamente al fallito prima dell'emanazione del decreto con cui il giudice delegato, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, fissa i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia - resti inefficace, ai sensi dell'art. 44, 2^ comma, legge cit., soltanto per gli importi eccedenti detti limiti, come determinati dal giudice delegato con riferimento al periodo anteriore al suo decreto:
ciò in quanto il diritto del fallito di percepire e trattenere gli emolumenti necessari al mantenimento suo e della sua famiglia sussiste prima ed indipendentemente dal decreto del giudice delegato che ne fissi la misura, onde esso ha natura dichiarativa ed efficacia retroattiva ed il curatore ha l'onere di richiederne la preventiva emissione così da poter, poi, documentare in causa l'eventuale eccedenza di quanto pagato direttamente al fallito rispetto ai limiti fissati in tale decreto.
Dall'impugnata sentenza si desume che un decreto del g.d. non sia mai stato pronunciato. Ciò non può giustificare, tuttavia - come chiarito dalla citata Cass. n. 18843 del 2012 - una conclusione diversa: in simili casi, per poter fondatamente agire al fine di far accertare la parziale o totale inopponibilità e per conseguire la condanna del solvens in favore del fallimento, il curatore ha l'onere di richiedere preventivamente al giudice delegato la pronuncia del decreto previsto dall'art. 46, 2^ comma, l.f., così da poter documentare in causa l'eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore direttamente al fallito.
Tale onere, nel caso di specie, non risulta sia stato adempiuto.
La corte territoriale non si è attenuta a questo principio, onde i predetti motivi vanno accolti.
3. - I rimanenti motivi restano assorbiti.
4. - Alla luce del principio di diritto enunciato, la sentenza va quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., con il rigetto della domanda proposta dal curatore del fallimento nei confronti della Grandi Italo e Figli s.r.l..
5. - La circostanza che l'orientamento giurisprudenziale cui ci si è attenuti nel decidere sul ricorso si sia formato e consolidato in epoca successiva alla proposizione dell'azione induce a compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo e terzo, assorbiti gli altri; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda giudiziale proposta dal curatore del fallimento di B.F. nei confronti della Grandi Italo e Figli s.r.l., con compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.
26-04-2015 23:05
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