Il giornalista che riporta dettagli anatomici di ferite mortali subite da una persona commette illecito trattamento dei dati personali.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 febbraio – 16 aprile 2015, n. 7755
Presidente Salvago – Relatore Lamorgese
Svolgimento del processo
Con ricorso presentato l'11 ottobre 2006, la Arnoldo Mondadori Editore S.p.a. adiva il Tribunale di Milano, a norma dell'art. 152 del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (codice privacy), chiedendo che fosse accertata e dichiarata l'illegittimità del provvedimento del Garante per la Protezione dei dati personali in data 17 luglio 2006 che aveva vietato la diffusione dei dati personali di carattere sanitario relativi alla Principessa S.D. , vittima dell'incidente automobilistico del (omissis) , sulla rivista settimanale "(…)" del (omissis) , nell'ambito di un servizio giornalistico in occasione dell'imminente pubblicazione di un libro sull'argomento.
L'inibitoria del Garante mirava ad escludere la divulgazione dei documenti sanitari recanti dettagli clinici, insieme ad un "bozzetto prestampato" con allegata una scheda della posizione e dell'entità delle ferite rilevate sul corpo di Lady D. Il Garante richiamava l'esigenza di tutela preventiva contro la potenziale lesione della dignità della persona coinvolta a causa della divulgazione di particolari non essenziali per la completezza dell'informazione sul fatto di cronaca. La ricorrente Mondadori lamentava principalmente l'illegittimità del provvedimento del Garante per eccesso di potere rispetto al disposto degli artt. 143 e 154 del codice privacy, da interpretarsi alla luce dell'art. 21 Cost., in quanto il blocco si sarebbe tradotto in una censura preventiva e lesiva del diritto di cronaca; in subordine, eccepiva l'illegittimità costituzionale degli artt. 143 e 154 del codice privacy, in relazione all'art. 21 Cost.; nel merito, rilevava l'infondatezza nel merito del provvedimento impugnato.
Si costituiva il Garante che deduceva l'infondatezza del ricorso e sottolineava la legittimità del provvedimento impugnato.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 27 marzo 2008, ha rigettato il ricorso, ritenendo che correttamente il Garante avesse vietato l'ulteriore diffusione dei dati personali della Principessa (…) tramite un servizio giornalistico che violava il principio di essenzialità dell'informazione e, quindi, costituiva trattamento illecito di quei dati, a norma del codice privacy (art. 137, comma 3) e del Codice di deontologia per l'attività giornalistica (art. 6 del codice deontologico, rubricato "essenzialità della notizia") che considerano legittima la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale quando l'informazione sia essenziale, requisito da valutare in concreto e in relazione al contesto della notizia ed ai soggetti coinvolti. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che il bozzetto autoptico con le indicazioni del medico legale in lingua francese, con la traduzione dettagliata delle ferite sul corpo della Principessa, nulla aggiungesse alla notizia, ormai di dominio pubblico, sulle cause della sua morte.
Avverso la predetta sentenza la Arnoldo Mondadori Editore S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui si oppone con controricorso il Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la Mondadori rimprovera al Tribunale la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 139, 143, lett. b) e c), e 154, lett. e) ed), del codice privacy, in relazione all'art. 21 Cost., per avere interpretato le norme del medesimo codice, come se consentissero erroneamente di inibire in via preventiva e generale e per il futuro la diffusione a mezzo stampa di dati personali, anziché interpretarle nel senso, costituzionalmente orientato ex art. 21, comma 2, Cost. di escludere il potere inibitorio e di ammettere la sola tutela rimediale ex post del risarcimento del danno; chiede, in subordine, di rimettere alla Corte costituzionale la soluzione della questione, non manifestamente infondata, di legittimità costituzionale delle medesime norme, in quanto contrastanti con l'art. 21 Cost. che pone un divieto assoluto di soggezione della stampa ad autorizzazioni e censure.
Il motivo investe esclusivamente la modalità di tutela preventiva che si assume non consentita dall'ordinamento e, comunque, accordata dal Garante in modo illegittimo e contrario all'invocato precetto costituzionale.
Esso è infondato.
L'impugnato provvedimento del Garante ha vietato alla Mondadori "di diffondere i dati personali di carattere sanitario relativi alla Principessa S.D. pubblicati alle pag. 12 e 13 del numero XX del (OMISSIS) del settimanale XXX". Non si è trattato, quindi, di una tutela anticipata rispetto a una pubblicazione futura e incerta, ma di una pubblicazione già avvenuta, rispetto alla quale il Garante ha esercitato il potere, riconosciutogli dagli artt. 143, lett. c), e 154, lett. c) e d), del codice privacy di vietare o disporre il blocco del trattamento dei dati personali che risulti illecito o non corretto, anche a causa della violazione delle prescrizioni del codice deontologico nell'esercizio dell'attività giornalistica (artt. 139, comma 5, del codice privacy, 6 e 10 del codice deontologico, approvato con provvedimento del Garante del 29 luglio 1998, con riguardo all'essenzialità dell'informazione e alla tutela della dignità della persona).
La suddetta violazione è stata imputata alla ricorrente per le modalità di pubblicazione del servizio giornalistico che dava eccessivo spazio ai dettagli anatomici delle ferite riscontrate sul corpo della Principessa Lady D. Il giudice di merito, cui è riservato l'accertamento in fatto dell'essenzialità della notizia (v. Cass. n. 17408/2012), ha osservato che quei dettagli erano "in definitiva volti a suscitare nient'altro che una morbosa attenzione del lettore sui particolari dell'evento lesivo" e, quindi, inutili rispetto allo scopo di informare su un evento di interesse pubblico già ampiamente noto nei suoi aspetti principali, con un effetto non rispettoso del principio di essenzialità dell'informazione (art. 137, comma 3, del codice privacy) e lesivo del diritto fondamentale della dignità della persona.
Il prospettato dubbio di legittimità costituzionale rivolto, peraltro genericamente, alle norme che prevedono una tutela preventiva e inibitoria del trattamento illecito o scorretto di dati personali, è manifestamente infondato.
Il codice privacy attribuisce al Garante per la Protezione dei dati personali il potere, non solo, di ordinare "la cessazione del comportamento illegittimo" e di prescrivere "le misure necessarie a tutela dei diritti dell'interessato" (art. 150, comma 2), al fine di "rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti" (artt. 143, lett. b e 154, lett. c), ma anche di adottare ogni altro provvedimento necessario quando vi sia comunque un "concreto rischio del verificarsi di un pregiudizio rilevante per uno o più interessati" (art. 143, lett. c).
Le suddette norme non violano ma attuano il principio costituzionale secondo cui il diritto del giornalista (che deriva dall'art. 21, commi 1 e 2, Cost.) di divulgare dati sensibili, senza il consenso del titolare né l'autorizzazione del Garante, è condizionato all'essenzialità della divulgazione, a tutela del valore primario della dignità della persona coinvolta. Tale tutela non sarebbe piena (come pretendono gli artt. 2 e 24 Cost.) qualora fosse limitata a quella minima del risarcimento del danno per equivalente e il titolare dell'interesse sostanziale minacciato o leso non avesse la possibilità di impedire in via preventiva il compimento o la prosecuzione del trattamento illecito o scorretto dei dati medesimi.
Il secondo e terzo motivo del ricorso sono inammissibili, perché privi del necessario momento di sintesi, richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis) e contenente un'esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza renda la motivazione inidonea a giustificare la decisione (v. Cass. n. 12248/2013, 24255/2011, 4556/2009, sez. un. n. 20603/2007).
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Non può trovare accoglimento la richiesta del PG di condanna aggravata alle spese (a norma dell'art. 385, comma 4, c.p.c., applicabile ratione temporis), non ravvisandosi colpa grave nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Dott. 5000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
18-04-2015 23:53
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