Il Tribunale di Bologna riconosce lo status di rifugiato ad un cittadino nigeriano.
Tribunale sez. I Bologna 03/11/2014 ( ud. 24/10/2014 , dep.03/11/2014 ) Numero: 25
REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BOLOGNA
Prima Sezione Civile
in composizione monocratica, nella persona del giudice Antonio Costanzo ha pronunciato la seguente
SENTENZA
definitiva nella causa civile n. 2243/11 REG. VOL. G.
promossa da:
O. L. S., nato il giugno 1979 a Ugwuala di Umuohiri, area di Isiala Mbano, Imo State (Nigeria),
cittadino nigeriano - avv. Luigi Prete (attore);
contro:
MINISTERO DELL'INTERNO - COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE
INTERNAZIONALE DI TORINO - SEZIONE DISTACCATA DI BOLOGNA (convenuto);
con l'intervento del:
PUBBLICO MINISTERO (intervenuto).
Oggetto del processo:
"Opposizione a diniego di status di rifugiato (art. 35, d.lgs. n. 25/2008)"
* * *
CONCLUSIONI
Per l'attore: come da ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Si discute di protezione internazionale negata dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino - sezione distaccata di Bologna.
Il ricorrente signor L. S. O., nato il 1° giugno 1979 a Ugwuala di Umuohiri, area di Isiala Mbano, Imo State (Nigeria), cittadino nigeriano, appartenente al gruppo etnico Ibo o Igbo, cristiano pentecostale, sentito dalla Commissione aveva dichiarato di aver perso la madre adottiva quando era ancora in tenera età; di aver lasciato il villaggio di Ugwuala (Imo State) il 4 marzo 2010 per il Niger e, procuratosi un visto per turismo, di essere partito per Belgrado, di aver raggiunto Budapest e di essere infine arrivato in Italia, a Trieste, a fine maggio 2010, e poi a Bologna, dove aveva trascorso un paio di mesi dormendo presso la stazione ferroviaria, di avere infine trovato ospitalità presso un connazionale in provincia di Bologna; di aver lasciato il paese dopo che il padre adottivo, proprietario terriero ed esponente politico locale del PDP (People's Democratic Party), Chief Ukaigwe O., era stato ucciso il 1° gennaio 2010 da avversari politici (membri dell'APGA, All Progressive Grand Alliance) rimasti ignoti, e che ciò egli aveva fatto al fine di sottrarsi sia alle minacce e alle violenze degli avversari politici del padre ("Ho lasciato la Nigeria per vari motivi perché dopo la morte di mio padre gli avversari politici volevano ammazzare anche me. [...] Secondo me perché temevano che potessi succedere al ruolo di mio padre nel partito. [...] Sì, mi hanno minacciato e colpito, una volta anche con un machete": si rimanda alla integrale lettura del verbale) sia alle aggressioni e ai soprusi dei fratelli del padre, i quali già lo avevano privato del possesso della casa paterna e contestavano il suo diritto al nome e suoi diritti ereditari quale figlio adottivo; di essere stato minacciato, umiliato, colpito e ferito con un machete alla schiena; di non aver denunciato i fatti alla polizia locale, inefficiente e corrotta; di temere, in caso di rientro in Nigeria, di essere ucciso da mercenari assoldati dal partito politico di opposizione o dai parenti del padre.
Già in occasione dell'audizione davanti alla Commissione territoriale il signor O. aveva prodotto documenti riguardanti le proprie origini e l'adozione, il patrimonio immobiliare e l'iscrizione al partito PDP del padre, i funerali del padre, nonché fotografie relative ai danni fisici subiti.
Si rimanda al provvedimento di diniego della Commissione e al verbale dell'audizione.
2. Il ricorso giurisdizionale, che illustra con maggior ampiezza le ragioni già esposte dal richiedente, è stato tempestivamente proposto.
La Commissione ha trasmesso gli atti della fase amministrativa, tra cui il modello C-3 del 28 ottobre 2010.
Nessuno si è costituito per parte convenuta.
Si intendono qui integralmente richiamati atti, verbali e documenti di causa, tra i quali quelli prodotti con memoria autorizzata dal giudice che aveva chiesto chiarimenti e aggiornamenti sui fatti rilevanti per la decisione.
La causa è stata istruita con l'acquisizione dei documenti prodotti, l'assunzione di prova testimoniale, la raccolta delle dichiarazioni del ricorrente, le integrazioni sui punti segnalati dal giudice.
3. Nel ricorso in opposizione e nella memoria autorizzata il signor O. manifesta il timore di essere esposto, in caso di rimpatrio, al rischio di subire un danno grave proveniente dagli avversarsi politici o dai familiari del padre, nonché da disordini e violenze indiscriminate o da aggressioni o attentati contro i cristiani, in relazione alla gravissima situazione che caratterizza la Nigeria in generale e il Delta del Niger in particolare.
4. Col ricorso ex art. 35, d.lgs. n. 25/08 si censura il provvedimento di diniego per il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.
5. La Commissione, per quanto qui interessa, ha ritenuto vago il racconto riguardante il viaggio dalla Nigeria all'Italia ma si tratta di un rilievo del tutto privo di motivazione (tanto più che le dichiarazioni del richiedente erano state precise) e che peraltro riguarda un aspetto non decisivo.
La Commissione ha ritenuto non attendibile la narrazione del richiedente circa l'effettività delle aggressioni o delle minacce descritte, ma l'argomento addotto - e cioè il fatto che lo stesso richiedente aveva dichiarato di non aver svolto attività politica - è debole e non contempla tutti i profili evocati dal richiedente, meglio illustrati nel ricorso e nelle successive difese (sul dovere del giudice di prendere in esame la domanda giudiziale così come proposta, v. Cass., sez. VI-1, 9 aprile 2014, n. 8399).
Per altro verso, non sono indicati i dati obiettivi a sostegno del dubbio manifestato dalla Commissione, tanto più che il richiedente aveva prodotto documenti, risposto alle domande e offerto numerosi e circostanziati elementi riguardanti anche la propria condizione sociale, familiare e sociale - alle luce dei quali si rivela infondata l'affermazione della Commissione secondo cui il conflitto coi familiari per ragioni di eredità rifletteva una disputa meramente privata (sulla necessità di una attenta verifica dell'inquadramento dei fatti dettagliatamente narrati dalla ricorrente, con riferimento alle fattispecie di cui alla lett. a) o lett. b) dell'art. 14, d.lgs. n. 251/2007, v. Cass., sez. VI-1, ord. 23 gennaio 2014, n. 1455, che ha cassato con rinvio App. Bologna, 27 dicembre 2012, n. 93 V.G.; sulla rilevanza della condizione familiare e sociale in un contesto caratterizzato dalla diffusione della violenza e dal ridotto grado di intervento e controllo da parte delle autorità pubbliche, v. in parte motiva Cass., sez. VI-1, ord. 10 gennaio 2013, n. 563; sulla possibile rilevanza, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, di conflitti di natura familiare, v. Cass., sez. VI-1, ord. 24 ottobre 2013, n. 24064 nonché Cass., sez. VI-1, ord. 29 novembre 2013, n. 26887; sui criteri da seguire nel valutare la credibilità delle dichiarazioni del cittadino straniero, v. Cass., sez. VI-1,17 ottobre 2014, n. 22111, che ha cassato con rinvio App. Bologna, 8 aprile 2013, n. 415).
6. Al contrario, la narrazione fatta dal richiedente è credibile, sia in relazione alle dichiarazioni in sé considerate, sia alla luce delle informazioni disponibili sul contesto sociale, economico e politico del paese di provenienza.
7. Per un verso, si osserva che in occasione dell'audizione davanti alla Commissione il richiedente aveva fornito - con ricchezza di particolari, per quanto possibile nell'arco di un paio d'ore e nonostante le obiettive difficoltà legate alla traduzione - informazioni circa il conflitto tra PDP e APGA, le prevaricazioni subite quale figlio adottivo (ed erede di un apprezzabile patrimonio immobiliare) ad opera dei fratelli del padre, l'insufficiente protezione da parte dell'autorità di polizia, le aggressioni di cui era stato vittima e la ferita sul dorso; aveva inoltre offerto in produzione documenti.
Sulla compatibilità della cicatrice di circa 10 cm. posta sul dorso con una ferita da taglio, v. il certificato 16 marzo 2011 del dott. Maurilio Guzzardella, specialista in ortopedia e traumatologia.
Sono prodotti agli atti in copia documenti riguardanti il certificato di adozione del ricorrente da parte dei signori O. (doc. 1); i dati (anagrafici, reddituali, patrimoniali) del padre adottivo, Ukaigwe O. ("occupation: politician & farmer") residente a Ugwuala Umuohiri; il certificato di morte (evento accertato nell'ospedale St Mary's di Umunachi, lsiala Mbano LGA - Imo State: cfr.
http://www.vconnect.comist-marys-hospital-complex-limited-isiala_mbano-imo_b361756);
le cerimonie funebri; il tesserino del padre attestante l'iscrizione al PDP dal 2005 (il PDP è il partito cui appartiene l'attuale presidente della Nigeria Goodluck, eletto nel 2011: sulle elezioni presidenziali, sugli scontri, in particolare negli stati del Nord, e la crisi post elettorale v. anche
http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-12941582;
http://www.hrw.org/news/2011/05/16/nigeria-post-election-violence-killed-800,
che riporta, fra l'altro: "Nigeria held three rounds of elections - legislative on April 9, presidential on April 16, and gubernatorial on April 26. Human Rights Watch researchers monitored the human rights dimension of the elections, including freedom of assembly, expression, and association, during each round - Bauchi and Benue states during the legislative elections, Katsina and Oyo states for the presidential round, and Akwa Ibom and Kaduna states for the gubernatorial voting").
Il richiedente ha sempre dato risposte pronte e credibili alle domande svolte nel corso dell'audizione ed ha spiegato tra l'altro che gli oppositori politici volevano impedire che egli (figlio di Chief O.) subentrasse al padre nella guida del PDP locale (ha infine precisato che già nel 2009 gli avversari politici del padre avevano iniziato ad aggredirlo fisicamente), mentre i parenti del ramo paterno volevano impossessarsi dell'eredità che comprendeva anche un edificio.
Il richiedente ha in sostanza reso in vari momenti (v. già il mod. C3) dichiarazioni lineari e coerenti nella loro semplicità.
Degno di rilievo è il fatto che il signor O. abbia chiesto la protezione internazionale a pochi mesi dall'arrivo in Italia.
Il teste assunto ha confermato, in via diretta o de relato, le circostanze riguardanti la famiglia del ricorrente ed il ruolo del padre nonché il fatto dell'aggressione ("Sono Emeka Ferdinand OBI nato il 26 febbraio 1981 a Lagos (Nigeria), passaporto nigeriano A 02790874 e residente a Imola, via Ugo Foscolo 1, lavoro nelle pulizie. Conosco L., l'ho conosciuto nel villaggio Ugwuala, nel suo paese. Non so la storia della sua vita ma ho visto cosa è successo quando ci siamo conosciuti. Ci incontravamo nella piazza a giocare a calcio, quando ci salutavamo un gruppo di ragazzi si è avvicinato, io non ho visto erano dietro di me e poi L. è scappato, quando è scappato lui sono scappato anche io da un'altra parte. Non so cosa è successo. Non ci siamo più visti se non in Italia. Lui mi ha raccontato. Sono stato molto sorpreso di vederlo: mi ha spiegato le minacce contro di lui, suo padre era un politico, e mi ha parlato dei problemi della famiglia. Mi ha raccontato che oltre alle minacce c'è stato un taglio sulla schiena. Non conosco suo padre, non andavo a casa sua, ci incontravamo in piazza. Ho visto con gli occhi cosa hanno fatto a L.. Lui mi ha detto che suo padre è morto, non so come è morto, mi ha detto che è stato ammazzato per motivi politici. Non so se il rientro in Nigeria sia pericoloso per lui, L. dovrebbe saperlo. Sono venuto legalmente in Italia, per lavorare").
Il ricorrente ha dichiarato in udienza: "Mio padre è stato ucciso per motivi politici, sono sospettati oppositori politici. C'è stato solo un funerale, non c'è stato un processo. È stato ucciso il 1° gennaio 2010. Mi hanno colpito i membri politici dell'altro partito. Quello che ha raccontato il mio amico è vero, quando stavo per scappare mi hanno colpito sulla schiena. Posso mostrare".
Il ricorrente porta sulla schiena il segno di quel fatto, una cicatrice ritenuta dal sanitario che lo ha visitato (v. il certificato medico già menzionato) compatibile con una ferita da arma da taglio.
In definitiva, il ricorrente ha fatto ogni sforzo possibile, nella situazione data, per offrire elementi probatori.
8. Per un altro verso, vanno considerati le precisazioni, i chiarimenti, gli approfondimenti e la ricostruzione del quadro più generale contenuti nel ricorso in opposizione e negli atti depositati in corso di istruttoria. Vedi ad esempio gli allegati (qui integralmente richiamati) alla memoria autorizzata, nella quale si analizzano i rapporti tra PDP People's Democratic Party e APGA All Progressive Grand Alliance, si precisa che le autorità di polizia non hanno attuato alcuna azione dopo l'uccisione del padre del ricorrente e gli atti di violenza subiti dal ricorrente nell'abitazione paterna, si descrive il notevole peggioramento delle condizioni di vita e del contesto politico-sociale della Nigeria, in particolare nella zona del Delta del Niger, da cui proviene il ricorrente, si prospetta il timore di nuovi scontri all'approssimarsi delle elezioni presidenziali ed il timore di aggressioni in danno dei cristiani sempre più frequenti in Nigeria (sulla rilevanza di una attuale condizione di pericolo correlata alla situazione soggettiva del richiedente, v. Cass., sez. VI-1, ord. 17 maggio 2013, n. 12135 in relazione alla tutela apprestata dal riconoscimento del permesso umanitario.
9. Ai documenti prodotti dal ricorrente si aggiungono quelli agevolmente reperibili e spesso già analizzati in cause simili.
10. Ad esempio, a proposito del ricorso alla violenza fisica nell'ambito del confronto politico v. in particolare le notizie ricostruite da Human Rights Watch, a proposito degli scontri post elettorali dell'aprile 2011, con più di ottocento morti, nel nord della Nigeria.
In ordine agli scontri avvenuti a Kano e in altri stati del nord della Nigeria aprile 2011, per ragioni politiche connesse alle elezioni, si veda il rapporto di Human Rights Watch, reperibile anche su Internet,
http://www.hnv.orginews/2011/05/16/nigeria-post-election-violence-killed-800:
"The April elections were heralded as among the fairest in Nigeria's history, but they also were among the bloodiest. The newly elected authorities should quickly build on the democratic gains from the elections by bringing to justice those who orchestrated these horrific crimes and addressing the root causes of the violence. Corinne Dufka, senior West Africa researcher at Human Rights Watch. (Dakar) - Deadly election-related and communal violence in northern Nigeria following the April 2011 presidential voting left more than 800 people dead, Human Rights Watch said today. The victims were killed in three days of rioting in 12 northern states. Nigeria's state and federal authorities should promptly investigate and prosecute those who orchestrated and carried out these crimes and address the root causes of recurring inter-communal violence. The violence began with widespread protests by supporters of the main opposition candidate, Muhammadu Buhari, a northern Muslim from the Congress for Progressive Change, following the reelection of incumbent Goodluck Jonathan, a Christian from the Niger Delta in the south, who was the candidate for the ruling People's Democratic Party. The protests degenerated into violent riots or sectarian killings in the northern states of Adamawa, Bauchi, Borno, Gombe, Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Niger, Sokoto, Yobe, and Zamfara. Relief officials estimate that more than 65,000 people have been displaced. "The April elections were heralded as among the fairest in Nigeria's history, but they also were among the bloodiest," said Corinne Dufka, senior West Africa researcher at Human Rights Watch. "The newly elected authorities should quickly build on the democratic gains from the elections by bringing to justice those who orchestrated these horrific crimes and addressing the root causes of the violence". The presidential election divided the country along ethnic and religious lines. As election results trickled in on April 17, and it became clear that Buhari had lost, his supporters took to the streets of northern towns and cities to protest what they alleged to be the rigging of the results. The protesters started burning tires, and the protests soon turned into riots. The rioting quickly degenerated into sectarian and ethnic bloodletting across the northern states. Muslim rioters targeted and killed Christians and members of ethnic groups from southern Nigeria, who were perceived to have supported the ruling party, burning their churches, shops, and homes. The rioters also attacked police stations and ruling party and electoral commission offices. In predominately Christian communities in Kaduna State, mobs of Christians retaliated by killing Muslims and burning their mosques and properties. According to the Christian Association of Nigeria, the umbrella organization representing the majority of Christian churches in Nigeria, at least 170 Christians were killed in the post-election riots, hundreds more were injured, and thousands displaced. The organization also reported that more than 350 churches were burned or destroyed by the Muslim rioters across 10 northern states. In the predominately Christian towns and villages of southern Kaduna State, including Zonkwa, Matsirga, and Kafanchan, sectarian clashes left more than 500 dead, according to Muslim and Christian leaders interviewed by Human Rights Watch. The vast majority of the victims in these areas were Muslim. Human Rights Watch estimates that in northern Kaduna State, at least 180 people, and possibly more, were killed in the cities of Kaduna and Zaria and their surrounding suburbs. According to media reports and journalists interviewed by Human Rights Watch, dozens of people were also killed during riots in the other northern states. [...]" (si rimanda alla lettura del documento).
Più in generale sulla violenza in Nigeria legata a confronti elettorali, v. Curbing Electoral Violence in Nigeria: The Imperative of Political Education, in
http://www.ajol.info/index.php/afrrev/article/view/72297
("Abstract. Both domestic and international political sociologists based on empirical investigations argue that the greatest obstacle to democratic consolidation in Nigeria is electoral violence. This is as a result of the rascal politics that the political elites engage in. Sometimes, the violence is intra-party, and most of the time, it is inter-party. Apart from that the fact that this phenomenon affects the credibility of the electoral system, the democratic system and the rule of law, the nature, extent and magnitude of violence and rigging associated with elections in Nigeria had assumed alarming proportions that necessitates intellectual excursion to the realm of possible solutions. Education has been discovered to be a major strategy and weapon to curbing this democratic impediment. To this end, this paper examines the imperative of political education in curbing this ugly trend if the nation is to enthrone enduring and sustainable democratic order that would be a delight to behold").
Sui violenti scontri post elettorali nel 2011 vedi anche
http://www.freedonthouse.orglreport/countries-crossroads/2012/nigeriali.UzlcKoUuvLE:
"Nigeria is enjoying the longest stretch of civilian rule since its independence from Britain in 1960. The economy is expanding rapidly with a growth rate of 6 percent in 2008 and nearly 8 percent in 2010. The country peacefully resolved a contentious succession question over President Umaru Musa Yar'Adua's disappearance from public life in 2009 due to ill health when Vice President Goodluck Jonathan, who served as acting president in Yar'Adua's absence, assumed the presidency upon Yar'Adua's death in May 2010. This stable transition was further cemented in the April 2011 presidential election of Jonathan, which demonstrated marked improvements over the three other electoral contests since the transition to democracy in 1999. Despite these successes, various gauges of civil and political freedoms in Nigeria remain troubling. Ethnic and religious violence is common in several states, and hundreds of people were killed alter the 2011 elections. Militants from the Niger Delta and Islamic groups from the northeast attacked symbols of government authority in the capital. Security agencies responded with blunt force and enjoy impunity for violent tactics, which raises serious concerns about the government's commitment to rule of law".
Di queste vicende si era occupato anche il New York Times,
http://www.nytimes.com/2011/04/25/world/africa/25nigeria.html? r=0:
"Election Fuels Deadly Clashes in Nigeria By ADAM NOSSITER
Published: April 24, 2011
The death toll and destruction from a wave of election-related violence in Nigeria last week may exceed similar outbursts of the past, though the underlying causes remain the same, experts said.
Reuters
Violence flared in the wake of the victory by President Goodluck Jonathan, a Christian from the south.
Ethnic and religious tensions between Muslims in the north and Christians in the south, discrimination by southerners against immigrants from the north, and frustration over corruption in a country where most subsist on less than $2 a day while top officials have access to billions in oil revenues have set off the latest round of clashes, much as they have in the past.
While more than 300 were killed in Nigeria's presidential election four years ago, the death toll appeared to be higher this year, as the violence that flared in the wake of the election of Nigeria's president, Goodluck Jonathan, a Christian from the south, instigated a cycle of action and reaction.
Mobs of Muslim youths in the north began rioting after the defeated opposition candidate, Muhammadu Buhari, a Muslim from the north, failed to rein in his supporters. That set off a wave of retaliation against Muslims in Kaduna State in the north, according to Shehu Sani, the head of a leading Nigerian civil rights group.
Mr. Sani, who lives in Kaduna, said Sunday that more than 500 people, mostly Muslims, had been killed in three villages in Kaduna alone since the April 16 presidential election. There was no independent verification of the figure; the authorities have been chary of releasing death tolls for fear of inflaming further violence.
Human Rights Watch said that about 140 were killed in political violence between November and April 17, the day after the election, while acknowledging that many more had died since. Mr. Sani said the total number of victims in the recent violence could top 1,000.
"For presidential elections, on this scale, it's new," said Chidi Odinkalu of the Open Society Justice Initiative, adding that the only comparable episodes of violence occurred in the mid-1960s and early 1980s, both times leading to the overthrow of incumbent governments.
A researcher for Human Rights Watch said Sunday that one village in Kaduna "looks like a war zone," with "not one building standing" and a mosque that had been "gutted". The researcher, Eric Guttschuss, said he had seen a mosque in another village, Maraba Rido, that had been burned down, with anti-Islam graffiti scratched into the ruins, next to inscription reading, "Jesus is Lord." In other villages, entire streets had been burned down, Mr. Guttschuss said.
Sunday was a day of relative calm in the worst-hit areas like Kaduna, as residents observed a curfew, cleared debris, buried their dead and attended Easter services amid a heavy military and police presence. But there were fears that next week's elections for governors might bring a renewal of the mayhem.
Mr. Odinkalu said that it was "difficult to come up with a single organizing theory" for the violence. But the persistent cleavage between the country's relatively wealthier, oil-producing south and its impoverished north, fueled by the intermingling of populations and religions, appeared to lie at the base of this episode, as in previous ones.
Riots in the Muslim north followed Mr. Jonathan's decisive defeat last week of Mr. Buhari, 57 to 31 percent, in a vote that foreign-observer groups said was perhaps Nigeria's fairest ever. Mr. Buhari, a former military dictator, swept the north, and after his defeat knife- and machete-wielding youths in northern towns like Kano rampaged through the streets, chanting the general's name and attacking supporters of Mr. Jonathan's majority party.
Unlike Mr. Jonathan, Mr. Buhari had refused to condemn, in advance, a possible violent reaction to the election result - a silence analysts said nearly amounted to an invitation to his supporters to take to the streets.
Analysts said the rioting reflected, in part, northern frustration that the dominant party did not allocate its slot on the presidential ballot to a northerner, as would have been expected under an unwritten practice of alternating northern and southern rule of the country.
This article has been revised to reflect the following correction:
Correction: April 26, 2011
Because of an editing error, an article on Monday about election-related violence in Nigeria characterized incorrectly the victory of the incumbent, Goodluck Jonathan. He was elected, not re-elected. (He became president in 2010 after President Umaru Yar'Adua died, and Mr. Jonathan, who was vice president, succeeded him). The article also misstated the name of a village where a human rights researcher said he saw a mosque that had been burned down. It is Maraba Rido, not Maraba Rio.
A version of this article appeared in print on April 25, 2011, on page A4 of the New York edition with the headline: Election Fuels Deadly Clashes In Nigeria".
Sui timori in vista delle elezioni presidenziali del 2015, v.
http://it.radiovaticana.va/news/2014/10/17/nigeria,_voto_2015_valido_nonostante_violenze_boko_haram/1108790,
17 ottobre 2014 ("Nigeria, elezioni 2015: valide nonostante violenze Boko Haram. Le elezioni presidenziali e legislative in Nigeria del febbraio 2015 saranno valide, nonostante le violenze di Boko Haram e il tentativo degli estremisti islamici di impedire agli elettori di recarsi alle urne. Se n'è detto certo ad Abuja il responsabile della Commissione elettorale indipendente della Nigeria, Attahiru Jega. La preoccupazione maggiore riguarda gli Stati di Adamawa, Borno e Yobe, i più colpiti dagli attacchi della guerriglia islamista e in cui vige lo stato di emergenza da oltre un anno. In quelle zone, secondo le Nazioni Unite, 700 mila persone sono state costrette a lasciare le loro case a causa delle violenze. Le consultazioni generali del 2011 furono caratterizzate da numerose irregolarità e violenze post-elettorali, con un bilancio di centinaia di morti. G.A.").
12. Più in generale, la Nigeria (e la zona del Delta del Niger) si caratterizza per una situazione di violenza diffusa, cui le autorità (che a volte reagiscono con metodi brutali) non riescono a dare adeguata risposta (da qui l'impunità degli aggressori e la sfiducia delle vittime) e che trova le sue radici in conflitti politici, etnici, religiosi.
Il rapporto di Amnesty International 2012, reperibile sul sito dell'associazione, così riferiva:
"CONTESTO
All'annuncio di aprile della vittoria di Goodluck Jonathan alle elezioni presidenziali tenutesi nel paese, sono seguiti attacchi violenti e disordini, in cui hanno perso la vita centinaia di persone. Il presidente ha convertito in legge diversi progetti legislativi, compresa la legge nazionale sui diritti umani, a febbraio; la legge sulla libertà di informazione, a maggio; la legge sulla difesa d'ufficio e quella sul terrorismo, a giugno.
[...]
VIOLENZA COMUNITARIA
Per tutto l'anno sono continuate le violenze intercomunitarie e settarie nella zona centrale della Nigeria. L'incapacità delle autorità di impedire la violenza e di proteggere il diritto alla vita delle persone ha provocato un'escalation di violenza. Nel solo stato di Plateau sono morte più di 200 persone nel corso di scontri collegati alle annose tensioni e ai conflitti sulla terra tra i diversi gruppi etnici. Secondo quanto riferito, il 18 gennaio, il comandante della task force militare speciale dello stato di Plateau ha ordinato ai soldati di sparare a vista.
Centinaia di persone sono rimaste uccise nel contesto di violenze di matrice politica in tutta la Nigeria, prima, durante e dopo le elezioni parlamentari, presidenziali e statali di aprile. Sono state registrate anche minacce e intimidazioni di natura politica. Il rapporto del comitato presidenziale sulla violenza postelettorale, presentato al presidente a ottobre, non è stato reso pubblico. Il presidente del comitato ha sottolineato il clima di impunità presente in Nigeria come una delle principali cause.
Centinaia di persone sono state uccise nel corso di disordini e attacchi violenti nel nord e nel centro della Nigeria, a seguito delle elezioni presidenziali. Secondo l'ispettore generale della polizia, solo negli stati di Kaduna e Niger erano state uccise 520 persone.
[...]
VIOLENZA CONTRO DONNE E RAGAZZE
Violenza domestica, stupri e altre forme di violenza sessuale contro donne e ragazze da parte di agenti statali sono rimasti dilaganti. Le autorità hanno di fatto fallito nel prevenire e affrontare la violenza sessuale o nell'assicurare alla giustizia i responsabili".
Sul sito internet Viaggiare sicuri,/Ministero degli Esteri italiano evidenziava che "sono, al momento, fortemente sconsigliate visite negli Stati di Plateau, Borno, Bauchi, Yobe, Kano e Kaduna, se non per motivi di necessità e con particolari cautele. A Jos, nello Stato di Plateau hanno avuto luogo attentati dinamitardi il 24 e 25 dicembre 2010 e ricorrenti violenze etnico-religiose. A Maiduguri (Borno), a Damaturu (Yobe), a Banchi (Stato omonimo), a Kaduna (Kaduna), a Suleja e Madalla (Stato di Niger) e ultimamente a Kano (Stato omonimo) si sono registrate frequenti violenze settarie e numerosissimi attentati, anche rivendicati dalla setta integralista islamica Boko Haram. Il 31 dicembre 2011 le Autorità locali hanno annunciato l'adozione dello Stato di Emergenza in diverse aree di Governo Locale (LGA), maggiormente interessate, in tempi recenti, da eventi terroristici o violenze settarie negli Stati di Borno, Yobe, Plateau e Niger. Si riporta l'elenco delle "Local Government Area" interessate: Borno State: 1. Maiduguri Metropolitan; 2. Gamboru Ngala; 3. Banki Bama; 4. Biu; 5. Jere / Yobe State: 1. Damaturu; 2. Geidam; 3. Potiskum; 4. Buniyadi-Gujba; 5. Gasua-Bade / Plateau State 1. Jos North; 2. Jos South; 3. Barkin-Ladi; 4. Riyom / Niger State: tutte le aree. Le misure prevedono la chiusura di alcuni tratti di frontiera con nazioni confinanti, quali la Repubblica del Ciad e la Repubblica del Niger, ulteriori controlli sui movimenti di persone e mezzi da parte delle forze di sicurezza, nonché possibili limitazioni agli spostamenti dei residenti e l'espulsione di stranieri irregolari provenienti dalle nazioni vicine. Sono adottate misure di coprifuoco, con diverse modalità di attuazione, nelle capitali degli Stati di Adamawa, Borno, Kaduna, Kano, Niger, Oyo, e Zamfara. Sconsigliati sono anche i viaggi nel Delta del Niger, che ha visto fino a tempi recenti azioni di cosiddetti militanti rivolte contro espatriati e imprese straniere e presenta elevati livelli di criminalità, se non per motivi di lavoro o necessità e con idonee precauzioni e misure di sicurezza. Nella capitale Abuja si sono registrati diversi attentati: il primo ottobre 2010, in occasione della celebrazione del 50mo anniversario dell'Indipendenza, il 16 giugno 2011, ai danni del Quartier Generale della Polizia, e il 26 agosto 2011, alla sede delle Nazioni Unite. [...] Si stima che le violenze settarie abbiano causato circa mille morti nel 2011".
13. Occorre inoltre considerare le esigenze di protezione all'attualità e il serio e concreto rischio che il ricorrente, cristiano praticante, potrebbe correre in caso di rimpatrio, posto che sempre più frequenti, e diffusi in aree via via più ampie del paese, sono le azioni armate e gli attentati terroristici di matrice politica-etnica-religiosa che forze di polizia ed esercito non sono in grado di contrastare.
14. I circostanziati riferimenti e le produzioni documentali di parte ricorrente evidenziano come persista, e si diffonda sempre più sul territorio nigeriano, un conflitto armato interno che vede contrapposti forze governative e gruppi armati, in particolare, quelli ispirati da motivazioni politico-religiose (v., fra le tanti fonti informative, "Nigeria, blitz dell'esercito contro i ribelli di Boko Haram", La Stampa 25 ottobre 2013,
http://www.lastampa.it/2013/10/25/esteri/nigeria-blitz-dellesercito-contro-i-ribelli-di-boko-haram-JFFRzzDFuWCqsB8JsrF5O/pagina.html;
sul gruppo terroristico Ansaru "La prigionia inizia a febbraio. La Farnesina conferma: morto Trevisan. Atto di terrorismo, nessun blitz tentato", La Stampa 10 marzo 2013,
http://www.lastampa.it/2013/03/10/esteri/nigeria-la-farnesina-conferma-la-mortedi-silvano-trevisan-X4MBLYMMXBRiaK07uGXzO/pagina.html?exp=1;
"Nigeria, strage di fedeli in moschea", La Stampa 12 agosto 2013,
http://www.lastampa.it/2013/08/12/esteri/nigeria-strage-di-fedeli-in-moschea-zyMMUarat Mph6wzmTOrUDP/pagina.html).
L'appello alla pace in Nigeria fatto da Papa Benedetto XVI in occasione della Pasqua 2012 era stato rinnovato il 25 dicembre 2012
(http://www.news.valit/news/11-papa-allurbi-et-orbi-cristo-porti-pace-in-siria).
Occorre infine considerare l'incapacità delle forze governative e dell'esercito di operare un efficace contrasto di queste molteplici forme di violenza diffusa ed in particolare di quelle riconducibili a gruppi armati (cfr. BBC 10 marzo 2013, "Guide to Nigeria's trouble spots",
http://www.bbc.co.ukinews/world-africa-17310808;
anche da ultimo
http://www.bbc.cauldnews/world-africa-25759755;
"Il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha silurato tutti i vertici militari del paese. Lo riferisce la Bbc online citando il portavoce presidenziale. Non è stata data alcuna motivazione per la decisione che giunge comunque in un momento in cui le forze armate sono sotto accusa per non essere riuscite a stroncare la rivolta islamica nel nord del paese". ANSA 16 gennaio 2014).
L'agenzia ASCA riporta: "(ASCA) - Roma, 27 feb. 2014 - La Shell ha chiuso uno dei principali oleodotti della Nigeria, il Nembe Creek Trunkline, dopo una perdita causata da un atto di sabotaggio a scopo di rapina. Lo ha riferito all'AFP un portavoce della compagnia, aggiungendo che sul posto è stata inviata una squadra di ingegneri per la riparazione nella regione del Delta del Niger. Le multinazionali del petrolio in genere non forniscono dati sulle perdite di produzione, ma secondo i media locali, la chiusura provocherà una diminuzione di 95 mila barili al giorno. (fonte AFP)".
Sul degrado ambientale nel Delta del Niger, v.
http://www.famigliacristiana.it/articolo/nigeria-dove-i-pesci-puzzano-di-petrolio.aspx.
Sui dati sull'impatto ambientale presentati da ENI, v.
http://www.famigliacristiana.it/fotogallery/amnesty-international-quanti-crimini-in-nigeria.aspx;
http://www.eni.com/en_NG/home.html.
15. Si richiamano qui solo alcuni passaggi del Rapporto 2013 sulla Nigeria di Amnesty International prodotto anche dal ricorrente:
"La situazione di violenza e d'insicurezza per i cittadini nigeriani è peggiorata e almeno 1000 persone sono state uccise in attacchi compiuti dal gruppo armato islamista Boko Haram, nella zona centrale e settentrionale della Nigeria. Poliziotti e soldati hanno commesso uccisioni illegali e sommarie nell'impunità. Migliaia di persone sono state sgomberate con la forza dalle loro abitazioni in diverse parti del paese. Detenzioni illegali e arresti arbitrari sono stati sistematici.
[...]
È salita di nuovo la tensione nella regione del Delta del Niger, quando ex membri del gruppo armato Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger (Movement for the Emancipation of the Niger Delta - Mend) hanno sostenuto di non aver percepito i loro sussidi mensili a titolo di "amnistia", come stabilito da un accordo stipulato con il governo. Il gruppo ha inoltre criticato i programmi elaborati per il reinserimento dei militanti nella società.
[...]
ATTENTATI DI BOKO HARAM
Oltre 1000 persone sono state uccise nel corso di attacchi armati lanciati da Boko Haram, che ha rivendicato la responsabilità di esplosioni e sparatorie nella zona settentrionale e centrale della Nigeria. Il gruppo ha attaccato stazioni di polizia, caserme, chiese, edifici scolastici e sedi di giornali e ha ucciso religiosi e fedeli di religione musulmana e cristiana, politici e giornalisti, oltre che poliziotti e soldati. A novembre, l'ufficio del procuratore dell'Icc ha annunciato che c'erano fondati motivi per ritenere che Boko Haram stava commettendo crimini contro l'umanità dal luglio 2009.
Ad aprile, Boko Haram ha lanciato ordigni negli uffici del quotidiano nigeriano Thisday ad Abujia e contro un edificio che ospitava le sedi di tre giornali a Kaduna. Almeno sette persone sono rimaste uccise. Il 1° maggio, Boko Haram ha lanciato un avvertimento per le sedi di 11 mezzi d'informazione nazionali e internazionali.
17 giugno, Boko Haram ha lanciato bombe durante tre servizi religiosi a Kaduna, uccidendo almeno 21 persone.
Attacchi di vendetta tra cristiani e musulmani hanno provocato la morte di almeno altre 70 persone.
RISPOSTE DELLA POLIZIA E DELLE FORZE DI SICUREZZA
Nel far fronte agli attacchi di Boko Haram, le forze di sicurezza nigeriane hanno perpetrato gravi violazioni dei diritti umani, come sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, distruzione di case e detenzioni illegali.
Decine di persone sono state vittime di uccisioni illegali per mano della task force congiunta (Joint Task Force - Jtf), formata da esercito, polizia e altre forze di sicurezza, istituita per gestire la violenza o per svolgere operazioni di mantenimento dell'ordine pubblico; altre sono state vittime di sparizione forzata per mano della polizia o sono state trattenute in custodia dalla Jtf.
Le case degli abitanti di almeno cinque comunità di Maiduguri sono state distrutte dalla Jtf, spesso in seguito a raid e arresti effettuati in queste zone che in alcuni casi avevano le caratteristiche di vere e proprie spedizioni punitive.
Centinaia di persone accusate di legami con Boko Haram sono state arbitrariamente detenute dalla Jtf. Molte sono state detenute in incommunicado per lunghi periodi, senza accusa né processo, senza essere mai condotte di fronte a un giudice e senza poter contattare un avvocato. Centinaia di persone sono state detenute senza accusa né processo nelle caserme di Giwa, della 212 brigata armata, a Maiduguri, in condizioni deplorevoli ed equiparabili a trattamento disumano e degradante.
Raramente sono state condotte indagini indipendenti e imparziali sulle accuse di violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze di sicurezza e, quando ciò è avvenuto, i risultati non sono stati resi pubblici.
Il 9 marzo, la Jtf ha aperto il fuoco in seguito a un attacco lanciato contro una vicina stazione di polizia, uccidendo a colpi d'arma da fuoco Ali Mohammad Sadiq, Ahmed Yunusa, Auwalu Mohammed e altre due persone, tutte dipendenti di un distributore di carburante della città di Rijiyar Zaki, nello stato di Kano. Ali Mohammed Sadiq è stato raggiunto da cinque proiettili, compreso uno alla testa. Sull'episodio non sono note indagini e nessun agente è stato ritenuto responsabile. Il comandante della Jtf di Borno si è scusato pubblicamente alla radio con le famiglie delle vittime.
La Jtf ha ignorato un'ordinanza di tribunale emessa il 4 gennaio per far ricomparire Goni Ali, arrestato da suoi membri nella sua abitazione di Maiduguri il 16 ottobre 2011 e condotto nella caserma di Giwa. Da allora di lui si sono perse le tracce. A fine anno la sua famiglia continuava a non sapere dove si trovasse.
Il 1° maggio, a seguito dell'uccisione di un sospetto membro di Boko Haram a Kawar Maila, soldati della Jtf hanno fatto uscire donne e bambini dalle abitazioni prima di appiccare il fuoco a circa 33 case. Una scuola islamica frequentata da bambini del posto è stata rasa al suolo dalla Jtf. In quel momento nell'edificio non c'era nessuno.
UCCISIONI ILLEGALI
In tutta la Nigeria la polizia ha commesso uccisioni illegali. A marzo, il presidente del consiglio direttivo della commissione nazionale sui diritti umani (National Human Rights Commission - Nhrc) ha affermato che durante l'anno erano stati circa 2500 i detenuti uccisi sommariamente dalla polizia.
[...]
VIOLENZA COMUNITARIA
La regione della Middle Belt della Nigeria ha continuato a essere colpita da violenze intercomunitarie che hanno provocato la morte di oltre 100 persone.
A marzo, la ripresa degli scontri causati da dispute sulla terra tra i gruppi etnici nello stato del Benue ha causato lo sfollamento di circa 15.000 persone.
Secondo le notizie ricevute, oltre 60 persone sono rimaste uccise, tra il 6 e il 7 luglio, nel contesto di scontri tra allevatori fulani e abitanti dei villaggi, nelle zone di Riyom, Barkin Ladi e in altri distretti amministrativi dello stato del Plateau. L'8 luglio, il corteo funebre, al quale partecipavano il senatore Gyang Dantong e il leader di maggioranza dell'assemblea legislativa dello stato del Plateau, Gyang Fulani, che seguiva il funerale di alcune delle persone uccise, è stato attaccato da uomini armati non identificati. Il 10 luglio, nello stato del Plateau sono continuati gli scontri tra cristiani e musulmani in nove differenti comunità, causando almeno 50 morti.
[...]
INQUINAMENTO PETROLIFERO NEL DELTA DEL NIGER
L'inquinamento petrolifero e i danni ambientali hanno continuato ad avere effetti catastrofici sulla vita delle persone che abitano nel Delta del Niger e sui loro mezzi di sussistenza.
Le leggi e i regolamenti in materia ambientale hanno trovato scarsa applicazione.
Le raccomandazioni per la bonifica della regione di Ogoniland, nel delta del fiume Niger, espresse dal Programma ambientale delle Nazioni Unite in un importante studio pubblicato nel 2011, a fine anno non erano state attuate.
Intorno al 21 giugno, è stata scoperta una fuoriuscita di petrolio nella comunità di Bodo, nel Delta del Niger. La perdita è stata bloccata il 30 giugno. L'oleodotto era di pertinenza della Shell. L'indagine sulla causa della fuoriuscita ha subito ritardi e a fine anno non era stata ancora completata né era stata bonificata la zona della perdita.
L'11 ottobre, è iniziata all'Aia, nei Paesi Bassi, una causa intentata contro la compagnia petrolifera Shell da un gruppo di agricoltori del Delta del Niger.
Il 14 dicembre, una sentenza storica dell'Ecowas ha ritenuto che il governo nigeriano non aveva provveduto a impedire che le operazioni della compagnia petrolifera danneggiassero i diritti umani e ha imposto al governo di applicare la normativa relativa alle attività petrolifere.
[...]".
16. La Commissione nazionale per il diritto di asilo istituita presso il Ministero dell'Interno nel proprio documento 13 luglio 2012 concernente "Approfondimento relativamente alla situazione attuale della Nigeria con particolare riferimento al conflitto interreligioso fra cristiani e musulmani, ai territori interessati e ai militanti di Boko Haram" ha segnalato tra le aree calde del paese gli stati del centro-nord e tra questi gli stati di Plateau e Kaduna, osservando in particolare come nello Stato di Plateau il conflitto è tra cristiani originari del luogo e musulmani provenienti da fuori ma ormai presenti da generazioni, che il conflitto risale al 1991, quando la città di Jos è stata divisa in tre aree: sud (cristiana), nord (con esigua maggioranza islamica) ed est: "10.000 vittime in 10 anni"; il documento riporta inoltre notizie sugli ultimi scontri interreligiosi.
Fra le zone a rischio vi è anche il Delta del Niger per "forti tensioni a causa della presenza del petrolio (oilbunkering, pirateria, rapimenti omicidi)": la Commissione rileva come gli scontri interreligiosi, inizialmente concentrati nel nord (e in particolare nord est: cfr. da ultimo "Attacco islamista, è strage in Nigeria. L'offensiva dei miliziani di Boko Haram in due villaggi del Nordest: 74 morti" La Stampa del 27 gennaio 2014,
http://www.lastampa.it/2014/01/27/esteri/attacco-islamista-strage-in-nigeria-Wh3TVuo0 17cmljVpC0xpGI/pagina.html),
si sono diffusi anche altrove sino a raggiungere la capitale Abuja e che attacchi contro la moschea e musulmani si sono verificati anche a Benin City nel gennaio 2012.
17. Dal sito Viaggiare sicuri del Ministero affari esteri, avvisi 27 dicembre 2013, si ricavano i seguenti messaggi di allarme
(www.viaggiaresicuri.it/?nigeria):
"Si sconsigliano viaggi nel Paese che non siano dettati da ragioni di necessità e si raccomanda di tenere strettamente conto della situazione della sicurezza in loco nel prendere decisioni relative agli alloggiamenti e agli spostamenti.
La situazione della sicurezza è caratterizzata, in generale, da diffusi atti di criminalità ed è concreto, presente ed attuale il rischio di atti di terrorismo e di violente sommosse in varie aree del Paese.
Aree di attenzione: centro, nord e, in particolare, nord est del Paese.
Tra le aree di attenzione si evidenziano il centro (cosiddetta "middle belt"), il nord e, specialmente, il nord est.
Permane elevato il rischio di incremento di azioni ostili, con particolare riferimento a rapimenti a danno di stranieri sia da parte della criminalità comune che da parte di gruppi terroristici, anche con esiti letali. Tale pericolo aumenta notevolmente nelle aree più remote e più difficilmente controllabili da parte delle Autorità, in particolare quelle settentrionali.
Sono al momento fortemente sconsigliate visite negli Stati di Plateau, Bauchi, Kano, Kaduna e Katsina, se non dettati da motivi di necessità e solo adottando speciali cautele. Si deve al momento assolutamente evitare di recarsi negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa, nel nord-est del Paese, ove è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di recenti episodi di violenza di stampo terroristico che hanno causato centinaia di vittime. Sono state dispiegate migliaia di unità aggiuntive delle forze armate e di polizia per il controllo del territorio, con l'impiego anche di aeromobili. Sono in corso maggiori controlli a circolazione e movimenti, nonché sono concessi più poteri alle forze di sicurezza e dell'ordine per l'individuazione di criminali e terroristi.
A Jos, nello Stato di Plateau sono ricorrenti violenze etnico-religiose. A Maiduguri (Borno), a Damaturu (Yobe), a Banchi (Stato omonimo), a Kaduna (Kaduna), a Suleja e Madalla (Stato di Niger) e a Kano (Stato omonimo) si sono registrate frequenti violenze settarie e numerosissimi attentati, anche rivendicati dalla setta integralista islamica Boko Haram o da altre sigle di matrice terroristica.
Diversi attentati terroristici si sono verificati anche nella capitale Abuja contro edifici pubblici, di organizzazioni internazionali e di mezzi d'informazione.
In occasione di ricorrenze particolari, principalmente legate a festività, religiose o laiche, si registrano allarmi su possibili attentati ad edifici pubblici, centri commerciali, mercati ed alberghi che ospitano clientela internazionale della capitale.
Si stima che le violenze settarie e di matrice terrorista abbiano causato migliaia di morti e che centinaia di vittime all'anno siano state causate da episodi di violenza interetnica, almeno a partire dal 2009, quando si è assistito ad una recrudescenza di tali fenomeni.
Aree di attenzione: centro sud e sud est del Paese, anche note come Delta del Niger. Sconsigliati sono anche i viaggi non strettamente necessari e non adeguatamente organizzati nel Delta del Niger, in quanto la zona presenta elevati livelli di criminalità rivolta anche contro espatriati e imprese straniere e crescenti atti di pirateria, che si verificano in prossimità delle coste a danno di piattaforme petrolifere off-shore e di imbarcazioni commerciali e civili.
Aree di attenzione: sud ovest. Si ritiene di evidenziare anche una recente accresciuta sensibilità del sud-ovest, ove si sono registrate infiltrazioni di cellule terroristiche che fanno temere un incremento di azioni violente a danno di stranieri. Si richiama al riguardo il sequestro di un cittadino britannico avvenuto nella notte del 23 marzo 2013 a Lagos (zona di Victoria Island), e i rapimenti susseguenti di tre libanesi sempre a Lagos, tutti poi rilasciati".
18. Ancora nel corso del 2014 si è avuta notizia di fatti gravissimi, emblematici dei gravi rischi cui è esposta la popolazione e dell'incapacità delle forze governative di garantire la sicurezza nel Paese.
Vedi ad esempio la strage di sessanta studenti uccisi in un college di Buni Yadi, nello stato di Yobe ("L'istruzione straniera è peccato", strage nel liceo, La Stampa, 26 febbraio 2014, p. 17).
Vedi ancora su
www.lastampa.it/2014/02/17/esteri/i-boko-haram-fanno-strage-di-cristiani-con-i-machete-F5 U1Lai04vVvmQvaod8kE0/pagina.html:
"Nigeria, i Boko Haram fanno strage di cristiani con i machete. Rappresaglia ai bombardamenti dell'esercito contro le loro postazioni: 90 morti"; su
www.lastampa.it/2014/03/02/esteri/nigeria-nuovo-attacco-del-boko-haramK9E1sv2LCIFm kUk4Wsv1nO/pagina.html:
"Notte di sangue in Nigeria. I miliziani di Boko Haram massacrano decine di civili. Doppio attacco nel Nord-Est del Paese. Il presidente: siamo in guerra. Il dramma dei profughi: 300.000 gli sfollati già scappati in Camerun [...] I massacri di civili nel nord-est della Nigeria da oltre un mese sono ormai quasi quotidiani. A farne le spese sono soprattutto i musulmani che vivono in maggioranza nel nord di questo enorme e ricco Paese abitato da circa 170 milioni di persone (i cristiani sono soprattutto nel sud). Tant'è che sono già oltre 300.000 gli sfollati che hanno abbandonato le loro case per fuggire al di là delle frontiere, soprattutto in Camerun. Secondo le Nazioni Unite, almeno la metà di questi profughi sono bambini. Primo produttore di petrolio e più popoloso Paese dell'Africa, in Nigeria ormai da più di quattro anni le storiche conflittualità tra pastori e agricoltori stanno sempre più diventando interreligiose, tra cristiani e musulmani ma anche tra integralisti islamici e musulmani moderati. E il Paese sempre più si confronta con scarso successo con enormi sfide contro - come ha sintetizzato il presidente Goodluck Jonathan - insicurezza, povertà e corruzione".
Vedi la notizia 3 marzo 2014
www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2014/03/03/Nigeria-ancora-sangue-attacchi-Bo ko-Haram_10173968.html:
"Nigeria ancora nel sangue per attacchi Boko Haram. Nuova strage, almeno 80 morti. Uomini armati in azione a Mafa, nel nord est".
Vedi inoltre:
22 marzo 2014
http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/22/la_condanna_di_ogni_violenza_al_centro_dellincontro_del_papa_con_il/it1-783848
23 marzo 2014
http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/23/nigeria:_17_morti_per_attacco_di_boko_haram_ contro_un_mercato/it1-784065
25 marzo 2014
http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/25/nigeria:_8_persone_uccise_in_una_duplice_esplosione/it1-784877
26 marzo 2014
http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/26/bollettino_radio_giornale_del_26_03_2014_-_6 /it1-785131
28 marzo 2014
Nigeria - Delta del Niger, MEND rivendica attacchi ad oleodotti
(http://www.missionaridafrica.org/280314_nigeria_delta_del_niger_mend_rivendica_attacchi_ad_oleodotti/).
Secondo i vescovi nigeriani, Boko Haram è una minaccia per l'intera nazione, v. la corrispondenza 24 settembre 2014:
"Vescovi nigeriani: le violenze di Boko Haram creano insicurezza al Paese. È stata una Plenaria ad ampio spettro quella tenuta dalla Conferenza episcopale della Nigeria (Cbcn) ad Effurun, dall'11 al 19 settembre. Numerosi, infatti, i temi affrontati nel corso dell'Assemblea, la seconda del 2014. Come riporta il comunicato finale dei lavori, i presuli hanno riflettuto innanzitutto sul Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre.
"Preghiamo - si legge nel comunicato finale - affinché le nostre famiglie siano sempre più santuari di vita e di amore, scuole insostituibili e fondamentali di umanità". Di qui, l'esortazione ad "intensificare la cura pastorale per le famiglie attraverso un'adeguata preparazione al matrimonio ed un giusto supporto per le coppie di coniugi, per quelle unite in matrimoni misti, per coloro che vivono situazioni irregolari, per le famiglie in crisi, per i separati, i divorziati, i risposati ed i single".
Al secondo punto della Plenaria, la Conferenza episcopale nigeriana ha posto il tema dell'insicurezza nel Paese, dovuta alle violenze perpetrate dai gruppi armati Boko Haram: ricordando la "brutalità" con cui le persone vengono "uccise, rapite, mutilate" e costrette ad abbandonare le loro abitazioni, i presuli condannano ogni forma di violenza e tutti coloro che "giustificano tali azioni con motivi religiosi, agendo in modo falso e blasfemo".
I vescovi lanciano quindi un appello al governo nigeriano affinché metta in atto misure adeguate per "la restaurazione della pace nel Paese", provvedendo anche al "sostengo materiale delle vittime". Purché, mettono in guardia i presuli, tali atti istituzionali non vengano trasformati in "vantaggi politici e gratificazioni personali", poiché "nessuna nazione può svilupparsi o prosperare in una atmosfera di insicurezza".
Allo stesso tempo, la Cbcn "riafferma il diritto alla libertà religiosa e di espressione, così come sancita dalla Costituzione" e sottolinea che tale diritto "non si limita alla libertà di scegliere, praticare ed esprimere la propria fede, fatalmente negato in alcune parti della nazione, ma include anche l'opportunità di contribuire alla costruzione della società". E ciò "presuppone il riconoscimento pubblico ed il rispetto degli autentici valori religiosi in grado di rispondere alle più profonde preoccupazioni dell'umanità e capaci di fornire motivazioni etiche alle responsabilità sociali e personali". Per questo, i vescovi nigeriani ribadiscono il loro impegno "al dialogo ed alla collaborazione con gli altri cristiani e le altre religioni", in nome "dell'armonia e del progresso della nazione e per il bene dell'umanità".
Guardando, poi, al 2015, anno in cui si terranno le elezioni generali, la Chiesa di Abuja lancia un appello affinché le consultazioni si svolgano senza irregolarità, garantendo ai cittadini "il fondamentale diritto di voto", da esercitare "senza paura, favoritismi e intimidazioni" ed offrendo ai nigeriani "l'opportunità di dimostrare la loro maturità attraverso un procedimento elettorale libero, equo, duraturo e credibile".
[...]".
Vedi, l'intervista 24 settembre 2014: "Nigeria, i vescovi: "Boko Haram minaccia l'intera nazione". "L'intera Nigeria è in pericolo di fronte alle violenze di Boko Haram". A dirlo sono i vescovi nigeriani al termine della seconda Assemblea plenaria tenutasi a Warri. Aumenta il numero delle persone che si sono rifugiate nella cattedrale di Vola in cerca di protezione. La Caritas nigeriana è stata mobilitata per portare assistenza agli sfollati ed è stata indetta una preghiera nazionale per il 13 e il 14 novembre. I vescovi locali hanno affermato di essere rimasti sconvolti dallo sterminio di massa attuato dagli islamisti. Maria Gabriella Lanza ha chiesto a padre Michele Esasa, tornato da poco dalla Nigeria, in che modo la comunità cristiana sta vivendo questi giorni:
R. - È difficile, perché Boko Haram fa morire i cristiani. Loro vivono come rifugiati: non hanno niente da mangiare, hanno lasciato il loro lavoro, tanti sono morti. I cristiani hanno abbandonato le loro chiese perché hanno paura. Ci sono stati alcuni episodi dove alcuni cristiani si trovavano in Chiesa e lì hanno messo una bomba.
D. - Secondo l'Onu ci sono 650 mila sfollati: di cosa hanno bisogno?
R. - Hanno bisogno di sicurezza. È la cosa più importante ora, perché quando si ha paura è difficile vivere. E hanno bisogno anche di cibo, di vestiti ...
D. - Nonostante l'impegno del governo nigeriano, Boko Haram continua la sua avanzata e più di 200 ragazze sono ancora nelle loro mani ...
R. - Sì. Mi sembra che i soldati abbiano paura ad affrontarli, perché temono che possano attaccare le ragazze. Tutti noi siamo preoccupati, non sappiamo veramente se vivano ancora.
D. - Ci può raccontare una storia di cristiani che sono stati perseguitati da Boko Haram?
R. - Per esempio, una famiglia di cinque persone - papà, mamma e tre bambini - che ha perso tutti e tre i bambini a causa di Boko Haram. È una cosa che capita ogni giorno, alcune famiglie non esistono più. Uccidono le persone così, anche se sono musulmani, ma loro non lo accettano e le fanno morire"
(http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/24/nigeria,_i_vescovi_la_nazione_%C3%A8_ in_pericolo/1107220).
Sulle violenze di Boko Haram negli stati del nord, vedi
http://it.radiovaticana.va/news/2014/07/28/non_si_placa_la_scia_di_sangue_in_nigeria/1103533;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/07/29/nigeria_doppio_attacco_kamikaze_di_boko_haram_a_kano/1103599; http://it.radiovaticana.va/news/2014/08/07/nigeria_boko_haram_attacca_per_i_cristiani_incubo_kamikaze/1104156;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/08/11/vescovo_nigeriano_sconfiggere_boko_haram/1104345;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/08/15/nigeria_boko_haram_rapisce_100_giovani_nel_nordest/1104602;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/01/nigeria_violenze_a_gamboru_migliaia_di_civili_in_fuga/1105653;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/04/nigeria_boko_haram_avanza_nel_nord-est/1 105875;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/08/chiesa_in_nigeria_anche_musulmani_in_fuga_da_boko_aram/1106108;
http://it.radiovaticava.va/news/2014/09/05/nigeria_boko_aram_avanza_verso_maiduguri_civili_in_fuga/1105970;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/13/nigeria_a_maiduguri_1%E2%80%99esercito_presidia_le_chiese/1106471;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/15/nigeria_vescovo_maiduguri_boko_aram_ha_ucciso_2500_fedeli/1106545;
http://it.radiovaticava.va/news/2014/10/07/nigeria_profughi_e_chiese_distrutte_ad_opera_di_boko_aram/1108043;
Secondo alcuni osservatori la situazione nigeriana è paragonabile a quella della Siria o dell'Iraq:
http://it.radiovaticana.va/news/2014/09/04/nigeria_chiesa_quanto_avvviene_nel_nord_%C3%A8_simile alliraq/1105895;
"Violenze a Maiduguri, un religioso: Nigeria come Iraq e Siria. Uccisioni, saccheggi, sequestri, violenze. Sono le azioni degli estremisti Boko Haram in Nigeria che hanno già provocato almeno 10 mila morti, perlopiù civili, e 700 mila sfollati, di cui 100 mila nella parte orientale del Niger, zona arida soggetta a continue crisi alimentari. I terroristi islamici, che detengono ancora circa 200 ragazze rapite in aprile, soltanto negli ultimi due mesi hanno incendiato 185 chiese nella diocesi di Maiduguri, il cui territorio comprende gli Stati settentrionali di Borno, Yobe e alcune aree di quello di Adamawa. Secondo la Chiesa locale, oltre 190 mila persone sono state costrette alla fuga ed ora vivono sfollate in ripari di fortuna nella stessa Maiduguri o in località vicine. Ce ne parla padre John Bakeni, segretario e cancelliere della diocesi di Maiduguri, intervistato da Giada Aquilino:
R. - La situazione per noi è molto brutta. Ci sono tanti morti e anche molti sfollati, perché i terroristi hanno occupato tanti villaggi nella regione.
D. - Testimoni raccontano di occupazioni, incendi alle chiese, rapimenti, violenze sulle donne, anche decapitazioni, come sta succedendo nel sedicente Stato Islamico (Is) in Iraq e Siria: come avvengono le azioni di Boko Haram?
R. - Hanno la stessa metodologia dell'Is per occupare i villaggi, anche per uccidere la gente. Ci sono tante donne che sono già diventate musulmane, come i terroristi; ci sono anche tante donne che sono state uccise.
D. - Ci sono cioè donne che sono state uccise e altre donne che, per non morire, si sono convertite all'Islam?
R. - Convertite, sì, all'Islam...
D. - Perché, secondo lei, i guerriglieri di Boko Haram agiscono in questa maniera?
R. - La ragione è molto complicata. Vogliono stabilire la legge della sharia e il califfato, con i soli musulmani, come in Siria, in Iraq, in Somalia: sono tutti uguali.
D. - In Iraq e Siria si assiste alla decapitazione dei prigionieri, ma anche alla persecuzione dei cristiani e delle altre minoranze. Questo succede anche in Nigeria?
R. - Sì, anche qui. Già sono stati uccisi tanti cristiani e molte loro case sono state distrutte, bruciate.
D. - E dove si trovano ora i cristiani? Dove hanno trovato rifugio?
R. - Ce ne sono tanti qui, in particolare a Maiduguri, anche a Mubi, Vola, pure a Jos.
D. - A novembre entrerà in azione una forza regionale africana per fronteggiare l'avanzata di Boko Haram. Che speranze ci sono?
R. - Questo problema è più grande di noi. Possiamo chiedere aiuto ad altri Paesi, perché questi problemi sono troppo grandi perché la Nigeria possa gestirli da sola.
D. - E la Chiesa nigeriana, e in particolare la Chiesa di Maiduguri, che cosa si aspetta per i prossimi mesi?
R. - Preghiamo, come ci ha chiesto il vescovo, mons. Oliver Dashe Doeme. In questo momento, speriamo in Dio. Recitiamo questa preghiera ogni mattina, ogni settimana, specialmente durante la Messa della domenica. Facciamo processioni e recitiamo il Rosario per chiedere aiuto a Dio, invocando la pace e la conversione dei cuori tra i terroristi"
(http://it.radiovaticana.va/news/2014/10/08/maiduguri,_un_religioso_nigeria_come_iraq_e_siria/1108143).
Sugli sconfinamenti di Boko Haram in Camerun e sul progetto di istituire un califfato, v.
http://it.radiovaticana.va/news/2014/08/26/nigeria_boko_haram_proclama_il_califfato_anche_a_gwoza/1105157;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/08/27/boko_haram_bersaglia_il_confine_del_camerun/1105260;
http://it.radiovaticana.va/news/2014/10/11/violenze_boko_haram_in_camerun_il_pime_assiste_i_profughi/1108363.
È appena il caso di citare i sequestri di decine di studentesse da parte del gruppo terroristico di matrice islamista Boko Haram ("Nigeria, rapite studentesse nel nord-est. Sospetti su Boko Haram. Nella serata di lunedì un commando ha attaccato la scuola secondaria di Chibok. Incertezza sul numero di ragazze nelle mani dei rapitori, "numerose" secondo un funzionario, un centinaio per la polizia. Ma la Bbc arriva a calcolarne 200. Avrebbero dovuto sostenere un esame importante. I soldati non sono riusciti a proteggerle". 15 aprile 2014,
http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/15/news/nigeria_islamisti_rapiscono_studentesse-83666715/;
Boko Haram, altre 60 liceali rapite in Nigeria: "Hanno ucciso e bruciato case", 23 ottobre 2014,
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/23/nigeria-60-liceali-rapite-truppe-islamici-ihadisti -boko-haram/1166405/).
19. Il Tribunale di Bologna ha già valutato, al fine del riconoscimento della protezione sussidiaria, la situazione attuale in cui versa la Nigeria, segnalata ampiamente dalla stampa, da O.N.G. (quali Amnesty International) e da fonti governative (v. il sito Viaggiare sicuri del Ministero degli Affari Esteri, cui si riferiscono anche le produzioni del ricorrente), oltre che dalla risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2012 sulla situazione in Nigeria
(http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2012-0090+0+DOC+XML+V0//IT).
Fra le tante, v. Trib. Bologna, 22 giugno 2012, n. 53 vol. (esaminata da Cass., sez. VI-1, ord. 23 gennaio 2014, n. 1455); Trib. Bologna, ord. 10 luglio 2013, proc. n. 770/13 R.G.
In tal senso altri uffici di merito, tra i quali il Tribunale di Roma (tra le tante Trib. Roma, 21 ottobre 2013, n. 20908) e il Tribunale di Trieste.
Si vedano inoltre App. Bologna, 30 settembre 2013, n. 1755; App. Bologna, 19 dicembre 2013, n. 2268; App. Bologna, 3 aprile 2014, n. 966.
20. Gli elementi di fatto sopra sintetizzati devono essere valutati alla luce degli orientamenti interpretativi riguardanti:
- la necessità di acquisire informazioni aggiornate ai fini della decisione (Cass., sez. VI-1, ord. 28 maggio 2013, n. 13172: "Preliminarmente occorre richiamare l'attenzione sulla necessità che l'esame sulla sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per ottenere una misura tipica od atipica di protezione internazionale deve essere fondato sull'accertamento della situazione attuale ed aggiornata, riferita al momento della decisione. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 costituisce la prova indiretta della portata generale del principio sopraesposta nella parte in cui consente che la domanda di protezione internazionale possa essere motivata anche da avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente quando sia accertato che le attività addotte costituiscano l'espressione e la continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel Pese d'origine. L'esame ex art. 3 deve essere condotto alla luce della situazione attuale e le informazioni da richiedersi al Ministero degli Esteri D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 2 devono essere aggiornate";
- il rapporto tra la protezione di cui all'art. 11, e quella di cui all'art. 14, che può essere concessa a chi non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato (Cass., sez. VI-1, ord. 24 marzo 2011, n. 6880, che richiama Corte di Giustizia - Grande sezione, procedimenti riuniti C 175-179/08, in sede d'interpretazione conforme dell'art. 11 n. 1 lettera e) della Direttiva 2004/83/CE); sul contenuto del diritto di asilo, cfr. Cass., sez. VI-1, 10 gennaio 2013, n. 563; Cass., sez. VI-1, ord. 29 novembre 2013, n. 26887; Cass., sez. VI-1, ord. 13 gennaio 2014, n. 506: "La protezione sussidiaria, infatti, come anche assai di recente rammentato da questa Sezione (Cass. 26887 del 2013) ben può essere accordata pur in difetto di effettiva vis persecutoria statuale a danno del richiedente ma per elidere le conseguenze disastrose del rimpatrio a carico di chi versi in situazioni di pericolo grave alla persona, pericolo indotto da condizioni endemiche di violenza e conflitto interni, anche a base territoriale limitata (Cass. 20646 del 2012), ingenerate dalla connivenza o dalla latitanza del potere statuale: rientra quindi nel quadro idoneo a concedere la protezione sussidiaria una condizione di comprovata esposizione ad effettivo pericolo di vita indotta dalla assenza di potere mutuale di repressione del delitto e di prevalenza del potere delle autorità tribali, in grado di far seguire alla minaccia la effettiva "sanzione" capitale. Con riguardo poi al neanche esaminato istituto del permesso umanitario, si rammenta che quella offerta dall'istituto in discorso è una tutela residuale, come ha affermato questa Corte (Cass. 20646, 10686 e 3491 del 2012, 24544 e 4130 del 2011 - vd. anche 4139 del 2011), non casualmente correlata ad un predeterminato arco di tempo, che spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravità e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano sol temporalmente limitate (ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno l'esigenza di protezione). E pertanto, posto che la decisione impugnata è approdata ad un quadro di fatti non integrato da alcuna informazione aggiuntiva alla sola entità del dichiarato dal richiedente e ha poi deciso mancando di far alcuna applicazione delle norme eroganti la tutela sussidiaria od il permesso umanitario, ne discende, come in ricorso prospettato, la incompletezza ed erroneità del decisum e la esigenza che, cassata la sentenza, la Corte di rinvio provveda alla decisione sul reclamo del Birikorang sulla base dei principii di diritto sopra formulati. Sarà compito del giudice del rinvio anche quello di regolare le spese del giudizio di legittimità"; si rimanda agli artt. 7, 8, 11, d.lgs., 19 novembre 2007, n. 25;
- l'individuazione dei danni gravi rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass., sez. VI-1, ord. 21 novembre 2011, n. 24544; v. l'art. 14, d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251: "a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale");
- i presupposti della protezione umanitaria (Cass., sez. VI-1, ord. 23 maggio 2013, n. 12751) e più in generale il contenuto del diritto costituzionale d'asilo (Cass., sez. VI-1, 17 ottobre 2014, n. 22111);
- l'onere di allegazione e prova (Cass., sez. VI-1, ord. 20 gennaio 2012, n. 813: "il riconoscimento dello status di rifugiato politico, richiede l'accertamento dell'esistenza di una condizione di persecuzione di carattere politico del richiedente (cfr. Cass. civ., sez VI-1, n. 6880 del 24 marzo 2011), mentre la protezione sussidiaria è assoggettata a requisiti diversi, desumibili dal D.Lgs. n. 250 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, e può essere concessa a chi "non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato politico". In particolare deve ritenersi che la concessione della protezione sussidiaria e, subordinatamente di quella umanitaria, presuppone la sussistenza di fattori oggettivi produttivi di un grave pericolo in danno del richiedente, derivanti dalla situazione socio-ambientale del suo paese di origine e direttamente riferibili alle sue condizioni e/o convinzioni personali, mentre nella specie tali fattori consistono, per quanto dedotto dallo stesso ricorrente, nella esposizione a azioni ritorsive da parte di privati vittime di una perdita personale legata al comportamento colposo del ricorrente. La possibilità che tali azioni ipotetiche si traducano nella produzione di gravi danni a carico del ricorrente è legata all'altra deduzione riguardante l'inefficacia del sistema preventivo di tutela offerto dalle forze dell'ordine dello Stato di origine del ricorrente"); v. inoltre, sul c.d. onere della prova attenuato e sul dovere di accertamento officioso, fra le tante, Cass., sez. VI-1, ord. 22 febbraio 2013, n. 4604; Cass., sez. VI-1, ord. 4 aprile 2013, n. 8282; Cass., sez. VI-1, 30 luglio 2014, n. 17406; Cass., sez. VI-1, 17 ottobre 2014, n. 22111;
- l'interpretazione dell'art. 15, lett. c) della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE (v. già Corte di giustizia europea, Grande sezione, 17 febbraio 2009, nella causa C-465/07: "33 Per contro, il danno definito all'art. 15, lett. c), della direttiva, consistendo in una "minaccia grave e individuale alla vita o alla persona" del richiedente, riguarda il rischio di un danno più generale. 34 Infatti, viene considerata in modo più ampio una "minaccia (...) alla vita o alla persona" di un civile, piuttosto che determinate violenze. Inoltre, tale minaccia è inerente ad una situazione generale di "conflitto armato interno o internazionale". Infine, la violenza in questione all'origine della detta minaccia viene qualificata come "indiscriminata", termine che implica che essa possa estendersi ad alcune persone a prescindere dalla loro situazione personale. 35 Ciò premesso, si deve intendere il termine "individuale" nel senso che esso riguarda danni contro civili a prescindere dalla loro identità, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la minaccia grave di cui all'art. 15, lett. c), della direttiva. 36 Tale interpretazione, che può assicurare una propria sfera di applicazione all'art. 15, lett. c), della direttiva, non viene esclusa dal tenore letterale del suo ventiseiesimo "considerando", secondo il quale "[i] rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave". 37 Infatti, anche se tale "considerando" comporta che la sola dichiarazione oggettiva di un rischio legato alla situazione generale di un paese non è sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni menzionate all'art. 15, lett. c), della direttiva sono soddisfatte in capo ad una determinata persona, la sua formulazione fa salva, utilizzando il termine "di norma", l'ipotesi di una situazione eccezionale, che sia caratterizzata da un grado di rischio a tal punto elevato che sussisterebbero fondati motivi di ritenere che tale persona subisca individualmente il rischio in questione. 38 Il carattere eccezionale di tale situazione è confermato anche dal fatto che la protezione in parola è sussidiaria e dal sistema dell'art. 15 della direttiva, dato che i danni definiti alle lett. a) e b) di tale articolo presuppongono una chiara misura di individualizzazione. Anche se certamente è vero che elementi collettivi svolgono un ruolo importante ai fini dell'applicazione dell'art. 15. lett. c), della direttiva, nel senso che la persona interessata fa parte, come altre persone, di una cerchia di potenziali vittime di una violenza indiscriminata in caso di conflitto armato interno o internazionale, cionondimeno tale disposizione deve formare oggetto di un'interpretazione sistematica rispetto alle altre due situazioni ricomprese nel detto art. 15 della direttiva e deve essere interpretata quindi in stretta relazione con tale individualizzazione. 39 A tale proposito, si deve precisare che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria. 40 Si deve inoltre aggiungere che, al momento dell'esame individuale di una domanda di protezione sussidiaria, previsto dall'art. 4, n. 3, della direttiva, si può, in particolare, tenere conto: - dell'estensione geografica della situazione di violenza indiscriminata, nonché dell'effettiva destinazione del richiedente in caso di ritorno nel paese interessato, come risulta dall'art. 8, n. 1, della direttiva, e - dell'esistenza, se del caso, di un serio indizio di un rischio effettivo come quello menzionato all'art. 4, n. 4, della direttiva, indizio in considerazione del quale il requisito di una violenza indiscriminata richiesto per poter beneficiare della protezione sussidiaria può essere meno elevato"), su cui da ultimo si è soffermata Corte di giustizia europea, quarta sezione, 30 gennaio 2014, nella causa C-285/12: "32 In tale contesto [quello delineato dalla appena menzionata Corte di Giustizia, 17 febbraio 2009, Elgafaji, nella causa C-465/07, n.d.r.], non è necessario, al momento dell'esame di una domanda di protezione sussidiaria, procedere ad una valutazione specifica dell'intensità di questi scontri per determinare, indipendentemente dalla valutazione del grado di violenza che ne deriva se la condizione riguardante l'esistenza di un conflitto armato è soddisfatta. 33 Del resto, emerge dai "considerando" 5, 6 e 24 della direttiva che i criteri minimi di concessione della protezione sussidiaria devono consentire di completare la protezione dei rifugiati sancita dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, identificando le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e offrendo loro uno status appropriato. 34 Di conseguenza, così come rilevato dall'avvocato generale al punto 92 delle conclusioni, la constatazione dell'esistenza di un conflitto armato non deve essere subordinata ad un livello determinato di organizzazione delle forze armate presenti o ad una durata particolare del conflitto, dal momento che la loro esistenza è sufficiente affinché gli scontri in cui sono impegnate tali forze armate generino il livello di violenza menzionato al punto 30 della presente sentenza dando, così, origine ad un effettivo bisogno di protezione internazionale del richiedente che corre un rischio fondato di subire una minaccia grave e individuale alla propria vita o persona. 35 Alla luce di queste considerazioni, si deve rispondere alla questione posta dal giudice del rinvio dichiarando che l'articolo 15, lettera c), della direttiva deve essere interpretato nel senso che si deve ammettere l'esistenza di un conflitto armato interno, ai fini dell'applicazione di tale disposizione, quando le forze governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati o quando due o più gruppi armati si scontrano tra loro, senza che sia necessario che tale conflitto possa essere qualificato come conflitto armato che non presenta un carattere internazionale ai sensi del diritto internazionale umanitario e senza che l'intensità degli scontri armati, il livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione".
- il dovere di cooperazione del giudice nell'accertamento dei fatti (Cass., sez. un., 17 novembre 2008, n. 27310; Cass., sez,. VI-1, ord. 20 gennaio 2012, n. 820; Cass., sez. I, ord. 24 ottobre 2012, n. 18231) e l'ambito delle verifica che il giudice deve compiere (cfr. Cass., sez. VI-1, 24 settembre 2012, n. 16221); v. ora anche Cass., sez. VI-1, 10 gennaio 2013, n. 563;
- la non applicabilità del criterio che fa riferimento alla possibilità di stabilirsi in altra regione del paese d'origine (Cass., sez. VI-1, ord. 16 febbraio 2012, n. 2294: "Occorre rammentare che l'art. 8 della direttiva 2004/83/CE recante norme sulla qualifica di rifugiato e sulla protezione minima riconosciuta prevede che "(Nell'ambito dell'esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese. Nel valutare se una parte del territorio del paese d'origine è conforme al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese nonché delle circostanze personali del richiedente all'epoca della decisione sulla domanda". La norma in esame della direttiva lascia dunque agli stati membri la facoltà se trasporla o meno del proprio ordinamento (gli Stati membri possono stabilire), nel caso dell'Italia, la attuazione della direttiva è avvenuta tramite il D.Lgs. n. 251 del 2007 che non ha ripreso la disposizione dell'art. 8 della direttiva. Ciò significa che quella disposizione non è entrata nel nostro ordinamento e non costituisce dunque un criterio applicabile al caso di specie, conseguentemente la Corte d'appello non poteva avvalersi di tale criterio, che prende in considerazione la possibilità del richiedente lo status di rifugiato di trasferirsi in altra regione del proprio paese, per escludere la possibilità di riconoscere lo status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria o altre forme di protezione ove fossero esistenti i requisiti per qualcuno dei detti riconoscimenti"); cfr. anche Cass., Sez. VI-1, ord. 21 giugno 2012, n. 10375: "In tema di protezione internazionale, presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o del diritto di asilo o del permesso per motivi umanitari è la circostanza che il cittadino di un determinato Paese, a causa delle persecuzioni o dei pericoli che lo minacciano, non può restare nello stesso e deve pertanto indirizzarsi verso altro Paese che lo possa ospitare. Ne consegue che, in caso di doppia cittadinanza, non sussistono le condizioni per la protezione internazionale, secondo la disciplina dello Stato italiano, qualora il soggetto che non possa restare in uno dei Paesi di cui è cittadino, possa però dirigersi verso l'altro Paese di cui abbia la cittadinanza senza correre alcun pericolo. (Nella specie, la S.C. ha confermato il rigetto della domanda proposta da uno straniero cittadino dello Zimbabwe e della Nigeria, che aveva riferito di persecuzioni e di pericolo grave a suo carico solo nello Zimbabwe)"; nonché Cass., sez. VI-1, ord. 17 maggio 2013, n. 12135: "la Corte di merito ha analizzato un quadro informativo della situazione della area di Benin City e delle azioni squadristico-terroristiche del gruppo di Boko Haram ricavandone i gravi segni di una condizione di pericolo e ad essi ha raccordato la situazione soggettiva della richiedente (donna - cristiana - esposizione familiare alla ritorsione) desumendone la valutazione di sussistenza di un grave, se pur transitorio, pericolo per la propria persona in caso di rimpatrio. Tale valutazione, conforme a diritto. resiste alle censure proposte"; Cass., sez. VI-1, ord. 28 maggio 2013, n. 13172: "come correttamente evidenziato dal ricorrente, il D.Lgs. n. 251 del 2007 non ha recepito l'art. 8 della Direttiva 2004/83/CE con la conseguenza che non può essere escluso il riconoscimento di una misura di protezione internazionale in virtù dell'applicazione del principio non recepito. Tale peraltro è il fermo orientamento di questa Corte che si trascrive: "In tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d'origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell'art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell'atto normativo di attuazione della Direttiva". Risulta pertanto necessario un nuovo esame dei motivi di persecuzione ai fini dell'accertamento dei requisiti per il rifugio politico e di pericolo idonei a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria alla luce della situazione oggettiva ed aggiornata del Darfur, desumibile dall'istruzione officiosa correttamente svolta secondo i criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, dalla Corte d'Appello di Roma, da porre in correlazione con le dichiarazioni del richiedente da ritenersi, in mancanza d'indicazioni contrarie provenienti dal provvedimento impugnato, non più attaccabili sotto il profilo della credibilità, alla luce dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3"; Cass, sez. VI-1, 9 aprile 2014, n. 8399: "poiché il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico (o della misura più gradata della protezione sussidiaria) non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del paese d'origine ove non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato (o non corra rischi effettivi di subire danni gravi), atteso che tale esclusione, prevista nell'art. 8 della direttiva 2004/83/CE e il cui inserimento nell'atto normativo interno di attuazione della direttiva stessa costituisce una mera facoltà degli stati membri, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007 (Cass. 2294/2012)";
- la possibile rilevanza di azioni o minacce provenienti da privati: "Nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 viene espressamente stabilito che i responsabili della persecuzione (ai fini del rifugio politico) o del danno grave (ai fini della protezione sussidiaria) possono essere soggetti privati quando lo Stato o i partiti e le organizzazioni che controllano in tutto od in parte il territorio non vogliono o non possono fornire protezione per la persecuzione o il danno grave denunciati. Nel successivo art. 6 viene precisato che la protezione "consiste nell'adozione di adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, avvalendosi tra l'altro di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave, e nell'accesso da parte del richiedente a tali misure". Ne consegue che quando viene esposta una situazione intrinsecamente credibile, di reiterata esposizione ad attentati alla vita, alla già intervenuta uccisione di un familiare e caratterizzata dal sostanziale disinteresse delle autorità statuali per tali forme di soluzione violenta di liti private è necessario verificare se, come esposto dal cittadino straniero, tale situazione si sia consumata in una situazione caratterizzata allo stesso tempo da endemica violenza interna e dal mancato contrasto della diffusione di tali metodi da parte dei poteri statuali. Tale accertamento ha natura doverosa sia per la verifica delle condizioni per l'applicazione della misura della proiezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sia per la valutazione dell'esistenza di una situazione di vulnerabilità meritevole di protezione umanitaria, qualora si riscontrasse alla luce della richiesta d'informazioni sulle condizioni generali del paese d'origine del cittadino straniero che, pur non sussistendo una totale inefficacia dei poteri statuali di contrasto dei descritti fenomeni di grave violenza familiare, si riscontrano gravi insufficienze e deficit di tutela dei diritti umani quanto meno nella situazione attuale. Le informazioni necessarie a poter valutare in modo completo le domande plurime di protezione internazionale formulate dal ricorrente devono essere assunte in primo luogo mediante ricorso alle autorità indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (ACHNUR; Ministero degli Esteri, Commissione nazionale per il diritto d'asilo) eventualmente integrate da altre fonti qualificate (Cass. 10202 del 2011; 16202 del 2012; 13172 del 2013) e devono essere aggiornate" (Cass., sez. V1-1, ord. 29 novembre 2013, n. 26887).
21. La documentazione prodotta dal ricorrente e quella agevolmente reperibile da fonti attendibili (tra cui Amnesty International, Peace Reporter, Human Rights Watch, Risoluzione 15 marzo 2012 del Parlamento Europeo: si rimanda agli atti e ai paragrafi della motivazione che precedono) e già valutata da questo e altri tribunali in numerosi casi, confermano il giudizio di credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale.
La credibilità di tale narrazione va rapportata alla realtà delle condizioni di vita e al livello di garanzia dei diritti (notoriamente basso) di cui possono godere i cittadini nigeriani (su violenze e atti arbitrari commessi dalla polizia, inefficienza del sistema giudiziario, conflitti etnico-religiosi, ricorso alla giustizia privata con mezzi violenti v., ad esempio, i rapporti annuali di Amnesty International, la documentazione prodotta e quella reperita).
Gli elementi riguardanti il più ampio contesto sociale e politico sono da valutare alla luce della condizione sociale e familiare del ricorrente.
Quanto alle ragioni della sua fuga dalla Nigeria, il ricorrente ha fornito (necessariamente) sintetiche ma convincenti informazioni sulle condizioni di vita proprie e della propria famiglia, sulla morte del padre, sulle aggressioni provenienti da avversari politici e su quelle (culminate nello spoglio subito) dei parenti del ramo paterno (cfr. Cass., sez. VI-1, 29 novembre 2013, n. ord.).
Dall'esame degli atti emerge dunque che il richiedente ha reso dichiarazioni il più possibile circostanziate; che il racconto presenta dettagli suscettibili di verifica e che consentono di contestualizzare le vicende nel più ampio scenario nigeriano; che nel racconto non vi sono contraddizioni evidenti e che il richiedente la protezione si è sforzato di chiarire fatti e contesto; che la domanda di protezione internazionale è stata presentata a pochi mesi dall'arrivo in Italia (cfr. Cass., sez. VI-1, ord. 4 aprile 2013, n. 8282; Cass., sez. VI-1, 17 ottobre 2014, n. 22111).
Il ricorrente, proprio per la sua storia familiare e per ragioni connesse alle vicende accadute nella terra d'origine, ha visto mutare in peggio il proprio percorso esistenziale (l'uccisione del padre, la perdita della casa e dell'eredità, le lesioni riportare, la fuga dal paese d'origine) ha subito aggressioni e soprusi, tra cui la privazione della casa lasciatagli dal padre, ed è esposto al rischio di subire nuove minacce gravi alla vita o alla integrità fisica.
Si ravvisano pertanto non solo una apprezzabile correlazione (già rilevante nella prospettiva della protezione sussidiaria) tra la situazione che caratterizza quel territorio e le ragioni che hanno determinato il ricorrente a lasciare il proprio paese, ma anche, in ragione dei fatti violenti già subiti, i presupposti di cui alla lettera e) dell'art. 8, d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251.
Si richiama in proposito l'art. 8: "Motivi di persecuzione. 1. Al fine del riconoscimento dello status di rifugiato, gli atti di persecuzione di cui all'articolo 7 devono essere riconducibili ai motivi, di seguito definiti: a) "razza": si riferisce, in particolare, a considerazioni inerenti al colore della pelle, alla discendenza o all'appartenenza ad un determinato gruppo etnico; b) "religione": include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l'astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità, altri atti religiosi o professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte; c) "nazionalità": non si riferisce esclusivamente alla cittadinanza, o all'assenza di cittadinanza, ma designa, in particolare, l'appartenenza ad un gruppo caratterizzato da un'identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di un altro Stato; d) "particolare gruppo sociale": è quello costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune, che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, ovvero quello che possiede un'identità distinta nel Paese di origine, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante. In funzione della situazione nel Paese d'origine, un particolare gruppo sociale può essere individuato in base alla caratteristica comune dell'orientamento sessuale, fermo restando che tale orientamento non includa atti penalmente rilevanti ai sensi della legislazione italiana; e) "opinione politica": si riferisce, in particolare, alla professione di un'opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all'articolo 5 e alle loro politiche o ai loro metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti. 2. Nell'esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato, è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall'autore delle persecuzioni").
È evidente infatti che le persecuzioni subite sono state motivate dal fatto che il richiedente è stato associato alla posizione degli aderenti o simpatizzanti al PDP (di cui il padre era un dirigente locale), e ciò proprio in considerazione del ruolo che aveva il padre (ucciso), e perché è stata negata la sua identità di figlio (adottivo, ma la fattispecie è da assimilare a quella in cui si fa questione sulla discendenza, sia pur in termini capovolti) con azioni volte a porlo in posizione di minorità sociale e a privarlo dei beni.
La gravità della persecuzione subita è evidente (anche in relazione alle conseguenze già sofferte anche sul piano patrimoniale, delle condizioni di vita e dell'integrità psico-fisica) così come il rischio di grave pericolo per la vita nell'ipotesi di rientro in patria.
22. In conclusione, il ricorso va accolto.
Le peculiarità del caso concreto e delle questioni di diritto giustificano la compensazione delle spese.
PQM
P.Q.M.
Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, con l'intervento del P.M., ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta:
- in accoglimento dell'opposizione proposta contro il provvedimento 9 marzo 2011 prot. n. 4233/11 di diniego di protezione internazionale emesso dalla COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO - SEZIONE DISTACCATA DI BOLOGNA, dichiara che a O. L. S., nato il 1° giugno 1979 a Ugwuala di Umuohiri, area di Isiala Mbano, Imo State (Nigeria), cittadino nigeriano, va riconosciuto lo status di rifugiato di cui all'art. 11, d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251;
- spese compensate.
Bologna, 24 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2014.
07-06-2015 16:09
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