La Corte d’appello di Milano condanna una donna al pagamento, in favore dell’attrice, di una somma di denaro, ritenendo che tra le parti fosse intercorso, per circa 20 anni, un rapporto domestico di natura subordinata per il quale l’attrice non aveva ricevuto alcuna retribuzione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 febbraio – 16 giugno 2015, n. 12433
Presidente Vidiri – Relatore Venuti
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della decisione di rigetto di primo grado, ha condannato B.E. al pagamento, a favore di P.I. , della complessiva somma di Euro 68.970,02, oltre accessori di legge, ritenendo che tra le parti fosse intercorso, per circa un ventennio, un rapporto domestico di natura subordinata per il quale la sig.ra P. non aveva ricevuto alcuna retribuzione.
La Corte di merito ha osservato che il rapporto domestico risultava provato dalla prova testimoniale e che era da escludere la presunzione di gratuità dello stesso per effetto del legame affettivo esistente tra le due donne.
Ha altresì determinato l'orario di lavoro mediamente in dodici ore settimanali ed ha condannato la sig.ra B. al pagamento della suddetta somma, sulla base delle retribuzioni calcolate dal consulente tecnico d'ufficio.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la sig.ra B. sulla base di due motivi. La sig.ra P. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, cui fa seguito il quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., non più in vigore ma applicabile ratione temporis, la ricorrente, denunciando "illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.”, deduce che, come ammesso dalla stessa lavoratrice, il rapporto in questione era di mero affetto, amicizia e familiarità. Occorreva dunque una prova rigorosa in ordine all'elemento della subordinazione, prova che nella specie non era stata fornita.
2. Con il secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Deduce la ricorrente che può ricorrere un rapporto caratterizzato dalla gratuità della prestazione anche nell'ambito di rapporti non riconducibili all'ambito familiare. La Corte di merito, aggiunge, non ha valutato tale aspetto né ha considerato come mai la situazione descritta dalla lavoratrice si fosse protratta per venti anni senza che la medesima abbia adottato alcuna iniziativa.
Aggiunge la ricorrente che il rapporto di affetto e familiarità risultava dalle dichiarazioni rese dalla sig.ra P. nel procedimento penale a carico di essa ricorrente, laddove la predetta lavoratrice aveva affermato di non avere alcun interesse all'aspetto economico in virtù del legame affettivo esistente tra le due donne.
Di tutto ciò, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito r[ non ha tenuto conto nel ritenere fondata la domanda.
3. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non è fondato.
È principio consolidato di questa Corte che, nel caso di prestazioni lavorative effettuate tra persone legate da vincoli di parentela o affinità ovvero rese nell'ambito di una comunità familiare, opera una presunzione di gratuità delle prestazioni, in ragione del particolare vincolo che lega i soggetti del rapporto e della comunanza spirituale ed economica tra loro esistente.
È altresì ricorrente nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato può essere ricondotta ad un rapporto diverso istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione.
Quest'ultimo elemento può essere superato attraverso la prova dell'esistenza del vincolo di subordinazione, diverso dal vincolo di solidarietà ed affettività, idoneo a costituire la causa di prestazioni gratuite.
La valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se immune da errori di diritto e da vizi logici (Cass. n. 3602/06; Cass. n. 1833/09; Cass. n. 23624/10).
Nella specie la Corte di merito ha innanzitutto escluso che potesse ricorrere la presunzione di gratuità trattandosi di un legame meramente affettivo; in ogni caso, ha aggiunto, era stata fornita la prova della natura subordinata del rapporto, idonea a superare detta presunzione di gratuità.
Dalla prova testimoniale era infatti emerso che la sig.ra P. svolgeva le faccende domestiche, lavava i piatti, lucidava i pavimenti, faceva le pulizie ed eseguiva ogni incombenza dietro le direttive, il controllo e le indicazioni della odierna ricorrente. Inoltre, per tali prestazioni era stato sempre promesso il pagamento di un congruo compenso, senza che però questo fosse stato mai corrisposto. Tutto ciò escludeva e comunque superava la presunzione di gratuità delle prestazioni, a nulla rilevando il legame affettivo tra le due donne creatosi per effetto della prolungata durata del rapporto.
Si trattava, in definitiva, di prestazioni oggettivamente riconducibili allo schema del rapporto di lavoro domestico subordinato, dovendo escludersi che fosse stata provata l'instaurazione di quella comunanza di interessi che attrae il rapporto nell'orbita del vincolo di solidarietà, con presunzione di gratuità delle prestazioni. Il solo vincolo affettivo che legava i soggetti del rapporto non poteva comportare la sussistenza di tale presunzione.
Trattasi di motivazione coerente, congrua e priva di vizi logici e giuridici.
Al riguardo deve ricordarsi che non è consentito alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico - formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutandone fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e all'uopo, valutarie le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata, valutando nel complesso il materiale probatorio ed in particolare le dichiarazioni rese dai testi, ha dato sufficientemente conto della decisione adottata, pervenendo alla conclusione che gli elementi acquisiti consentivano di affermare che l'attività svolta dalla ricorrente fosse connotata dalle caratteristiche del rapporto di lavoro domestico subordinato.
Discende da tutto quanto precede che il ricorso deve essere respinto.
4, Non v'è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, stante la mancata costituzione dell'intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
20-06-2015 17:24
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