Occupazione appropriativa. Chi risponde dei danni?
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 febbraio – 17 settembre 2015, n. 18236
Presidente Salvago – Relatore Campanile
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza n. 12229 depositata in data 8 aprile 2003 il Tribunale di Roma condannava la società Esso e l'Anas al pagamento in solido della somma di Euro 534.108,83 in favore di S.A. e degli altri proprietari indicati in epigrafe, in relazione all'irreversibile trasformazione di un'area di terreno, occupata - senza che nei termini stabiliti fosse intervenuto il decreto di esproprio - per la realizzazione di un'area di servizio lungo l'autostrada denominata G.R.A., dichiarando la propria incompetenza in merito alla domanda relativa all'indennità di occupazione legittima.
1.1 - Avverso tale decisione proponevano distinti gravami la Esso, che sosteneva la propria carenza di legittimazione passiva e contestava la liquidazione del pregiudizio, nonché l'Anas, che si doleva, a sua volta, dell'affermazione della propria responsabilità solidale, sostenendo altresì che il periodo di occupazione legittima sarebbe stato erroneamente calcolato.
1.2 - La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l'appello proposto dall'Anas ed ha quindi rigettato la domanda proposta nei suoi confronti, respingendo, al contrario, il gravame della Esso.
È stato in proposito confermato il giudizio del Tribunale in merito alle omissioni e ai ritardi da attribuirsi alla Esso, alla quale era stato conferito l'incarico di provvedere all'espletamento di tutte le formalità necessarie per il completamento della procedura ablativa, mentre nessun addebito poteva muoversi all'Anas.
1.3 - Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Esso, deducendo sette motivi, cui resistono con controricorso tanto Anas quanto i proprietari, i quali propongono ricorso incidentale condizionato.
La ricorrente principale ed i ricorrenti in via incidentale hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
2 - Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, si sostiene che la corte territoriale non avrebbe correttamente applicato, con riferimento alla fattispecie in esame, i principi inerenti alla legittimazione passiva del concessionario.
2.1 - Con il secondo mezzo, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 2 lett. e) della l. n. 59 del 1961, 2, lett. e) della l. n. 143 del 1994, nonché dei principi in materia di legittimazione processuale, si sostiene che non può sussistere una valida concessione traslativa in assenza di specifica disposizione normativa, nonché allorché la delega non riguardi la realizzazione della procedura espropriativa, ma solo il compimento delle operazioni necessarie per il suo perfezionamento. In via subordinata si deduce violazione dell'art. 345 cod. proc. civ., in relazione all'ammissibilità della produzione di documenti nel giudizio di appello, allo scopo di confutare l'affermazione di responsabilità contenuta nella decisione di primo grado.
2.2 - Con il terzo motivo si sostiene che la corte territoriale avrebbe violato l'art. 2043 cod. civ. e i principi in tema di responsabilità della concessionaria, non considerando, fra l'altro, che l'opera era stata realizzata prima della scadenza del termine relativo all'occupazione legittima.
2.3 - Con la quarta censura si denuncia la violazione dell'art. 2043 cod. civ., delle leggi nn. 59 del 1961 e 350 del 1895, nonché dei principi in tema di responsabilità dell'ente delegante, per violazione dei doveri di vigilanza.
2.4 - Il quinto motivo concerne la stima del bene, in relazione alla quale viene denunciato vizio di motivazione, per aver la corte territoriale richiamato le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, senza considerare le specifiche censure mosse dalla società appellante.
2.5 - Con il sesto mezzo, sempre in relazione alla stima del terreno, si denuncia la violazione dell'art. 16 della l. n. 856 del 1971, con riferimento al criterio fondato sul c.d. valore agricolo medio.
2.6 - Con l'ultima censura la società ricorrente si duole del rigetto del proprio motivo inerente alla mancata compensazione, anche parziale, delle spese relative al primo grado del giudizio, richiesta sulla base della declaratoria di incompetenza in ordine alla domanda di liquidazione dell'indennità di occupazione legittima.
3 - La prima censura è inammissibile. In primo luogo viene dedotta sotto il profilo del vizio motivazionale una questione di natura giuridica, quale quella dei rapporti fra delegante e concessionario, senza che sia prospettata un'erronea ricostruzione della fattispecie dal punto di vista fattuale. Per altro verso non risulta formulato in maniera idonea il c.d. "momento di sintesi", omologo del quesito di diritto, richiesto dall'art. 366-bis cod. proc. civ. nell'interpretazione resane da questa Corte, anche a Sezioni unite (cfr. ex multis: Cass. Sez. Un. n. 20603 del 2007; Cass., n. 16002 del 2007; Cass., n. 8897 del 2008), in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
4- Il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto intimamente correlati. I primi risultano infondati, ad eccezione dell'ultimo.
5 - Deve premettersi che, nell'ipotesi della c.d. occupazione espropriativa, sulla cui ricorrenza nel caso di specie, a prescindere dall'evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte, risulta essersi formato il giudicato, trova applicazione il principio secondo cui dell'illecito risponde sempre e comunque l'ente che ha posto in essere le attività materiali di apprensione del bene e di esecuzione dell'opera pubblica, cui consegue il mutamento del regime di appartenenza del bene, potendo solo residuare, qualora lo stesso (come delegato, concessionario od appaltatore) curi la realizzazione di un'opera di pertinenza di altra amministrazione, la responsabilità concorrente di quest'ultima, da valutare sulla base della rilevanza causale delle singole condotte, a seconda che si tratti di concessione c.d. "traslativa", ovvero di delega ex art. 60 legge n. 865 del 1971. In ogni caso, gli atti e le convenzioni intercorsi, anche se si concretano in assunzioni unilaterali di responsabilità, rilevano nei soli rapporti interni tra gli enti eventualmente corresponsabili, mentre dei danni causati nella materiale costruzione dell'opera pubblica, risponde solo l'appaltatore-esecutore, in quanto gli stessi non sono collegabili né all'esecuzione del progetto, né a direttive specifiche dell'amministrazione concorrente, ma a propri comportamenti materiali in violazione del precetto generale dell'art. 2043 cod. civ. (Cass., Sez. un., 23 novembre 2007, n. 24397).
6 - Dovendosi escludere, sulla base di quanto testé evidenziato, il rilievo esclusivo attribuito dalla ricorrente al carattere traslativo o meno della concessione (rilievo da escludersi in base ai principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte con la decisione n. 20 marzo 2009, n. 6769), deve altresì osservarsi che, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 22 maggio 2007, n. 11849), in caso di irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio, il soggetto delegato al compimento dell'opera pubblica, pur se abbia ultimato i lavori entro il termine di scadenza dell'occupazione legittima, risponde del danno da occupazione appropriativa ove la delega fosse estesa al compimento delle procedure amministrative preordinate all'esproprio, poiché, anche se di fatto, nel rapporto con i soggetti proprietari dei terreni assoggettati a procedura ablatoria, non si sia manifestato come incaricato della conduzione del procedimento (come nel caso in cui risulti aver sempre agito in nome e per conto del delegante), l'onere di promuovere e sollecitare la tempestiva emissione del decreto di esproprio da parte del titolare del potere espropriativo rientra tra i compiti del delegato, che è dunque da ritenere compartecipe, attraverso la propria condotta omissiva (ben evidenziata nell'impugnata decisione), dell'illecito in cui si concreta la trasformazione del fondo in assenza di titolo, in applicazione del principio per cui chiunque abbia dato un contributo causale al danno ingiusto ne deve rispondere.
7 - La responsabilità facente capo alla società ricorrente non esclude, tuttavia, la corresponsabilità dell'ente delegante.
Soccorre in proposito il principio secondo cui, nel caso di realizzazione di opere stradali, ai fini dell'individuazione del soggetto obbligato al risarcimento del danno da occupazione appropriativa, la delega da parte dell'A.N.A.S. del compimento delle operazioni espropriative, non esime il delegante dai poteri di controllo e di stimolo dell'attività del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio vale a rendere l'ente stesso corresponsabile dell'illecito, onde spetta al delegante l'onere di allegare e dimostrare di aver esercitato i propri poteri di controllo e di stimolo, esplicitandone i tempi e i modi. Ne consegue che il fatto stesso della mancata tempestiva emissione del decreto di esproprio nel termine di durata dell'occupazione legittima è sufficiente a far presumere, in assenza di contrarie risultanze processuali, il mancato esercizio di tali poteri, ben potendo estendersi il disposto dell'art. 2 legge 7 febbraio 1961, n. 59 e dell'art. 8 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che impone all'A.N.A.S. il controllo sull'esecuzione dei lavori, anche alle procedure inerenti l'acquisizione dei suoli necessari alla realizzazione di opere di viabilità (Cass., 9 ottobre 2007, n. 21096).
Sotto tale profilo, ferma la responsabilità della ricorrente per le evidenziate ragioni, il ricorso appare meritevole di accoglimento, apparendo inadeguati, al fine di escludere la concorrente responsabilità dell'ente delegante, i riferimenti dalla Corte di appello tanto alla condotta omissiva della Esso, che non elide l'evidenziato dovere di vigilanza facente capo all'Anas, quanto al frustraneo tentativo "di porvi rimedio con il provvedimento di riapprovazione del progetto", che la stessa sentenza impugnata ritiene, poi, "privo di effetti giuridici".
8- Il quinto ed il sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono in parte inammissibili ed in parte infondati, laddove propongono, nella sostanza, valutazioni di merito in relazione alla stima del fondo di certo non sindacabili in sede di legittimità, invocando, poi, il criterio - di per sé privo di rilievo nel giudizio di natura risarcitoria come quello in esame -fondato sul valore agricolo medio, ritenuto illegittimo dalla nota decisione del Giudice delle leggi n. 181 del 2001, come correttamente riconosciuto dalla stessa ricorrente nelle proprie memorie difensive.
9 - Del pari infondato è l'ultimo motivo, in quanto, non dubitandosi della corretta applicazione, da parte del giudice del merito, del criterio fondato sulla c.d. soccombenza prevalente, la scelta di compensare, in tutto o in parte, le spese processuali appartiene alle valutazioni discrezionali di detto giudice, e non è sindacabile in questa sede (Cass., 19 giugno 2013, n. 15317; Cass., 11 febbraio 2008, n. 406).
5 - Conclusivamente il ricorso deve essere accolto limitatamente al quarto motivo, con rigetto delle rimanenti censure e con assorbimento del ricorso incidentale condizionato. La decisione impugnata va cassata, in relazione a detto motivo, con rinvio alla Corte di appello di Roma, che applicherà il principio sopra evidenziato, provvedendo altresì in merito alle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri ed assorbito il ricorso incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
20-09-2015 19:49
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