Il procedimento disciplinare.
L'affissione del codice disciplinare
La prima garanzia posta in favore dei lavoratori dall'art. 7, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori è rappresentata dall'obbligo di affissione del codice disciplinare, imposto al datore di lavoro. L'affissione è indispensabile per legittimare il potere disciplinare del datore di lavoro, restando esclusa, secondo una parte della giurisprudenza, la possibilità di considerare come equipollenti mezzi di comunicazione diversi, che abbiano come destinatari i singoli lavoratori individualmente considerati (ad esempio la consegna brevi manu della copia del CCNL), trattandosi di disposizioni indirizzate ai lavoratori dipendenti non come singoli, ma come componenti di una collettività indeterminata e variabile (Cass., sez. un., 5 febbraio 1988, n. 1208).
Con riferimento al licenziamento disciplinare, tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che l'affissione sia requisito insostituibile solo se il licenziamento è fondato su violazione di doveri posti dal CCNL o da specifiche disposizioni del datore di lavoro, mentre non sia necessaria se si tratta di violazione di doveri discendenti dalla legge (Cass., 14 maggio 2002, n. 6974). Con riferimento al pubblico impiego privatizzato, la Corte di Cassazione ha poi ritenuto che la previsione delle sanzioni e delle relative conseguenze in norme aventi forza di legge garantisce, attraverso la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, la conoscenza da parte della generalità, rendendo inutile una corrispondente previsione nel codice disciplinare e la relativa affissione (Cass., 27 novembre 2006, n. 25099).
Con riferimento all'espressione "luogo accessibile a tutti" utilizzata nella norma in questione, si ritiene debba intendersi un qualunque luogo nel quale tutti i lavoratori abbiano effettivamente libero accesso, senza ulteriori particolari obblighi per il datore di lavoro. Ove l'impresa sia articolata in più unità produttive, l'onere di affissione deve essere assolto in ogni sede, stabilimento e/o reparto autonomo, così come deve avvenire qualora il datore di lavoro operi presso terzi e ivi operino i suoi dipendenti (Cass., 10 gennaio 2007, n. 247
Quanto alla prova dell'affissione del codice disciplinare, è stato ritenuto che il datore di lavoro non abbia l'onere di provarla quando il relativo difetto non sia stato eccepito dal lavoratore (Cass., 21 dicembre 1991, n. 13829). Di conseguenza, qualora il lavoratore subordinato impugni il licenziamento disciplinare senza indicare, tra i vizi d'illegittimità del medesimo, anche l'omessa previa affissione del codice disciplinare, il giudice non può pronunciare d'ufficio la nullità del recesso per violazione di detta formalità (Cass., 1 febbraio 1993, n. 1203).
La contestazione
Una volta venuto a conoscenza della condotta illegittima tenuta dal lavoratore il datore di lavoro deve procedere alla contestazione per iscritto.
La contestazione rappresenta l'atto formale di apertura del procedimento disciplinare. Atto prescritto per garantire il diritto di difesa e quello al contraddittorio, necessario anche per dare certezza e immutabilità al contenuto della contestazione e fissare in modo chiaro il dies a quo del termine dilatorio per le giustificazioni e la successiva irrogazione della sanzione (Cass., 21 giugno 1988, n. 4240).
La contestazione, infine, per essere validamente mossa nei confronti del lavoratore, deve essere tempestiva, specifica, e non può essere più modificata.
Giurisprudenza
Applicabilità del procedimento disciplinare ai dirigenti
Dopo un lungo dibattito in dottrina e contrastanti pronunce in giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, l'orientamento più recente espresso dalla Corte di Cassazione che sul punto si è pronunciata a Sezioni Unite, ritiene che le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, commi 2 e 3, Statuto dei Lavoratori, devono trovare applicazione anche nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente, a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa, quindi anche nei confronti dei dirigenti c.d. apicali (Cass., sez. un., 30 marzo 2007, n. 7880).
Passiamo quindi ad esaminare proprio queste fondamentali caratteristiche della contestazione.
a)
La tempestività
Con l'espressione tempestività (o immediatezza) della contestazione si intende far riferimento a quel principio in base al quale, anche per un generale rispetto del principio dell'affidamento, il datore di lavoro che intende contestare la condotta illegittima tenuta dal proprio dipendente, deve farlo entro un arco temporale quanto più possibile ristretto.
Il requisito della tempestività (o immediatezza) va, tuttavia, inteso in senso relativo e valutato dal giudice anche in rapporto alle dimensioni della società datrice di lavoro e/o alla eventuale complessità delle indagini necessarie per l'accertamento dell'illecito disciplinare (sul punto, fra le tante, cfr. Cass., 12 luglio 2010, n. 16317; Cass., 10 gennaio 2008, n. 282; Cass., 4 gennaio 2000, n. 14415; Cass., 22 aprile 2000, n. 5308; Cass., 1 febbraio 1996, n. 884).
Focus
Va peraltro chiarito che il lasso di tempo tra il fatto illecito e la sua contestazione, ai fini della valutazione dell'immediatezza della contestazione disciplinare stessa, decorre dal momento in cui il datore di lavoro ha avuto effettiva conoscenza dei fatti contestati e non dall'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi. In questo caso, qualora tra il fatto e la contestazione sia trascorso un lungo lasso di tempo, il datore di lavoro può quindi giustificarsi fornendo la prova del momento in cui ha avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore e non anche delle circostanze per cui non abbia potuto fare la contestazione a ridosso dei fatti (Cass., 15 ottobre 2007, n. 21546).
b)
La specificità
La contestazione deve essere quanto più possibile specifica.
Essa deve in particolare contenere una dettagliata descrizione del fatto contestato, del luogo in cui lo stesso è stato compiuto ed eventualmente delle persone presenti, specificando il momento in cui il fatto si è realizzato, in modo da consentire al lavoratore di comprendere senza margini di errore l'accusa e poter quindi svolgere opportunamente e appieno le proprie difese.
Obiettivo che il requisito della specificità intende perseguire è quello di consentire una puntuale difesa da parte del lavoratore. Ed è proprio in considerazione di ciò che una difesa completa e ben articolata del lavoratore sarebbe già di per sé la prova che egli ha ben compreso il fatto contestato: il che esclude (o dovrebbe escludere) in radice che possa porsi un vizio originario di genericità della contestazione (cfr. Cass., 21 aprile 2005, n. 8303).
c)
La immodificabilità
Altro requisito della contestazione è quello della sua immodificabilità/immutabilità.
È infatti precluso al datore di lavoro far valere ex post, nei confronti del proprio dipendente, fatti e circostanze nuove e diverse rispetto a quelle inizialmente contestate. La ratio del principio risiede nella volontà di garantire concretamente al lavoratore che ha ricevuto la contestazione, il rispetto dei principi che la normativa sul procedimento disciplinare di cui all'art. 7, St. Lav. ha previsto a sua tutela (Cass., 10 agosto 2007, n. 17604; Cass., 28 agosto 2000, n. 11265; Cass., 6 giugno 2000, n. 7617; Cass., 29 luglio 1994, n. 7105; Cass., 25 agosto 1993, n. 8956). Ed è evidente che quelle garanzie verrebbero vanificate se si consentisse al datore di lavoro di comminare una sanzione disciplinare sulla base di fatti diversi da quelli originariamente contestati, pur nel rispetto dell'articolo 7 in commento.
Fermo quanto sopra, tuttavia, va detto che il principio di immodificabilità della contestazione e di necessaria corrispondenza tra fatti contestati e fatti addotti a sostegno del provvedimento disciplinare non esclude, in linea di principio, modificazioni dei fatti concernenti circostanze non significative rispetto alla fattispecie originariamente contestata: ipotesi che ricorre quando le modificazioni non configurano elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare e che, pertanto, non ledono la difesa del lavoratore (Cass., 14 giugno 2010, n. 14212; Cass., 13 giugno 2005, n. 12644).
d)
La recidiva - art. 7, L. n. 300/1970
Anche al fine di valutare la giusta sanzione da irrogare nel rispetto del principio della proporzionalità, il datore di lavoro può tenere conto della recidiva.
Anche la recidiva deve essere preventivamente oggetto di specifica contestazione dell'addebito, a pena di nullità del provvedimento disciplinare, quando integra elemento costitutivo dell'infrazione.
Secondo quanto previsto dall'ultimo comma dell'art. 7, St. Lav., non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari, una volta trascorsi due anni dalla loro applicazione. Orbene, a tale riguardo si precisa che la nozione di "applicazione" va riferita non già al momento dell'esecuzione della misura sanzionatoria, bensì a quello della sua irrogazione, che corrisponde al momento in cui la sanzione viene formalmente comunicata al dipendente (Cass., 9 novembre 2000, n. 14555).
e)
La sospensione cautelare
Con la contestazione disciplinare, il datore di lavoro può decidere di sospendere cautelativamente il lavoratore, quando i tempi del procedimento disciplinare avviatosi con la consegna della lettera sono troppo lunghi e quindi incompatibili con la presenza in azienda del lavoratore stesso. La sospensione in esame, quindi, non ha scopi sanzionatori, ma ha il solo ed esclusivo fine di tenere il lavoratore lontano dall'azienda durante il procedimento disciplinare, qualora i fatti oggetto di contestazione siano di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro durante lo svolgimento del procedimento disciplinare.
La sospensione cautelare - istituto quindi ben diverso dalla sospensione disciplinare - anche se non prevista dalla specifica disciplina legale o contrattuale del rapporto, costituisce legittima espressione del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, volta ad assicurare il regolare svolgimento dell'attività aziendale, pur in pendenza dell'accertamento di possibili responsabilità disciplinari o penali del dipendente, per il tempo necessario all'esaurimento del procedimento in sede appunto disciplinare o penale.
In via generale, la sospensione cautelare non esonera il datore di lavoro dalla corresponsione della normale retribuzione, anche se alcune pronunce hanno ritenuto legittima la previsione contrattuale collettiva che preveda la sospensione del pagamento della retribuzione sino all'esito del procedimento disciplinare, stabilendo che la stessa dovrà essere pagata solo qualora il procedimento non si concluda con l'irrogazione di una sanzione espulsiva (Cass., 25 marzo 1997, n. 2633).
Giurisprudenza
Comunicazione e rifiuto di ricevere la contestazione
Si pone talvolta per le aziende il problema del lavoratore che si rifiuta di ricevere la contestazione disciplinare. A tale riguardo, si segnala che l'art. 7, St. Lav. impone di contestare per iscritto al lavoratore gli addebiti per i quali si intenda irrogare una sanzione disciplinare più grave del rimprovero verbale, ma non impone particolari modalità (quali la spedizione a mezzo raccomandata o la consegna a mani della lettera documentata da firma per ricevuta del lavoratore). Pertanto, teoricamente fermo restando che nella prassi il datore di lavoro preferisce comunque inviare a mezzo raccomandata la contestazione, nel caso in cui il lavoratore rifiuti di ricevere la lettera di contestazione, la comunicazione dovrebbe considerarsi validamente effettuata, ai fini della correttezza del procedimento disciplinare, anche solo con la mera lettura della lettera al lavoratore. Di tale incombente potrà poi essere data prova con ogni mezzo, anche per testi (App. Milano, 29 giugno 2000; cfr. Cass., 1 giugno 1988, n. 3716).
La difesa del lavoratore
Come detto, l'art. 7, dello St. Lav. nasce per assicurare al lavoratore incolpato di aver tenuto una condotta illecita un legittimo diritto di difesa, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio.
La statuizione in cui tale finalità trova forse la sua massima attuazione è quella in cui si prevede il diritto del dipendente che ha ricevuto una contestazione di svolgere le proprie difese, fornendo le proprie giustificazioni in forma scritta e/o orale, entro il termine di cinque giorni, decorrenti dal momento di ricezione della lettera di contestazioni.
A tale riguardo, in particolare, la norma in esame prevede che "i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione" (art. 7, comma 5). Con riferimento a tale comma 5, la Suprema Corte, a sezioni unite (Cass., sez. un., 26 aprile 1994, n. 3965), ha ritenuto che il termine di cinque giorni fosse stato fissato dal legislatore unicamente per consentire al lavoratore di svolgere le proprie difese: dal che deriverebbe che l'attesa dei cinque giorni non ha più alcuna giustificazione se il lavoratore si è ampiamente giustificato e non si è riservato di svolgere ulteriori produzioni e/o deduzioni nel termine di legge. Con l'ulteriore conseguenza che il datore di lavoro potrebbe comminare prima dei cinque giorni previsti la propria sanzione (nello stesso senso delle richiamate sezioni unite si segnalano, tra le varie: Cass., 9 febbraio 2012, n. 1884; Cass., 13 gennaio 2005, n. 488; come pronunce di merito cfr.: Trib. Milano, 23 maggio 2000; Pret. Milano, 10 gennaio 1998).
Focus
L'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, per contro, non prevede, in favore del lavoratore, la possibilità di un prolungamento del termine a difesa, in ragione della maggiore complessità dell'attività difensiva, sicché non può incidere sulla legittimità del recesso la mancata concessione al lavoratore medesimo di un termine difensivo più lungo di quello stabilito dalla suddetta norma (Cass., 30 agosto 2007, n. 18288). Mentre è onere del lavoratore, che contesti la legittimità del provvedimento disciplinare, per l'impossibilità di aver potuto esercitare il proprio diritto di difesa a causa di una minorata capacità di intendere e di volere in detto intervallo, dimostrare di essersi trovato, nella pendenza del termine, in stato di incapacità naturale (Cass., 30 maggio 2001, n. 7374).
Forme di difesa
Come detto, il lavoratore può rendere le proprie difese per iscritto o può chiedere (eventualmente anche in aggiunta alle difese scritte) di essere sentito oralmente a propria difesa. Il datore di lavoro è tenuto a sentire oralmente il lavoratore solo se questi ne fa espressa richiesta, potendo diversamente ricevere solo le sue giustificazioni scritte. Anzi è stato precisato che qualora il lavoratore fornisca una giustificazione scritta e intenda al contempo essere sentito, lo stesso ha l'onere di comunicare la propria volontà in termini univoci, a tutela dell'affidamento del datore di lavoro (Cass., 16 settembre 2000, n. 12268).
Il comma 2 dell'art. 7, del resto, deve essere interpretato nel senso che il lavoratore è libero di discolparsi nelle forme da lui prescelte, e quindi per iscritto e/o a voce, con la conseguenza che, ove il lavoratore eserciti il proprio diritto chiedendo espressamente nelle proprie giustificazioni scritte, nel termine previsto della stessa disposizione, di essere sentito a difesa, il datore di lavoro ha l'obbligo della sua audizione pena la illegittimità del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare (Cass., 22 marzo 2010, n. 6845; Cass., 2 maggio 2005, n. 9066, in Giur. it., 2005, 2270).
L'art. 7 in commento riconosce al lavoratore, nel caso di difese orali, la facoltà di "farsi assistere da un rappresentate dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato", mentre sarebbe da escludere, stando alla lettera della norma, la possibilità di essere assistito dal difensore (art. 7, comma 3).
Per quanto riguarda il tempo e il luogo della convocazione del lavoratore che intende rendere giustificazioni orali, è stato precisato che la convocazione in orario lavorativo e nel luogo di lavoro non rientra tra i diritti del lavoratore, purché la convocazione in orari o luoghi diversi non si traduca, per le difficoltà della sua attuazione, in una violazione del diritto di difesa (Cass., 1 giugno 2012, n. 8845, in D&G, 2012).
Documentazione presentabile
Nell'ambito del diritto di difesa del lavoratore, va infine ricordato che la documentazione alla quale il lavoratore soggetto a procedimento disciplinare ha diritto di accedere per potersi adeguatamente difendere in relazione alla contestazione disciplinare mossagli, è esclusivamente quella avente diretta e precisa connessione con gli addebiti oggetto della contestazione, e non altra e diversa documentazione che pure, a giudizio dello stesso lavoratore, potrebbe risultargli utile consultare (Cass., 27 ottobre 2000, n. 14225, in Lav. giur. (II), 2001, 139).
L'irrogazione della sanzione disciplinare
Le garanzie di difesa del lavoratore apprestate dalla norma dell'art. 7, Stat. Lav. possono essere arricchite e accentuate dalla contrattazione collettiva con la previsione di un termine finale per l'adozione del provvedimento disciplinare e con l'attribuzione del significato di accettazione delle giustificazioni alla inerzia del datore di lavoro protratta per un certo tempo, dopo che il lavoratore abbia provveduto ad esporre le sue giustificazioni (Cass., 8 aprile 1998, n. 3608; Cass., 20 dicembre 1990, n. 12116; Cass., 17 marzo 1987, n. 2707; Cass., 21 marzo 1994, n. 2663), ovvero come decadenza dal potere di irrogare le sanzioni (Cass., 18 marzo 2008, n. 7295).
Tuttavia, a parziale mitigazione dell'orientamento restrittivo suddetto, è stato affermato che qualora il lavoratore presenti le sue difese oltre il termine impostogli dalla legge o dal contratto, il successivo termine finale, previsto dal contratto collettivo per l'adozione della sanzione, decorre dal giorno di presentazione delle difese (Cass., 12 aprile 2012, n. 5800).
Il datore di lavoro non è tenuto ad una motivazione penetrante analoga a quella dei provvedimenti giurisdizionali e, in particolare, ad esaminare le giustificazioni rese dal lavoratore, prendendo specifica posizione su di esse, ma è sufficiente il richiamo alle iniziali contestazioni (Cass., 21 ottobre 1998, n. 10461).
Peraltro, nel caso in cui un'espressa previsione del contratto collettivo sancisca l'obbligo di dare adeguata motivazione al provvedimento sanzionatorio, la motivazione stessa dovrà svelare l'iter logico che ha condotto il datore di lavoro alla comminazione della sanzione, in modo da consentire al dipendente una ponderata valutazione della possibilità di impugnare il recesso (Cass., 22 febbraio 1996, n. 1379).
L'art. 7, comma 4, vieta l'adozione di sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro.
L'esecuzione della sanzione disciplinare
I provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano decorsi cinque giorni dalla contestazione del fatto che vi ha dato causa, ma una volta irrogati essi sono immediatamente applicabili, senza necessità di far trascorrere il termine di venti giorni previsto dall'art. 7, comma 6, St. Lav., entro cui il lavoratore può promuovere la costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato per ottenerne la revoca, conseguendo all'esercizio di tale facoltà soltanto la sospensione della sanzione disciplinare eventualmente già applicata (Cass., 1 marzo 1984, n. 1456; Cass., 19 ottobre 1983, n. 6133).
Focus
23-01-2016 11:20
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