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Sentenza

Erice. Genitori di una alunna chiedono i danni per la frattura di due denti ripo...
Erice. Genitori di una alunna chiedono i danni per la frattura di due denti riportata al termine dell'ordinario orario delle lezioni nel cortile dell'istituto mentre gli alunni erano intrattenuti dalle suore che avrebbero provveduto a riconsegnarli ai genitori.
Corte appello Palermo, sez. I, 13/01/2016, (ud. 04/11/2015, dep.13/01/2016),  n. 14
                       REPUBBLICA ITALIANA
                   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Palermo - Sezione Prima Civile - riunita in camera di consiglio
e composta dai magistrati:
1) Dott. Guido Librino - Presidente
2) Dott. Gioacchino Mitra - Consigliere
3) Dott. Giovanni D'Antoni- Consigliere
di cui il terzo relatore ed estensore, ha emesso la seguente
                       SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1281/2011 del R.G. di questa Corte di Appello,
promossa in questo grado
                         da
 (omissis...), C.F. (omissis...), nato il (omissis...) a (omissis...) e (omissis...),
C.F. (omissis...), nata a (omissis...) il (omissis...), nella qualità di genitori
esercenti la potestà sulla figlia minore (omissis...), domiciliati in (omissis...)
' n. (omissis...), presso lo studio dell'Avv. Sergio Frinchi, rappresentati e difesi
dall'avvocato LEONARDO MIONE
                                             appellanti
                        contro
 (omissis...), C.F. (omissis...), nato a (omissis...) i l' (omissis...) e (omissis...),
C.F. (omissis...), nata ad (omissis...) il (omissis...), nella qualità di genitori
esercenti la potestà sul figlio minore (omissis...), domiciliati in Piazza G.C.
(omissis...) n. (omissis...), (omissis...), rappresentati e difesi dall'avvocato
SAMMARTANO CARLO, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta
di primo grado;
 (omissis...) ', in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in
Palermo, Via (omissis...), nello studio dell'Avv. Lucia Ponzo, rappresentato
e difeso dall'Avv. Francesco Trapani
                                              appellati


Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 215/2011 del 05.03.2011, il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, ha rigettato la domanda con cui S.G. e S.R.M., in qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore S.C., avevano chiesto il risarcimento dei danni - consistenti in una frattura di due elementi dentari (incisivo centrale superiore destro, frattura bordo incisale incisivo centrale superiore sinistro) - che la bambina aveva riportato intorno al termine dell'ordinario orario delle lezioni, e cioè verso le ore 16,15, del giorno 16.05.2006, ad Erice, mentre si trovava in qualità di alunna della classe V elementare presso l'Istituto "I.S.M. S.S." di Erice. Secondo la ricostruzione dei fatti resa possibile a seguito dell'istruzione probatoria, alla fine dell'attività didattica gli alunni, accompagnati dalla maestra A.D., erano stati condotti nel cortile dell'Istituto per esservi intrattenuti dalle suore che avrebbero provveduto a riconsegnarli ai genitori, nel momento in cui si era verificato il sinistro i bambini della V classe elementare - e, pertanto, anche S.C. - stavano giocando rincorrendo e scalciando una pigna.

A sostegno della decisione il primo giudice ha osservato che la tesi degli attori - secondo cui la minore era stata spinta dal compagno P.V. che ne aveva così provocato la caduta - non aveva trovato, in istruzione, alcuna conferma. L'unico testimone dell'incidente, suor R.C., non era stata infatti in grado di chiarire se la bambina era caduta a causa di un comportamento del citato compagno, pur ricordando che questi stava giocando nel cortile insieme ad altri bambini.

Sulla responsabilità dell'Istituto, convenuto per culpa in vigilando, il Tribunale ha osservato: "nella specie l'evento si è verificato nel corso di una normale attività di gioco dei bambini all'interno di un cortile nel quale non risulta fossero esistenti fonti di particolare pericolo, e alla presenza di un preposto"; ha escluso, pertanto, qualsiasi profilo di colpa in vigilando in capo all'Istituto, sulla scorta di una sentenza del Tribunale di Milano, datata 27 aprile 2001, secondo cui "ai fini della, responsabilità dell'insegnante per fatto illecito occorso ad un alunno di scuola elementare, la presunzione di responsabilità per "culpa in vigilando" non può estendersi sino a ritenere sussistente la responsabilità stessa per il fatto solo che sia stato autorizzato lo svolgimento di giochi aerobici e dinamici".

2. Con atto di citazione tempestivamente notificato, S.G. e S.R.M., nella spiegata qualità, si sono doluti della decisione appellata lamentando l'erroneità delle valutazioni in fatto operate dal primo giudice e l'inesatta applicazione dei principi di diritto che regolano la specifica materia. Hanno chiesto, conseguentemente, l'accoglimento della domanda disattesa in prime cure, con vittoria delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

3. Nel contraddittorio con l'Istituto "I.S.D.M. S.S.", costituito e resistente, nonchè con P.L. e S.G. nella spiegata qualità, rimasti contumaci, la causa è stata rimessa all'udienza collegiale del giorno 1 luglio 2015 ed in pari data assunta in deliberazione sulle conclusioni trascritte in epigrafe, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica, venuti a scadenza il giorno 20 ottobre 2015.

4. Va preliminarmente dichiarata la contumacia di P.L. e S.G., genitori di P.V. - la cui responsabilità nel sinistro è stata esclusa nel giudizio di primo grado - evocati in giudizio e non costituiti.

5. Esigenze di priorità logica - dipendenti dalla natura assorbente che avrebbe il suo eventuale accoglimento - impongono innanzitutto la trattazione dell'eccezione di inammissibilità formulata dall'Istituto con riferimento all'asserita novità del richiamo, contenuto nell'atto di appello, al disposto dell'art. 2049 c.c.

L'eccezione è infondata.

In punto di diritto, è noto che l'organo giudicante ha il potere-dovere di inquadrare la fattispecie in modo corretto, anche in difetto, ovvero in difformità, rispetto alle norme richiamate dalle parti, in applicazione dell'art. 113 c.p.c., che sancisce la regola in base alla quale il giudice deve applicare le norme di diritto al fine di decidere la controversia, con l'unico limite costituito dalia cornice delineata dai fatti costitutivi del diritto azionato e dall'oggetto sostanziale dell'azione.

Nella specie, pur invocando formalmente l'art. 2049 c.c. (responsabilità extracontrattuale dei padroni e dei committenti), esplicando il motivo di appello i coniugi S. hanno poi fatto riferimento - in verità piuttosto confusamente - alla responsabilità contrattuale di cui all'art. 1218 c.c., in coerenza del resto con l'ancor più ampio spettro della domanda illustrata nell'atto di citazione, laddove nell'occasione essi avevano fatto riferimento alla responsabilità degli genitori del minore indicato quale "autore dello spintone", e dell'Istituto scolastico "quale luogo teatro dell'evento verificatosi per difetto di sorveglianza e/o vigilanza".

Risultando, in definitiva, il richiamo all'art. 2049 c.c. quale superfluo richiamo normativo operato - fermi restando i termini oggettivi del fatto - al fine di richiamare l'attenzione del giudice su ogni possibile profilo di responsabilità di coloro i quali a qualsiasi titolo potevano aver contribuito alla verificazione dell'evento.

6. Nel merito, l'appello - con cui i coniugi S. auspicano una rimeditazione dei fatti, sottolineando la colposa vigilanza di coloro i quali avrebbero dovuto invece controllare le modalità di gioco dei minori - è fondato e va pertanto accolto.

È noto che ove gli alunni subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero essere sorvegliati e custoditi dal personale della scuola, l'Istituto può essere chiamato a rispondere per responsabilità contrattuale, allorquando la domanda è fondata sull'inadempimento all'obbligo specificatamente assunto dall'autore del danno di vigilare ovvero di tenere una determinata condotta o di non tenerla. Per quanto attiene alle cosiddette "autolesioni" - ovvero i danni che il minore procuri a sé medesimo senza alcun apporto causale di terzi - la giurisprudenza di legittimità (che questo Collegio condivide e dalla quale non v'è ragione di discostarsi) si è invero consolidata nel senso che la responsabilità dell'istituto scolastico, nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, sia di natura contrattuale. "Fra allievo ed istituto scolastico - con l'accoglimento della domanda di iscrizione e con la conseguente ammissione dello stesso alla scuola - si instaura, infatti, un vincolo negoziale, dal quale sorge, a carico dell'istituto, l'obbligazione di vigilare sulla sua sicurezza ed incolumità nel periodo in cui questi fruisce della, prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso. Quanto al precettore, dipendente dell'istituto scolastico, tra insegnante ed allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico (che quindi può dare luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale e non aquiliana), nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, al fine di evitare che l'allievo si procuri, da solo, un danno alla persona. La ricorrenza di un'ipotesi di responsabilità di tipo contrattuale comporta - in ordine all'onere probatorio - che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, l'attore dovrà soltanto provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere dei convenuti dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa agli stessi non imputabile" (cfr. in termini, Cass. 9906/2010).

L'art. 2048 c.c. prevede invece una vera e propria presunzione di responsabilità a carico - tra gli altri - dei "precettori" per il "danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi... nel tempo in cui sono sotto la loro sorveglianza", e presuppone quindi un fatto obiettivamente antigiuridico commesso da un terzo. Così come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione (n. 9346 del 27 giugno 2002), l'art. 2048 c.c. è concepito come norma di "propagazione" della responsabilità, in quanto, presumendo una culpa in educando o in vigilando, chiama a rispondere genitori, tutori, precettori e maestri d'arte per il fatto illecito cagionato dal minore a terzi: la responsabilità civile nasce, in sostanza, come responsabilità del minore verso i terzi, e si estende ai genitori, tutori, precettori e maestri d'arte.

Una volta accertato che l'evento si è verificato in orario scolastico, sia nel caso di "autolesione" che in quello di danno provocato da un altro allievo, quindi, spetta al convenuto l'onere di provare l'inimputabilità del danno, dandone dimostrazione secondo lo schema previsto della responsabilità contrattuale disciplinata dall'art. 1218 c.c. o comunque secondo lo schema previsto dall'art. 2048 c.c., sottolineandosi, a tal proposito, come in giurisprudenza si sia annotato che il regime probatorio imposto dall'art. 2048 cod. civ. (prova di non aver potuto impedire il fatto), possa risultare meno esteso di quello gravante sulla parte che, obbligata a vigilare sulla sicurezza e sull'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, deve allegare e dimostrare l'eziologia, estranea all'area degli eventi da essa dominabili, del fatto lesivo (Cass. 11595/2011).

Nella specie, non solo l'Istituto non ha assolto l'onere probatorio in questione, ma in concreto, valutando le modalità dell'accaduto, può in radice escludersi che la vigilanza sia stata esercitata dalla suora vigilante nella misura dovuta, e che l'incidente subito dalla minore debba essere ricondotto esclusivamente ad una disaccortezza della bambina non prevenibile per la sua repentinità e fatalità.

È certo, infatti, che i minori stavano rincorrendo e scalciando una pigna, e stavano perciò giocando in un modo che può facilmente far incespicare i bambini, avuto riguardo all'irregolarità del rotolamento della pigna, alle sue modeste dimensioni, ed alla sue traiettorie assai meno prevedibili di quelle di una palla. Proprio il tipo di gioco praticato dai bambini affidati alle cure dell'Istituto, pertanto, era in sé fonte di pericolo, prevenibile c. 1 divieto di praticarlo.

A tanto va aggiunta la convergente significatività attribuibile alla mancata comparizione del legale rappresentante dell'Istituto per rendere l'interrogatorio formale dedotto dagli attori ed ammesso dal Tribunale. Dovendosi a tal proposito sottolineare come la mancata risposta all'interrogatorio formale costituisca un comportamento processuale qualificato che, nel quadro degli altri elementi probatori acquisiti, può senz'altro contribuire a fornire elementi di valutazione idonei ad integrare il convincimento del giudice sulle circostanze articolate nei singoli capitoli.

Donde l'accoglimento del motivo di appello e della domanda di risarcimento, fondata appunto sull'inadeguata vigilanza del personale diretta ad impedire non soltanto il compimento di atti dannosi a terzi da parte degli alunni ma anche di atti diretti a danneggiare essi medesimi.

All'omessa adozione da parte della suora vigilante delle cautele organizzative idonee ad impedire che tanto accadesse, va tuttavia associata, quale concausa del danno, la disattenzione della bambina, concausa alla quale appare conforme a retto uso di giustizia attribuire un'efficacia pari al 40%, avuto riguardo all'età della minore ed all'attenzione che le si poteva ragionevolmente richiedere.

6. Col secondo motivo gli appellanti si dolgono delle modalità dell'istruzione probatoria di primo grado, evidenziando che il primo giudice, per economica processuale, ripromettendosi di rigettare la domanda, avrebbe dovuto evitare l'espletamento della C.T.U.

Si tratta, come è evidente, di questione assorbita dall'accoglimento del primo motivo di appello.

7. Passando alla liquidazione del danno, il C.T.U. ha accertato - dopo la sottoposizione della minore a visita specialistica odontoiatrica - nella minore la presenza di "esiti di frattura del margine incisale centrale superiore destro, trattata con ricostruzione in resina-composito". " L'incisivo centrale superiore sinistro", ha osservato il consulente, "è attualmente esente da menomazione, anche se, per quanto fotograficamente documentato, tale elemento dentario era sede di una minuta scalfitura a carico del bordo incisale mesiale. Il mancato riscontro odierno sia dell'originaria scalfitura che del composito applicato nel corso delle cure dentarie è verosimilmente riconducibile alla fisiologica abrasione del bordo dentale. Non sono presenti né segni di sofferenza radicolare esterni, nè la paziente lamenta disturbi legati ad ipersensibilità. Ciò risulta naturale poichè il danno non ha interessato la polpa ma esclusivamente la zona medio-distale della corona. Stante il giudizio prognostico-terapeutico espresso dal dott. L. D.G., la perizianda, ad esito del trauma dentario patito in data 16.05.06, presenta un recupero ottimale dell'incisivo superiore centrale di sinistra ed un completo e valido recupero estetico-funzionale dell'incisivo superiore centrale di destra, grazie al trattamento specialistico eseguito".

Dopo aver puntualizzato che la ricostruzione in composito era efficiente sia sotto l'aspetto estetico che funzionale, il C.T.U. ha quindi stimato in cinque giorni il periodo di inabilità temporanea assoluta ed in venti giorni il periodo di inabilità temporanea parziale al 25%, ed ha quantificato nello 0,5% il danno biologico permanente, traendo coerente spunto dalle tabelle dalla guida orientativa per la valutazione del danno di B..

In relazione alle spese mediche odontoiatriche sostenute dagli appellanti (visita specialistica odontoiatrica comprensiva di radiografie e referto € 200,00; n. 2 ricostruzioni estetiche in materiale composito... € 300,00), il C.T.U. ha rilevato che le corrispettive e relative fatture non erano accluse agli atti del fascicolo di causa. Pertanto, pur esprimendo un giudizio di congruità, ha rimesso il riconoscimento delle spese sostenute dagli appellanti alla valutazione dell'autorità giudicante.

Riguardo alle spese future, il c.t.u., considerato che l'incisivo superiore centrale di destra necessiterà, vita naturai durante, di un quinquennale rinnovamento della ricostruzione protesica, ha operato una stima attuale di 200,00 € quale spesa media quinquennale. Ha, inoltre, precisato che, considerata l'aspettativa media di vita di un soggetto femminile, si può presumere che la minore dovrà ricorrere a circa 14 rinnovamenti protesici (€ 200,00 x 14 = 2.800,00). Ha aggiunto che alle suddette spese, "posto che, potenzialmente, i futuri interventi di rinnovamento ricostruttivo possono determinare dei danni a carico dei margini di contatto tra il dente nativo e l'otturazione, nel futuro, potrebbe rendersi necessaria una ricostruzione del margine danneggiato, fatta in laboratorio in ceramica estetica (comportante un'ulteriore spesa di € 800,00)".

Siffatte conclusioni meritano di essere condivise, siccome non smentite da elementi di giudizio contrario e, comunque, aderenti ai più accreditati baremes in materia.

8. Tanto precisato, va a questo punto considerato che, per orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il danno biologico costituisce una categoria autonoma di nocumento che coesiste e si affianca all'eventuale danno patrimoniale inteso come pregiudizio correlato all'efficienza lavorativa e quindi alla capacità di reddito del soggetto leso. Tale danno sussiste perciò a prescindere da tale capacità ed è da riferire alla offesa dell'integrità psico-fisica del leso ed ai riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita: non soltanto quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte "le attività realizzatrici della persona umana".

Deve quindi procedersi alla liquidazione mediante applicazione della tecnica del cosiddetto "punto tabellare", laddove il valore monetario da attribuire al "punto" varia in relazione sia al grado di invalidità, sia all'età della parte lesa, attraverso l'iutilizzazione di coefficienti che consentono un'ampia differenziazione per ogni età. Deve tenersi conto, inoltre, di quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 12408 dei giorni 25.2/7.6.2011, che proprio al fine di evitare inaccettabili oscillazioni tra le valutazioni dei giudici di merito, ha affermato che "in difetto di previsioni normative la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell 'integrità, psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto".

Quindi, utilizzando quale riferimento i parametri in uso presso il Tribunale di Milano al momento della precisazione delle conclusioni, e tenuto conto dell'invalidità permanente dello 0,5% e dell'età della parte lesa all'epoca del sinistro (10 anni), il danno va complessivamente liquidato in € 462,90.

Agli appellanti, che ne hanno fatto pure richiesta, compete altresì il risarcimento del danno morale (nella sua accezione più ampia di "danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica"), che nel caso concreto - tenuto conto della sofferenza connessa alla sottoposizione di una bambina alle visite mediche ed agli interventi chirurgici, nonché alle cure resesi necessarie a seguito dell'incidente - deve ritenersi non compreso nella liquidazione del danno da integrità psicofisica.

Equitativamente, tale voce di danno va liquidata, in valori attuali, in € 154,28, pari al 33,33% della prima voce di danno.

Per tali causali, spetterebbe agli attori, quindi, la somma complessiva di € 617,18. Somma, questa, che avuto riguardo alla percentuale di riduzione (40%) dipendente dal concorso di responsabilità del danneggiato, deve ridursi fino alla concorrenza di € 370,30.

Siffatta somma, liquidata in valori attuali, tuttavia, se da un lato costituisce l'adeguato equivalente pecuniario, ad oggi, della compromissione di beni giuridicamente protetti, non- comprende l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno pertanto corrisposti interessi per il cui calcolo non si deve utilizzare necessariamente il tasso legale, ma un valore tale da rimpiazzare il mancato godimento delle utilità che avrebbe potuto dare il bene perduto.

Orbene, tale voce di danno deve essere provata dal creditore e, solo in caso negativo, il giudice, nel liquidare il risarcimento ad essa relativo, può fare riferimento, quale criterio presuntivo ed equitativo, ad un tasso di interesse che, in mancanza di contrarie indicazioni suggerite dal caso concreto, può essere fissato in un valore prossimo all'interesse legale del periodo intercorrente tra la data del fatto e quella attuale della liquidazione.

Tale "interesse" va, tuttavia, applicato non già alla somma rivalutata in un'unica soluzione alla data della sentenza, bensì, conformemente al principio enunciato dalle S.U. già a far data della sentenza n. 1712 del 17.2.1995, sulla somma capitale rivalutata di anno in anno.

Procedendo alla stregua dei criteri testè enunciati, a partire dal danno complessivamente subito e indicato in valori attuali (come si è detto, € 317,30), si determina il "danno iniziale", inteso come danno finale devalutato alla data del sinistro (€ 275,43); questo, quindi, viene

Si perviene alla data odierna al seguente risultato finale, con rivalutazione e interessi ponderati a tutt'oggi:

1) capitale iniziale: € 275,43

2) rivalutazione: € 41,87

3) interessi: € 56,99

4) capitale rivalutato + interessi: € 374,29.

A tale somma va infine aggiunta quella di € 1.101.81 per le spese sostenute dagli attori e riconducibili al danno di cui si discute, e quella di € 2.160,00 (pari al 60% della spesa preventivata per la futura ricostruzione del dente).

La prima va maggiorata degli interessi legali maturati dall'esborso all'attualità, pervenendosi così al risultato di € 1.296,19; mentre una ragionevole previsione della lievitazione del prezzo delle protesi dentarie consente, a fini compensativi, di non procedere alla riduzione che sarebbe altrimenti necessaria per non dar luogo al vantaggio che gli appellanti altrimenti otterrebbero per aver goduto del risarcimento durante il periodo anteriore agli esborsi.

Agli appellanti spetta, in definitiva, la somma di € 3.830,48, sulla quale andranno infine conteggiati interessi legali dalla data della presente sentenza al soddisfo.

9. Le spese del giudizio, sia del primo (fatte oggetto di specifico motivo di appello) che del secondo grado di giudizio, seguono la soccombenza, e si liquidano nei termini precisati in dispositivo.
PQM
P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunziando nella contumacia - che dichiara - di (omissis...) e (omissis...), nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio (omissis...), in riforma della sentenza del Tribunale di Trapani n. 215/2011 del 05.03.2011, condanna l' (omissis...) SS.", in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, indivisamente in favore di (omissis...) e (omissis...), nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore (omissis...), della somma di € 3.830,48, oltre ad interessi legali dalla data della presente decisione al soddisfo.

Lo condanna, inoltre, al pagamento delle spese processuali sostenute dagli appellanti, che liquida:

- per il primo grado, in complessivi € 1.584,70, di cui € 1.378,00 per compensi tabellari ed € 206,70 per spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge se dovute, oltre al rimborso del contributo unificato ed oltre le spese di C.T.U. come liquidate dal Tribunale;

- per il secondo grado, in complessivi € 1.813,55, di cui € 236,55 per spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge se dovute, oltre al rimborso del contributo unificato.

Così deciso in Palermo nella Camera di Consiglio della I^ sezione civile il 4 novembre 2015.

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2016.
Avv. Antonino Sugamele

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