I genitori, anche quali soggetti esercenti al patria potestà sulla minore, agiscono per chiedere all'azienda sanitaria e al medico, il risarcimento del danno subito sia dalla minore che dai genitori in occasione del parto della bambina.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 novembre 2015 – 23 giugno 2016, n. 12985
Presidente Spirito – Relatore Scrima
Svolgimento del processo
S.F. e F.C. , entrambi anche quali genitori esercenti la potestà sulla minore S.M. , convenivano dinanzi al Tribunale di Milano, Sezione distaccata di Legnano, l'A.O. Ospedale Civile di (…), la Gestione Liquidatoria della disciolta U.S.S.L. (…) e il dott. N.M. per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla minore e dai genitori istanti, in seguito all'imperita assistenza prestata dal detto sanitario alla minore e alla madre in occasione del parto avvenuto il (omissis) presso il nosocomio di (…).
I convenuti si costituivano in giudizio.
L'Azienda Ospedaliera eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, essendo la stessa stata istituita successivamente all'evento dannoso in questione.
Gli altri convenuti contestavano la domanda soltanto sotto il profilo del quantum debeatur, riconoscendo gli addebiti di responsabilità mossi dagli attori.
All'udienza del 1 febbraio 2002 il difensore degli attori dichiarava il decesso di S.M. e depositava la comparsa di costituzione ex art. 302 c.p.c. per S.F. , F.C. e S.C. (sorella di M. ), quali successori ex lege della minore deceduta.
Dichiarati con sentenza non definitiva il difetto di legittimazione passiva dell'Azienda Ospedaliera convenuta e l'esclusiva responsabilità della convenuta Gestione Liquidatoria e del N. in ordine alla verificazione dell'evento di danno, il giudizio continuava per la determinazione dei danni.
Il Tribunale adito, con sentenza in data 30 marzo 2006, liquidava il danno complessivo spettante agli attori quali eredi di S.M. e iure proprio a S.F. e a F.C. nel complessivo importo di Euro 588.882,41, in moneta attuale, comprensiva degli interessi compensativi maturati sino alla data della sentenza, condannando i convenuti, in solido, al pagamento, in favore degli attori, della residua somma di Euro 276,753,24 dedotto l'acconto versato dagli obbligati in data 27 marzo 2002 e regolava le spese di lite, in esse incluse quelle di CTU, secondo il principio della soccombenza.
Avverso tale decisione gli attori proponevano gravame dinanzi alla Corte di appello di Milano.
Con l'unico motivo gli appellanti deducevano la "assoluta erroneità, contraddittorietà e ingiustizia" della sentenza gravata per mancata pronuncia sulle "domande di risarcimento del danno esistenziale e catastrofico" da essi formulate sia iure hereditario sia iure proprio sul presupposto - a loro avviso erroneo - della inammissibilità delle stesse in quanto tardivamente formulate in comparsa conclusionale e al riguardo i predetti richiamavano l'ampia formulazione delle conclusioni rassegnate nell'atto introduttivo del giudizio, tale da ricomprendere tutti i pregiudizi di tipo non patrimoniale lamentati dagli attori.
Gli appellanti censuravano inoltre la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva considerato nuova la domanda di risarcimento del danno subito iure proprio dalla minore S.C. , in ragione della lesione del rapporto parentale con la sorella defunta e quantificavano il pregiudizio in parola nella complessiva somma di Euro 1.500.000.
I ricorrenti censuravano altresì i criteri di quantificazione di cui il Tribunale si era avvalso per le voci di danno riconosciute.
Gli appellati si costituivano e chiedevano il rigetto del gravame; in subordine, proponevano appello incidentale condizionato, chiedendo che fosse accertata la satisfattività delle somme riconosciute agli attori dalla sentenza impugnata, in quanto comprensive della componente del danno non patrimoniale c.d. esistenziale.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 14 giugno 2010, rigettava l'appello confermando integralmente la sentenza impugnata, compensava tra le parti le spese processuali di quel grado per la metà e condannava gli appellanti soccombenti alla restante metà
Avverso la sentenza della Corte di merito S.F. e F.C. , in proprio ed in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sulla minore S.C. , hanno proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
La Gestione Liquidatoria (per l'esercizio 1997) della disciolta Unità Socio Sanitaria Locale n. XX e N.M. hanno resistito con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo.
I ricorrenti principali hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale condizionato.
I controricorrenti ricorrenti incidentali hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Ricorso principale.
1. Con il primo motivo si denuncia "violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e dell'art. 115 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.".
I ricorrenti lamentano che la Corte di merito abbia considerato il risarcimento liquidato dal Tribunale, sia iure hereditatis che iure proprio, esaustivo ed abbia ritenuto che sarebbe stato onere degli appellanti dimostrare non solo l'inadeguatezza del liquidato risarcimento in relazione al particolare atteggiarsi della compromissione di valori della persona non considerati da quel risarcimento ma anche la sussistenza di pregiudizi di natura esistenziale e catastrofica e con riferimento al rapporto parentale. Denunciano la riduttività del criterio indennizzatorio adottato dal Tribunale e fatto proprio dalla Corte di merito in relazione ai danni sofferti da S.M. e dai suoi congiunti, in proprio e nella qualità di eredi, e chiedono la riliquidazione dei danni sulla base dei criteri indicati nei precedenti gradi di giudizio o sulla base di criteri equitativi fondati sulla gravità del fatto.
1.1. Il motivo non può essere accolto.
Le doglianze veicolate con il mezzo all'esame risultano sostanzialmente generiche, limitandosi i ricorrenti a lamentare, come sopra riportato, l'insufficiente liquidazione dei danni.
Dalla sentenza impugnata risulta che la Corte di merito ha, invece, valutato tutte le circostanze del caso concreto e si è attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con le note sentenze delle Sezioni Unite della S.C. dell'11 novembre 2008 e in particolare, tra esse, della n. 26972, e ha congruamente e logicamente motivato l'operato rigetto dell'impugnazione proposta. Né peraltro risultano efficacemente censurate in questa sede le affermazioni della Corte di merito in relazione al lamentato danno esistenziale, catastrofico e per lesione del rapporto parentale con la sorella subito dalla piccola C. , con particolare riferimento al ritenuto mancato assolvimento, da parte degli appellanti, attuali ricorrenti, non solo dell'onere di allegazione e prova di tali danni ma anche e soprattutto dell'onere di dimostrare l'inadeguatezza del risarcimento liquidato in primo grado in relazione al particolare atteggiarsi della compromissione di valori della persona (vittima primaria e i prossimi congiunti della prima) non considerato da quel risarcimento.
2. Con il secondo motivo si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.".
I ricorrenti si dolgono che la Corte di merito abbia rigettato il gravame anche nella parte in cui avevano lamentato che il giudice del primo grado aveva escluso l'indennizzabilità del danno da IT assoluta in dipendenza di lesioni irredimibili riportate dalla bambina, configurando tale danno, a detta di quel Giudice, una evidente duplicazione del danno biologico già liquidato.
I ricorrenti precisano che la figlia è sopravvissuta per 1457 gg e quindi già in primo grado avevano chiesto a titolo di inabilità temporanea Euro 291.400,00 e lamentano che la Corte di merito abbia rigettato tale richiesta in base ad un orientamento medico-legale secondo cui non sarebbe configurabile un danno da inabilità temporanea in dipendenza di lesioni irredimibili ed assumono che tale motivazione dimostrerebbe che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto né delle argomentazioni svolte dagli appellanti né delle citazioni tendenti a dimostrare la sussistenza di altro diverso orientamento.
2.1. Il motivo non può essere accolto.
Si rileva al riguardo non solo la sostanziale genericità del mezzo all'esame ma anche l'assenza dei dedotti vizi della sentenza impugnata, evidenziandosi, quanto ai lamentati vizi ex art. 360 n. 5 c.p.c., che sul punto la Corte di merito ha motivato e tale motivazione è "reale" e non meramente apparente, contrariamente a quanto sembrano sostenere (v. p. 29 del ricorso) i ricorrenti. Questi ultimi, peraltro, non hanno contestano lo stato menomativo stabile e non remissibile della piccola M. accertato dai Giudici del merito - che hanno evidentemente fatto riferimento, nel liquidare il danno biologico, all'invalidità permanente - e sostengono una tesi accedendo alla quale si darebbe luogo ad una non consentita duplicazione risarcitoria del medesimo pregiudizio (Cass. 19 dicembre 2014, n. 26897), come pure evidenziato dalla Corte territoriale.
3. Con il terzo motivo si lamenta "violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2059 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.". I ricorrenti censurano la sentenza impugnata in relazione alla confermata esclusione del risarcimento della lesione del rapporto parentale in capo a C. , sorella della piccola defunta M. , evidenziando che la Corte di merito ha operato tale rigetto rilevando che tale danno non è in re ipsa e non può, pertanto, essere riconosciuto in assenza di specifiche allegazioni volte a provare la sofferenza del soggetto reclamante e che è estremamente problematica la configurabilità del pregiudizio in parola in termini di sussistenza del nesso causale tra evento e danno, considerato che le lesioni e il successivo decesso della piccola M. non avrebbero inciso su un rapporto parentale in atto, essendo nata l'istante dopo la scomparsa della sorella.
Assumono i ricorrenti che, invece, la nascita dell'istante è avvenuta in data 1 maggio 2001, prima del decesso della sorella maggiore (verificatosi il 13 dicembre 2001) e in un contesto familiare segnato da un evento di estrema gravità e con ritmi non normali, in ragione della costante assistenza dovuta alla sorella maggiore; sostengono, inoltre, che per il danno morale dovuto ai parenti della vittima non è richiesta la prova specifica della relativa sussistenza, potendo tale prova desumersi anche solo in base allo stretto vincolo familiare.
3.1. La doglianza è inammissibile per quanto attiene alla censura della ratio decidendi basata sull'erroneo rilievo della non incidenza delle lesioni e del decesso della piccola M. sul rapporto parentale con la sorella minore C. per essere nata questa dopo la scomparsa della sorella, atteso che effettivamente C. è, invece, nata prima della morte di M. . Trattasi, infatti, di errore revocatorio, non denunciabile nel giudizio di cassazione.
Nel resto il motivo non può essere accolto, atteso che il pregiudizio da perdita del rapporto parentale va allegato e provato specificamente dal danneggiato ex art. 2697 c.c. (Cass. 20 agosto 2015, n. 16992), sicché correttamente la Corte di merito ha comunque escluso tale danno, ritenendo che non trattasi di danno in re ipsa, ed evidenziando nel caso di specie l'assenza di allegazioni in relazione ad una particolare sofferenza patita dalla piccola C. per la breve vita della congiunta. 4. Con il quarto motivo, lamentando "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.", i ricorrenti censurano la sentenza impugnata in riferimento alla operata parziale compensazione delle spese nella misura della metà in ragione dell'innovatività delle richiamate pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte del 2008, ritenendo i predetti che, stante l'intervenuto nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità, nessuna condanna alle spese avrebbe dovuta essere pronunciata nei loro confronti, essendosi attenuti alla precedente giurisprudenza della S.C..
4.1. Il motivo è inammissibile, avendo la Corte di merito congruamente e logicamente motivato in ordine alla parziale compensazione delle spese.
E invero il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263 -applicabile nel caso all'esame, trattandosi di giudizio iniziato nel 2001 - deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass., ord., 2 dicembre 2010, n. 24531; Cass. 6 ottobre 2011, n. 20457; Cass. 19 giugno 2006, n. 15317 del 19/06/2013).
5. Il ricorso principale, alla luce di quanto sopra evidenziato, deve essere rigettato.
Ricorso incidentale condizionato.
6. Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento dell'esame del ricorso incidentale condizionato all'accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso per primo indicato.
7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sui ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.
25-06-2016 00:12
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