Il giornalista è legittimato a divulgare i dati senza il consenso del loro titolare né l’autorizzazione del Garante, a condizione che la divulgazione sia essenziale ovvero indispensabile.
Corte di Cassazione, sez. III civile, sentenza 15 dicembre 2015 – 10 marzo 2016,n. 4685
Presidente Ambrosio – Relatore Graziosi
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3 dicembre 2012 il Tribunale di Bologna ha parzialmente accolto una domanda ex articolo 152 d.lgs. 196/2003 (Codice della riservatezza) proposta da F.S., in proprio e quale genitore della figlia minorenne P.F., nei confronti di Poligrafici Editoriale S.p.A., condannando quest'ultima a risarcire l'attrice per i danni patiti in proprio in conseguenza della pubblicazione senza consenso dei suoi dati personali in un articolo pubblicato su "Il Resto del Carlino" - quotidiano di cui la convenuta è editrice - e relativo ad una vicenda di otto anni prima, in cui ella era stata coinvolta.
2. Ha presentato ricorso Poligrafici Editoriale S.p.A., sulla base di un unico motivo che denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 137 e 139 d.lgs. 196/2003 ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n.2 (sic) c.p.c., nonché omessa o insufficiente motivazione ex articolo 360, primo comma, n.5 c.c. su fatti decisivi per valutare l'essenzialità informativa la cui sussistenza nel caso di specie è stata esclusa dal Tribunale.
Si difende con controricorso F.S., che chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile ossia comunque rigettato.
Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è infondato.
L'unico motivo presentato dal ricorso si articola, in effetti, in una pluralità di doglianze.
3.1 In primo luogo, si adduce che il Tribunale non avrebbe applicato correttamente il principio di essenzialità, così come regolato dal Codice Deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'attività giornalistica - richiamato dall'articolo 139 del Codice della riservatezza - che all'articolo 6, primo comma, prevede che "la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti". Lamenta, in particolare, la ricorrente che non sarebbe stata tenuta in conto dal giudice di prime cure la "originalità del fatto", la quale sarebbe consistita "nella straordinaria e mai chiarita coincidenza tra diversi fatti".
In realtà, a ben guardare i "diversi" fatti invocati la ricorrente risultano semplicemente due, per come li espone la stessa ricorrente: un falso allarme bomba di un medico cui la ricorrente si impegna ictu oculi a dare una valenza suggestiva definendo il medico "invaghito della vedova F." (e, puramente incidenter, si osserva che è assai difficile individuare originalità quanto meno nell'innamoramento di un uomo nei confronti di una donna, che sia questa vedova oppure no) e la presenza di un "presunto ordigno" nell'aereo sul quale ella viaggiava. Aggiunge la ricorrente un ulteriore fatto, esposto in modo anch'esso suggestivo in termini di cronaca ma a ben guardare così generico che non ne è realmente percepibile il contenuto (la "scoperta di una Santabarbara nella villa della F."). Ma quel che propriamente deve rilevarsi è che la valutazione nel caso concreto dell'originalità del fatto come presupposto dell'essenzialità della sua pubblicazione (sulla legittima pubblicazione senza consenso per essenzialità, nel senso di pubblicazione indispensabile per l'originalità del fatto o per la descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, tra i più recenti arresti v. Cass. sez. 3, 10 ottobre 2014 n. 21404; e cfr. altresì, in ordine a profili specifici, Cass. sez. 3, 25 novembre 2014 n. 24986, Cass. sez. 1, 16 aprile 2015 n. 7755 e Cass. sez. 1, 22 luglio 2015 n. 15360) è comunque una valutazione fattuale, riservata pertanto al giudice di merito (cfr. Cass. sez. 3, 12 ottobre 2012 n. 17408, che puntualizza che il giornalista è legittimato a divulgare dati sensibili senza il consenso dei loro titolare né l'autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali purché appunto la divulgazione sia "essenziale" ex articolo 6 del Codice deontologico dei giornalisti, ovvero indispensabile in considerazione dell'originalità del fatto o dei modi in cui è avvenuto, e che la valutazione della sussistenza di tale requisito costituisce accertamento in fatto, che il giudice di merito deve compiere caso per caso).
E, considerata l'applicabilità alla sentenza impugnata dei novellato testo dell'articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c. che riduce il vizio motivazionale all'omesso esame di un fatto decisivo che sia discusso tra le parti (la sentenza è stata pronunciata ex articolo 281 sexies c.p.c. il 3 dicembre 2012), l'unico controllo che rimane quindi al giudice di legittimità è quello sulla esistenza (e non anche sulla sufficienza, come prospetta nella rubrica dei motivo il ricorrente) nella motivazione della considerazione dell'originalità del fatto, controllo il cui esito è indubbiamente positivo, avendo il Tribunale esaminato congruamente tale caratteristica della notizia. In particolare, il primo giudice ha operato un analitico vaglio, nel quale da un lato ha riconosciuto la pubblicabilità della rievocazione dei fatti per "ia contestualità temporale ed i potenziali collegamenti oggettivi esistenti", ma dall'altro ha escluso che rientrasse nella essenzialità informativa il richiamo ai dati personali della F., al suo rapporto di coniugio con il marito deceduto e ai riferimenti professionali correlati a quest'ultimo, dal momento che la F. era stata estranea in una vicenda e nell'altra coinvolta in modo indiretto e involontario; e ciò tanto più considerando che gli eventi risalivano a ben otto anni prima della pubblicazione dell'articolo in questione.
3.2 In secondo luogo, la ricorrente adduce che nella fattispecie non sarebbero stati "in gioco dati sensibili, ma dati ordinari consistenti nel nome e nel ruolo" della F. nella vicenda. Anche questa prospettazione è priva di pregio.
Fermo che il primo comma dell'articolo 4 del Codice della riservatezza distingue i dati personali (lettera b, cui sono ovviamente riconducibili quantomeno le generalità di una persona fisica) dai dati sensibili (lettera d), è sufficiente rilevare sia che l'articolo 15 dello stesso Codice prevede il risarcimento del danno derivato dal trattamento di dati personali - i quali hanno dunque autonomo rilievo rispetto ai dati sensibili (tra i recenti arresti cfr. Cass. sez. 3, 10 ottobre 2014 n. 21404, cit.) - sia che la sentenza impugnata espone - dato, questo, che nè nella descrizione dello svolgimento del processo né nelle successive argomentazioni di cui nutre il suo motivo il ricorso contesta come erroneo rispetto all'effettivo contenuto della domanda presentata ex articolo 152 del citato Codice dalla controparte, attinente a tutte le controversie giurisdizionali che possono scaturire dal Codice stesso - che la F. lamentava che "l'articolo in questione riportava senza il suo preventivo consenso i suoi dati personali"; nella illustrazione dei motivi della decisione, poi, il giudice di merito prende le mosse dalla descrizione della doglianza attorea come denuncia da parte della F. della "lesione dei proprio diritto alla riservatezza e all'oblio quale diretta conseguenza dei trattamento indebito e quindi illegittimo dei propri dati personali" e, nella parte finale di tale illustrazione, opera poi uno esplicito riferimento proprio all'articolo 15 del Codice della riservatezza.
La censura, in conclusione, non mostra alcuna fondatezza.
3.3 In terzo luogo, la ricorrente adduce che il Tribunale, rievocando la vicenda nel suo complesso, "non poteva prescindere dal considerare le circostanze che emergevano da svariati articoli di giornali che si erano occupati del caso", dai quali "risultava che il coinvolgimento della signora F. nella vicenda era stato sì casuale, ma aveva assunto notevole rilevanza dell'interesse pubblico e negli eventi processuali".
Ora, a parte il fatto che la doglianza non è dotata di adeguata autosufficienza - in quanto richiama globalmente, ovvero genericamente, ben tredici articoli giornalistici che indica come allegati al fascicolo di primo grado, e aggiunge solo due citazioni (la prima a un articolo dell'11 gennaio 2005 e la seconda a un articolo dell'8 febbraio 2005) dal contenuto a loro volta assai generico (la prima citazione, oltre al titolo, si limita ad asserire che nell'articolo la vicenda viene "raccontata compiutamente, con riferimento a tutti i protagonisti" evidenziando il collegamento tra la F. e il processo all'artificiere, cioè il processo derivato dal rinvenimento dell'ordigno sull'aereo; e la seconda, ancor più generica, oltre al titolo, adduce che nell'articolo "si racconta della testimonianza resa dalla signora nel processo" all'artificiere) - come si è già rilevato più sopra il giudice di prime cure non ha omesso di valutare le caratteristiche della vicenda ai fini dell'accertamento della essenzialità informativa, tra l'altro più che logicamente sottolineando, quanto alla posizione della F., quello che definisce un "ampio lasso di tempo (circa 8 anni) intercorso tra la vicenda che solo indirettamente aveva interessato la F. e la pubblicazione dell'articolo in questione, lasso di tempo così lungo che aveva reso assai più irrilevante ... sotto il profilo informativo l'uso completo dei dati personali di un soggetto che, come detto, era del tutto estraneo ai fatti oggetto della sentenza, la cui pubblicazione aveva riportato alla luce la vicenda".
Anche questa censura, dunque, è del tutto infondata.
3.4 Denuncia ancora la ricorrente una pretesa omessa motivazione del primo giudice sul fatto che la F. non si sarebbe mai opposta alla pubblicazione del suo nome e della sua immagine per la vicenda in questione, non comunicando ex articolo 7, quarto comma, dei Codice della riservatezza alla ricorrente la sua opposizione al trattamento dei propri dati personali; anzi, "nell'articolo dei 16 settembre 2003 ... si menziona un'intervista rilasciata dalla signora F. al settimanale "Oggi" avuto riguardo ai fatti di cui si tratta".
Premesso che quest'ultimo riferimento non gode di adeguata autosufficienza, poiché attiene in modo del tutto generico a un'intervista "riguardo ai fatti di cui si tratta", e che comunque non ha alcuna incidenza, poiché si tratta di un'intervista risalente a ben otto anni prima della reviviscenza nel 2011 della vicenda mediante l'articolo di cui è causa - reviviscenza rispetto alla quale soltanto è stata proposta l'azione dalla F. -, a tacer d'altro non si può non rilevare che la doglianza è globalmente generica, in quanto non specifica se la mancata opposizione alla pubblicazione cui fa riferimento si è verificata quando la vicenda avvenne oppure se si è verificata in relazione alla sua reviviscenza - peraltro, presumibilmente improvvisa - operata mediante l'articolo de quo.
Né tantomeno il ricorso adduce che davanti al Tribunale l'attuale ricorrente si era difesa adducendo anche un preventivo consenso della F., al contrario esponendo che la sua difesa si era impostata su tre diversi elementi, cioè il rispetto del requisito dell'essenzialità dell'informazione ex articolo 6 del Codice Deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'attività giornalistica richiamato dall'articolo 139 del Codice della riservatezza, il ritorno all'attualità della vicenda tale da elidere il c.d. diritto all'oblio e l'assenza di prova del danno di cui veniva chiesto il risarcimento (ricorso, pagina 3): adduce pertanto la censura in esame dinanzi al giudice di legittimità una questione fattuale (che sia avvenuta o meno l'opposizione alla pubblicazione da parte della F.) che non aveva sottoposto alla cognizione del giudice di merito, con evidente conseguenza di inammissibilità; e la sua novità, non trattandosi di questione rilevabile d'ufficio, rende intrinsecamente illogico censurare per omessa sua considerazione nella motivazione la sentenza impugnata.
Peraltro, si osserva ormai ad abundantiam che non corrisponde al vero l'asserto dell'omessa motivazione sull'esistenza o meno di un consenso, poiché il Tribunale dà esplicitamente atto che la ricorrente aveva lamentato che, "a distanza di quasi 8 anni e senza alcuna necessità a fini informativi, l'articolo in questione riportava senza il suo preventivo consenso dei suoi dati personali", rilevando poi che la controparte, costituitasi, aveva fondato la sua difesa sulla "sussistenza dei requisiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di essenzialità dell'informazione", senza menzionare che l'attuale ricorrente avesse addotto pure l'esistenza di un preventivo consenso dell'interessata alla pubblicazione. E le argomentazioni del Tribunale si sono in seguito sviluppate sull'espresso presupposto di quello che ha definito "l'utilizzo dei dati personali senza il preventivo consenso" per accertare se sussisteva comunque un'esigenza pubblica di informazione che tale utilizzazione legittimasse, concludendo proprio nel senso che, mancando detta esigenza, "la pubblicazione dei dati personali della ricorrente avrebbe richiesto il preventivo consenso di quest'ultima sicché, in difetto di ciò, l'attività svolta dalla convenuta attraverso la pubblicazione... deve ritenersi... lesiva del diritto alla riservatezza della ricorrente".
3.5 Nella sintesi conclusiva delle doglianze esposte nel ricorso, infine, la ricorrente censura il Tribunale per avere omesso motivazione su quello che definisce "diretto coinvolgimento" della F. nella riesumata vicenda, "posto, tra l'altro, che la stessa era stata sentita come teste nel processo a carico dell'artificiere". Come sopra si è visto, in realtà il primo giudice ha motivato sul ruolo - che ha ritenuto indiretto - della F. nella vicenda; e il fatto che ella abbia testimoniato nel processo contro l'artificiere che era stato accusato di avere collocato l'ordigno sull'aereo ictu oculi non può qualificarsi decisivo ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c. nel senso di giustificare la pubblicazione di vari e assai specifici dati personali della testimone ben otto anni dopo l'evento in cui è stata coinvolta.
In conclusione, nessuna delle doglianze proposte risulta fondata, per cui il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali liquidate come da dispositivo.
Si dà atto altresì che sussistono i presupposti per il versamento ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater d.p.r. 115/2002 dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale imposto dal comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, che liquida in € 4000, di cui € 200 per spese vive, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dei comma 1 bis dello stesso articolo 13.
11-03-2016 22:49
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