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Sentenza

Un ingegnere fa causa al Comune di Chiusa Sclafani. In primo grado ottiene 211.0...
Un ingegnere fa causa al Comune di Chiusa Sclafani. In primo grado ottiene 211.000 euro. In appello perde la causa e la Cassazione conferma il rigetto della sua domanda.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio - Presidente -

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere -

Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere -

Dott. MERCOLINO Guido - rel. Consigliere -

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via G. Ferrari n. 11, presso l'avv. VALENZA Dino, unitamente agli avv. MAURIZIO GIACONIA e PIETRO ALOSI del foro di Palermo, dai quali è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

COMUNE DI CHIUSA SCLAFANI, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via F. Cancellieri n. 2, presso l'avv. PAPI Vincenzo, unitamente all'avv. GIUSEPPE MARIA MASSIMO BENENATI del foro di Trapani, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 739/09, pubblicata il 4 maggio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 settembre 2015 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, la quale ha concluso per la dichiarazione d'inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. - L'ing. C.E. convenne in giudizio il Comune di Chiusa Sclafani, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla revoca dell'incarico di direttore dei lavori per la realizzazione delle opere di urbanizzazione delle aree incluse nel piano per gl'insediamenti produttivi, conferitogli con atto del 23 dicembre 1993.

1.1. - Il Tribunale di Termini Imerese, Sezione distaccata di Corleone, dopo aver pronunciato, con sentenza non definitiva del 29 settembre 2004, la condanna del Comune al risarcimento, con sentenza definitiva del 13 marzo 2007 liquidò i danni in Euro 211.632,47, oltre interessi.

2. - Le impugnazioni separatamente proposte dal Comune avverso le predette sentenze sono state riunite ed accolte dalla Corte d'Appello di Palermo, che con sentenza del 4 maggio 2009 ha rigettato la domanda.

Premesso che a fondamento della revoca, disposta con Delib. 15 luglio 1999, la Giunta municipale aveva dato atto dell'intervenuto rinvio a giudizio del C. per vari reati, ivi compresa l'associazione a delinquere di stampo mafioso, evidenziando l'obbligatorietà della revoca ai sensi della L. 18 gennaio 1992, n. 16, ed il venir meno del rapporto di fiducia con il professionista, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha innanzitutto escluso che, nel far valere l'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico, emergente dall'intervenuto annullamento della misura cautelare disposta nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari, l'attore si fosse limitato ad allegare la responsabilità extracontrattuale dell'Amministrazione, osservando che la domanda trovava fondamento anche nell'ingiustificato recesso dal contratto, e quindi in una responsabilità contrattuale.

Nel merito, ha escluso l'applicabilità della L. n. 16 del 1992, art. 1, comma 1, osservando che, nonostante il richiamo a tale disposizione, riferibile a qualsiasi incarico conferito dagli organi comunali, l'Amministrazione non aveva disposto la sospensione dell'incarico in attesa dell'esito del giudizio penale, ma la revoca dello stesso. Ha ritenuto peraltro giustificato il provvedimento, in considerazione del rinvio a giudizio del professionista per fatti che, in quanto relativi ad appalti pubblici, risultavano senz'altro idonei a pregiudicare la fiducia nella capacità del C. di resistere a tentativi d'infiltrazione di tipo mafioso nell'adempimento dell'incarico affidatogli. Ha escluso pertanto il diritto dell'attore al risarcimento del maggior danno ai sensi della L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 10, ritenendo ininfluente a tal fine l'esito favorevole del giudizio penale, avuto riguardo alla valutazione ex ante compiuta dal Comune con riferimento alla situazione esistente al momento della revoca ed alla conseguente irrilevanza dei fatti sopravvenuti. Ha ritenuto altresì insussistenti il diritto al risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c., in considerazione della facoltà di recesso riconosciuta al cliente dall'art. 2237 c.c., dalla legge professionale e dal disciplinare sottoscritto dalle parti, ed il diritto alla maggiorazione prevista dalla cit. L. n. 143, art. 18, espressamente escluso dall'art. 7 del disciplinare in caso di recesso per giustificati motivi. Ha escluso la novità di quest'ultima questione, in quanto sollevata soltanto in comparsa conclusionale, ravvisando nella relativa deduzione un'eccezione in senso lato e ritenendola compresa nella contestazione del credito, avvenuta fin dalla costituzione in giudizio; ha escluso infine che la deroga all'art. 18 cit. introdotta dalla predetta clausola si ponesse in contrasto con la tariffa professionale, affermando che nella disciplina delle professioni intellettuali quest'ultima costituisce una fonte sussidiaria e suppletiva rispetto al contratto.

3. - Avverso la predetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in otto motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., sostenendo che, nel ritenere giustificata la revoca dell'incarico, in virtù del venir meno del rapporto fiduciario con il Comune determinato dal rinvio a giudizio di esso ricorrente, la sentenza impugnata è incorsa in ultrapetizione, avendo ecceduto i limiti delle censure proposte dal Comune, il quale si era limitato a far valere l'obbligatorietà della revoca ai sensi della L. n. 16 del 1992.

2. - La predetta censura va esaminata congiuntamente a quella proposta con il sesto motivo, anch'essa riflettente la violazione dell'art. c.p.c. e fondata sull'osservazione che, nel ritenere legittima la revoca, in quanto espressione della facoltà di recesso spettante al Comune in presenza di una causa di giustificazione, la sentenza impugnata ha posto a fondamento della decisione una circostanza non dedotta dall'Amministrazione, la quale si era limitata a sostenere l'obbligatorietà della revoca ai sensi della L. n. 16 del 1992.

3. - I motivi sono entrambi infondati.

La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all'esame diretto degli atti, dal quale si evince che, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento proposta dall'attore, il Tribunale di Termini Imerese aveva escluso la applicabilità della L. n. 16 del 1992, in quanto riguardante esclusivamente gli amministratori ed i dirigenti con incarichi di gestione all'interno di enti pubblici, ravvisando nella revoca dell'incarico un recesso dal contratto di prestazione d'opera professionale, non sorretto da giusta causa, in quanto avvenuto sulla base di una misura cautelare applicata in sede penale ed annullata a seguito d'impugnazione. Nel censurare tale decisione, l'Amministrazione non si era limitata ad insistere nella propria tesi, secondo cui la revoca era imposta dalla predetta legge, ma aveva aggiunto che il recesso doveva ritenersi comunque giustificato, in quanto avvenuto indipendentemente dalla misura cautelare disposta in sede penale, a seguito del rinvio a giudizio dell'attore per i gravi reati ascrittigli, in tal modo contestando sia la responsabilità contrattuale accertata dalla sentenza impugnata ai sensi della L. n. 143 del 1949, artt. 10 e 18, sia quella extracontrattuale fatta valere in via alternativa dal C..

La mancata pronuncia del Giudice di primo grado in ordine a quest'ultima domanda, ritenuta assorbita dall'accoglimento della prima, non escludeva il dovere di riesaminarla in sede di gravame, indipendentemente dalla censura proposta dall'appellante, avendo l'appellato insistito a sua volta nelle ragioni prospettate in primo grado, ed avendo in tal modo ribadito anche la pretesa avanzata in via alternativa, per la cui riproposizione non era necessario l'appello incidentale: l'accoglimento della domanda sulla base di una sola delle causae petendi fungibilmente poste a fondamento della stessa non implica infatti, a carico dell'appellato vittorioso, l'onere d'impugnare a sua volta la sentenza per far valere le causae petendi non esaminate, nè quello di riproporre con espresse deduzioni le ragioni pretermesse, risultando sufficiente, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., che ad esse non rinunci, esplicitamente o implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame (cfr. Cass., Sez. 2, 22 luglio 2004, n. 13780;

6 settembre 2000, n. 11763; Cass., Sez. lav., 18 aprile 2000, n. 5065).

4. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'erroneità e la contraddittorietà della motivazione, osservando che l'affermazione della legittimità della revoca, in conseguenza del venir meno del rapporto fiduciario con il Comune, si pone in contrasto con la motivazione da quest'ultimo addotta a sostegno della Delib., consistente nell'obbligatorietà del provvedimento ai sensi della L. n. 16 del 1992. Aggiunge che la giustificazione individuata dalla sentenza impugnata avrebbe imposto di valutare se le accuse rivolte ad esso ricorrente fossero idonee impedire la prosecuzione del rapporto, anche alla luce dell'inapplicabilità della L. n. 16 cit., del tempo trascorso dall'adozione della misura cautelare nei confronti di esso ricorrente e del successivo annullamento della stessa in sede di riesame.

4.1. - Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Ai fini dell'accertamento della legittimità della revoca, la sentenza impugnata ha sostanzialmente confermato l'interpretazione dell'atto fornita dal Giudice di primo grado, in quanto, pur riconoscendo l'applicabilità della L. n. 16 del 1992, art. 1, anche all'incarico conferito all'attore, ha ritenuto che l'Amministrazione non avesse fatto ricorso agli strumenti dallo stesso previsti, avendo invece esercitato la facoltà di recesso attribuitagli dall'art. 2237 c.c., comma 2, con la conseguente affermazione dell'applicabilità della L. n. 143 del 1949, art. 10, che esclude il diritto al risarcimento del danno nel caso in cui la sospensione dell'incarico sia dovuta a cause dipendenti dallo stesso professionista, e dell'art. 7 del disciplinare sottoscritto dalle parti, che escludeva il diritto alla maggiorazione prevista dalla cit. L. n. 143, art. 18, in caso di recesso per gravi e giustificati motivi. In quanto volta a ricostruire la volontà manifestata dalla Giunta municipale con la Delib. adottata 15 luglio 1999, la predetta interpretazione si traduce in un'indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale ovvero per incongruenza o illogicità della motivazione; la denuncia di quest'ultimo vizio postula peraltro la precisa indicazione delle lacune argomentative della sentenza impugnata, ovvero degli elementi di giudizio ai quali la stessa ha attribuito un significato estraneo al senso comune, o ancora degli argomenti da essa utilizzati che risultino connotati da un'assoluta incompatibilità razionale (cfr.

Cass., Sez. 2, 3 settembre 2010, n. 19044; Cass., Sez. 3, 12 luglio 2007, n. 15604; Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2007, n. 4178). Nella specie, il ricorrente si limita invece ad insistere sulla motivazione addotta a sostegno della revoca dell'incarico, senza trascriverne nel ricorso i passi salienti, in ossequio al principio di autosufficienza dell'impugnazione, e senza specificare le carenze argomentative o i vizi logici del ragionamento seguito dalla Corte di merito, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione del vizio di motivazione, una rilettura dell'atto, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata.

Nel lamentare l'omessa valutazione della portata dei fatti ascrittigli nel procedimento penale e del successivo accertamento dell'infondatezza delle accuse contestategli, il ricorrente fa poi valere circostanze opportunamente tenute in conto dalla Corte di merito, la quale ha puntualmente evidenziato la gravità dei reati a addebitati al C. e l'idoneità della mera contestazione a pregiudicare il rapporto fiduciario sottostante al conferimento dell'incarico, desumendone anche l'irrilevanza dell'intervenuto proscioglimento, in ragione della natura prognostica della valutazione sottesa alla risoluzione unilaterale del rapporto, ed in tal modo esprimendo un apprezzamento globale che resiste alle critiche del ricorrente.

5. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 16 del 1992, art. 1, commi 4 e 4-bis, affermando che, nell'equiparare la revoca dell'incarico alla sospensione, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della diversità delle fattispecie alle quali si riferiscono le predette misure e delle conseguenze derivanti da ciascuna di esse, nè dell'intenzione, chiaramente manifestata dal Comune nel provvedimento, di applicare dell'art. 1 cit., comma 4, anzichè il comma 4-bis.

6. - La censura va esaminata congiuntamente a quella sollevata nel quarto motivo, con cui il ricorrente denuncia l'erroneità e la contraddittorietà della motivazione, insistendo sulla diversità delle disposizioni che prevedono la revoca e la sospensione dell'incarico e sulla differenza dei relativi presupposti.

7. - Unitamente alle predette censure, va esaminata quella di cui al quinto motivo, riflettente anch'essa la violazione della L. n. 16 del 1992, art. 1, comma 4-bis e fondata sull'osservazione che, nonostante la riconducibilità del provvedimento a fatti sopravvenuti al conferimento dell'incarico, la sentenza impugnata vi ha erroneamente ravvisato una revoca, anzichè una sospensione, con la conseguente attribuzione dei medesimi effetti della decadenza, ed in particolare dell'impossibilità di proseguire l'incarico, prevista soltanto in caso di condanna con sentenza passata in giudicato.

8. - I tre motivi sono inammissibili, in quanto, riflettendo l'errata applicazione della L. n. 16 del 1992, art. 1, non attingono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, pur ritenendo non condivisibile l'affermazione del Giudice di primo grado, secondo cui la predetta disposizione era riferibile esclusivamente agli amministratori ed ai dirigenti con incarichi di gestione di enti pubblici, ha escluso che l'Amministrazione avesse inteso farne applicazione, ravvisando nella revoca dell'incarico l'esercizio del diritto di recesso attribuito al cliente dalla disciplina civilistica del contratto di prestazione d'opera professionale, e traendone, sotto il profilo economico, gli effetti previsti dalla tariffa professionale degl'ingegneri ed architetti e dal disciplinare d'incarico. E' in quest'ottica che deve essere correttamente inteso anche il riferimento della Corte di merito all'equivalenza della revoca alla sospensione dell'incarico, in tal senso deponendo anche il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 336 del 2000, la quale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità della L. n. 143 del 1949, art. 10, comma 2, nella parte in cui, in caso di sospensione dell'incarico dovuta a cause non dipendenti dal professionista, avrebbe consentito a quest'ultimo di cumulare la maggiorazione del compenso con il risarcimento del danno, ha precisato, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, che la predetta maggiorazione, non avente carattere risarcitorio e destinata a rimanere assorbita dal risarcimento dovuto in caso di sospensione per colpa del cliente, trova applicazione anche nell'ipotesi di recesso di quest'ultimo (cfr. Cass., Sez. 1, 11 settembre 2009, n. 19700; Cass., Sez. 2, 26 gennaio 1985, n. 401).

9. - Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia l'erroneità e la contraddittorietà della motivazione, sostenendo che l'affermazione della legittimità del recesso ai sensi dell'art. 2237 c.c., si pone in contrasto con il richiamo al disciplinare, in quanto, mentre la prima disposizione attribuisce al cliente la facoltà di recedere ad nutum, l'art. 7 del disciplinare ne consentiva l'esercizio soltanto da parte del professionista, e solo per gravi e giustificati motivi.

Essendo intervenuto prima del completamento dell'incarico, il recesso non avrebbe d'altronde escluso il diritto di esso ricorrente all'intero compenso, avuto riguardo al termine finale apposto al contratto, individuato nella conclusione dei lavori affidati in appalto. In ogni caso, trattandosi di revoca disposta per causa non imputabile ad esso ricorrente, avrebbero dovuto trovare applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 10 e 18, con il conseguente riconoscimento della maggiorazione e del risarcimento dagli stessi previsti.

9.1. - Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

In riferimento al contratto di prestazione d'opera professionale, l'art. 2237 c.c., attribuisce al cliente la facoltà di recedere dal contratto in qualsiasi momento, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso dovuto per l'opera svolta. Tale previsione, com'è noto, non ha carattere inderogabile, e può quindi essere esclusa dalle parti, per particolari esigenze, fino al termine del rapporto, non occorrendo, a tal fine, un patto espresso e specifico, ma risultando sufficiente anche l'apposizione di un termine, in presenza del quale l'interruzione unilaterale ed anticipata del rapporto da parte del committente comporta per il prestatore d'opera il diritto al compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto (cfr. Cass., Sez. lav., 7 ottobre 2013, n. 22786; Cass., Sez. 2, 29 novembre 2006, n. 25238). A tale disciplina si sovrappone, in tema di prestazioni professionali rese da ingegneri o architetti, quella dettata dalla L. n. 143 del 1949, art. 10, per l'ipotesi di sospensione dell'incarico (fattispecie alla quale, come si è detto, è assimilabile il recesso), la quale conferma l'obbligo del cliente di corrispondere l'onorario dovuto per il lavoro svolto e predisposto, nella misura prevista dall'art. 18 per l'ipotesi d'incarico parziale, con una maggiorazione del 25%, facendo comunque salvo il diritto al risarcimento degli eventuali maggiori danni, qualora la sospensione non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista stesso. La predetta maggiorazione trova applicazione, ai sensi dell'art. 10, comma 1, indipendentemente dai motivi della sospensione, e quindi anche quando essa abbia avuto luogo per cause dipendenti dal professionista, restando escluso, in tale ipotesi, soltanto il risarcimento del maggior danno, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione (cfr. Cass., Sez. 2, 17 luglio 1999, n. 7602); essa, inoltre, in quanto prevista dalla tariffa professionale, applicabile soltanto in mancanza della determinazione pattizia del compenso, può essere esclusa dalle parti, nell'esercizio della loro autonomia, non costituendo la sua previsione oggetto di una norma inderogabile (cfr. Cass., Sez. 2, 11 luglio 2011, n. 15206).

Conformemente a tale disciplina, la sentenza impugnata ha ritenuto che, in quanto giustificata dai gravi fatti addebitati al ricorrente in sede penale, la revoca dell'incarico comportasse a carico del Comune soltanto l'obbligo di corrispondere il compenso dovuto per l'attività svolta, e non anche quello di risarcire il maggior danno derivante dalla risoluzione anticipata del rapporto; ha escluso inoltre l'obbligo di corrispondere la maggiorazione prevista dalla tariffa professionale, in quanto l'art. 7 del disciplinare sottoscritto dalle parti prevedeva espressamente che, in caso di recesso per gravi e giustificati motivi, il professionista avrebbe avuto diritto soltanto all'onorario ed al rimborso spese per la prestazione parziale, senza la predetta maggiorazione. Nel contestare tali conclusioni, il ricorrente afferma di aver diritto sia al compenso pattuito per l'intera prestazione commissionata che alla maggiorazione prevista per la risoluzione anticipata del rapporto, assumendo da un lato che l'incarico era sottoposto ad un termine finale, corrispondente alla conclusione dei lavori, dall'altro che la facoltà di recesso prevista dal disciplinare era attribuita esclusivamente al prestatore d'opera: in tal modo, peraltro, egli censura l'interpretazione del disciplinare fornita dalla Corte di merito, omettendo tuttavia di riportarne nel ricorso le clausole pertinenti e d'indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che il motivo risulta, sotto tale profilo, non solo generico, ma anche privo di autosufficienza.

10. - Con l'ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 91 c.p.c., comma 1, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, a seguito dell'accoglimento dell'appello, lo ha condannato al pagamento delle spese processuali.

10.1. - Il motivo è infondato.

La condanna al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio risulta infatti pronunciata in puntuale applicazione del criterio dettato dall'art. 91 cit., trovando giustificazione nella soccombenza del ricorrente, determinata dall'integrale riforma della sentenza di primo grado, alla quale ha fatto seguito il rigetto di entrambe le domande proposte in primo grado.

11. - Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna C.E. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 4.700,00, ivi compresi Euro 4.500,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2015
Classificazione	Nuova Ricerca
Avv. Antonino Sugamele

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