L’inerzia investigativa può costituire fonte di responsabilità civile per i magistrati. L’ex moglie aveva sporto ben dodici querele, nell’arco di un anno, per denunciare le violenze subite dal coniuge. Le vessazioni sfoceranno nell'uccisione della donna.
Tribunale di Messina, sez. I Civile, sentenza 30 maggio 2017
Presidente Mangano – Relatore Bisignano
In fatto ed in diritto
1. Ca. Ca. nella qualità di tutore di (omissis...) oggi in Ca. a seguito dell'avvenuta adozione dei minori da parte del ricorrente-, figli di (omissis...) Ma. e (omissis...) Sa., ha agito in giudizio al fine di far accertare la responsabilità del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone e/o dei magistrati da lui designati ai sensi degli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 117/1988 per l'omicidio di (omissis...) Ma. ad opera del marito, (omissis...) Sa., consumato in data 3 ottobre 2007.
Il ricorrente ha esposto che (omissis...) Ma., nel periodo compreso tra il mese di settembre 2006 ed il mese di settembre 2007, ha presentato alle Autorità competenti dodici querele nei confronti del marito, autore di violenze fisiche, aggressioni, minacce a suo danno e che, ciononostante, la Procura della Repubblica di Caltagirone nulla ha fatto per impedire la consumazione dell'omicidio della donna. Il ricorrente ha esposto che la procura di Caltagirone avrebbe omesso -così integrando gli estremi della negligenza inescusabile- di porre in essere i dovuti atti di indagine che avrebbero consentito di neutralizzare la pericolosità sociale del (omissis...), ovvero non avrebbe: 1) disposto l'interrogatorio del (omissis...), 2) sollecitato gli organi competenti ad emettere un trattamento sanitario obbligatorio, ai sensi dell'art. 73 c.p.p., 3) disposto il ricovero presso una casa di cura o ospedale psichiatrico a titolo di misura di sicurezza personale ex art. 206 c.p., 4) richiesto l'applicazione della misura di sicurezza ex art. 219, comma 3 c.p..
Il ricorrente ha chiesto, pertanto, il risarcimento dei danni subiti dalla prole della (omissis...) a causa della uccisione della madre ad opera del marito, sub specie di danno patrimoniale nella misura di Euro 259.000,00 -consistente nella perdita di reddito derivante dalla attività lavorativa svolta dalla (omissis...) e di danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale nella misura di Euro 1.500.000,00 per ciascun figlio.
Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccependo l'inammissibilità del ricorso per intervenuto decorso del termine biennale previsto dall'art. 4 della legge 117/88; ha contestato ogni addebito di responsabilità evidenziando che nessuna negligenza era imputabile alla Procura; infine ha dedotto l'infondatezza della pretesa risarcitoria relativamente al danno non patrimoniale.
Con decreto depositato il 20.07.2012 il Tribunale di Messina ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per tardività dell'azione. La decisione di inammissibilità ai sensi degli artt. 4-5 della legge 117/88 è stata confermata dalla Corte di Appello di Messina che ha rigettato il reclamo proposto da Ca. Ca..
La Corte di Cassazione, con sentenza del 12 settembre 2014 n. 19265, ha accolto le doglianze del ricorrente ed ha cassato il provvedimento impugnato, rinviando il giudizio alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione personale. Con pronuncia del 17.7.2015 n. 15095 la Corte di Cassazione, in correzione del precedente provvedimento, ha così disposto "cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Messina affinché proceda, come giudice di primo grado, al giudizio di merito in ordine alla domanda risarcitoria proposta dall'odierno ricorrente nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri".
Correttamente riassunto il giudizio davanti al Tribunale di Messina, alla udienza del 24.06.2016 sono state precisate le conclusioni e il giudizio è stato assunto in decisione con concessione dei termini, ai sensi dell'art. 190 c.p.c, per lo scambio degli scritti difensivi.
La causa, con ordinanza dell'11.01.17, è stata rimessa in istruttoria, onerando la parte più diligente alla produzione in giudizio di documentazione non rinvenuta agli atti e la cui esistenza è risultata pacificamente ammessa dalle parti. Alla udienza del 15.3.17 sono state precisate le conclusioni ed il giudizio è stato assunto a sentenza concedendo termine di 20 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e successivo termine di 20 giorni per le memorie di replica.
2. Preliminarmente si osserva, contrariamente all'assunto dell'Avvocatura di Stato, che il Tribunale non è più tenuto a pronunciarsi sulla ammissibilità del ricorso, atteso che, come risulta dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 15095/2015, "è pacifico che la cassazione del provvedimento di inammissibilità, alla luce del citato art. 5 della legge n.117 del 1988 e della menzionata giurisprudenza, implica per ciò solo la delibazione del fumus boni iuris della domanda, la conclusione della fase di ammissibilità del giudizio di responsabilità civile e l'inizio della relativa fase di merito davanti al giudice di primo grado".
3. Occorre innanzitutto delineare il quadro normativo in cui si inserisce la presente controversia.
La fattispecie deve essere correttamente inquadrata nell'ambito della disciplina previgente alla recente riforma operata con la legge n. 18/2015, che ha novellato la legge 13 aprile 1988, n. 117 (cd. legge Vassalli).
La legge 117/1988 ha introdotto nell'ordinamento il principio della risarcibilità del danno ingiusto che derivi da un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero conseguente a diniego di giustizia. Gli elementi costitutivi della colpa grave sono così elencati dalla legge Vassalli: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
Il comma 2. dell'art. 2 stabilisce che "nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove" (cd. clausola di salvaguardia).
Secondo l'interpretazione prevalente della Suprema Corte non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto ovvero di valutazione del fatto e della prova, dovendosi considerare che la clausola di salvaguardia "non tollera letture riduttive perché giustificata dal carattere fortemente valutativo dell'attività giudiziaria e (...) attuativa della garanzia costituzionale dell'indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio (Cfr. Cass. 27 novembre 2006, n. 25123).
La Cassazione, inoltre, precisa che "in tema di risarcimento del danno per responsabilità civile del magistrato, l'ipotesi di colpa grave di cui all'art. 2, comma 3., L. n. 117/88 sussiste quando il comportamento del magistrato si concretizza in una violazione grossolana e macroscopica della norma ovvero in una lettura di essa contrastante con ogni criterio logico, che comporta l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero (Cfr., tra le tante, Cass. 18 marzo 2008, n. 7272). Con riguardo alla nozione di negligenza inescusabile, la Corte opera una delimitazione del concetto, che identificherebbe un quid pluris rispetto alla colpa grave di cui all'art. 2236 c.c., nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti come "non spiegabile" (Cfr. Cass. 26 luglio 1994, n. 6950; Cass. 5 luglio 2007, n. 15227).
Ai sensi dell'art. 3, comma 1., L. n. 117/88, "costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l'omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento".
La legge n. 117/1988 è stato oggetto di recenti interventi di riforma, sotto la spinta di talune pronunce della Corte di Giustizia Europea. L'intervento normativo (legge n. 18/2015) lascia sostanzialmente inalterati i parametri di fondo sui quali la legge Vassalli radica la responsabilità del magistrato e cioè il dolo e la colpa grave, operando una modulazione di quest'ultima in termini di violazione manifesta della legge: la violazione manifesta della legge (e del diritto dell'Unione) diviene un'estrinsecazione di una condotta caratterizzata da colpa grave. Si supera, così, una delle fonti di maggiore discussione del precedente regime normativo, consistente nel far derivare la colpa grave dalla negligenza inescusabile.
Il dato peculiare della nuova disciplina si rinviene nell'aver realizzato un "disallineamento" tra il paradigma della responsabilità dello Stato per danni cagionati nell'esercizio della giurisdizione e quello della responsabilità personale del magistrato in sede di rivalsa. Da un lato, si è determinato l'allargamento della responsabilità alla violazione manifesta della legge interna nonché del diritto dell'Unione Europea, e al travisamento del fatto o delle prove come fondamento della colpa grave, con esclusione di ogni riferimento alla negligenza inescusabile del magistrato. Dall'altro lato, l'azione di rivalsa dello Stato -resa obbligatoria e aumentata nell'entità- nei confronti del magistrato investe le sole ipotesi di responsabilità ove determinate da dolo o da colpa grave derivante da negligenza inescusabile.
Sotto il profilo dell'efficacia temporale, le nuove norme si applicano ai fatti illeciti commessi dal magistrato successivamente alla loro entrata in vigore e non sono, pertanto, invocabili nella fattispecie in esame.
Relativamente alla legittimazione passiva, in forza dell'art. 4 della legge n. 117/1988, l'azione risarcitoria proposta per dolo o colpa grave del Magistrato (ex artt. 2 e 3) deve essere esercitata solo nei confronti dello Stato in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri (e nemmeno verso il magistrato, cui però è riconosciuto il diritto di intervenire sua sponte). La legge n. 117/88 non riguarda tanto la responsabilità del giudice, quanto la responsabilità dello Stato, o meglio, dello Stato giudice, o, con ancora maggiore incisività, non ha l'obiettivo di definire le ipotesi di responsabilità del magistrato, ma soprattutto, se non esclusivamente, quello di definire ed affermare la responsabilità dello Stato per alcuni illeciti del magistrato. In altre parole, si è esclusa, fuori dalle ipotesi di reato, la responsabilità diretta del magistrato per affermare la responsabilità dello Stato nei confronti dei cittadini per i danni (anche "non patrimoniali che derivino da privazioni della libertà personale", art. 2, 1. co.) causati dal magistrato con dolo, colpa grave o a seguito di diniego di giustizia.
4. Fatta questa premessa di ordine sistematico, passiamo ad esaminare il merito della controversia, che non può prescindere dalla disamina delle querele e denunce presentate da (omissis...) Ma. nel periodo compreso tra il mese di settembre 2006 ed il mese di settembre 2007 e dei procedimenti penali che ne sono originati:
- Querela presentata dalla (omissis...) il 27.09.2006 alla stazione dei Carabinieri di Palagonia per violenze fisiche e maltrattamenti commessi da (omissis...) Sa., provocate essenzialmente dai problemi di tossicodipendenza dell'uomo. Il Sostituto procuratore della Repubblica (dott.ssa (omissis...) ricevuta la comunicazione della querela presentata dalla (omissis...) ha, in data 4.10.2006, chiesto al Giudice per le Indagini Preliminari l'applicazione della misura cautelare dell'allontanamento di
(omissis...) Sa. dalla casa familiare ai sensi dell'art. 282 bis c.p.p. contestandogli i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e maltrattamenti. La misura è stata concessa dal GIP in data 28.11.2006 e il 7.12.2006 è stato disposto l'interrogatorio di garanzia (omissis...). In quella sede il (omissis...) ha prodotto certificato del SERT dell'ASL competente per territorio che attestava l'inesistenza di uno stato di tossicodipendenza. Risulta dalla documentazione in atti che il P.M., con richiesta del 16.03.2007, ha acquisito agli atti del procedimento penale il pendente fascicolo del giudizio di separazione personale fra i coniugi, promosso dalla (omissis...) nei confronti del (omissis...) con ricorso depositato in data 10.10.2006. Nell'ambito del giudizio civile di separazione, dopo l'udienza presidenziale di comparizione dei coniugi, il Presidente del Tribunale -constatato il timore dei figli alla vista della mamma in aula-, in data 19.12.2006, ha affidato la prole in via provvisoria ed esclusiva a (omissis...) Sa., salvo il diritto di visita della madre. Il Presidente del Tribunale ha, nel medesimo provvedimento, disposto che i coniugi venissero sottoposti a consulenze psichiatriche, psicologiche e socio assistenziali al fine di accertarne le capacità genitoriali. Tali accertamenti hanno escluso la sussistenza nel (omissis...) di patologie di natura psichiatrica e verificato la capacità e la "disponibilità" di entrambi i genitori ad esercitare la potestà genitoriale, con l'ausilio di un supporto e sostegno psicologico (individuale e di coppia). Il Sostituto procuratore titolare dell'indagini ha inoltre delegato ai CC. l'acquisizione di una relazione del Dipartimento Servizi Sociali di (omissis...) al fine di verificare le condizioni psicofisiche dei minori e ha, nel contempo, delegato la escussione dei coniugi in contesa, con l'ausilio di uno psicologo -delega d'indagine del 17.11.2006 a fi. 852 del proc. 2482/2006- ricevendo risposta in data 24.11.2006 (dinamiche relazionali padre-figli "condizionate" dalla volontà (omissis...) di tenere la prole con sé; insufficienza della casa dei nonni, abitata dai minori, etc.).
Proc. n. 713/06 RGNR. Fatti di ingiurie e danneggiamento commessi dal (omissis...) il 12.10.2006, oggetto del verbale del 14.10.2006. La (omissis...) ha denunciato il marito per un episodio avvenuto sotto l'abitazione della propria madre: il (omissis...) aveva iniziato a sbattere il portone d'ingresso dell'abitazione, lesionandone un vetro; la donna impaurita aveva chiamato i Carabinieri; il (omissis...) sceso dall'autovettura, aveva urlato alla moglie che gli impediva di vedere i bambini, fingendo che gli stessi dormissero. I reati in questione sono perseguibili solo a querela di parte ed il procedimento è stato archiviato per mancanza di querela.
- Proc. n. 152/07 RGNR. Fatti di ingiurie commessi dal (omissis...) il 12.10.2006, che aveva apostrofato la moglie come "bugiarda" e aveva sbattuto violentemente il portone d'ingresso. Il procedimento è stato definito per archiviazione con decreto del 17.04.2007 non essendo stato ravvisato dal GdP "nulla di penalmente rilevante". Non erano applicabili misure cautelari per i reati contestati.
- Proc. n. 2482/06 (riunito al proc. N. 2274/06) per i reati ex artt. 574 e 582 c.p. originanti dalla querela presentata dalla (omissis...) in data 7.11.2006 in cui la donna ha denunciato di essere stata picchiata dal marito in data 4.11.2006 che non voleva farle vedere i bambini. Il 17.11.2006 la (omissis...) ha integrato la denunzia riferendo che i bambini non erano stati portati a scuola ed ha prodotto un certificato medico che la giudicava guaribili in 15 giorni per le lesioni inferte dal marito. Si osserva innanzitutto che per il delitto di lesioni personali è consentita l'applicazione delle misure coercitive solo in caso di arresto in flagranza (art. 381 comma 2 lett. f) in sede di udienza di convalida.
Non può sottacersi che (omissis...), nello stesso arco temporale, ha sporto querela nei confronti della moglie denunciando che la donna trascurava i figli, di averlo minacciato, di averlo colpito al volto con schiaffi e pugni etc, di essere stato vittima di aggressioni ed ingiurie da parte della (omissis...) e dei genitori della donna.
Si ricorderà poi che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare è stata disposta con provvedimento del GIP del 28.11.06.
- Querele del 15.01.07, del 16.01.07, del 17.01.07 e del 4.02.07: la donna ha lamentato di non essersi potuta recare presso la casa familiare per prelevare i propri effetti personali per il timore di aggressioni e reazioni spropositate da parte del marito, che i propri effetti personali erano stati buttati fuori dall'abitazione, e che il (omissis...) non rispettava il provvedimento emesso dal Giudice della separazione accampando scuse per impedirle di vedere i bambini.
- Querela del 15.03.2007 (Proc. n. 1200/2007 RGNR). La (omissis...) ha querelato il coniuge per aver buttato sulla strada
alcuni suoi effetti personali, per averla schiaffeggiata e per aver lasciato dietro la porta di casa casse di libri ed altri effetti personali (artt. 388 - 392 - 581 c.p.). Ha esposto in particolare che il 14.03.2007, recatasi a casa del marito per prelevare i bambini, la sorella del (omissis...) si era rifiutata di consegnarglieli e di essersi quindi rivolta ai CC; constatato che il bambino più piccolo (omissis...) aveva la febbre, si erano recati dal pediatra ed il marito, in sala di attesa, in un momento di assenza dei Carabinieri, le aveva dato uno schiaffo. E' stata sentita a S.I.T. una signora presente nella sala di attesa del pediatra (tale (omissis...) la quale ha riferito di aver notato che nella coppia vi era tensione, e di essere andata via, senza aver assistito ad episodi di violenza; è stata allegata agli atti trasmessi in Procura una relazione di servizio, che riferisce sull'accaduto e sull'intervento di mediazione svolto dalla pattuglia. I Carabinieri hanno allegano reperti fotografici, il verbale di informazioni testimoniali (rese da (omissis...)).
una relazione d'intervento e copia del verbale di comparizione dei coniugi dinanzi al presidente del Tribunale del 19.12.06.
In ordine ai fatti denunziati vige il divieto di applicazione di misure cautelari personali; il procedimento è stato riunito, dopo il 3 ottobre 2007, a quello per omicidio e, per tale episodio, il (omissis...) è stato condannato.
Non può non evidenziarsi che il 20.3.07 il (omissis...) ha sporto querela nei confronti della moglie e del suocero per i reati ex art. 612 e 635 c.p. ( proc. n. 1201/2007, riunito al proc. N. 1200/2007 e in seguito al proc. n. 2274/06) commessi in data 16.03.07: il (omissis...) ha denunciato che la (omissis...) avrebbe minacciato i figli, avrebbe danneggiato la porta della propria abitazione con una vecchia bombola di gas e che avrebbe tentato di investirlo con l'autovettura condotta dal padre,
- Proc. Pen. n. 545/07 RGNR iscritto per "Danneggiamento" commesso il 31.08.2007. La donna ha riferito ai CC di essere andata in macchina verso casa del coniuge per riconsegnargli i bambini e che, al momento di ripartire, (omissis...) aveva colpito l'autovettura con calci e pugni nella parte frontale e laterale, provocando il pianto dei bambini. I Carabinieri, però, constatavano l'assenza di segni di danneggiamento sull'auto. La (omissis...) non indicava testi. Il procedimento è stato archiviato per infondatezza con decreto del Giudice di Pace in quanto l'autovettura non era stata danneggiata. Inapplicabili le misure cautelari personali.
- Proc.pen. n. 554/07 RGNR iscritto per "Mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice" (388 c.p.), commesso in epoca anteriore e prossima al 4.01.2007. La donna ha denunziato che il marito aveva accampato scuse - indisposizione dei figli- per impedirle di portarli con sé. Il GIP, accogliendo la richiesta di archiviazione proposta dal P.M., ha ritenuto che (omissis...) non avesse agito per disobbedire ad un ordine del giudice, ma per la tutela dell'interesse dei minori che, affetti da indisposizione (la stessa (omissis...) aveva dichiarato nella querela di avere visto i bambini a letto), sarebbe stato inopportuno fare uscire di casa.
- Proc.pen. n. 586/07 RGNR iscritto per "Danneggiamento" commesso il 14.01.07. Il (omissis...) si era disfatto degli effetti personali della moglie ammucchiandoli dietro la porta di casa. Il GdP di Mineo ha assolto l'imputato per insussistenza del fatto. La fattispecie non consentiva di adottare misure cautelari.
- Proc.pen. n. 1823/08 RGNR iscritto per "Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose" (art. 392 c.p.) commesso il 15.03.07. Il P.M. ha richiesto l'archiviazione avendo ritenuto insussistenti elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Il GIP ha accolto la richiesta. La fattispecie era insuscettibile di applicazione di misure cautelari.
5. Il ricorrente ha lamentato che la Procura di Caltagirone non avrebbe: 1) disposto l'interrogatorio (omissis...), 2) sollecitato gli organi competenti ad emettere un trattamento sanitario obbligatorio, ai sensi dell'art. 73 c.p.p., 3) disposto il ricovero presso una casa di cura o ospedale psichiatrico a titolo di misura di sicurezza personale ex art. 206 c.p., 4) richiesto l'applicazione della misura di sicurezza ex art. 219, comma 3 c.p..
In un caso per certi versi affine (una donna era stata assassinata, e l'omicida si era poi tolto la vita, da un uomo a cui era stata legata da una relazione sentimentale che l'aveva minacciata di morte; in seguito alla perquisizione, erano state rinvenute tre lettere dell'uomo in cui preannunciava il suo intento omicida-sucida) a quello oggetto di esame, la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 13189 del 26.06.2015), nel confermare la statuizione della Corte di Appello di Caltanissetta, ha riconosciuto la responsabilità dello Stato ai sensi dell'art. 2 della legge 117/1988. La Corte di Cassazione ha ribadito, in particolare, che la possibilità per il magistrato dei Pubblico Ministero di adottare misure coercitive per prevenire un intento omicidario manifestato per iscritto, costituisce un accertamento di fatto, a nulla rilevando che per formulare la relativa valutazione il giudice debba prendere in esame le norme di legge che disciplinano gli atti delle indagini preliminari.
5.1. Ritiene tuttavia il Tribunale che, nel caso in esame, sino al mese di giugno 2007, non siano rinvenibili i presupposti per affermare una responsabilità dei magistrati della Procura di Caltagirone.
Invero, l'acquisizione nei procedimenti penali delle relazioni di consulenza psichiatrica, psicologica e socio assistenziale svolte nell'ambito del giudizio civile di separazione, rendeva superflua la ripetizione delle medesime indagini anche in sede penale. Inoltre, la certificazione dell'autorità sanitaria circa la inesistenza di uno stato di tossicodipendenza del (omissis...) rilasciata dal SERT e prodotta al GIP in sede di interrogatorio di garanzia del 7.12.06 e al Presidente del Tribunale nel corso dell'udienza di comparizione dei coniugi del 19.12.06, rendeva del pari ultronea una ulteriore indagine sul punto.
La misura dell'allontanamento dalla casa familiare è stata concessa in data 28.11.2006 e revocata con ordinanza del GIP del 21.12.2006 su richiesta del P.M., alla luce del provvedimento di affidamento esclusivo della prole in favore del (omissis...) adottato dal Presidente del Tribunale di Caltagirone in data 19.12.06.
Del resto anche le sentenze penali sia di primo grado che di appello con le quali il (omissis...) è stato ritenuto responsabile dell'omicidio della moglie, del tentato omicidio del suocero e di altri reati, hanno conclamato la piena capacità d'intendere e di volere dell'imputato ed escluso qualsiasi vizio di mente del medesimo, fondando tale convincimento proprio sulla scorta delle consulenze mediche espletate nell'ambito del giudizio civile di separazione tra coniugi, ritenendo non necessario procedere ad autonomi accertamenti sul punto (cfr ordinanza del GUP del 18.09.08); è stato inoltre ritenuto indimostrato lo stato di tossicodipendenza o comunque l'uso di stupefacenti da parte dell'imputato.
Il consulente tecnico d'ufficio (omissis...), nominato in sede di giudizio di separazione, rispondendo al quesito se la (omissis...) fossero affetti da turbe della sfera psichiatrica o psicologica tali da renderli inidonei all'affidamento dei figli, ha evidenziato la inesistenza di patologie psichiche dei periziati, concludendo che: 1. "i periziati non presentano patologie psichiche tali da renderli inidonei all'affidamento dei figli. 2. "...si ritiene che per uno sviluppo adeguato dei minori gli stessi debbano usufruire della disponibilità di entrambi i genitori sia pure vissuta separatamente... ".
Come anzi detto, la consulenza psichiatrica del dott. (omissis...) è stata ritenuta esaustiva anche nell'ambito dei processi penali di primo grado svoltosi davanti al G.U.P. del Tribunale di Caltagirone, sia di appello svoltosi innanzi alla Corte d'Assise d'Appello di Catania, che in sentenza (cfr sentenza n. 10/11 del 2.03.2011), ha ritenuto che "...le risultanze processuali esaminate anche alla luce della perizia psicologica in atti" escludevano qualsiasi compromissione delle condizioni psicologiche (omissis...) (si legge in sentenza: "L'uomo, ai test, è risultato sano di mente con capacità intellettive nella media e personalità caratterizzata da difficoltà di contatto affettivo, tendenza all'isolamento ed emotività instabile ma sufficientemente controllata. E' stato l'odio nei confronti della moglie e la paura di perdere i figli che ha determinato nell'uomo uno stato di agitazione e di ansia.."). Allo stesso modo aveva concluso il G.U.P. in sentenza: " ...i motivi che hanno indotto il (omissis...) ad uccidere non possono essere adeguatamente e concretamente ricostruiti se non alla luce della durissima battaglia legale intrapresa con Ma. (omissis...) per l'affidamento dei tre figli minori, battaglia dalla quale è emerso il forte ed inalterabile attaccamento dell'imputato nei confronti della prole...In questo contesto non sorprende che il (omissis...) abbia maturato il proposito omicida nell'imminenza (prospettatagli dal suo stesso legale ed invero giustificata dal tenore delle CTU disposte dal Giudice della separazione) dell'affidamento dei figli alla madre" (cfr pagg. 10-11 della sent. 12.03.2009, n.32/09).
E' sostenibile, pertanto, che i magistrati della Procura di Caltagirone disponessero di validi elementi probatori per escludere la sussistenza nel (omissis...) di alterazioni di tipo psichiatrico o da sostanze stupefacenti.
Il ricorrente ha lamentato che la Procura avrebbe potuto disporre nei confronti del (omissis...) la misura del trattamento sanitario obbligatorio ex art. 73 comma 4 c.p.p., o richiedere la provvisoria applicazione di una delle misure di sicurezza previste dagli artt. 206 e 219 comma 3 c.p..
L'art. 73 c.p.p. attribuisce al giudice la possibilità di disporre il ricovero provvisorio dell'imputato in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero (comma 2), possibilità che, nel corso delle indagini preliminari, può essere esercitata dal pubblico ministero procedente (comma 4). La misura del ricovero provvisorio in struttura psichiatrica è subordinata, tuttavia, al necessario e indefettibile presupposto che "lo stato di mente dell'imputato appaia tale da rendere necessaria la cura nell'ambito del servizio psichiatrico., "(comma. 1). Nel caso in esame, per le ragioni esposte in precedenza, non sussistevano evidenze probatorie che potessero indurre il P.M. a richiedere una tale misura, attesa l'esclusione di alterazioni mentali nel (omissis...).
Gli artt. 206 e 219 comma 3 c.p. subordinano l'applicazione della misura di sicurezza provvisoria del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e di custodia, "durante la istruzione o il giudizio", alla ricorrenza del presupposto della pericolosità sociale, ma esclusivamente nei confronti di determinati soggetti, ovvero del minore di età, dell'infermo di mente, dell'ubriaco abituale o della persone dedita all'uso di sostanze stupefacenti o in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti.
Sulla scorta degli elementi a disposizione della Procura -consulenza disposte nell'ambito del giudizio civile di separazione tra coniugi e certificazione del Sert del 7.12.06 escludente uno stato di tossicodipendenza del (omissis...) non sussistevano i presupposti per l'applicazione delle misure invocate.
Inoltre, dalla disamina delle querele e denunce presentata dalla ((omissis...) nei confronti di (omissis...) Sa. risulta che i fatti di reato denunciati -esclusa, per le ragioni già esposte, la possibilità di richiedere un TSO o misure di sicurezza provvisorie- non erano passibili di applicazione di misure cautelari personali, unico strumento che avrebbe consentito di neutralizzare la pericolosità del (omissis...).
L'art 280 c.p.p. dispone che le misure cautelari possono applicarsi solo se si procede per "delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni", e per la custodia cautelare in carcere "non inferiore nel massimo a quattro anni".
Nessuno dei fatti di reato denunciati successivamente al settembre 2006 rientrava nel novero di questi delitti.
Esclusivamente l'episodio oggetto della querela del 27.9.2006, inquadrato nella fattispecie dei maltrattamenti commessi dal coniuge, consentiva infatti l'applicazione della misura cautelare dell'allontanamento della casa familiare ai sensi dell' art. 282 bis c.p.p.. Il comma 6, nel testo vigente ratione temporis, stabiliva che "qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 609 bis, 609 ter, 609 quinquies e 609 octies del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti previsti dall'art. 280"; si precisa altresì che la norma invocata solo con la riforma attuata dalla legge n. 119/2013 (di conversione del D.L.93/2013) - non applicabile quindi nel caso in esame- ha incluso nel novero dei reati per i quali non è richiesto il rispetto del limite edittale di pena anche l' art. 612 comma 2 c.p. (minaccia aggravata).
La misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare è stata revocata in data 21.12.2006 a seguito dell'interrogatorio di garanzia svolto dal (omissis...) ed in conseguenza del provvedimento presidenziale del Tribunale di Caltagirone adottato nell'ambito del giudizio di separazione con cui sono stati affidati i figli minori in via esclusiva al padre.
Inoltre, all'epoca di commissione dei fatti denunciati dalla (omissis...), non era ancora stato introdotto il reato di "atti persecutori" ex art. 612 bis c.p. -inserito nel codice con il D.L.23.02.2009 n. 11, convertito, con modificazioni, nella L. 23.04.2009 n. 38- fattispecie che sanziona chi con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Per il reato è prevista la pena della reclusione sino a quattro anni; sicché consentita è l'applicazione delle misure cautelari.
Tale elemento non è di poco momento, considerato che solo con l'introduzione dell'art. 612 bis c.p. è stata consentita, non più una valutazione atomistica del singolo episodio delittuoso, ma una considerazione in termini unitari di plurime condotte che, singolarmente, non permettevano l'applicazione di misure di tipo cautelare.
Non può sottacersi inoltre che la vicenda dei (omissis...) si inserisce nel quadro di un aspro, conflittuale e penoso giudizio di separazione tra coniugi, in cui entrambe le parti "lottavano" per ottenere l'affidamento della prole.
Durante tale periodo, tra l'altro, anche (omissis...) è stata destinataria di diverse querele-denunce da parte del marito per svariati reati, proprio a testimoniare l'accesa conflittualità delle parti e l'estrema difficoltà della relazione maritale e genitoriale, (situazioni che purtroppo non sono infrequenti in molte vicende di dissoluzione dell'unione coniugale).
Sotto altra prospettiva -con ciò discostandosi dal decisum della Corte di Cassazione citata (n. 13189/2015)- è incontestabile che sia comunque rimessa al Pubblico Ministero procedente la valutazione sulla necessità ed opportunità di avanzare la domanda cautelare ex artt. 272 ss. c.p.p. Né un tale obbligo può farsi discendere dal precetto costituzionale contemplato all'art. 112 Cost. che, sancendo il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, impone al P.M. esclusivamente di vagliare la fondatezza della notizia di reato. D'altronde, la stessa giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto che, al fine di presidiare l'indipendenza e la pari dignità di tutti i magistrati dell'ordine giudiziario - principi contemplati dall'art. 101 e 107 Cost.- la grave violazione di legge possa concretizzarsi esclusivamente in una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero in una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero.
Sicché, la valutazione sulla gravità del fatto e sulla pericolosità del soggetto parrebbe rimanere confinata nell'alveo della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 2, comma 2, della L. n. 117/1988, poiché concernente la valutazione del fatto e delle prove dal mese di giugno del 2007.
Il 2 giugno 2007 (omissis...) ha denunciato alla stazione di CC di (omissis...) di essersi recata, il 13.05.2007, presso l'abitazione (omissis...) e di averlo trovato all'esterno insieme ai bambini; ha riferito che l'uomo, alla vista della moglie, aveva estratto un coltello a scatto e con aria di sfida lo aveva utilizzato per pulirsi le unghie delle mani; ha aggiunto che a tale episodio aveva assistito anche una vicina di casa (tal (omissis...). Nella medesima querela (omissis...) ha denunciato che il 30.05.07 il (omissis...) le aveva puntato contro un arco artigianale con una freccia metallica ricavata da una parte di antenna acuminata, sempre alla presenza dei bambini e che, in data 1.06.2007, nell'andare a prendere i figli, era stata ancora una volta minacciata dal (omissis...) fuori dalla abitazione, con il medesimo arco, scoccandole contro una freccia che aveva coperto con una sorta di protezione e che era caduta a circa 50 centimetri dal suo corpo; ha esposto altresì di essersi recata presso i carabinieri raccontando l'accaduto i quali, prontamente intervenuti, avevano constatato la presenza dell'arco e della freccia. Ha riferito che, nel riaccompagnare uno dei bambini a casa del padre, questi si era fatto trovare mentre maneggiava il medesimo coltello precedentemente notato. La (omissis...) ha infine aggiunto "-Ho chiaramente notato il coltello di tipo a scatto utilizzato dal (omissis...) per la sua igiene personale; detto coltello aveva lama a punta di circa 10 centimetri e manico di colore scuro. L'arco artigianale che ho notato era altro circa mt 1,20 con telaio in legno a sezione rettangolare di circa 10 cm di larghezza e corda forse di materiale sintetico di colore bianco; la freccia, di materiale verosimilmente alluminico, invece era stata ricavata da una pezzo di antenna i lunga circa 50 cm; la freccia era acuminata la prima volta che l'ho vista e di seguito, quando è stata scoccata al mio indirizzo, la punta era stata ricoperta da materiale gommoso".
In data 07.06.2007 (omissis...) ha presentato una integrazione di querela esponendo che, in data 06.06.2007, nell'andare a prelevare i bambini, aveva visto il (omissis...) pulirsi le unghie, con aria di sfida e di minaccia, con un coltello di tipo a scatto, riconoscendolo come quello già notato nei precedenti episodi denunciati e precisando che il coltello era con lama a punta di circa 10 centimetri e impugnatura con materiale scuro e striature del tipo madreperla; ha infine denunciato di temere per la propria incolumità.
Dopo i fatti denunciati nel mese di giugno 2007, (omissis...) ha presentato altre due querele: la prima il 25.7.07, denunciando che, in data 20.7.2007, si era recata a prelevare i bambini ed il (omissis...), sopraggiunto con un'altra auto condotta da un terzo, aveva impedito alla propria macchina di transitare, la aveva ancora minacciata e si era infilato sulla propria autovettura attraverso il finestrino, tirando fuori i bambini; la seconda in data 3.09.07 in cui ribadiva di essere stata minacciata anche con coltelli e che il 31.08.07, nel riaccompagnare i figli a casa del padre, questi si era fatto trovare fuori dell'uscio di casa nascondendo la mano sinistra dietro la schiena con atteggiamento minaccioso, come se volesse celarmi qualcosa'", aggiungeva di temere per la propria incolumità.
Per i fatti denunciati nel luglio 2007, il (omissis...) ha patteggiato una pena a mesi 14 di reclusione davanti al Tribunale di Caltagirone -sezione distaccata di Grammichele- per i reati di violenza privata (art. 610 c.p.) e inosservanza del provvedimento giudiziale del 19.12.06 regolante il diritto di visita del (omissis...) (art. 388 c.p.).
Non risulta invece che gli episodi denunciati nel mese di giugno 2007-configuranti astrattamente il reato di minaccia aggravata ai sensi dell' art. 612 comma II c.p. (che richiama l'art. 339 c.p.)- siano stati iscritti nel registro delle notizie di reato, né che sia stata eseguita una perquisizione (locale o personale) al fine di accertare la detenzione di armi da parte del (omissis...) né che siano stati compiuti atti di indagine o adottate misure al fine di neutralizzare la pericolosità del (omissis...).
A fronte delle querele presentate a decorrere dal mese di giugno 2007, dalle quali poteva razionalmente presagirsi un intento, se non omicida, quantomeno di violenza ai danni della donna, vi è stata una sostanziale inerzia dello Stato.
L'Avvocatura di Stato ha dedotto che, in relazione a tali episodi, sarebbe stata eseguita una perquisizione presso la casa del (omissis...) con esito negativo e che il relativo procedimento n. 967/07 RGNR -per detenzione e porto illegale di armi- si sarebbe concluso con decreto di archiviazione del GIP del 30.06.2007 per non essere stati ravvisati estremi di reato.
Appare di tutta evidenza, però, che il procedimento penale cui si riferisce l'Avvocatura attiene a fatti diversi da quelli denunciati dalla (omissis...) nel giugno 2007, considerato che la perquisizione - cfr verbale di perquisizione in atti- è stata eseguita per sospetta detenzione e porto illegale di armi da fuoco in data 01.03.2007, mentre la donna ha denunciato fatti avvenuti in data 13.05.2007, 30.05.2007, 01.06.2007 e 06.06.2007, ovvero in epoca successiva alla perquisizione.
Tale omissione consente di affermare che la Procura della Repubblica di Caltagirone non abbia avuto contezza del tenore delle minacce rivolte alla vittima del reato e che abbia tra l'altro violato il precetto di cui all'art. 112 Costituzione secondo cui "Il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale".
5.3 La violazione di tale obbligo non è sufficiente, tuttavia, per una affermazione di responsabilità, che necessita l'ulteriore accertamento positivo dell'esistenza del nesso causale tra l'omissione e l'evento di danno per il quale si chiede il risarcimento.
Nel giudizio di responsabilità aquiliana, l'accertamento del cd. nesso di causalità materiale, necessario a selezionare il fatto idoneo a cagionare l'evento lesivo, segue le regole dettate dal combinato disposto degli artt. 40 e 41 c.p. (che appaiono improntarsi alla criterio della equivalenza causale) e dell'art. 41, comma 2, c.p., il quale fa proprio il principio di causa efficiente secondo cui "l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta solo se questa risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto".
Al fine di accertare il nesso di causalità tra omissione e evento, secondo la giurisprudenza prevalente, è necessario un giudizio necessariamente di tipo probabilistico diretto ad accertare l'idoneità della condotta omessa ad impedire il verificarsi dell'evento dannoso; nel senso che, in relazione alla casualità omissiva, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l'efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale. Questo accertamento a contrario o "controfattuale" si deve svolgere in base al principio della cd. preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", a differenza del processo penale in cui vige la regola valutativa della prova dell' "oltre ogni ragionevole dubbio".
Nel caso in esame, come anzi detto, non risulta -né diversamente è stato sostenuto o dimostrato dall'Avvocatura di Stato- che, in seguito agli episodi denunciati nel mese di giugno 2007, il (omissis...) sia stato iscritto nel registro degli indagati, né che siano stati eseguiti atti di indagine di alcun tipo, ad opera della polizia giudiziaria o della Procura.
Il compimento di una perquisizione, con valutazione probabilistica, avrebbe condotto al rinvenimento del coltello denunciato dalla (omissis...) e al suo conseguente sequestro, ipotizzandosi il reato di porto abusivo di mezzi atti ad offendere al di fuori della propria abitazione senza giustificato motivo (art. 4 L. 110/75) o (a seconda del tipo di coltello rinvenuto) il reato di cui all'art. 699 comma 2 c.p. -norma che, secondo la giurisprudenza prevalente, è applicabile alla ipotesi del porto di un coltello a scatto (cd. "molletta"), trattandosi di arma "bianca" propria, di cui è vietato il porto in modo assoluto, non essendo ammessa licenza da parte delle leggi di pubblica sicurezza (cfr Cass. pen n. 45548/2015)-.
Dalle lettura delle sentenze penali in atti si evince che la (omissis...) è stata uccisa a coltellate inferte all'addome e al torace con un coltello a serramanico della lunghezza di 9,5 cm; è razionalmente sostenibile che il coltello utilizzato per l'omicidio consumatosi in data 3.10.2007 sia il medesimo coltello a scatto -che è un particolare tipo di coltello a serramanico, con apertura automatica della lama- delle dimensioni di circa 10 cm utilizzato (omissis...), solo quale mese prima, per minacciare (omissis...).
Si può pertanto affermare che il rinvenimento del coltello ed il suo conseguente sequestro avrebbero, con valutazione probabilistica, impedito il verificarsi dell'evento omicida avvenuto il 3.10.2007.
Tale valutazione ovviamente non consente di escludere, in assoluto, che la volontà omicida del (omissis...) sarebbe stata comunque portata a compimento in altro modo, ma è altamente probabile che l'evento del 3.10.07, con quelle specifiche modalità esecutive -uccisione della (omissis...) con plurime coltellate all'addome e al torace con quel coltello- sarebbe stato evitato.
Conclusivamente, è rinvenibile la fattispecie di cui all'art. 2 comma 3 lett.a) della legge 117/1988 nella condotta dei magistrati della Procura della Repubblica di (omissis...), i quali, nel non disporre nessun atto di indagine rispetto ai fatti denunciati a decorrere dal mese di giugno 2007 e nel non adottare nessuna misura volta a neutralizzare la pericolosità del (omissis...), hanno commesso una "grave violazione di legge" con negligenza inescusabile.
Deve, in ultimo, ricordarsi che con recentissima pronuncia la Corte Europea dei diritti dell'Uomo (Corte EDU, Sezione Prima, Sentenza Talpis c. Italia, 2 marzo 2017, ric. n. 41237/14) ha condannato l'Italia per la violazione degli articoli 2 (Diritto alla vita), 3 (Divieto di trattamenti disumani e degradanti) e 14 (Divieto di discriminazione) CEDU, in quanto le autorità italiane, omettendo di agire tempestivamente dinanzi alla denuncia della ricorrente, vittima di violenza domestica, e di condurre diligentemente il relativo procedimento penale, hanno determinato una situazione di impunità, che ha favorito la reiterazione delle condotte violente, fino a condurre al tentativo di omicidio della donna e all'omicidio del figlio della stessa.
La decisione pone in rilievo come, in materia di violenza domestica, il compito di uno Stato non si esaurisca nella mera adozione di disposizioni di legge che tutelino i soggetti maggiormente vulnerabili, ma si estenda ad assicurare che la protezione di tali soggetti sia effettiva, evidenziando che l'inerzia delle autorità nell'applicare tali disposizioni di legge si risolve in una vanificazione degli strumenti di tutela in esse previsti.
6. Andando, adesso, ad esaminare il profilo del danno risarcibile, ritiene il Tribunale che il ricorrente non abbia diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.
Il testo vigente ratione temporis della legge 117/1988 limitava - art. 2, comma 1- il risarcimento dei danni non patrimoniali solo a quelli derivanti da privazione della libertà personale.
Eccettuata tale ipotesi, era possibile accedere all'azione risarcitoria soltanto se il fatto censurato fosse foriero di danno patrimoniale (cfr, in tale senso, Cass.n. 11293/2005, Cass. n. 6697/2003).
Non è condivisibile quindi l'impostazione difensiva del ricorrente secondo cui la norma in menzione andrebbe letta secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, in conformità a quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riguardo all'art. 2059 c.c. (Ndr: testo originale non comprensibile) essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge".
Con le c.d. "sentenze gemelle" dell' 11.11.2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno adottato una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., stabilendo che "Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 cod. civ., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità" (cfr Cass. civ. S.U. 11.11.2008, n. 26972).
Il danno non patrimoniale è risarcibile negli specifici casi determinati dalla legge o, quando i casi non siano specificati per legge, in via di interpretazione, dal giudice chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria.
Per quanto concerne la responsabilità civile dei magistrati, la legge n. 117/1988 limita espressamente il risarcimento dei danni non patrimoniali a quelli che derivino da privazione della libertà personale, con esclusione evidentemente di altre casistiche; tant'è vero che solo nel nuovo testo della legge 117/1988, in seguito alla riforma operata dalla legge 18/2015, è stata esclusa la limitazione ai danni non patrimoniali derivanti "da privazione della libertà personale", introducendo una previsione generale che può ovviamente operare solo per il futuro e che non è, quindi, applicabile al caso in esame.
6.1 Il ricorrente ha diritto, invece, al risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato godimento, da parte della prole della (omissis...) di una porzione del reddito percepito dalla madre sino al raggiungimento della loro indipendenza economica.
Il ricorrente ha dedotto che la (omissis...) lavorava quale geometra presso lo Studio Tecnico (omissis...) percependo un reddito mensile medio di Euro 950,00-1.050,00 e che destinava circa Euro 300,00 mensili per la cura di ciascun figlio.
Le allegazioni del ricorrente non sono state oggetto di contestazione alcuna da parte del resistente.
Ritiene tra l'altro il Tribunale che la richiesta di Euro 259.200,00 a titolo di danno patrimoniale sia stata formulata sulla scorta di criteri di stima assolutamente condivisibili, tenuto conto dell'età della prole al momento della uccisione della madre (6,5, e 3 anni), che è ragionevole presumere che la donna destinasse la maggior parte del proprio reddito ( non ingente) alle esigenze della prole e che l'obbligo di mantenimento si sarebbe protratto sino al presumibile raggiungimento dell'indipendenza economica dei figli, fissata nell'età media di anni 28, in considerazione della durata dell'ordinario percorso di studi e del successivo inserimento nel mondo del lavoro.
6.2 Ciò posto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore deve essere condannata al pagamento, a favore del ricorrente, della somma di Euro 259.200,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria, oltre interessi di legge sulla somma devalutata al momento dell'evento dannoso (3.10.2007) e via via rivalutata anno per anno (cfr Cass. S.U. n. 1712/1995).
7. Le spese del giudizio di Cassazione, tenuto conto delle complessità e controvertibilità delle questioni trattate in tema di ammissibilità del giudizio e del termine di decadenza della proposta azione, possono essere interamente compensate tra le parti.
7.1 Le spese del presente giudizio seguono invece la soccombenza e devono essere liquidate come da dispositivo, secondo il D.M. 55/14, scaglione di valore sino ad Euro 520.000,00, importi compresi tra i medi ed i massimi, tenuto conto della particolare complessità della controversia.
P.Q.M.
- In accoglimento della domanda svolta dal ricorrente, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore al pagamento, a favore del ricorrente, della somma di Euro 259.200,00, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria, oltre interessi legali sulla somma devalutata al momento dell'evento dannoso (3.10.2007) e via via rivalutata anno per anno;
- compensa le spese di lite del giudizio svoltosi innanzi alla Corte di Cassazione;
- condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore al pagamento, a favore del ricorrente, delle spese del presente giudizio (omissis...).
Così deciso in Messina nella camera di consiglio del 30.05.2017.
23-08-2017 14:47
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