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Sentenza

Il padre non risponde dell’illecito del figlio maggiorenne...
Il padre non risponde dell’illecito del figlio maggiorenne
Cassazione civile, sez. II, sentenza 17 dicembre 2018, n. 32579
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 giugno – 17 dicembre 2018, n. 32579
Presidente Petitti – Relatore Marcheis
Fatti di causa
1. Nel 2006 K.J. citava in giudizio il fratello K.F. davanti al Tribunale di Bolzano chiedendo - per quanto
rileva in questo giudizio di legittimità - di accertare che l'area gravata da una servitù di parcheggio
(costituita con contratto datato 2 aprile 1987) in favore del fondo di proprietà del convenuto era in gran
parte occupata dall'allargamento di una strada comunale e che il convenuto non aveva diritto di
parcheggiare sulla restante area del fondo dell'attore e conseguentemente di inibire al convenuto di
parcheggiare veicoli sulla predetta area, nonché di condannare il convenuto al risarcimento dei danni. Il
convenuto costituendosi resisteva alle domande dell'attore - deduceva che l'allargamento della strada
concerneva solo parte dell'area del parcheggio e non impediva di parcheggiare mezzi quali biciclette o
motociclette - e faceva valere domande riconvenzionali, in particolare chiedendo di condannare l'attore a
risarcire i danni causatigli da atti illeciti dal medesimo posti in essere.
Il Tribunale di Bolzano rigettava la domanda dell'attore (il convenuto aveva sempre utilizzato quale
parcheggio un'area diversa da quella individuata dal contratto, o meglio dalla piantina ad esso allegata,
istitutivo della servitù, che non era quindi stata interessata dall'allargamento della strada) e condannava,
accogliendo la riconvenzionale del convenuto, l'attore a pagare 2.000 Euro a titolo di risarcimento del
danno.
2. La sentenza è stata impugnata dall'attore. La Corte d'appello di Trento, sezione di Bolzano - con
sentenza 19 aprile 2013, n. 72 - ha accolto il primo e il quarto motivo di appello e, in riforma della
sentenza di primo grado, ha ritenuto che l'appellato utilizzava senza titolo l'area restante della particella
di proprietà dell'appellante e ha così ordinato all'appellato di astenersi dall'utilizzo dell'area non gravata
dalla servitù di parcheggio; ha inoltre ritenuto che le condotte illecite attribuite all'appellante erano state
poste in essere dal figlio maggiorenne K.A. e ha pertanto annullato il capo della sentenza che condannava
l'appellante al pagamento di 2.000 Euro, rigettando la domanda riconvenzionale di risarcimento del
danno fatta valere dal convenuto.
3. K.F. ricorre per cassazione.
K.J. resiste con controricorso, con cui chiede di dichiarare inammissibile e comunque rigettare il ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'udienza.
Ragioni della decisione
I. Il ricorso è articolato in sei motivi.
1. I primi tre motivi sono tra loro strettamente connessi:
a) Il primo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, 156, 112, 161 c.p.c.: il
dispositivo e la parte motiva della sentenza non contengono un accertamento, ossia l'individuazione
specifica del bene oggetto della controversia, così rendendo la relativa pronuncia priva di una qualsiasi
efficacia.
b) Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 191 e ss. c.p.c., 2729 e
2697 c.c.: sia in primo che in secondo grado non è stata assunta alcuna prova idonea a determinare la
consistenza e/o l'esatta collocazione della servitù.
c) Il terzo motivo fa valere violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 191 c.p.c., 2721 e 2729
c.c.: prova idonea non può essere considerata il disegno della servitù contenuto nel progetto di divisione
predisposto dal consulente tecnico d'ufficio, prova atipica da cui si può unicamente trarre una
presunzione semplice.
I motivi sono infondati. La sentenza non è sentenza dal contenuto incerto. Il dispositivo della sentenza è
chiaro: condanna il ricorrente a un non facere (obbligo di astenersi dall'utilizzo della parte dell'area di
proprietà del fratello non gravata dal diritto di parcheggio). Quanto all'individuazione dell'area
contrattualmente gravata dal diritto di parcheggio, essa - a differenza di quanto afferma il ricorrente -
non era controversa e risultava dal contratto e dall'allegata piantina: "non venivano definiti attentamente
soltanto estensione e dimensione del diritto al parcheggio; l'aggravio della p.f. 859/1 veniva delimitato
anche territorialmente" (p. 13 della sentenza impugnata). Né vale al riguardo la censura del terzo motivo,
in quanto il giudice d'appello fa riferimento a una piantina allegata al contratto istitutivo della servitù e
non al disegno predisposto dal consulente tecnico d'ufficio e il punto non è contestato dal ricorrente.
2. Il quarto motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c.: l'appellante aveva
chiesto al giudice di appello di accertare l'impossibilità dell'esercizio della servitù e il giudice ha invece
vietato di utilizzare l'area non gravata dalla servitù.
Il motivo è infondato. Da quanto risulta dalle conclusioni riportate dal medesimo ricorrente (p. 14 del
ricorso), l'appellante aveva chiesto che, "conformemente alla domanda di primo grado, deve essere
accertata l'impossibilità dell'esercizio della servitù e all'appellato deve venire vietato il parcheggio sulla
p.f. 859/1".
3. Il quinto motivo fa valere violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 ss. c.c., 112, 346 e 342
c.p.c.: il giudice di primo grado, nel dichiarare che sin dall'inizio il ricorrente non aveva potuto utilizzare
l'area del focus servitutis, ma aveva esercitato il diritto su un'altra area, avrebbe accertato in via
incidentale l'avvenuta usucapione del diritto, usucapione proposta quale mera eccezione dal ricorrente in
primo grado e poi riproposta nella comparsa di costituzione in appello e invece non valutata dalla Corte
d'appello.
Il motivo non può essere accolto. La prospettiva seguita dal giudice di primo grado, di esercizio della
servitù in luogo diverso da quello previsto dal contratto (prospettiva che non si è peraltro concretata,
come invece afferma il ricorrente, in un accertamento dell'acquisto per usucapione del diritto, cfr.
l'estratto della sentenza di primo grado riportato alle pp. 15-16 del ricorso), non è stata seguita dal
giudice d'appello. Il giudice d'appello ha, al contrario, ritenuto che solo nel 2005, con i lavori di
ampliamento della strada provinciale, il ricorrente non ha più potuto usare come parcheggio l'area
stabilita, così che l'eccezione del ricorrente è stata rigettata.
4. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 40 c.p.: K.J. era a
conoscenza del ripetersi dei comportamenti illeciti del figlio ai danni del ricorrente (parcheggio
dell'autovettura in modo da impedire al ricorrente di parcheggiare, accumulo di mucchi di neve dietro le
ruote dell'autovettura del ricorrente), ma nulla ha fatto per impedirli, così rendendosi omissivamente
responsabile.
Il motivo è infondato. Il giudice d'appello ha infatti affermato, con accertamento in fatto incensurabile
davanti a questa Corte di legittimità, che non è stato in alcun modo provato che K.J. abbia indotto il figlio
ad agire in modo illecito e non può essere ravvisata una sua "responsabilità omissiva" nei confronti degli
atti posti in essere dal figlio maggiorenne.
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese di lite sono liquidate in dispositivo e seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore del
controricorrente, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e
accessori di legge.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

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