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Sentenza

In tema di lavoro part-time, al di là della misura della pensione, i lavoratori ...
In tema di lavoro part-time, al di là della misura della pensione, i lavoratori con orario di lavoro part-time verticale ciclico non possono vedersi esclusi dall'anzianità contributiva "tout court" i periodi non lavorati nell'ambito del programma negoziale lavorativo concordato e l'art. 7, comma 1 della L. 11 novembre 1983, n. 638, con riferimento all'anzianità previdenziale dei lavoratori con orario part-time verticale, deve essere interpretato in conformità del principio di supremazia della normativa comunitaria rispetto a quello nazionale in contrasto con essa, ex artt. 11 e ll7 Cost.
Cass. civ. Sez. lavoro, 03/05/2018, n. 10526

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D'ANTONIO Enrica - Presidente -

Dott. RIVERSO Roberto - rel. Consigliere -

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere -

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere -

Dott. PERINU Renato - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15977-2012 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell'avvocato ANTONINO SGROI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LELIO MARITATO e CARLA D'ALOISIO, giusta mandato in atti;

- ricorrente -

contro

N.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO 1, presso lo studio dell'avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBERTO CARLINO, giusta procura in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 406/2011 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 22/06/2011 r.g. n. 467/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2018 dal Consigliere Dott. RIVERSO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato GIUSEPPE MATANO per delega verbale Avvocato ANTONINO SGROI;

udito l'avvocato ROBERTO CARLINO.
Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Cagliari, con sentenza n. 406/2011, rigettava l'appello proposto dall'INPS avverso la sentenza del tribunale che aveva accolto la domanda avanzata da N.R., dipendente della società di trasporto aereo Alitalia SPA, allo scopo di vedersi riconosciuta l'anzianità contributiva per 52 settimane per tutti gli anni durante i quali aveva lavorato in regime di part time verticale.

La Corte d'Appello, a fondamento della decisione - precisato che la N. non domandava riconoscimento di contribuzione non versata, ma il riconoscimento dell'anzianità contributiva per ciascun anno lavorato in part-time, con accredito dei soli contributi effettivamente versati distribuiti nell'arco dell'anno secondo un regime di continuità del rapporto - sosteneva che nel rapporto di lavoro a part time verticale ciclico va riconosciuta l'anzianità contributiva annuale correlata, richiamando a sostegno la specifica regolamentazione della materia nel settore pubblico (L. n. 554 del 1998, art. 8) e la pronuncia della CGUE 10.6.2010, la quale aveva affermato l'illegittimità di un trattamento deteriore del lavoratore privato in part time di tipo verticale con riferimento al computo dell'anzianità contributiva.

Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l'Inps con un unico motivo di impugnazione. N.R. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. - L'Istituto ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11. Vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Lamenta che le modalità di computo dell'anzianità contributiva ai fini del riconoscimento del diritto a pensione, con riguardo ai periodi di lavoro a tempo parziale verticale ciclico, non possono che essere considerati se non con riguardo ai periodi in cui vi è stato effettivo svolgimento dell'attività lavorativa, con corresponsione della retribuzione e del versamento della contribuzione previdenziale, senza possibilità di distribuire su tutto l'anno (anche per i periodi non lavorati) i contributi versati per i periodi lavorati, ciò in base al D.L. n. 463 del 1983, art. 7, conv. in L. n. 638 del 1983.

2. - Il ricorso è infondato alla stregua dell'univoco orientamento espresso da questa Corte di Cassazione sulla medesima questione in fattispecie identiche (confermata in numerosi arresti, v. Cass. n. 8565 del 2016, n. 24647 del 2015, n. 24535 e 24532 del 2015; nn. 21207/2016 e 21376/2016), al quale va data continuità.

3. - E' stato evidenziato, al riguardo, che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di anzianità contributiva utile per il conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori part-time, il tenore letterale del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 4 (conv. con L. n. 389 del 1989), e la sua riproposizione in termini immutati nel D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, escludono, con la puntuale indicazione che l'ambito disciplinato attiene alla "retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale", la possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo adeguativo ivi previsto all'ipotesi, del tutto diversa e disciplinata dal D.L. n. 463 del 1983, art. 7 (conv. con L. n. 638 del 1983), del sistema di calcolo dell'anzianità contributiva utile per il conseguimento del diritto alla prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale, la cui legittimità costituzionale è stata valutata positivamente da Corte Cost. n. 36 del 2012 sul rilievo che non è configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale (v. in termini Cass. n. 9039 del 2012).

4. Ha però precisato questa Corte, sempre con riferimento ai lavoratori part-time, che la questione del minimale contributivo (e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti) è questione distinta dall'anzianità previdenziale tout court e dunque dalla relativa durata, anche ai fini previdenziali, dell'attività lavorativa, che peraltro il nostro ordinamento svincola in più occasioni dall'effettiva prestazione lavorativa ed anche dalla misura dei contributi versati (Cass. nn. 23948 del 2015 e 8565 del 2016): a venire in rilievo, infatti, non è già la questione relativa al numero dei contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time, ma la possibilità che essi, quale che ne sia l'ammontare determinato D.L. n. 463 del 1983, ex art. 7, siano riproporzionati sull'intero anno cui si riferiscono, ancorchè siano stati versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso. 5.

5.- Quanto alla questione della compatibilità della normativa nazionale (L. n. 638 del 1983, art. 7) con la disciplina europea (direttiva n. 97/81) in materia, è stato rilevato che la CGUE è stata investita (ai sensi dell'art. 234 CE) dalla Corte d'appello di Roma (ord. 11 aprile 2008) della questione pregiudiziale interpretativa della direttiva europea n, 97/81, con specifico riferimento al calcolo dell'anzianità contributiva dei lavoratori part time (ed in particolare con orario part time verticale ciclico dei dipendenti Alitalia) nei seguenti termini: "1) Se sia conforme alla direttiva (n. 97/81), e segnatamente alla clausola sub 4 (dell'accordo quadro ad essa allegato) sul principio di non discriminazione, la normativa dello Stato Italiano (il predetto L. n. 638 del 1983, art. 7, comma 1) che conduce a non considerare quale anzianità contributiva utile per l'acquisizione della pensione, i periodi non lavorati nel part time verticale; 2) se la predetta disciplina nazionale sia conforme alla direttiva (n. 97/81) e segnatamente: alla clausola sub 1 (dell'accordo quadro ad essa allegato) - laddove è previsto che la normativa nazionale debba facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale; alla clausola sub 4 ed alla clausola sub 5 (del summenzionato accordo quadro) - laddove impone agli Stati Membri di eliminare gli ostacoli di natura giuridica che limitino l'accesso al lavoro part time - essendo indubitabile che la mancata considerazione ai fini pensionistici delle settimane non lavorate costituisca una importante remora alla scelta del lavoro part time - nella forma del tipo verticale -; 3) se la clausola 4 (del summenzionato accordo quadro) sul principio di non discriminazione possa estendersi anche nell'ambito delle varie tipologie di contratto part time, atteso che nell'ipotesi di lavoro a tempo parziale orizzontale, a parità di un monte ore lavorato e retribuito nell'anno solare, sulla base della legislazione nazionale, vengono considerate utili tutte le settimane dell'anno solare, differentemente dal part time verticale".

6. - La CGUE, con sent. 10/6/2010 (procedimenti riuniti C- 395/08 e C- 396/08), considerato che dal testo della clausola 1, lett a), dell'accordo quadro risulta che uno degli oggetti di quest'ultimo è "di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale" e che, analogamente, al suo secondo comma, il preambolo dell'accordo quadro precisa che quest'ultimo "rappresenta la volontà delle parti sociali di definire un quadro generale per l'eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e per contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale, su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori", obiettivo questo che viene sottolineato anche dall'undicesimo "considerando" della direttiva 97/81; evidenziato il riferimento operato dalla clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro, al principio del pro rata temporis (che consente una riduzione proporzionata delle spettanze pensionistiche, v., in tal senso, le sentenze Schonheit e Becker, cause riunite C- 4/02 e C- 5/02, punti 90 e 91, nonchè Gomez- Limon SMichez-Camacho, sentenza del 4.12.08, causa 537/07, punto 59), ha affermato, proprio con riferimento ai lavoratori a part time cidico dei dipendenti Alitalia, che il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno (di cui alla direttiva europea n. 9791) implica che l'anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati, posto che il lavoro a tempo parziale costituisce un modo particolare di esecuzione del rapporto di lavoro, caratterizzato dalla mera riduzione della durata normale del lavoro. Tale caratteristica non può, peraltro, essere equiparata alle ipotesi in cui l'esecuzione del contratto di lavoro, a tempo pieno o a tempo parziale, è sospesa a causa di un impedimento o di un'interruzione temporanea dovuta al lavoratore, all'impresa o ad una causa estranea. Infatti, i periodi non lavorati, che corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto di lavoro a tempo parziale, discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua sospensione.

La CGUE ha anche chiarito che il lavoro a tempo parziale non implica un'interruzione dell'impiego (v., per analogia con l'impiego a tempo frazionato, sentenza 17 giugno 1998, causa C- 243/95, Hill e Stapleton, Racc. pag. I- 3739, punto 32). Ha quindi concluso che la clausola 4 dell'accordo quadro dev'essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive. A tal riguardo deve considerarsi che esse non possono individuarsi nella corrispondente contribuzione ridotta, propria del lavoro part time, incidendo ciò peraltro sulla misura della pensione e non sulla durata del rapporto, valutato altresì che le considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica, o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o possono aver avuto un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale, non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori, se è direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e se il suo importo è calcolato in base all'ultima retribuzione (v. sentenza Schtinheit e Becker).

La CGUE ha del resto evidenziato che risulta discriminatorio (in quanto basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale), che sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale maturi l'anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno, con la conseguenza che una normativa come quella di cui trattasi nella causa principale (la predetta L. n. 638 del 1983, art. 7, comma 1), tratta i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo pieno comparabili, e ciò per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, inducendo a differire nel tempo la data di acquisizione del loro diritto alla pensione in una proporzione uguale a quella della riduzione del loro orario di lavoro, rispetto a quello di lavoratori a tempo pieno comparabili. Questi effetti sono stati parimenti ritenuti dalla CGUE manifestamente in contrasto con l'obiettivo dell'accordo quadro, che consiste nell'agevolare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale.

7. - Si è quindi concluso che, al di là della misura della pensione, i lavoratori con orario di lavoro part time verticale ciclico, non possono vedersi esclusi dall'anzianità contributiva tuot court i periodi non lavorati nell'ambito del programma negoziale lavorativo concordato, e che in tal senso, in conformità del principio di supremazia della normativa comunitaria rispetto a quella nazionale in contrasto con essa (ex artt. 11 e 117 Cost), deve essere interpretato (deve infatti considerarsi che il primato del diritto europeo non incide sulla validità delle norme interne, ma riguarda la loro applicazione) il ridetto L. n. 638 del 1983, art. 7, comma 1, con riferimento all'anzianità previdenziale dei lavoratori con orario part time verticale. Nè occorre sollevare alcuna questione di legittimità costituzionale della norma in esame, prevalendo senz'altro l'applicazione del diritto europeo (C. Cost n. 284/07).

8. La stessa soluzione è stata pure affermata da codesta Corte attraverso un diverso iter argomentativo articolato sulla scorta di principi immanenti nel nostro ordinamento in tema di rapporto di lavoro a tempo parziale. In quanto il canone secondo cui, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, non si possono escludere i periodi non lavorati dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, costituisce logica conseguenza del principio per cui, nel contratto a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta (cfr. in termini Corte Cost. n. 121 del 2006): prova ne sia che ai lavoratori impiegati secondo tale regime orario non spettano per i periodi di inattività nè l'indennità di disoccupazione (Cass. S.U. n. 1732 del 2003), nè l'indennità di malattia (Cass. n. 12087 del 2003), essendo quest'ultima correlata ad una perdita di retribuzione che, nel periodo di inattività, non è dovuta per definizione. In altri termini, se è vero che il rapporto di lavoro a tempo parziale verticale assicura al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione (così ancora Corte Cost. n. 121 del 2006, cit.), non è meno vero che ciò è logicamente possibile a condizione di interpretare il cit. D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11 (secondo il quale, com'è noto, ai fini della determinazione del trattamento di pensione l'anzianità contributiva "inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale" va calcolata "proporzionalmente all'orario effettivamente svolto"), nel senso di ritenere che l'ammontare dei contributi cit. D.L. n. 463 del 1983, determinato ex art. 7, debba essere riproporzionato sull'intero anno cui i contributi si riferiscono: diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell'anzianità contributiva. E non v'ha dubbio che codesta possibile disparità di trattamento genererebbe sospetti di illegittimità costituzionale ex art. 3 Cost., comma 1, dal momento che, pur potendo concedersi che l'esclusione delle indennità di carattere previdenziale potesse in passato parzialmente giustificarsi in ragione della volontarietà della scelta del tempo parziale e della consequenziale impossibilità di considerare i periodi di pausa come disoccupazione involontaria (così Cass. S.U. n. 1732 del 2003, cit., sulla scorta del D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 1: ma appunto parzialmente, visto che la medesima volontarietà della scelta del tempo parziale non aveva impedito a Corte Cost. n. 160 del 1974 di dichiarare l'illegittimità costituzionale del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 76, che negava l'indennità di disoccupazione ai lavoratori stagionali), l'assenza di tutela previdenziale trova in realtà ben più solido fondamento oggettivo nella natura continuativa del rapporto instaurato inter partes, ciò che adesso risulta confermato dalla sopravvenuta abrogazione della possibilità (già prevista dal cit. D.L. n. 726 del 1984, art. 5) che il lavoratore a tempo parziale si iscriva nelle liste di collocamento durante i periodi di pausa della prestazione (cfr., D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 11, lett. a).

8. - Alle considerazioni che precedono, deve aggiungersi che col recente D.Lgs n. 81 del 2015, è stato definitivamente chiarito, in modo conforme al diritto comunitario, che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa (art. 7, comma 2); in particolare, per quanto qui interessa, che (art. 11, comma 1) "Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all'orario effettivamente svolto, l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale", ed ancora che (comma 4): "Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l'anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all'orario effettivamente svolto, l'anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale". Trattasi di normativa di adeguamento della disciplina nazionale al diritto comunitario in materia, che conforta la soluzione qui adottata.

9. - Pertanto il ricorso va respinto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l'INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 3200 di cui Euro 3000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2018
Avv. Antonino Sugamele

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