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Sentenza

L'esistenza di uno ius in re (come l’usufrutto) sulla cosa venduta legittima il ...
L'esistenza di uno ius in re (come l’usufrutto) sulla cosa venduta legittima il compratore, che non ne abbia avuto conoscenza al momento della conclusione del contratto, a far valere la risoluzione di quest'ultimo o una riduzione del prezzo, anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell'onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sul bene. In tale ipotesi, peraltro, la risoluzione non può essere automaticamente pronunziata dovendosi stabilire, secondo le circostanze, che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall'onere.
Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 20/09/2018) 22-02-2019, n. 5336


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina - Presidente -

Dott. GORJAN Sergio - Consigliere -

Dott. TEDESCO Giuseppe - Consigliere -

Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere -

Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14361/2014 R.G. proposto da:

V.E., V.G., V.P., M.S., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall'avv. Nicola Rocco, con domicilio eletto in Roma, via Tacito 50, presso l'A.I.G.A. (Associazione italiana giovani avvocati);

- ricorrenti -

contro

DELCO S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall'avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) in forza di procura speciale per notaio L.I.G. di Vasto del (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma, viale Mazzini 6, presso lo studio dell'avv. Stefano Lupis;

- controricorrente e ric. incidentale -

avverso la sentenza della Corte d'appello dell'Aquila n. 629, depositata il 19 giugno 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20 settembre 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

uditi gli avv. Cerino Mascia, per delega, peri ricorrenti, e l'avv. LUPIS, per delega, per la controricorrente.
Svolgimento del processo

La società Delco S.r.l. conveniva in giudizio davanti al tribunale di Vasto V.P. e M.S., in proprio e quali esercenti la potestà sui figli minori V.E. e V.G..

Li conveniva inoltre quali procuratori di R.V..

L'attrice esponeva di avere sottoscritto in data 28 febbraio 2002 con i convenuti, nella qualità di legali rappresentanti dei figli minori, un contratto preliminare di permuta di un terreno in (OMISSIS), esteso mq. 1,800, località (OMISSIS), da frazionare da fondo di maggiore consistenza, il cui atto pubblico di trasferimento avrebbe dovuto essere stipulato entro il 15 maggio 2002.

A titolo di corrispettivo la società acquirente si era impegnata a cedere ai promittenti alienanti una sezione di immobile da costruire del valore economico di Euro 206.582,75.

L'attrice precisava:

che il bene promesso in permuta era pervenuto ai minori in forza di successione testamentaria di M.L.;

che essa, in previsione del trasferimento, aveva iniziato a predisporre la progettazione del fabbricato da costruirsi, anticipando i relativi costi;

che il notaio incaricato della stipula aveva rilevato che i minori non potevano disporre liberamente del terreno promesso in permuta, in quanto il testatore aveva disposto in loro favore della sola nuda proprietà, appartenendosi l'usufrutto sul medesimo bene a tutti gli eredi legittimi di M.L., e cioè il coniuge R.V. e i figli M.S. e M.G.;

che i coniugi V. non erano stati in grado di rendere disponibile la proprietà del terreno, non essendo riusciti a procurare, nel termine fissato per la stipula del contratto definitivo, il consenso di tutti gli aventi diritto.

L'attrice, pertanto, chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare, per fatto e colpa dei convenuti, con la condanna degli stessi al pagamento della penale, pattuita per il caso di inadempimento, pari a Euro 80.000,00, oltre al rimborso delle spese anticipate in previsione del trasferimento di Euro 41.250,39.

I convenuti si costituivano e replicavano di non avere conseguito la rappresentanza processuale di R.V., per cui la loro costituzione in giudizio doveva intendersi limitata ai soli figli minori.

Essi deducevano che l'impedimento accampato dalla società attrice era inesistente, perchè gli eredi legittimi del testatore avevano prestato acquiescenza al testamento, rinunciando espressamente all'azione di riduzione.

Negavano inoltre l'inadempimento e, in ogni caso, la sua gravità, ponendo in luce che l'acquirente aveva avuto la possibilità di esaminare il testamento prima della sottoscrizione del contratto preliminare. Conseguentemente non competeva all'acquirente l'azione di risoluzione, ma al limite la facoltà di sospendere il pagamento del prezzo ovvero pretendere dai permutanti la prestazione di idonea garanzia.

Il Tribunale di Vasto accoglieva la domanda, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 116.179,70, oltre alle spese processuali.

Contro la sentenza proponevano appello sia M.S. e V.P., sia V.G. e V.E., nel frattempo diventati maggiorenni.

La Corte d'appello dell'Aquila accoglieva parzialmente il gravame.

Essa rilevava che l'attrice aveva proposto le domande di risoluzione e di risarcimento del danno nei confronti dei convenuti nella loro qualità di rappresentanti legali dei figli minori e di rappresentanti volontari di R.V.. Tuttavia, i convenuti, nel costituirsi in giudizio, avevano dichiarato di avere agito nel preliminare, quanto alla R., in assenza di procura.

Nonostante tale precisazione l'attrice aveva mantenuto ferma la domanda originaria, prospettando, a termini di preclusione scaduti, il diverso titolo di responsabilità previsto dall'art. 1398 c.c., per avere i convenuti agito in carenza di potere rappresentativo.

Trattandosi di domanda diversa il tribunale non avrebbe potuto accoglierla, ma avrebbe dovuto dichiararla inammissibile.

La corte rilevava ancora che il testamento di M.L. disponeva in favore dei minori della sola nuda proprietà del terreno oggetto della programmata permuta, senza nulla prevedere con riguardo all'usufrutto. Era vero che nel testamento c'erano altri lasciti, compresa una disposizione di usufrutto in favore di R.V., tuttavia questa riguardava un bene diverso, il che impediva di accedere all'interpretazione sostenuta dagli appellanti, secondo cui la disposizione di usufrutto in favore della R. riguardava anche il terreno lasciato ai minori.

Da tale ricostruzione della volontà testamentaria conseguiva, secondo la corte di merito, che il testatore, a prescindere dalla qualificazione delle disposizioni testamentarie come istituzione di erede o legati, non aveva disposto della totalità del proprio patrimonio, con conseguente apertura della successione legittima relativamente ai beni e diritti non compresi nella scheda, in particolare l'usufrutto sul terreno oggetto della promessa di vendita.

Conseguiva ulteriormente che i promittenti venditori, i quali non avevano procurato entro la data fissata per la conclusione del definitivo il consenso di M.G., erano inadempimenti e ciò giustificava la risoluzione del contratto, in applicazione delle norme stabilite negli artt. 1478 e 1480 c.c..

La corte riformava la sentenza in ordine alla misura del risarcimento, limitandolo alla penale, non essendo stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore.

Per la cassazione della sentenza V.E., V.G., V. e M.S. hanno proposto ricorso, affidato a quattro motivi.

La Delco S.r.l. ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 457, 564, 1362 e 1367 c.c..

Il testamento di M.L., correttamente interpretato, non aveva dato luogo a una vocazione testamentaria parziale, tale da determinare la concorrente apertura della successione legittima.

Infatti il testatore ha disposto dell'intero suo patrimonio.

In ogni caso, M.G. aveva prestato acquiescenza al testamento, rinunciando all'azione di riduzione, il che rendeva superflua la sua partecipazione all'atto definitivo, in guisa che la mancanza del consenso di lui non costituiva inadempimento.

Il motivo è infondato.

La corte di merito ha riconosciuto che il testatore non aveva disposto della totalità dei propri beni. In particolare, con riferimento al terreno sito in località Incoronata di Vasto, ha ritenuto che il testatore avesse disposto della sola nuda proprietà e non anche dell'usufrutto, che si devolveva quindi agli eredi legittimi.

Al fine di giustificare la devoluzione dell'usufrutto secondo le norme della successione intestata, la corte di merito ha chiarito che non occorreva approfondire l'indagine circa la natura, di legati o di istituzione di erede, delle disposizioni testamentarie.

L'una e l'altra conclusione sono giuridicamente corrette.

La successione legittima può aprirsi talvolta anche in presenza di disposizioni testamentarie, quando il testatore abbia provveduto solo per una parte dei suoi beni (art. 457 c.c., comma 2) (Cass. n. 6190/1984; n. 6697/2002). Se poi il testamento contiene solo disposizioni a titolo particolare, i soli eredi sono quelli legittimi, soggetti ai pesi loro imposti dal testamento (Cass. n. 15239/2017; n. 2968/1997).

D'altra parte sono gli stessi ricorrenti a evidenziare che il legato di nuda proprietà non presuppone necessariamente un contemporaneo legato di usufrutto in capo ad altro soggetto. L'usufrutto costituirà infatti oggetto di devoluzione legittima.

L'ipotesi è considerata in dottrina in riferimento al diritto di rappresentazione, in rapporto alla limitazione prevista nell'art. 467 c.c., comma 2. Si sostiene che l'esclusione della successione per rappresentazione in caso di usufrutto o di altro diritto di natura personale è disposta dalla norma solo per la successione testamentaria, senza possibilità di applicazione del principio alla successione legittima. Pertanto, in base a questa opinione, per l'usufrutto si potrà avere la devoluzione a favore dei discendenti del chiamato ex lege che non possa o non voglia accettare.

L'ulteriore argomento utilizzato dai ricorrenti, che i chiamati ex lege, compreso il supposto contitolare dell'usufrutto M.G., avevano prestato acquiescenza al testamento, "rinunciando espressamente ad ogni azione di riduzione che loro spettasse uno nei confronti dell'altro", è irrilevante ai fini di escludere il concorso della successione legittima con la successione testamentaria nei termini ravvisati dalla sentenza impugnata.

La rinuncia all'azione di riduzione (o l'inammissibilità della stessa azione per difetto di accettazione beneficiata ex art. 564 c.c.) impediva al rinunciante di agire contro i beneficiari delle disposizioni testamentarie, ma non gli impediva l'acquisto, quale erede ex lege, dei beni dei quali il testatore non aveva disposto.

Insomma, sotto veste della violazione degli artt. 457 e 564 c.c., i ricorrenti censurano in realtà l'interpretazione della volontà testamentaria da parte della corte di merito.

Così inteso il significato della censura è agevole replicare che il relativo giudizio attiene a una questione di fatto, riservato alla competenza esclusiva del giudice di merito, che è soggetto, in sede di cassazione, a controllo, e quindi a censura, non per la sua sostanziale esattezza o erroneità, da verificarsi in base a rinnovata interpretazione della dichiarazione considerata, bensì soltanto per ciò che attiene alla sua legittimità, e cioè alla conformità a legge dei criteri ai quali è adeguato e alla compiutezza, coerenza e conformità a legge della giustificazione datavi (Cass. n. 7422/2005; n. 5604/2001; n. 7634/1986; n. 6190/1984).

La corte d'appello ha preso in esame la scheda e sulla base del contenuto letterale di essa ha ritenuto che, relativamente al terreno promesso in permuta, il testatore avesse disposto della sola nuda proprietà; ha ritenuto inoltre che la disposizione di usufrutto in favore del coniuge riguardasse il solo villino.

Ha aggiunto che la scheda rilevava che il testatore aveva ben chiara "la differenza fra piena proprietà, nuda proprietà e usufrutto".

Tale interpretazione, coerente con il contenuto letterale del testamento e non affetta da errori di diritto, è incensurabile in questa sede.

E' stato già chiarito che gli argomenti che i ricorrenti pretendono di trarre dalla rinuncia dei chiamati ex lege all'azione di riduzione sono palesemente irrilevanti.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1478, 1479, 1481 e 1489 c.c., artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c..

La corte ha errato nel ritenere adattabile al caso di specie la disciplina prevista dagli artt. 1478 e 1480 c.c..

Infatti gli unici rimedi teoricamente nella disponibilità del compratore erano quelli previsti dall'art. 1481 o dall'art. 1489 c.c. per l'ipotesi di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi.

Il motivo è fondato.

La corte ha considerato la fattispecie alla stregua di un preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui, in particolare di un fondo indiviso.

Ciò risulta con evidenza dai richiami di giurisprudenza operati dalla sentenza. La corte di merito ha fatto applicazione del principio che il promittente venditore di cosa comune resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva (Cass. n. 26367/2010; Cass. n. 13987/2010).

Conseguentemente, qualora alla scadenza del termine fissato il promittente venditore non sia stato in grado di procurare l'acquisto della proprietà del bene, il diritto alla risoluzione del contratto e all'eventuale risarcimento del danno spetta anche al compratore consapevole della altruità della cosa (Cass. n. 2656/2001; Cass. n. 1149/1993), nè occorre indagare se egli avrebbe stipulato il contratto qualora avesse saputo della comunione (cfr. Cass. n. 431/1958).

Tuttavia, nel caso in esame, non si trattava di vendita di cosa comune, ma di cosa gravata da usufrutto e il mancato consenso si riferiva a uno dei contitolari dell'usufrutto.

L'ipotesi ricade sotto la previsione dell'art. 1489 c.c., che riconosce al compratore la possibilità di domandare la risoluzione oppure la riduzione del prezzo, conformemente alla disposizione dell'art. 1480 c.c., nelle ipotesi in cui la cosa risulti gravata da oneri o da diritti di godimento non apparenti, dal medesimo ignorati e non dichiarati dal venditore, che limitino il godimento della cosa stessa (Cass. n. 2398/1986).

La norma quindi esclude cha la risoluzione possa essere pronunciata automaticamente.

"L'esistenza di uno ius in re sulla cosa venduta legittima ex art. 1489 c.c. il compratore, che non ne abbia avuto conoscenza al momento della conclusione del contratto, a far valere la risoluzione di quest'ultimo o una riduzione del prezzo anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell'onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sul bene. In tale ipotesi, peraltro, la risoluzione non può essere automaticamente pronunziata dovendosi stabilire, ai sensi dell'art. 1480 cod. civ., secondo le circostanze, che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall'onere" (Cass. n. 2890/1984).

L'usufrutto rientra certamente nell'ambito di operatività della norma (cfr. Cass. n. 29367/2011; Cass. n. 2285/1980), che è "applicabile anche alla promessa di vendita" (Cass. n. 11757/1992; conf. n. 1781/1994; n. 19812/2004).

E' evidente quindi l'errore in cui è incorsa la corte di merito, là dove ha accordato al promissario compratore la risoluzione del contratto quale conseguenza automatica del mancato consenso dell'usufruttuario, mentre i presupposti della risoluzione andavano verificati ai sensi dell'art. 1489 c.c. e della norma da questo richiamata dell'art. 1480 c.c..

3. L'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale comporta l'assorbimento del terzo motivo, che denuncia violazione degli artt. 345 c.p.c., artt. 1382, 1455, 1362, 1363 e 1366 c.c., nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto assiomaticamente grave l'inadempimento e ha riconosciuto il diritto del compratore a conseguire la penale prevista per l'ipotesi del mancato perfezionamento del contratto definitivo; comporta l'assorbimento anche del quarto motivo che denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (la corte ha condannato in proprio V.P. e M.S. nonostante abbia riconosciuto che gli stessi non avrebbero potuto essere chiamati in giudizio nella veste di procuratori di R.V. e pur avendo condannato i minori, originariamente rappresentati dai genitori, costituitisi in proprio una volta divenuti maggiorenni).

4. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 1382 e 1383 c.c..

Il motivo censura la sentenza là dove ha negato all'acquirente il rimborso delle spese sostenute in vista del trasferimento.

Il secondo motivo denuncia dell'art. 183 c.p.c..

Il richiamo dell'art. 1389 c.c. non dava luogo a domanda nuova, ma costituiva una diversa qualificazione giuridica della originaria domanda.

Anche tali motivi rimangono assorbiti in conseguenza dell'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale.

5. La sentenza, pertanto, è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d'appello dell'Aquila in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e liquiderà le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie il secondo; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo del ricorso principale accolto; rinvia alla Corte d'appello dell'Aquila in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2019
Avv. Antonino Sugamele

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