Marsala. Finisce in Tribunale una tabaccheria contesa.
Tribunale Marsala, Sent., 03-07-2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE di MARSALA
SEZIONE CIVILE
In composizione monocratica e in persona della dott.ssa Caterina Greco
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 3226/2017 R.G.
Oggetto: Altri contratti atipici
vertente
tra
A.M. (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. MONTELEONE GIUSEPPE
attore
e
M.R.M.A. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. RENDA WALTER e SIGNORELLO GIULIO
Convenuta
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato il 07.12.2017 l'attore indicato in epigrafe ha convenuto in giudizio M.R.M.A. chiedendo l'accertamento della sussistenza di una società di fatto o, in subordine, di un'associazione in partecipazione a suo dire stipulata con la convenuta, finalizzata all'acquisto e, successivamente, alla gestione di una rivendita di tabacchi, ubicata in M. nella C/da S. M. R., n. 112; per l'effetto, ha chiesto condannarsi la convenuta alla corresponsione in suo favore della somma corrispondente al 50% degli utili prodotti dalla suddetta attività, somma richiesta altresì, in via subordinata, a titolo di risarcimento dei danni provocati dalla sua ingiusta estromissione dalla società; all'uopo ha dedotto di avere sottoscritto, insieme alla convenuta, il 4/12/2013, presso il Notaio D.P. di Marsala, il preliminare di compravendita avente ad oggetto l'acquisto della rivendita di generi di monopolio n.26 e ricevitoria lotto n. 1121, codice (...), sita in M., contrada San Michele Rifugio n. 112; di aver subito corrisposto metà dell'importo della caparra confirmatoria di Euro 40.000,00, essendo stata l'altra metà pagata dalla M.; che la restante parte del prezzo (pari a complessivi Euro 280.000,00, di cui Euro 160.000,00 da pagarsi all'atto del rogito ed Euro 80.000,00 con assegni periodici di Euro 2.000,00 mensili "a partire dall'immissione in possesso a pieno titolo da parte dell'AAMS dei nuovi titolari") era stata anch'essa in parte corrisposta dall'A., quanto a Euro 50.000,00, mediante diversi versamenti effettuati, nel corso del mese di marzo 2014, su un conto corrente aperto presso il Credem di Marsala, cointestato alle parti (n. (...)); quanto all'ulteriore importo di Euro 30.000,00, lo stesso sarebbe stato dall'attore mediante stipula di un mutuo chirografario; quest'ultimo era stato, invero formalmente intestato alla M., ciò trovando spiegazione alla luce della necessità che la relativa licenza, ai sensi della L. n. 1293 del 1957 e del D.P.R. n. 1074 del 1958, fosse intestata ad una ditta individuale; dunque, non potendo la relativa gestione rivestire la forma societaria, con essa, tutti i negozi che apparivano funzionali al suo acquisto ed alla sua gestione dovevano essere intestati alla medesima ditta; ciò nondimeno, l'A., la di lui moglie ed il marito della M., avevano assunto la veste di garanti del predetto mutuo e lo stesso A. avrebbe di seguito provveduto a restituire le rate di mutuo mediante accredito sul conto corrente intestato alla M. (n. (...)), dell'importo mensile di Euro 578,50, oltre che con il versamento di un importo di Euro 500,00 al mese in favore del G. per consentirgli di restare indenne dalla cessione del quinto dallo stesso attivata in restituzione del mutuo.
Ha aggiunto che, per eludere il divieto di gestione in forma societaria, le stesse parti avevano incaricato il notaio Pizzo di redigere un atto di costituzione di associazione in partecipazione, che tuttavia la M. si era rifiutata di sottoscrivere, preferendo assumere l'A. con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, non corrispondente, in realtà, all'effettiva modalità di collaborazione espletata dallo stesso, a suo dire piuttosto sussumibile nel paradigma della società di fatto: all'uopo ha, tra l'altro, dedotto che lo stesso, oltre ad essere cointestatario con la M. di un conto corrente (il n.(...)) aperto presso il C.E., utilizzato per le operazioni inerenti la vicenda in esame, aveva altresì delega ad operare (unitamente a R.L.L., moglie dell'attore, ed a F.G., marito della M.) su altro conto (il n.(...)) intestato alla sola ditta individuale M.R.M.A.; ha, ancora, aggiunto di non aver mai incassato le somme indicate in busta paga, i cui assegni venivano incassati il giorno stesso o quello immediatamente successivo all'emissione e contestualmente riversati sul c/c n. (...), unitamente agli incassi realizzati dalla rivendita in giornata; che, ancora, con cadenza mensile, le parti procedevano alla suddivisione in parti uguali del ricavato dall'attività, depurato dalle spese.
Costituitasi in giudizio, la convenuta ha contestato la domanda attrice chiedendone il rigetto.
La causa è stata istruita con l'interrogatorio formale della convenuta, con l'assunzione di prova per testi e con l'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti; indi, è stata posta in decisione sulle conclusioni dalle stesse rassegnate, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
In via preliminare, un breve cenno si impone quanto all'eccezione di incompetenza funzionale sollevata dalla convenuta, questione che va esaminata nonostante sia stata rinunciata dalla parte, afferendo ad un'ipotesi di competenza inderogabile, sottratta alla disponibilità delle parti: a tal proposito appare, ad ogni modo, sufficiente rilevare come la dedotta competenza funzionale della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Palermo qui non si profili, avendo la domanda ad oggetto l'accertamento della sussistenza di una società di fatto, dunque di una società di persone sussumibile nel paradigma della società semplice o della società in nome collettivo irregolare, tipi societari non rientranti nell'ambito di competenza disegnato dall'art. 3 del D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, così come sostituito dall'art. 2, co. 1, lett. d), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1.
Venendo, dunque, al merito, ed in relazione alla domanda di accertamento della sussistenza di una società di fatto tra le parti, appare utile ricordare come elementi essenziali di ogni tipo societario sono la previsione dell'esercizio in comune di una determinata attività economica e la conseguente costituzione di un "fondo comune" - vincolato all'esercizio collettivo dell'attività predetta - costituito mediante conferimento da parte di ciascuno dei soci; si è ancora precisato che "L'esistenza di una qualunque società, semplice, di persone, di capitali, regolare, irregolare, e quindi anche di una società di fatto, richiede il concorso di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi, con la formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell'esercizio collettivo di un'attività imprenditoriale. Tale comune intenzione costituisce il contratto sociale, senza del quale la società, qualsiasi società, non può esistere. Quel che caratterizza la società di fatto, e la differenzia dalla società irregolare, non è dunque la mancanza del contratto sociale, ma il modo in cui questo si manifesta e si esteriorizza; esso infatti può essere stipulato anche tacitamente, e risultare da manifestazioni esteriori dell'attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l'esistenza della società." (Cass. n. 1961 del 22/02/2000 e successive conformi).
Si impone, a questo punto, una prima precisazione: il piano della sussistenza del patto sociale, indispensabile ai fini del riconoscimento della produzione degli effetti nei rapporti tra i soci, è diverso da quello, invece, sufficiente a rendere opponibili tali effetti nei confronti dei terzi; a tale scopo, infatti, rilevano piuttosto le manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovraindividuale consociativa, assunte non per una loro autonoma valenza, ma quali elementi apparenti e rivelatori, sulla base di una prova logica, dei fattori essenziali di un rapporto di società nella gestione dell'azienda; in tal caso, ciò che viene in considerazione non sono gli elementi essenziali del contratto di società (costituzione di un fondo comune ed "affectio societatis") in quanto tali, rilevanti esclusivamente nei rapporti interni, ma l'esteriorizzazione del vincolo sociale, rilevante, invece, nei rapporti esterni (cfr. Cass. n. 9604 del 13/04/2017).
In ordine, poi, ai mezzi di prova consentiti alle parti per dimostrare la sussistenza di una società di fatto, ovvero di una società di persone irregolare, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che "La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l'accertamento "aliunde", mediante ogni mezzo di prova previsto dall'ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell'esistenza di una struttura societaria, all'esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l'esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all'esercizio congiunto di un'attività economica, l'alea comune dei guadagni e delle perdite e l'"affectio societatis", cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi"; se tanto si richiede ai fini della sussistenza del vincolo societario, per la produzione dei suoi effetti tra le parti, invece, chiarisce la Corte, "è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell'art. 2297 c.c., l'esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l'idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all'esterno il ragionevole affidamento circa l'esistenza della società". (Cass. Sez. 6 n. 8981 del 05/05/2016; n. 5961/2010).
Tale premessa appare utile a sottolineare come, nel caso di specie, in cui viene in considerazione la domanda di accertamento del vincolo sociale da parte di un soggetto che assume rivestire la qualità di socio, l'onere probatorio non deve avere ad oggetto qualunque forma di esteriorizzazione del vincolo sociale nei confronti dei terzi, bensì, a monte, la sua stessa sussistenza nei suoi elementi costitutivi (fondo comune, esercizio in comune di attività economica, ripartizione dei guadagni e delle perdite, vincolo di collaborazione in vista di detta attività), la cui prova può essere raggiunta con ogni mezzo, eventualmente anche con prove orali o presunzioni (salva restando la forma scritta per i conferimenti immobiliari).
Ciò posto, non è seriamente confutabile che vi sia stata, almeno inizialmente, la volontà comune delle parti di acquistare e gestire in forma societaria la rivendita di tabacchi di che trattasi, se non altro alla luce del contratto preliminare di cessione di esercizio commerciale del 4.12.2013, nel quale le odierne parti risultano entrambe rivestire la posizione di promissari acquirenti.
Tale intenzione, già emergente da tale prova documentale, è stata poi ulteriormente confermata dall'esito della prova testimoniale.
Infatti, il notaio D.P., rogante il preliminare ed il successivo atto di cessione ha dichiarato: "Ricordo che venni incaricato di redigere un preliminare per la cessione di un esercizio commerciale, in cui i sigg. M. e A. assumevano la veste di promissari acquirenti. Si trattava di una rivendita di tabacchi, sita in M. ubicata di fronte al Bar Oasi, sulla statale per Trapani. Prima di tale redazione ho incontrato l'A. e il marito della M., forse anche quest'ultima, non ricordo bene, per assumere delle informazioni necessarie alla redazione del preliminare. Tale incontri sono proseguiti anche dopo la redazione e stipula del preliminare in vista della stipula del contratto di cessione. In tali occasioni mi fu chiarito che entrambi, A. e M., avrebbero acquistato la rivendita. Feci però loro presente che la licenza poteva essere intestata soltanto ad una persona fisica e non ad una società. Proposi loro pertanto una serie di soluzioni alternative, tra cui quella di costituire un'associazione in partecipazione; ho di fatto redatto una scrittura di tal genere, che però poi le parti non hanno più sottoscritto.... Non conosco il motivo per cui l'associazione in partecipazione non venne più sottoscritta, ritenni che le parti avessero optato per altre soluzioni. Tale scrittura venne predisposta dopo la stipula dell'atto di compravendita del 20.6.2014, che la s.v. mi esibisce e che riconosco (all. 16). ...".
Le dichiarazioni del notaio, che ebbe modo di raccogliere gli intenti negoziali delle parti, confermano, dunque, l'iniziale volontà negoziale delle parti in ordine all'esercizio comune di un'attività commerciale, intenzione la cui attuazione, tuttavia, trovava un ostacolo insormontabile nel divieto di legge di gestione in forma societaria del genere di attività in discorso, divieto che venne espressamente rappresentato alle parti dal notaio.
Orbene, il fulcro centrale della presente controversia consiste proprio nello stabilire se le "soluzioni alternative" proposte dal notaio (tra cui la costituzione di un'associazione in partecipazione), ovvero quelle altre seguite dalle parti, abbiano rappresentato per le stesse l'attuazione di un diverso ed alternativo programma negoziale, rispetto a quello originario, desumibile dal menzionato preliminare di cessione di attività commerciale, ovvero siano state dalle stesse adottate al solo scopo di dissimulare l'esercizio comune dell'attività commerciale, in dispregio al divieto di legge.
Una lettura dei fatti concorde con la prima ipotesi è stata suggerita dalle dichiarazioni rese dal teste D.F., consulente contabile e fiscale della convenuta, il quale ha dichiarato: "Sono il consulente contabile e fiscale della sig.ra M., da quando ha aperto la tabaccheria; sono stato incaricato direttamente da lei, anzi dal marito, per conto suo. Dovevano costituire una società, tra la M. ed il sig. A., per la gestione della tabaccheria; poiché ciò non era giuridicamente possibile, avrebbero dovuto costituire un'associazione in partecipazione ma poi la stessa non ebbe seguito in quanto il sig. A. venne assunto come lavoratore subordinato; per quello che ne so ciò avvenne di comune accordo, in quanto gli utili della azienda, almeno nel primo periodo, non si sarebbero potuti prelevare in quanto sarebbero andati a recuperare le spese sostenute per mettere su l'attività; spese che, per la maggior parte, erano state approntate dalla M.; anche l'A. aveva partecipato con una certa somma, credo per un terzo.
Pertanto A. preferì essere assunto per percepire regolarmente uno stipendio. Mi risulta che l'A. veniva pagato ogni mese con uno stipendio regolare in quanto il rapporto era di lavoro subordinato a tutti gli effetti. Le somme che A. aveva anticipato per la costituzione della tabaccheria sarebbero state restituite a poco a poco dalla M. che a tal fine stipulò con l'A. un contratto di prestito".
Secondo quanto riferito dal teste, dunque, il patto sociale, pur inizialmente sussistente, e confermato dalla costituzione di un fondo comune, mediante conferimenti di entrambi i soci, non avrebbe avuto successivamente attuazione, avendo l'attore preferito restare estraneo al rischio di impresa, optando per un'assunzione con contratto di lavoro subordinato e convenendo che le somme dallo stesso inizialmente conferite nel "fondo comune" venissero restituite dalla M. in virtù di un contratto di finanziamento, tra le stesse formalizzato in data 27.10.2014 (in atti).
Orbene, non pochi dubbi, in ordine a tale ricostruzione della vicenda, sorgono, in effetti, dall'esame del citato contratto di mutuo del 27.10.2014.
Nel contratto si dà, intanto, atto dei numerosi versamenti già effettuati dall'A. sia sul conto corrente cointestato allo stesso ed alla M., che su altro conto corrente intestato alla ditta individuale della stessa, cui venne intestata la rivendita di tabacchi, per un importo complessivo di Euro 75.500,00; in tale complessivo importo risultano compresi: il pagamento di Euro 20.000,00, che l'A. ha imputato al versamento di metà della caparra, eseguito in sede di stipula del preliminare; gli importi, versati nel marzo 2014 sul conto corrente n. (...), cointestato alle parti, a titolo di parte del prezzo di acquisto; la somma di Euro 4.000,00 che l'A. ha allegato di aver versato sul conto della ditta a titolo di suo contributo per le spese notarili necessarie all'acquisto della rivendita; la somma di Euro 800,00 che l'attore ha documentato di aver versato in contanti sempre sul medesimo conto corrente n. (...), in data 5.8.2014, come contributo, in ragione della metà, al pagamento della prima rata del canone di concessione dovuto all'AAMS.
Per le circostanze temporali in cui sono stati effettuati, non v'è motivo di dubitare che tutti i predetti pagamenti (la cui menzione nel contratto di finanziamento consente di ritenere, oltre che documentati, altresì non contestati) siano stati oggettivamente destinati, dapprima, all'acquisto della rivendita e, successivamente, alla sua gestione ed abbiano, dunque, trovato causa nella necessità di costituire un fondo comune necessario allo scopo sociale; al contrario appare veramente arduo ritenere che, al momento della loro esecuzione, essi fossero sorretti da una causa di finanziamento, pur dichiarata nel suddetto contratto, successivo di parecchi mesi ai versamenti in esso menzionati.
A tal proposito rilevano numerosi indizi tra loro concordanti; in primo luogo, la cointestazione del preliminare di acquisto della rivendita di tabacchi del 4.12.2013 (contestualmente al quale l'A. procedette al pagamento di metà della caparra), che li precedette; ancora, l'apertura di un conto corrente cointestato alle parti nel quale, inizialmente, i predetti versamenti confluirono nonché il loro successivo giroconto, in data 18.6.2014, sul conto corrente intestato alla M., per l'importo complessivo di Euro 129.984,00 (comprensivo delle somme ivi a suo tempo depositate anche dalla M.), onde consentire alla stessa di procedere, con mezzi finanziari apparentemente propri, al pagamento del prezzo che si sarebbe dovuto versare al momento del rogito, intervenuto in data 20.6.2014 (v. doc. 12 e 16 prod. attore); detta ricostruzione appare, ancora, confermata dalla coincidenza degli ulteriori versamenti, che la M. riconosce essere stati effettuati dall'A. nel giugno e nell'agosto del 2014, con il pagamento delle spese notarili (che il notaio ha confermato essere state, almeno in parte, corrisposte dall'A.) e con la scadenza della prima rata dovuta all'AAMS (le successive, per espressa ammissione dell'attore, sono state direttamente addebitate sul conto corrente intestato alla ditta).
Non va, peraltro, obliterato che, oltre a detti conferimenti in denaro, l'A. e la di lui moglie, unitamente al coniuge della M., si erano resi garanti del mutuo chirografario di Euro 30.000,00, intestato alla M. ed il cui importo venne accreditato sul di lei conto (n. (...)); se, per un verso, non è stata fornita prova che le rate di detto mutuo siano state pagate dall'A., come pure dallo stesso dedotto, tuttavia tale elemento vale a meglio contestualizzare le operazioni di cui s'è detto, evidenziando un indubbio interesse comune alle parti all'avvio della predetta attività commerciale.
A fronte di tale verosimile originaria causa societaria sottesa ai predetti versamenti, evidentemente diretti a costituire il "fondo comune", la successiva previsione della loro restituzione alla luce di una asserita causa di finanziamento può prestarsi a diverse interpretazioni della volontà negoziale delle parti: accanto a quella offerta dall'attore (mera simulazione del contratto di finanziamento, che tuttavia non può condividersi alla luce della pacifica circostanza che la M., a decorrere dall'inizio del piano di restituzione, ha iniziato a pagare le rate, accettate dall'A.) può, infatti, ritenersi che, con la stipula di detta scrittura, le parti abbiano inteso recedere dal contratto sociale, convertendo il titolo delle già effettuate dazioni di denaro da quello, originario, di conferimento sociale, a quello, sopravvenuto, di finanziamento; tale interpretazione, isolatamente considerata, mal si concilia, in effetti, con alcune clausole fondamentali del regolamento negoziale, segnatamente con la rinuncia della parte mutuante a qualsivoglia compenso per il prestito così accordato, espressamente "privo di interessi", e con la postergazione del piano di restituzione del capitale (in rate mensili da Euro 500,00 ciascuna) a decorrere dal 28.2.2018; non è possibile non accorgersi che il carattere assolutamente gratuito del mutuo e la presenza di una così significativa dilazione di pagamento non avrebbero consentito all'A. di conseguire alcun vantaggio da tale negozio di finanziamento, che avrebbe per ciò stesso assunto il carattere di un atto di mera liberalità, non giustificato, peraltro, da alcun qualificato rapporto personale con la parte mutuataria.
Sotto altro angolo di visuale, potrebbe riconoscersi al suddetto contratto di finanziamento una causa di garanzia: a fronte dei cospicui versamenti effettuati dall'odierno attore per l'acquisto della rivendita, infatti, l'obbligo legale di intestare la stessa ad una sola persona fisica, individuata nella M., di fatto lo avrebbe potuto estromettere dalla possibilità di percepire, in via formale ed ufficiale, gli utili di impresa, così come di esercitare tutte le prerogative proprie del socio, ivi compresa quella di ottenere la liquidazione della sua quota in caso di recesso; la forma del finanziamento, la cui restituzione veniva peraltro postergata di quattro anni rispetto alla stipula, avrebbe, dunque, consentito all'A. di poter azionare tale titolo al fine di ottenere, quanto meno, la restituzione del capitale versato, nell'ipotesi in cui l'attività non fosse proseguita ovvero il rapporto sociale si fosse incrinato o nell'ipotesi in cui la M., forte della situazione di apparenza giuridica, avesse rifiutato di riconoscergli i diritti derivanti dalla sua qualità di socio; secondo tale chiave di lettura il contratto di finanziamento avrebbe avuto efficacia solo eventuale, permanendo in vita, nel difetto dell'avverarsi delle suddette circostanze, il patto sociale, con la conseguenza che, in concreto, per come si sono succeduti gli eventi, nel caso che ci occupa, esso avrebbe acquistato efficacia a seguito della comunicazione del recesso dal contratto sociale da parte dell'A. (dicembre 2016).
Orbene, la permanenza della volontà negoziale diretta alla gestione in forma societaria dell'attività commerciale in parola (ipotizzata secondo tale ultima opzione interpretativa) e, dunque, l'attuazione del programma sociale, esige, come si è già detto, la verifica non solo della costituzione di un fondo comune, ma anche di un'effettiva assunzione da parte di tutti i soci del rischio di impresa anche mediante la partecipazione alle perdite di esercizio.
Questo requisito appare altresì necessario all'accertamento della costituzione di un'associazione in partecipazione.
Infatti, secondo consolidata giurisprudenza "La riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili, esige un'indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa, il secondo comporta un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell'associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare di colui che assume le scelte di fondo dell'organizzazione aziendale" (v. ex multis Sez. L, Sentenza n. 1692 del 29/01/2015).
Nel nostro caso, l'attore non ha fornito alcuna prova di una sua partecipazione alle perdite ed al rischio di impresa; sotto il primo profilo, assume rilievo la deposizione della di lui moglie che ha riferito: "Mi risulta che le somme che mio marito ha ricevuto nel corso della gestione della tabaccheria venivano conteggiate mese per mese ed erano pari alla differenza tra gli utili e le spese già sostenute per fare fronte ai finanziamenti contratti per avviare l'attività. Era una somma fissa ed ammontava a Euro 1.200,00 al mese. Talora, ma non sempre, sono stata presente a tali conteggi, che venivano fatti in tabaccheria."
Al di là della intuibile parziarietà della teste, che ha inteso evidentemente agevolare la posizione dell'attore riferendo di un asserito conteggio mensile all'esito del quale le parti avrebbero divis o tra loro gli utili - affermazione, questa, non credibile essendo del tutto intuibile che gli utili mensili non potessero avere sempre lo stesso importo, come pure appare confermato dalle dichiarazioni dei redditi prodotte dalla convenuta, dall e quali emerge che, a fronte delle perdite registrate nel primo anno di esercizio, l'azienda riportò negli anni successivi utili via via crescenti) - la sua deposizione vale in ogni caso ad escludere che l'A. abbia comunque mai sopportato le perdite di gestione che, secondo quanto emerso dalle dichiarazioni dei redditi prodotte in atti dalla M., ebbero a registrarsi quanto meno nel primo anno di esercizio.
Il rischio di impresa, inoltre, non risulta sostenuto dall'A. neppure con riferimento alla possibilità di perdere il capitale inizialmente investito, a garanzia della cui restituzione, per l'appunto, le parti addivennero alla stipula del predetto contratto di finanziamento che teneva indenne l'A. dalla possibile erosione del capitale sociale a seguito dell'esercizio dell'impresa.
D'altronde, ove le parti avessero effettivamente voluto mantenere in vita il contratto sociale, al di là della apparente forma giuridica che la ditta aveva assunto, nulla avrebbe loro impedito di stipulare, invece del menzionato contratto di finanziamento, una scrittura privata di diverso tenore, con cui mantenere ferma la qualificazione giuridica dei conferimenti già effettuati e disciplinare le modalità di partecipazione dell'A. alla gestione in comune dell'azienda.
Né può dirsi sufficientemente provata la mancata percezione della retribuzione indicata nelle buste paga (la quale avrebbe potuto, diversamente, integrare una forma mediata di partecipazione alle perdite da parte dell'attore), che l'attore ha dedotto di aver sempre riversato sul conto intestato alla ditta individuale.
A tal proposito l'attore segnala le seguenti operazioni:
lo stipendio di agosto 2014, pari a Euro 1.641,25, pagato con assegno emesso il 3.9.2014 ed incassato lo stesso giorno sarebbe stato versato in pari data sul conto corrente n. (...) e ciò sarebbe testimoniato dalla presenza di due versamenti in contanti, uno di Euro 1.185,00 ed uno di Euro 1.000,00, comprensivi, a suo dire, della predetta retribuzione e degli incassi del giorno;
-lo stipendio di settembre 2014, di Euro 1.641,25, pagato con assegno del 15.10.2014, sarebbe stato riversato con il versamento in contanti di Euro 1.463,00, effettuato in pari data, e con quello del giorno successivo di Euro 2.515,00;
-lo stipendio di dicembre 2014, sempre di pari importo, pagato con assegno del 10.12.2014, unitamente all'altro, di pari data, corrisposto a titolo di tredicesima, sarebbe stato trattenuto dall'attore limitatamente alla somma di Euro 452,00, e seguìto dal versamento sul conto della differenza;
-lo stipendio di gennaio 2015 sarebbe stato invece corrisposto con assegno del 17.3.2015, dell'importo di Euro 1.646,02, indi riversato come testimonierebbero i due versamenti in contanti del 17/18.3.2019 rispettivamente di Euro 3.050,00 e Euro 2.495,00;
-lo stipendio di febbraio 2015, di Euro 1.095,82, pagato con assegno emesso il 31.3.2015, portato all'incasso il giorno stesso, sarebbe stato riversato sul conto in pari data (versamento di Euro 2.275,00).
Con riferimento alle retribuzioni maturate successivamente, sebbene vi siano in atti le diverse distinte per l'incasso dei relativi assegni, non v'è prova del loro successivo versamento sul conto della ditta.
L'esame delle suddette circostanze evidenzia ictu oculi la difficoltà di ricondurre i versamenti in contanti, pur effettuati in date prossime all'incasso delle retribuzioni (e comunque soltanto sino al mese di marzo 2015), alla loro restituzione alla M., se non altro per la diversità degli importi incassati rispetto a quelli versati della cui giustificazione (il loro versamento sarebbe avvenuto contestualmente a quelli degli incassi del giorno) non è stata fornita alcuna prova.
Alla luce di quanto evidenziato, deve dunque ritenersi che, almeno a partire dall'ottobre del 2014, epoca della redazione della scrittura privata di finanziamento, le parti abbiano optato per una forma di collaborazione diversa da quella inizialmente progettata - di gestione societaria dell'impresa comune -, che prevedesse l'esclusione dell'A. dalla partecipazione alle perdite ed al rischio di impresa, da quel momento dallo stesso non più assunto; non potendosi, peraltro, prescindere dalla già avvenuta parziale esecuzione delle obbligazioni sociali da parte dell'A., che aveva provveduto a versare parte del fondo comune, si rese dunque necessario prevedere le modalità della sua restituzione, la cui postergazione ed apparente gratuità possono trovare giustificazione economico-sociale nel contestuale impegno della M. di assumere l'A. con contratto di lavoro a tempo indeterminato, dietro corresponsione dello stipendio dovuto in relazione alla qualifica assunta.
Tale nuovo assetto attribuito dalle parti ai loro rapporti, alternativo rispetto all'originario programma negoziale, trova diverse conferme, intanto, nelle concrete modalità di svolgimento dell'attività di impresa : come detto, non è emerso che l'A. abbia partecipato alle iniziali perdite di esercizio; esistono, al contrario, diverse evidenze del diverso rapporto di lavoro subordinato tra esse instaurato, testimoniato, oltre che dagli elementi documentali ad esso relativi (lettera di assunzione del 23.7.2014, comunicazioni UNILAV, atti di trasformazione dell'orario di lavoro, buste paga), altresì dall'esercizio, da parte della M. del potere disciplinare (v. contestazione disciplinare del 16.11.2016 e successivo licenziamento), tipico del paradigma della subordinazione; l'effettività di tale rapporto non risulta, peraltro, sconfessato neppure dalle particolari modalità di espletamento delle mansioni da parte dell'attore nel corso del rapporto, compatibili con la qualifica di "assistente" dalla stessa rivestita: in particolare, l'A. operava sul conto della ditta giusta apposita delega, intratteneva i rapporti con i fornitori e con il consulente contabile, prelevava, quanto si rendeva necessario, i generi di monopolio dai depositi autorizzati, sottoscriveva, all'atto della consegna della merce, le fatture accompagnatorie o la documentazione predisposta dal fornitore; al contrario, dalle prove assunte nel corso dell'istruzione, non è emerso l'esercizio di alcun potere decisionale incompatibile con il rapporto di subordinazione.
Peraltro, si osservi, rispondendo alla contestazione disciplinare del 16.11.2016, l'A. non accennò minimamente alla natura simulata del contratto di lavoro subordinato, eccezione che risulta per la prima volta sollevata con la missiva del 28.12.2016, con la rivendicazione della liquidazione della propria quota, rivendicazione che - non è peregrino osservare - interviene soltanto a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.
Altre conferme si ricavano dal comportamento negoziale coevo e successivo ai negozi di che trattasi (contratto di lavoro e di finanziamento): segnatamente, rileva l'effettiva esecuzione data dalle parti al contratto di finanziamento, quanto alla restituzione delle rate, tuttora in corso (circostanza, questa, non contestata dall'attore), ed, inoltre il rifiuto delle parti di sottoscrivere l'accordo di associazione in partecipazione (non v'è prova, agli atti, che sia stata soltanto la M. a rifiutarsi di sottoscriverlo).
Dovendo, dunque, ritenersi che l'originario patto sociale sia stato tacitamente risolto dalle parti quanto meno con la sottoscrizione del contratto di finanziamento del 27.10.2014, e risultando provata dai documenti in atti (v. dichiarazioni dei redditi) la mancata produzione di utili sino a tutto il 2014, le domande attrici vanno pertanto rigettate.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, rigetta le domande proposte da A.M. nei confronti di M.R.M.A. e condanna l'attore a rifondere alla convenuta le spese di lite che liquida in Euro 6.000,00 per compensi oltre rimb. forf. spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Marsala, il 3 luglio 2019.
Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2019.
15-08-2019 21:02
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