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Sentenza

La violazione del divieto di licenziamento comporta la nullità del recesso e l'o...
La violazione del divieto di licenziamento comporta la nullità del recesso e l'obbligo di reintegrare il lavoratore sia per coloro che sono soggetti allo statuto dei lavoratori sia per coloro che sono stati assunti dal 7 marzo 2015 in poi
La manovra che blocca i licenziamenti per (al momento) 5 mesi e della cui costituzionalità di sta dibattendo, in forza dello scontro tra diritto al lavoro di cui all'art. 4 e diritto alla libertà di impresa dell'art. 41, va collegata alla concessione degli ammortizzatori sociali per emergenza covid previsti per una durata di 18 settimane fino al termine massimo del 31 ottobre 2020.
L'anticipazione della possibilità di fruire di altre 4 settimane non più dal 1° settembre in poi ma entro il 31 agosto 2020 (ad opera del D.L. 52/2020), in pratica porterà la maggior parte delle aziende a utilizzare le 18 settimane già entro tale termine.
Da qui la necessità di ampliare le settimane e il periodi di fruizione che probabilmente la legge di conversione del D.L. 34/2020 introdurrà.
Da qui però discende anche la necessità di ampliare di nuovo il termine di divieto di licenziare.
Di sicuro nel frattempo in parecchie realtà che per ipotesi hanno dal 23 febbraio scorso iniziato ad utilizzare le 18 settimane, tra fine giugno e inizio luglio si troveranno ad averle esaurite. Pur in pendenza di divieto è facile pensare che potrebbero procedere a licenziare soprattutto per gmo, oppure ricorrere a licenziamenti "mascherati" da motivi disciplinari.
La tendenza pare statisticamente essersi già realizzata nelle settimane precedenti in alcuni migliaia di casi, come risulta dalle comunicazioni di cessazione dei rapporti di lavoro.
Dobbiamo quindi chiarire quali sono gli effetti della violazione ai divieti e cosa succede se le parti, in pendenza di un recesso di questo tipo, si sono conciliate in sede sindacale per avvalorare il licenziamento in cambio dell'erogazione di una data somma.
Il terzo punto attiene alla spettanza o meno della Naspi per coloro che sono stati licenziati nel frattempo.

Effetti della violazione al divieto
Salvo quanto diremo nel paragrafo successivo, in presenza di un divieto di licenziamento, l'avvenuto recesso è nullo e ciò comporta come conseguenza:
– per i lavoratori in forza alla data del 7 marzo 2015 (soggetti all'art. 18 della legge 300/1970) la nullità del recesso e l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, la corresponsione di una somma a titolo di risarcimento del danno subìto dal lavoratore pari ad un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, e in ogni caso non inferiore a 5 mensilità, più i contributi previdenziali su tali mensilità;
– per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 (soggetti al D.Lgs. 23/2015 ), si applica sostanzialmente la stessa identica disciplina descritta al punto precedente, con la differenza di escludere i dirigenti.
Pertanto in tutti i casi il datore di lavoro, imprenditore oppure non imprenditore, di qualsiasi dimensione, comprese quindi le imprese fino a 15 dipendenti, e per qualsiasi lavoratore, è soggetto alla reintegrazione piena.
Resta l'unica differenza tra i predetti regimi, cioè l'inclusione dei dirigenti se già in forza al 7 marzo 2015 e la loro esclusione se assunti dal 7 marzo 2015 in poi, stante il fatto che il D.Lgs. 22/2015 è inapplicabile nei loro confronti.

Revoca del licenziamento
Con l'art. 90 del decreto rilancio il legislatore ha attenuato in parte gli effetti di un eventuale licenziamento nullo intimato in pendenza dei predetti divieti, prevedendo una possibilità di revocarne gli effetti.
Infatti il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, legge 15 luglio 1966, n. 604 , può, in deroga alle previsioni di cui all'art. 18, c. 10, legge 20 maggio 1970, n. 300 , revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di assegno ordinario o di cassa in deroga a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

Tentativo di conciliazione
È possibile procedere ad un tentativo di conciliazione in caso di licenziamento nullo perché contrario al divieto di recesso?
La risposta è affermativa perché in entrambi i regimi la possibilità della conciliazione è garantita:
– per chi è soggetto al D.Lgs. 23/2015 è la stessa norma a prevederlo, estendendo il tentativo di conciliazione a tutti i licenziamenti regolati dal decreto compreso quelli nulli;
–per chi è soggetto allo statuto dei lavoratori, la norma di riferimento è l'art. 6, legge 604/1966 come modificata dall'art. 32, legge 183/2010 che esplicitamente estende il relativo regime di impugnazione o conciliazione dell'atto di recesso a tutti i casi di invalidità del licenziamento.
Di conseguenza, dopo avere impugnato l'atto di recesso entro 60 giorni, occorre che il lavoratore, a pena di inefficacia, depositi entro i successivi 180 giorni il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o comunichi alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.
Pertanto intimato un licenziamento nullo per gmo, il lavoratore dopo averlo impugnato, può legittimamente optare per arrivare ad una conciliazione in una delle sedi protette, a fronte della quale ricevere una determinata somma che nel regime del D.Lgs. 23/2015 (assunti dal 7 marzo 2015) è preordinato quanti ai limiti minimi e massimi ed è interamente esente.

Naspi
Secondo l'Inps (msg. 1° giugno 2020, n. 2261 ) non rileva che il licenziamento disposto contro il divieto legislativo sia nullo, per escludere il diritto alla Naspi. Pertanto l'indennità Naspi potrà spettare regolarmente a chi viene licenziato in maniera illegittima qualora sussistano tutti i requisiti legislativamente previsti, all'accoglimento delle domande.
L'erogazione della indennità Naspi a favore dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo - nonostante il divieto posto dall'art. 46 del decreto Cura Italia - sarà effettuata da parte dell'Inps con riserva di ripetizione di quanto erogato nella ipotesi in cui il lavoratore medesimo, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro.
In tale ipotesi, pertanto, il lavoratore è tenuto a comunicare all'Inps, attraverso il modelloNaspi.com, l'esito del contenzioso medesimo ai fini della restituzione di quanto erogato e non dovuto per effetto del licenziamento illegittimo che ha dato luogo al pagamento dell'indennità di disoccupazione.
Allo stesso modo in caso di revoca del recesso e contestuale collocamento in CIGO/FIS/CIGD, quanto eventualmente già erogato a titolo di indennità Naspi sarà oggetto di recupero, in considerazione della tutela della cassa integrazione che verrà riconosciuta al lavoratore.

    Si ricorda che

    Abbiamo descritto il doppio regime vigente per i dirigenti in relazione agli effetti di un loro licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Si discute a monte perfino sulla stessa inclusione di questa categoria nell'ambito della tutela offerta dal decreto cura Italia, sulla base della considerazione che l'art. 3 della legge 604/1966 sul recesso per gmo non è a loro applicabile. Tuttavia ad esclusione dei dirigenti apicali, cioè gli later ego dello stesso imprenditore, siamo dell'idea che, nella fase emergenziale, la logica dell'intervento normativo è proteggere da licenziamenti di questo tipo tutti i lavoratori, compresi anche i dirigenti, rispetto ai quali si pone poi il problema della diversa tutela dal licenziamento illegittimo a seconda che siano assunti prima o dopo il 7 marzo 2015.
Avv. Antonino Sugamele

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